Nel lungo termine, non ci sono personaggi pubblici pari agli artisti… Lo scandalo attrae la pubblicità e la pubblicità attrae gli acquirenti.
JOHN RUSSELL TAYLOR E BRIAN BROOKE, The Art Dealers9-1
Avevo dei soldi, feci i miei quadri migliori. Vivevo del tutto recluso, lavoravo un sacco, prendevo un sacco di droghe. Ero orribile con la gente.
JEAN-MICHEL BASQUIAT, «The New York Times»
All'inizio del 1982, subito dopo la mostra Public Address, Jean-Michel si trasferì al 101 di Crosby Street, in un loft dalla forma irregolare al settimo piano di un palazzo che s'affacciava su quella che allora era una pompa di benzina Mobil. Annina Nosei s'era occupata di questa sua nuova sistemazione: l'affitto sarebbe stato pagato in quadri. Fu un trasloco chiave nella vita di Basquiat. Era la prima volta che aveva un posto tutto suo grande abbastanza per dipingervi. Nei quattro anni precedenti aveva dormito in posti assurdi sparsi per la città, a Washington Square Park, in edifici abbandonati, sul pavimento di appartamenti e loft di altra gente, in una minuscola alcova nell'ufficio della produzione di New York Beat, lasciando dietro di sé disegni e dipinti come le briciole di Hansel e Gretel. Vagabondo, senza casa, come un barbone.
Crosby Street segnò una fase del tutto nuova nella vita dell'artista. Stava cominciando, come il suo idolo Warhol avrebbe detto, ad arrivare «lassù». Il posto aveva pochi mobili: un lenzuolo appeso a caso separava il letto disfatto dal resto dello spazio. La cucina sembrava l'avesse portata via a Dean & DeLuca, completa di scintillanti scaffali industriali in acciaio inossidabile. Gli ospiti spingevano un pulsante con sopra scritto, con la visibile grafia di Basquiat, tar9-2. Ancora un gioco di parole – anagramma delle parole art e rat9-3 – che stava per catrame, così come per prodotto a base d'olio usato nell'edilizia, per essere incatramato e ricoperto di piume, per la pavimentazione delle baraccopoli, per l'essere nero in America.
Il campanello suonava in continuazione, soprattutto da quando Basquiat aveva staccato il telefono perché squillava senza sosta. I suoi amici, ricchi o disperati che fossero, e gli ammiratori gli mandavano telegrammi. Ma la maggior parte della gente passava direttamente e suonava. Chiunque gli facesse da assistente, e in questo periodo Basquiat iniziò ad assumere la prima delle sue innumerevoli serie di ambiziosi tuttofare, doveva guardare fuori dalla finestra e dirgli chi era a suonare. A quel punto Basquiat rispondeva con un pollice in su o in giù. Tra la sterminata schiera di donne di Basquiat e il gruppetto di graffitisti che gli stava attaccato alla gonnella, l'appartamento era sempre pieno di gente che gironzolava. Raccontò Bretschneider:
C'era un gruppetto di gente che se ne stava seduto in un angolo a riscaldare la cocaina per trasformarla in free-base. Jean-Michel se ne stava dove c'erano la luce e i colori. Però di tanto in tanto andava lì, si chinava sulla pipa e fumava. Imbottiva la sua arte di droga. E poi stava sveglio per giorni9-4.
Suzanne Mallouk scelse proprio questo momento per rientrare in scena. Tornando da Parigi andò dritta dall'aeroporto all'East Village, portandosi dietro due valige. «Non avevo dove andare, e così andai al Pyramid Club»9-5. Basquiat era lì che beveva un Margarita:
Appena entrai mise giù il bicchiere, venne verso di me e disse: «Adesso sono famoso, e sono ricco, e ho un grande loft a SoHo, e devi venirci a vivere con me». Ma io gli dissi di no, che con lui avevo chiuso. Lui buttò il tavolo per terra e scagliò il suo Margarita contro il muro. Il giorno dopo lo chiamai e mi trasferii da lui. Ci vestivamo come Darla e Buckwheat9-6. Prendeva quantità pazzesche di cocaina e si fece un buco al naso. Lo accompagnai a farlo. Iniziai a prendere nota di quanto spendeva in droghe. A quel tempo erano duemila dollari a settimana in cocaina ed erba. Poi iniziò con il crack9-7.
