Voglio proporvi un'analogia interessante. Avete mai letto Il cuore è un cacciatore solitario di Carson McCullers? Bene, ricorderete il sordomuto del libro, Mister Singer… questa persona che non comunica per niente e che, alla fine, in maniera sottile, si rivela come una persona completamente vuota, senza cuore. Eppure, essendo un sordomuto, simboleggia delle cose per la gente disperata. Vanno da lui a raccontargli tutti i loro guai. Ci si aggrappano come a una fonte di forza, una specie di figura semireligiosa. Andy è un po' come Mister Singer. La gente disperata, perduta, trova la strada che porta da lui cercando una qualche forma di salvezza, e Andy si appoggia all'indietro sulla sedia, come un sordomuto che ha pochissimo da offrire.
TRUMAN CAPOTE, Edie18-1
Ho sempre pensato che la mia lapide sarebbe dovuta essere vuota. Niente epitaffio e niente nome. Be', adesso mi piacerebbe che dicesse: «Finzione».
MIKE WRENN, Andy Warhol In His Own Words18-2
Per trent'anni Henry Geldzahler fu il leader indiscusso del mondo dell'arte. Ex-curatore dell'arte contemporanea per il Metropolitan Museum, Geldzahler nel 1962 aiutò a far entrare la Pop Art nel quadro durante il simposio sulla Pop Art del Museum of Modern Art (lui fu il solo relatore ad applaudire il nuovo movimento). Nel 1969 curò la New York Painting and Sculpture, 1940-1970, celebre esposizione centennale del Met di opere della scuola newyorkese, altrimenti conosciuta come «la mostra di Henry»18-3. Geldzahler era anche un habitué della Factory. «È Henry a suggerirmi tutte quante le mie idee», disse una volta Warhol. Nel 1965 Frances Fitzgerald scrisse della star del sigaro del film Henry Geldzahler di Warhol:
Sebbene descritto come «l'ambasciatore del Metropolitan sulla Scena», non svolge affatto simile arcaica funzione. È piuttosto la Tv satellitare del mondo dell'arte e di tutti i suoi pianeti in orbita: un uomo talmente sintonizzato con tutte le lunghezze d'onda da registrare gli eventi prima ancora che accadano18-4.
Dal 1977 al 1982 Geldzahler fece da sovrintendente alla cultura del sindaco Koch. Con l'avvento degli anni Ottanta Geldzahler era, ancora una volta, sintonizzato con lo Zeitgeist, e divenne uno dei primi sostenitori del Graffitismo e del Neoespressionismo: «Sentii che c'era una nuova energia in circolo e chiesi a Diego [Cortez, nda] di portarmi a vedere Julian, Francesco e Jean. Li guardai e andai completamente fuori di testa. La storia la sai: uscii dallo studio di Julian e caddi giù dalle scale»18-5. L'immagine più diffusa della faccia di Geldzahler (impossibile guardarlo senza vederlo trasformare nel ritratto di David Hockney: 1,1 milioni di dollari in un'asta del 199218-6) lo immortalava con uno sguardo divertito al ricordo del suo primo battibecco con Basquiat. Malgrado Geldzahler fosse stato una delle figure chiave nell'avviarne la carriera, inizialmente aveva contribuito a posticipare l'inevitabile apprendistato di Basquiat da Warhol.
Nella primavera del 1978 Geldzahler era a pranzo con Warhol al WPA SU Prince Street, celebre fern bar18-7 di SoHo. Fu uno di quegli episodi tipicamente newyorkesi: il più celebre artista del mondo in un tête-à-tête con quello che era praticamente il sindaco del mondo dell'arte della città18-8. Ricorda Geldzahler:
Ci si vedeva dalla finestra. Jean passava di lì con queste cose grandi quanto cartoline – era a metà strada tra Graffitismo e arte da galleria. Molto carino. E notò Andy. Per cui entrò e gli fece vedere le sue opere. E Andy disse: «Falle vedere al sovrintendente». E Andy e io eravamo presi dai nostri discorsi, per cui gliele restituii dicendo: «Troppo giovane». E questo fu tutto. Non volevo essere in alcun modo duro né scortese. È solo che io e Andy stavamo parlando di qualcosa, ed ecco che questo ragazzino viene al nostro tavolo, ed è così che andò18-9.