C'erano sempre pile di cibo e cocaina sparse per casa, e andava perdendo soldi dappertutto. Un flusso continuo di persone entrava e usciva dal loft, si facevano di droghe, mangiavano, gironzolavano. La dipendenza di Basquiat dalla cocaina andava aumentando e rese la vita della Mallouk un inferno. «Era una storia del tutto tormentata e passionale», disse Bretschneider, «di botte e carezze»9-8. A volte la gente era costretta a intervenire. Joe LaPlaca disse che una volta aveva dovuto allontanare Basquiat dalla Mallouk perché la stava pestando di botte9-9. Dice la Mallouk:
Era una relazione molto sadomaso, ma non in senso fisico. Abitai lì per circa sei mesi. Fu un inferno totale. Aveva messo della carta nera alle finestre così da poter dormire di giorno. Dipingeva in modo ossessivo. Faceva tipo cinque quadri in cinque giorni e poi dormiva per una settimana. Cominciò quasi a disprezzare tutti quei soldi, e spendeva quello che guadagnava. Per lui diventò un gioco. Comprava tutti quei vestiti Versace e Armani e ci dipingeva sopra, e poi li buttava. Un giorno uscì e comprò qualcosa come tre televisori, un grosso registratore, degli stereo e dei vestiti. In tutto doveva avere speso diecimila dollari. Tornò con il ragazzo delle consegne e scaricarono la roba, e poi si mise a sedere sul divano e iniziò a piangere come un bambino. «Non voglio più niente. E tu, Suzanne?». Comprava dolci e riempiva il frigo di pasticceria francese che teneva lì finché non andava a male. Si faceva talmente tanta coca che nel mezzo della notte si svegliava urlando: «La CIA mi vuole uccidere!». E così aveva messo un sofisticato sistema d'allarme su tutte le finestre. Era convinto che la CM, volesse ucciderlo perché era un nero famoso. Andò a finire che non mi parlò per due settimane, e poi iniziò a vedere altre donne e via dicendo. Era imprevedibile. Un minuto ti chiedeva di sposarlo, e il minuto dopo ti disprezzava come se avessi fatto qualcosa di tremendo. E però non smisi mai di amarlo. Credo veramente che fosse brillante. Un genio. E i quadri che faceva! Stare con lui è stato come vivere in un altro mondo. Aveva un modo suo di vedere le cose9-10.
Stephen Torton, a quel tempo assistente di Basquiat, lo aveva già visto nel 1978 al Mudd Club, e aveva anche smezzato qualche canna con lui. «Non ti diceva mai grazie. Se ne andava via ballando e basta»9-11, dice Torton. Figlio di un pittore, Torton aveva passato diversi anni in Europa. Tornato a New York nella primavera del 1982, andò a trovare John Lurie, che a quel tempo stava iniziando a girare Stranger Than Paradise9-12. I due andarono da Basquiat, che quella notte stava dando un grande party nel suo loft per festeggiare l'apertura di una collettiva alla Marlborough Gallery dal titolo, alquanto opportuno, The Pressure to Paint, 'L'urgenza di dipingere'.
«Andammo lì e lui era nella vasca da bagno con una grande busta di cocaina», ricorda Torton. «E diceva: "Ho bisogno di un portiere. Ho bisogno di un buttafuori", e stava andando completamente fuori di testa. Così gli dissi che ero un buttafuori. E tutti mi guardarono»9-13. Basquiat disse a Torton che gli avrebbe dato centocinquanta dollari se gli avesse fatto da portiere, cinquanta dollari come anticipo. Quel giorno anche Patti Anne Blau andò a trovare Basquiat:
Andai lì e trovai Suzanne, e Jean era totalmente fuori di testa. Andò a mettere la nostra canzone, After the Dance di Marvin Gaye. Corse a prendermi carta e pastelli, così avremmo potuto disegnare. E disse a Suzanne di andare a pulire la cucina. Ero imbarazzata. Ma ero pure lusingata. Poi, durante il party, più o meno mi ignorò. E immagino fosse normale tenuto conto che era una star9-14.
Quella notte Torton fece pratica come buttafuori con Siskel ed Ebert. «Passai tutta la notte alla porta. E Jean-Michel se ne stava alla finestra, facendo su e giù con il pollice. Buttai fuori Steve Kaplan, che Jean-Michel odiava perché l'aveva soprannominato "il negretto artista"»9-15. Kaplan era celebre perché si imbucava ai party e alle inaugurazioni per bere e mangiare a sbafo. «Jean corse giù di sotto per vedere Steve umiliato in pubblico»9-16, ricorda la Lhotsky. Non fu né la prima né l'ultima volta che Basquiat maltrattò Kaplan. «Mi pare ci fossero anche David Hockney, David Byrne ed Eric Mitchell», dice Torton. Ma il party finì presto perché gli inquilini del piano di sopra chiamarono i pompieri.
Quando Torton andò a riscuotere il resto della sua paga da buttafuori, Basquiat gli propose di lavorare per lui costruendo telai. All'inizio Torton rifiutò. A quel tempo aveva delle entrate fisse come spacciatore. Valda faceva del suo meglio nel cercare di mettere insieme lei qualche telaio, ma Basquiat non era soddisfatto. Infine Torton accettò il lavoro. Le istruzioni di Basquiat non potevano essere più facili. «Devi solo utilizzare qualunque materiale trovi qui dentro». E così Torton cominciò a costruire telai e cornici con i chiodini del tappeto, spago, tele e terriccio. Tutti quanti, inclusi Larry Gagosian e il gallerista Perry Rubenstein, che comprò due dei primi pezzi costruiti dal nuovo assistente di Basquiat, furono soddisfatti dei risultati. René Ricard ne scrisse su «Artforum»:
Per un po' era parso che le primissime cose fossero primitive, ma adesso non è più così. Finalmente è riuscito a trovare come fare dei telai […] in perfetta sintonia con il suo immaginario […] sembrano anche questi segni, ma segni di cui un prodotto della civiltà moderna non saprebbe che farsene9-17.
La settimana dopo Basquiat partì per Parigi con una delle sue fidanzate del momento, una modella di Valentino, bella, tossica e dal fisico androgino, che si chiamava Laura (ma non è questo il suo vero nome). Diede a Torton una lista di cose da fare, incluso il mettere un catenaccio all'ascensore e delle persiane, dato che Basquiat, che prendeva un sacco di cocaina, di solito passava quasi tutto il giorno a dormire. Torton aveva uno stile tutto suo. Con un virtuosismo teatrale raggiunse la finestra e spinse verso l'interno le persiane di alluminio già presenti. L'accordo era stabilito. Nelle due settimane successive, mentre Basquiat era in Europa, Torton costruì una dozzina di telai dall'aspetto rudimentale che, esposti mesi dopo, colpirono galleristi e critici. Le cornici tagliate a mano sono ancora oggi considerate una delle innovazioni ideate da Basquiat.
Qualche settimana dopo Basquiat tornò da Parigi, insieme a Laura e a un nuovo vizio. Lei si era portata dietro dell'eroina. E tutti e tre iniziarono presto a farne uso – in effetti Torton la spacciava pure. Basquiat si era già iniettato eroina in passato, ma adesso cominciò a sniffarla con regolarità9-18. John Lurie, uno dei primi amici di Downtown di Basquiat, iniziò presto a disgustarsi della cosa. Dice Lurie:
Mi chiedeva sempre come fare a mettere in pratica lo stile di vita bohémien alla John Lurie, ma alla fine diventò maschilista e crudele. Diventò come Don King. Andava a letto con tutti quelli con cui andavo a letto io. Mi portò via Torton. E andava veramente fiero della sua eroina, quando in realtà fu l'eroina a cambiarlo9-19.