Warhol comprò una cartolina per un dollaro. Ci sarebbero voluti altri tre anni prima che la stimata antenna di Geldzahler intercettasse le onde di Basquiat, e divenisse un appassionato sostenitore dell'artista e delle sue opere. Pur diventato uno dei protetti del Sovrintendente, Basquiat riuscì a resistere alle sue avance amorose pur consentendogli di acquistargli materiali per dipingere. Dice Geldzahler:
La seconda volta che vidi un lavoro di Basquiat, andai letteralmente fuori di testa. Me lo portai con me in ufficio, e convocai una riunione di tutto il mio staff dicendo: «Ha ventidue anni, è nero e passerà alla Storia»18-10.
Il fallito incontro con il Papa del Pop fu un'occasione fondamentale per il giovane artista. Cercava da anni di avvicinare il suo idolo, tentando di vendergli magliette, maglie e cartoline, allo stesso modo in cui proprio Warhol una volta aveva avvicinato Truman Capote tormentandolo con appunti e disegni.
Basquiat idolatrava Warhol da quando aveva iniziato a prendere in considerazione l'idea di diventare seriamente un artista. Ricorda la Monforton:
Andy Warhol era la luce dei suoi occhi da quando aveva quindici o sedici anni. Voleva conquistare la sua stessa fama. Jean-Michel aveva una missione da compiere. Voleva veramente essere qualcuno, ed era determinato nell'ottenere ciò che voleva18-11.
Ricorda Zoe Leonard: «Diceva sempre che sarebbe diventato il prossimo Warhol»18-12.
Basquiat non era il solo ad essere ossessionato da Andy Warhol. In effetti quelli della sua generazione erano stati influenzati, in un modo o nell'altro, dall'artista che più di ogni altro sembrava incarnare la cultura contemporanea. «Mi sento fortemente parte della mia epoca, della mia cultura, me ne sento parte tanto quanto le navicelle spaziali o la televisione»18-13, disse Warhol di se stesso. Scrisse Robert Hughes:
Più di ogni altra cosa, il ragazzo della classe operaia che aveva passato così tante migliaia di ore fissando il bagliore blu e anestetizzante dello schermo televisivo, come Narciso che si specchia nell'acqua, capì che la cultura di metà anni Sessanta aveva incoraggiato un vagare a vuoto. La Tv stava producendo una cultura anaffettiva. Warhol cominciò a diventare l'eroe di tale cultura18-14.
Se questa fu realmente la sua missione, non c'è dubbio che Warhol l'abbia compiuta come nessun'altra icona culturale. Dice Kenny Scharf, una cui opera ispirata alla Tv con personaggi a fumetti fluorescenti riempiva tutta una stanza del Palladium: «Era il mio eroe, il motivo principale per cui venni a New York. Aveva rovesciato l'arte rendendola divertente. Lo chiamavo il Papa pop. Lui era il padre e noi eravamo i figli»18-15.