A quel punto Suzanne era andata a vivere altrove, ma lei e Basquiat avevano ancora delle cose in sospeso. Il modo in cui Suzanne si separò da lui fu particolarmente drammatico: un giorno Torton, da fuori la finestra, la vide fare un falò dei quadri di Jean-Michel. Dice la Mallouk:
Avevo tutti questi quadri nell'appartamento dove avevamo vissuto insieme. Grandi, piccoli… Quando io e Jean-Michel ci eravamo lasciati, aveva fatto tutte queste fotocopie di Venere, le aveva strappate e poi me ne aveva data una decina dicendomi: «Questa sei tu, una Venere strafatta, la dea dell'amore». Avevo tutte queste Veneri attaccate alle pareti. Alcune delle mie amiche erano seriamente preoccupate per me, perché ero veramente ossessionata e dipendente da lui, e casa mia era diventata una specie di santuario dedicato a lui. Mi dissero che avrei dovuto togliere i quadri dalle pareti9-20.
La Mallouk decise così di trasformare la catarsi in un rito. «Ero talmente ossessionata che feci una specie di cerimonia di stregoneria, pianificando il tutto». La Mallouk scelse la data partendo dal numero 24:
È il mio numero preferito, mentre il tre è il numero perfetto e l'otto è l'infinito. La feci a mezzanotte in punto del primo giorno del mio ciclo, in una notte di luna piena. Pensai che se ripetevo tutto tre volte, l'incantesimo sarebbe stato tre volte più forte e non mi sarebbe tornato indietro9-21.
La Mallouk camminò per Crosby Street, facendo dei cerchi in multipli di tre, e portandosi dietro un grosso sacco della spazzatura pieno di quadri: «Gettai i quadri ricoprendoli di un liquido infiammabile, poi feci questo gran falò davanti casa sua e li bruciai tutti. Lui guardava dalla finestra, e io ero in piedi tra le ombre»9-22. «Povera Suzanne», dice Torton, «stava cercando di esorcizzarlo. Dissi: "Jean-Michel, non so se la cosa ti interessa, ma c'è qualcuno che sta facendo un rogo simbolico dei tuoi quadri". Lui scese giù bello e tranquillo»9-23. Ma la Mallouk continuò a soffrire. René Ricard iniziò a chiamarla «la Vedova Basquiat».
Basquiat ebbe una serie di storie parallele a quella con la Mallouk, inclusa una con il pittore David Bowes, un artista longilineo e dall'area eterea che aveva conosciuto a inizio anni Ottanta. Se ne andavano in giro insieme a fare i loro giochi di parole. L'espressione micragnoso9-24 non smise mai di divertire Basquiat. «La definizione di micragnoso è 'persona meschina, taccagno, spilorcio'», dice Bowes. «A piacergli in effetti era il fatto che fosse già di per sé una poesia»9-25. Poco prima del Times Square Show, Basquiat si era trasferito nell'appartamento del fratello di Bowes, che dice:
In quei giorni lo vedevo sempre. Era un tornado di attività. Riempì l'appartamento di disegni e fogli di carta coperti di fantastiche poesie e di tutti quei suoi appunti criptici. Aveva pile di collage e di fotocopie a colori. E suonavamo. Era sempre lì che accordava la mia chitarra in una qualche chiave tonale9-26.
Adesso che Basquiat era una stella in ascesa, vedeva Bowes più di rado. Ma quando ruppe con Laura, l'artista andò a cercarlo. «Era un po' teso per la cosa, e restai molto colpito dal fatto che fosse venuto a cercarmi per parlarne con me. Era stravolto, stanco e ferito. Mi disse che lei lo aveva fatto pensare a me»9-27. Anche Bowes aveva una storia problematica con una donna, e si compiansero e consolarono a vicenda.
Per tre settimane Basquiat e Bowes furono amanti. «La cosa andò avanti per dieci intensi giorni, e poi riprese due settimane dopo», ricorda Bowes, che sostiene sia stata la sua unica relazione omosessuale. «Eravamo molto, molto legati, ma non era una situazione che riuscivo a reggere». A detta di Bowes Basquiat viveva con tranquillità la propria bisessualità. «Era una di quelle creature esotiche e aveva una specie di passionalità omnidirezionale»9-28.
A giugno Basquiat andò a bussare alla porta di Anna Taylor in cerca di consolazione. Con la Taylor, aspirante cantante, aveva avuto una breve storia diversi anni prima. Ricorda: «Lo vedevo sempre al Mudd Club ai tempi in cui aveva la cresta bionda. Io avevo una piccola chitarra di plastica blu che suonavo con l'amplificatore al minimo»9-29. In quei giorni la Taylor viveva in un negozio sulla Decima Strada Est, che Basquiat riempiva di oggetti di tutti i tipi. Dipingeva sui cartoni dei panini, trasformando le parole roast beef in Roast Braille Teeth9-30. Oppure scriveva pile di parole su fogli di carta gialla. «Se li portava dietro e io li leggevo, ci faceva sopra un buco e ci infilava dentro una corda. Portava sempre un cappotto in tweed sopra pigiami di flanella»9-31. Ma, a detta della Taylor, Basquiat era pure estremamente vulnerabile. «Faceva di tutto per ridursi male. E poi mi accusava di un qualche tradimento. Era terribilmente fragile e insicuro. Aveva bisogno degli altri per uscirne fuori, e poi quando gli altri facevano qualcosa per lui se la prendeva con loro»9-32.
Nel 1980, quando Basquiat andò al Bellevue Hospital con una tremenda eruzione cutanea sulle gambe, la Taylor gli comprò un piccolo piano giocattolo. «Di tanto in tanto mi telefonava nel cuore della notte dicendomi che aveva paura e chiedendomi di andare da lui. E lo trovavo seduto lì a tremare»9-33, dice. Ma la relazione era terminata quando la Taylor s'era messa con l'artista Duncan Hannah, e Basquiat era andato a vivere con la Mallouk.
Ed eccolo che adesso se ne stava seduto davanti casa sua con un'offerta di pace, il disegno di un teschio, con un pugno e una spirale di zanzare, «contro la cattiva energia». La portò fuori a cena. «Da Barbetta's c'era la fila, ma non ci fecero aspettare. Il maître ci fece entrare subito dentro. Jean-Michel si mise a sedere, fumò una Camel dopo l'altra e mangiò il suo cosciotto di agnello»9-34.
Le cose si complicarono presto. Torton e la Taylor si fecero una scopata di una notte, e Basquiat non ci mise molto a scoprirlo. «Non lo vedi chi è? È solo uno che cerca di imitarmi», le disse furente. Ma la Taylor sapeva che in quel periodo Basquiat frequentava Madonna. Aveva trovato nel loft «appunti scritti in inchiosto rosa e con una grafia perfetta»9-35 della cantante. Dice la Taylor:
A ripensarci credo che Stephen fosse una sorta di clone di Basquiat. Torton voleva cambiare le proprie origini e il proprio futuro cercando di diventare più tipo Jean-Michel. Cominciò a parlare come lui, a ballare come lui e a uscire con i suoi amici. Andavano d'accordo tra loro e si divertivano, ma poi Stephen non poté che tradire Jean-Michel perché tutti finivano per farlo. Anche Stephen fu costretto a farlo. La cosa si trasformò in uno sgradevole triangolo che portò me e Jean-Michel alla rottura9-36.
E alla fine portò anche alla rottura del rapporto tra Basquiat e Torton. Sempre in quel periodo Basquiat frequentava Saskia Friedrich, la figlia diciassettenne di Heiner Friedrich (il fondatore della Dia Art Foundation). La sua matrigna era Philippa de Menil, figlia del collezionista d'arte Dominique ed ereditiera del patrimonio petrolifero Schlumberger. «Incontrai Jean-Michel in ascensore a casa di Maripol», dice la Friedrich, un'attraente e facoltosa giovane donna con un leggero accento tedesco:
Abitava a Crosby Street. Lì ci trovavi gente di tutti i tipi, e se ne stavano sempre tutti in giro, con le televisioni sempre accese. Veniva chiamato «genio bambino», ma al tempo stesso doveva lottare contro il razzismo del mondo dell'arte, ed era come se la gente volesse comprarlo. E tutto stava capitando così in fretta, era come una serie di bum, bum, bum, bum, bum9-37.
La scappatella con la Friedrich aveva un che di proibito. Basquiat si infuriava con lei e la mollava nei club. Poi, quando lei tornava da lui al loft, lo trovava a letto con un'altra. Lui le aveva fatto vedere le foto di Suzanne. «Parlava sempre di lei in modo nostalgico». Ma la Friedrich era infatuata dell'artista. Dice:
Era molto attraente, decisamente sexy. Credo che la cosa più attraente fosse il suo arrivare sempre in fondo alle cose, come se fosse alla costante ricerca dell'essenza ultima dei proprio essere. Aveva questa specie di vitalità, di presenza, mi segui9-38?