Volutamente o meno, Warhol divenne il Mago di Oz dalla parrucca bianca per intere legioni di studenti d'arte. La sua celebre carriera divenne il Graal per ogni dottorando in Arti Figurative o tormentato Artista In Residenza di Downtown. I suoi soggetti diventarono cinema venie della cultura moderna. Pensare alla celebrità prima di Warhol è un po' come pensare all'Es prima di Freud. Identificò e incarnò quella che sarebbe stata la più grande forza della fine del secolo Ventesimo con la più celebre delle sue frasi: «In futuro ognuno sarà famoso per un quarto d'ora»18-16. Un attimo di trasfigurazione che contemplava non solo la sua fama personale ma quella di tutti gli Oprah – e i John Bobbitt – del futuro. Warhol: lo Zelig dello Zeitgeist. Dice Colacello:
Andy rese la fama una cosa bella. La fece rientrare nell'estetica. Andy fu uno dei primi a capire che in una società assolutamente laica e in cui non si credeva più in Dio, c'era bisogno di nuovi santi. E i santi erano Marilyn, Elvis, Jackie e la zuppa Campbell. Il nuovo modo di essere artisti negli anni Ottanta venne direttamente da Andy. Salle, Haring, Schnabel: era come fossero figli di Andy. Andy attraeva i narcisisti che godevano già di fama e gloria. La Factory divenne il quartier generale del glamour che Hollywood aveva gettato via. E credo che gli studenti d'arte degli anni Settanta, quando «Interview» iniziò a prosperare, recepirono il messaggio18-17.
Scrisse David Bourdon in Warhol:
Successo nel mondo dell'arte post-Warhol non significava solo plauso febbrile e prezzi alti, ma anche una fama così pervasiva che il nome della gente appariva nelle colonne dei gossip, nelle riviste di moda e nei quiz show. I parametri del successo non erano per niente elevati, ma influivano su quelle che erano le aspirazioni della successiva generazione di studenti d'arte che più che alla creazione di vere opere d'arte, erano interessati a fare in modo che le loro facce venissero pubblicate nelle riviste di moda e allo spendere e spandere con stile18-18.
Ma non erano solo la fama e il glamour ad attrarre le generazioni più giovani: era l'Atteggiamento, l'impassibile, appagato, criptico silenzio nel quale si poteva proiettare qualunque cosa. «Andy sapeva come allestire uno spettacolo che potesse piacere al mondo dell'arte», dice l'artista Ronnie Cutrone, uno dei primi membri della Factory. «La sua era una reazione all'Espressionismo Astratto. Se ne stavano tutti a picchiarsi tra loro nei bar e a vomitare ognuno sulle scarpe dell'altro. Andy cercava di essere tranquillo e distaccato, e la cosa funzionò»18-19.
Warhol, inoltre, elevò la produzione di massa a forma d'arte. Dice Cutrone:
Se ne uscì fuori con una tecnica che era veramente grande e veloce: lo speed. La mia teoria, e Andy sarebbe d'accordo, è che un artista veramente grande è specchio del suo tempo. E Andy era uno specchio straordinario. Non era altro che questo: un grosso e splendente specchio18-20.
Nella sua casetta di Brooklyn, sognando un futuro da celebre artista, Basquiat divorava materiale su Warhol che trovava su riviste popolari come «Time» e «Life». «Edie lo incuriosiva, leggeva tutto su Andy e gli faceva dei piccoli ritratti»18-21, dice Paige Powell. Racconta Jane Diaz: «Jean-Michel amava Andy perché non era un artista tormentato»18-22.
Già prima di conoscerlo, Basquiat aveva perfezionato il comportamento catatonico di Warhol. Guardava la gente senza vederla, e borbottava ironici monosillabi, un effetto zombie indubbiamente esasperato dall'uso smodato di droghe. Dice Victor Bockris, autore di Andy Warhol:
Jean-Michel iniziò a comportarsi come Warhol. Lo guardavi e lui ti guardava senza vederti. Sembrava un idiota perché era difficilissimo riuscire a farlo bene. Andy c'era riuscito dopo aver studiato per quindici anni i media e imitando Greta Garbo. Quando Warhol iniziò a farlo era un modo nuovo e originale per respingere la gente. Basquiat non sapeva farlo, e quando lo faceva era come se quell'espressione tornasse indietro e gli si stampasse in faccia18-23.