La Friedrich smise di vederlo solo il giorno in cui passò da lui e lo trovò con Suzanne. «Lei continuava ad amarlo, e a me ci volle un bel po' per dimenticarlo. Era così reale, e tutto era successo così in fretta»9-39, dice la Friedrich. Racconta la Mallouk:
Io e Jean-Michel avevamo rotto, ma continuavamo a vederci. Ogni volta che andavo a casa sua trovavo questi telegrammi che lei gli mandava: «Ti amo. Bacì, baci. baci». Riuscivi a leggerci anche un accento tedesco9-40.
Subito dopo la Mallouk scoprì di avere una grave forma di gonorrea:
Rimasi tre settimane in ospedale a fare flebo di antibiotici, e venni a sapere che Saskia andava a letto con Jean-Michel, e così la chiamai per avvisarla. Un giorno che ero da lui, lei suonò al citofono. Jean-Michel la fece salire e le disse: «Saskia, io amo Suzanne. È lei la mia. ragazza. Abbiamo qualche problema, ma è lei che amo»9-41.
La scena disgustò entrambe le donne. La Mallouk prese la Friedrich per mano, ed entrambe uscirono dal loft. Malgrado la sua ostentata misoginia, Basquiat era sempre circondato da donne determinate. Dice Torton:
Non c'era niente che fosse come quelle sue fidanzate. Niente come quelle notti. Quelle ragazze si umiliavano. Erano lì a strisciare alla porta. Era una cosa incredibile. E non se ne andavano. Noi eravamo costretti ad andarcene in alberghi tipo il Waldorf o il St. Regis. Non riuscivamo a trovare un posto dove dipingere9-42.
Basquiat dipingeva alla stessa velocità con cui Torton si arrampicava dentro i cassonetti della spazzatura e cacciava fuori cose con cui poi costruiva i telai:
Uscivo in piena notte a cercare cose. E costruivo questi attrezzi che sembravano essere stati lasciati da un circo. Era come se fossi un suo braccio. Insieme abbiamo fatto più di trecento quadri. Annina gli diceva: «Stai attento. Nel giro di tre anni dirà che il pittore è lui»9-43.
La frenetica attività era alimentata da una dose massiccia di droghe. Il codice pin del conto in banca di Basquiat era «So What?», citazione presa in prestito dalla canzone di Miles Davis. Dice Torton:
Nel conto aveva qualcosa come ventottomila dollari e li spendemmo tutti quanti in un mese. Avevamo rotto tutte le pipe per il crack e non potevamo più drogarci, così ce ne andammo a St. Mark's Place a comprare un kit nuovo9-44.
Torton descrive le loro audaci imprese: entrambi si divertivano a ostentare l'abitudine di drogarsi. Racconta:
Ci facevamo di crack mentre Nora e Gerard [Basquiat] salivano in ascensore. Mi ricordo che uscire con loro quando eravamo così fatti era una cosa tremenda. Guardavamo l'ascensore che saliva e noi lì a fumare crack finché l'ascensore non arrivava al quarto piano, e poi nascondevamo le pipe. Andavamo al ristorante e ci passavamo buste di cocaina sotto il tavolo e poi andavamo nel bagno degli uomini. Amavamo sballarci per poi andare al Tennessee Mountain9-45 a SoHo e tornare a casa e vomitare. Era da morire dal ridere perché lui si metteva a dipingere con un gigantesco secchio della spazzatura accanto, e continuava a vomitare in un sacchetto di plastica, e riempiva il secchio e io lo andavo a svuotare9-46.
Continua Torton:
Farsi di crack è la cosa più morbosa che esista al mondo. È esistenzialismo in una bolla di cristallo, perché tu sei lì che fumi, e non vedi l'ora che ti salga, e poi esplodi, e poi è già finita. Hai tutte queste sirene che ti si accendono dentro il cervello. Jean-Michel conosceva tutti gli spacciatori, ma anche io rimediavo un sacco di contatti. A un certo punto iniziai a chiamare tutti dicendo loro di smettere di venderci coca. Fu il motivo della nostra prima grande lite9-47.