Racconta Benjamin Liu, assistente particolare alla Factory negli anni Ottanta, che adesso parla dei due artisti con un certo disgusto:
Quello che mi viene da dire su Andy, e credo che potrei dire lo stesso di Jean-Michel, è che erano iper-consapevoli del ruolo che interpretavano in pubblico. Penso che a Jean-Michel piacesse colpire la gente alle gambe. Prendeva in giro la gente con lo sguardo, ma in maniera inequivocabile, lasciandola lì a bocca aperta. Non riusciva mai ad essere veramente crudele, metteva solo un po' paura. Non era un bello spettacolo. Era come se ti uccidesse con lo sguardo18-24.
Scharf descrive il comportamento di Basquiat in modo del tutto simile: «Il suo sguardo ti uccideva. Ti trascinava, perché era una persona attraente, e poi ti rivoltava e ti faceva a pezzi. Era come se stesse per mangiarti la faccia con la sua»18-25.
La definizione di Pop data da Warhol, che «rovesciò la concezione di interiore ed esteriore»18-26, potrebbe essere tranquillamente applicata alle tele di Basquiat, in cui le libere associazioni partorite dalla mente dell'artista collimavano con le immagini che piovevano a raffica dalla cultura pop. I due artisti, poi, avevano più cose in comune di quante se ne riuscissero a vedere. Sia Warhol che Basquiat avevano avuto problemi fisici nell'infanzia con convalescenze lunghe e passate a letto. Basquiat era stato investito da un'auto quando aveva sei anni, ed era rimasto vari mesi in ospedale. Fu in quel periodo che sua madre gli regalò l'Anatomia del Gray, che lo avrebbe influenzato per il resto della sua vita. A otto anni Warhol aveva avuto un «esaurimento nervoso» diagnosticatogli come ballo di san Vito, ed era così che aveva preso il suo leggendario pallore da fantasma. Passò l'estate a letto tra fumetti e libri da colorare. Sua madre premiava i suoi disegni con barrette di cioccolato. L'incidente di Basquiat gli procurò la rottura della milza, che gli venne asportata lasciandogli una tragica cicatrice sull'addome. Dopo il fallito tentativo di omicidio di Valerie Solanas del 1968 nei confronti di Andy Warhol, anche lui subì un intervento chirurgico, e gli venne asportata la milza18-27. La curiosa coincidenza è una metafora perfetta: sia Basquiat che Warhol non erano in grado di filtrare le tossine. Ed entrambi sarebbero diventati insider e outsider: erano entrambi epicentro della cultura e al tempo stesso ne restavano curiosamente distanti.
La parabola della loro ben documentata relazione avrebbe seguito un percorso prevedibile. Compiuti i ventitré anni Basquiat avrebbe coronato il suo sogno: non solo era diventato il protetto di Warhol, ma il suo collaboratore e socio. Uscivano insieme, facevano ginnastica insieme, dipingevano e davano party insieme. Era in tutto e per tutto una relazione simbiotica. Basquiat trovò in Warhol una figura paterna. Warhol, che prendeva sempre energia da un entourage di gente giovane e irriverente, trovò in Basquiat l'ispirazione18-28. Il pallido fantasma di Edie e quelli delle altre superstar morte, si aggiravano ancora per la Factory, come un'evanescente nuvola di incenso, mentre Warhol e Basquiat dipingevano tele gigantesche che nascondevano a Bruno Bischofberger, o si allenavano con il personal trainer di Warhol, Lidija. Sin dall'inizio fu una dinamica complessa. Dice Walter Steding, musicista e artista che a inizio anni Ottanta lavorava alla Factory:
Era come se si conoscessero da sempre. Jean-Michel voleva entrare nella Factory. Era uno di quei misteri che era determinato a scoprire. Jean-Michel voleva sapere le cose, voleva lavorare con Andy, anche se non voleva essere usato. E Andy voleva Jean-Michel lì per un sacco di ragioni. Arrivò il momento in cui gli stette bene dire di essere intenzionato a tornare alla pittura vecchia maniera. Andy ammirava il modo di lavorare di Jean-Michel e ammirava la sua freschezza di spirito. Ma fu quella stessa freschezza di spirito a procurargli un sacco di guai durante la sua carriera, e così dovette cercare di arginarla. Sembravano due tigri che si aggiravano dentro la stessa gabbia. E tutta quella tensione è nei quadri che hanno fatto insieme. Come in una danza18-29.