Non importa quanto fosse diventato famoso, Basquiat si sentiva sempre un fallito, come se temesse che da un momento all'altro i consensi finalmente conquistati potessero di colpo svanire. «Diceva cose tipo: "Pensi che stia diventando fuori moda, che sia già tagliato fuori?". Ecco, questa era la sua espressione preferita», dice Torton. «Ma anche l'idea di essere famoso gli dava fastidio. I suoi veri eroi finivano tutti barboni, in bancarotta, oppure morti»9-48.
Dal momento in cui iniziò a fare soldi, Basquiat divenne famoso per la sua smodata generosità. Regalava biglietti da cinquanta o cento dollari ai barboni, o infilava soldi nelle tasche dei senzatetto che dormivano per strada. «I barboni per lui erano come i monaci buddhisti»9-49, dice Torton.
L'atteggiamento che aveva Basquiat nei confronti dei soldi era conflittuale tanto quanto lo era quello nei confronti del successo: da un lato, il gestire male le sue finanze era l'ennesima forma di ribellione contro il padre ragioniere, dall'altro lato, riempiva di regali fidanzate e amici come se cercasse in qualche modo di comprarne l'amore. E intanto spendeva centinaia di dollari al giorno in cibo comprato da Dean & DeLuca. Comprava anche – e rubava – materiali che gli servivano per lavorare da Jamie Canvas. Dice Torton:
Spendevamo quattrocento dollari, ma ne rubavamo altri duecento. Basquiat adorava il pensiero che fossero troppo intimoriti per dirgli qualcosa. Lo facevamo sempre in maniera appariscente. Giravamo per il negozio ridacchiando come bambini, e io avevo una grande busta, e ci arrampicavamo su uno scaffale di pastelli a olio e li facevamo cadere dentro la busta, e loro se ne stavano lì a guardarci inorriditi. Era uno che godeva degli eccessi. I soldi erano tutti sparsi per il loft. E andava completamente fuori di testa quando tutti questi ragazzini venivano lì a rubare un biglietto da cento dollari. Amava il silenzio delle droghe. Era l'unico modo per fargli mandare via tutta quella gente. Erano così insistenti, il citofono suonava a tutte le ore. E salivano su e gli raccontavano i loro problemi e lui dava loro dei soldi per farli andare via. Una volta mi diede cinquecento dollari e mi disse: «Prendi una stanza singola in un albergo, ho bisogno di stare da solo». Ma tornò dopo tre giorni. Lo avevano buttato fuori perché stava riempiendo di graffiti tutto il corridoio. Lo chiamavo sempre Jean-Michel «Baby Stalin» perché si circondava di idioti9-50.
Insieme a Fab 5 Freddy Basquiat organizzava gite domenicali al Museum of Modern Art per la gang di ragazzetti graffitisti che lo seguiva ovunque. «Voleva che questi ragazzi avessero una cultura»9-51, dice Torton.
Ogni volta che poteva Basquiat cercava di evitare le risse. Le limousine, nuovo status symbol degli anni Ottanta, gli fornivano spesso una via di fuga. Sembrava che, per compensare i lati negativi del successo, aumentasse sempre più le già abbondanti dosi di droga. Dice Torton:
Una delle cose più tristi che faceva sempre era chiedermi di noleggiare una limousine e passare quasi tutta la notte a guardare la Tv e ad andare in giro. Era l'espressione della solitudine più assoluta. Non c'è niente di più triste di una limousine e nessun posto dove andare9-52.
La prima personale alla galleria della Nosei, nel marzo del 1982, fu un grande successo. Venne anche suo padre. «Entrare lì dentro fu una cosa emozionante. Uno dei momenti più belli della mia vita. Vedere Basquiat lì sulle pareti, il mio sangue, mio figlio»9-53, disse Gerard Basquiat. Ma Jean-Michel fu sempre contraddittorio circa la partecipazione del padre alla sua celebrità nel mondo dell'arte. Ricorda Lurie: «Il giorno della mostra venne a casa mia alle sette del mattino. Gli sanguinava il naso e stava piangendo. Era terrorizzato dal dover andare in galleria perché ci stava andando suo padre»9-54.
Tra i quadri in mostra c'era Arroz con Pollo, Self-Portrait9-55, Untitled (Per Capita)9-56 e Crows (Peso Neto). Crows (Peso Neto) mostra una galleria di teste nere incoronate e con le aureole, intrecciate a delle corti di scheletri. Per Capita (il primo dei due omonimi quadri) include tra i temi quelli ricorrenti di Basquiat: un pugile nero che indossa calzoncini Everlast e in una mano tiene una torcia olimpica, trasformandosi così in sovversiva Statua della Libertà. Un'aureola splende sulla sua testa, e più in alto ancora le parole «E Pluribus»9-57. Da un lato della tela c'è una lista di Stati in ordine alfabetico, con il rispettivo numero di abitanti. Dall'altro lato la scritta «Per Capita». L'autoritratto è espressivo: un uomo nero dai capelli scombinati che mostra i denti e brandisce una freccia.
Poi erano esposte otto «poesie disegnate»9-58. Erano prevalentemente frasi stile SAMO, senza però il tag SAMO. In realtà alcune erano già state spruzzate sul muro da tempo. Famous Negro Athletes riassumeva due delle icone preferite di Basquiat in un unico logo: una corona e una palla da baseball sopra e sotto la scritta. Old Tin, con il simbolo del copyright, firmava una versione infantile di un'automobile. Origin of Cotton adornava uno spoglio quadrato. Poi c'era Tar Town che declamava infine: «Jimmy Best on his Back to the Suckerpunch of his Childhood Files»9-59, un poema in prosa con un accento fortemente autobiografico che in futuro Basquiat avrebbe riciclato diverse volte. Infine la semplice e ambigua affermazione: «No Mundane Options»9-60. La critica Jeanne Silverthorne vide i conflitti di Basquiat palesemente scritti sulle tele:
Uno dopo l'altro, i dipinti raffigurano pugili, vincenti e/o perdenti […]. Ogni vittoria è un tradimento, ogni superstite un arrivista. Con simili visioni, Basquiat […] deve sentirsi alquanto nauseato dalla notorietà raggiunta […]. Sembra quasi che si senta a disagio con se stesso9-61.
Lisa Liebmann ne scrisse entusiasticamente su «Art in America»:
La linearità di frasi e appunti, graffiti o arte che sia, mostra un'innata finezza […]. Le figure con cui Basquiat parodizza gli uomini – soggetti scimmieschi, teschi, animali predatori, figure scheletriche – appaiono incorporee per la velocità dell'esecuzione, e in questa loro criptica semipresenza, sembrano assumere caratteristiche sciamaniche. Splendida la resa materica dei disegni, spesso fatti di strati di vernice gessosa che rievoca i muri ricoperti di manifesti dei palazzi abbandonati9-62.
A catturare la quintessenza dello stato in cui l'artista era in quel momento fu il consulente artistico della Citibank e critico Jeffrey Deitch:
Basquiat viene paragonato al ragazzo selvaggio allevato dai lupi, rinchiuso nello scantinato di Annina e attrezzato di tele nuove nuove su cui lavorare al posto di anonimi muri. Un bambino di strada che l'intellighenzia guarda imbambolata. Ma Basquiat è ben lontano dall'essere primitivo. Più che altro lui è una rockstar, apparentemente selvaggio ma con un autocontrollo perfetto. Sorprendentemente prolifico, ma sprezzante di quella severa disciplina che normalmente genera una simile virtuosità. Basquiat mi ricorda Lou Reed che canta magnificamente dell'eroina ai bravi ragazzi del liceo9-63.
Analogia quanto mai opportuna. Racconta Nick Taylor:
Mi ricordo che quella notte alla galleria di Annina Nosei venne da me ed era completamente fuori di testa per la cocaina. Stava portando i suoi amici tutti insieme sul retro a farsi di coca con lui. E disse: «Amico, io scelgo la vita!». Sapeva che il successo era alle porte. I quadri della mostra erano già tutti venduti9-64.
Insieme agli entusiasmi unanimi da parte della critica arrivò una richiesta ancora più insistente di sue opere. La frenetica produzione di Basquiat, già di per sé un problema per il pittore lì alla Nosei Gallery, stava diventando rapidamente parte istituzionalizzata del mito.