«Volevo solo conoscerlo, era uno dei miei eroi dell'arte»18-30, disse Basquiat alla giornalista Cathleen McGuigan nel 1985. La McGuigan chiese in che modo Warhol avesse influenzato il giovane artista. «Adesso metto sempre pantaloni puliti»18-31, disse lui, con quella sua tipica noncuranza. E prontamente si attribuì il merito di aver convinto Warhol a ricominciare a dipingere:
Quando lo conobbi, Andy non dipingeva da anni. Era molto deluso, e io lo capisco. Ti fai il culo e la gente non fa che parlar male di te. Era molto sensibile. Si lamentava spesso dicendo: «Oh, sono solo un artista commerciale». Non so se lo pensasse davvero, ma non credo si divertisse a far tutte quelle riproduzioni e quelle cose che gli organizzavano i suoi scagnozzi. Per dire la verità, credo di avere aiutato Andy più di quanto lui non abbia aiutato me18-32.
Basquiat millantò l'influenza avuta su Warhol anche con il padre. Ricorda Gerard Basquiat: «Mi telefonò alle due del mattino dicendomi: "Vado a lavorare con Andy. Non prende in mano un pennello da ventiquattro anni, e ho intenzione di farlo ricominciare"»18-33.
Anche se la relazione tra i due difficili artisti si sarebbe rivelata decisiva per entrambi, non cominciò sotto i migliori auspici. Dopo il suo quasi fatale incidente con Valerie Solanas, Warhol era diventato ancora più paranoico di prima. Malgrado di tanto in tanto comprasse magliette e cartoline da Basquiat, l'ambizioso giovane artista, con i suoi dreadlocks selvaggi e il suo modo di fare sregolato, non era la persona che Warhol desiderasse frequentare. Inoltre Warhol, a detta di chi lo conosceva, aveva sentimenti ambivalenti nei confronti dei neri. Ricorda Steding:
Jean-Michel passava la notte nella strada dove c'era lo studio di Great Jones Street. Un giorno venne allo studio e fece un tag sulla porta. Scrisse: «Famous Negro Athletes», o una cosa del genere. Andy lo vide e disse: «Non fare entrare quel ragazzo di colore». Aveva paura di lui, ma poi vide la meteoritica ascesa di Jean-Michel e volle prendervi parte. Non credo che Andy superò mai la sua paura di Jean-Michel. Ma Andy si nutriva di quella paura18-34.
Anche Colacello ricorda la reazione iniziale di Andy nei confronti di Basquiat. Dice:
Andy era come spaventato da Jean-Michel, perché era un ragazzino nero. Suo fratello Paul mi disse che da piccolo era stato picchiato da una bambina nera. Passava sempre dall'altro lato della strada se vedeva un qualche nero dall'aria cattiva che camminava verso di noi. Jean-Michel fu l'unico nero ad avere un ruolo significativo nella vita di Andy18-35.
Nel 1981 Glenn O'Brien portò Basquiat alla Factory. Ma Warhol era innervosito dall'artista dall'aspetto trasandato, con i suoi capelli sporchi e le sue ancora più sporche canne. Dice O'Brien: «Jean-Michel era giovane e aveva un'aria selvatica, con i suoi capelli decolorati biondi. Pensai che ad Andy sarebbe piaciuto. Andy si comportò in modo timido e gentile. Comprò una maglietta "Manmade"»18-36. Malgrado i ripetuti tentativi, Basquiat però non riusciva a conquistare l'accesso al santuario. «Andy non volle mai che Jean-Michel entrasse nella Factory», dice Cutrone, «e il mio compito era tenere fuori gli indesiderati. Jean-Michel bussava alla porta ed era una vera scocciatura, e Andy mi chiedeva di sbarazzarmene»18-37. L'interesse di Warhol per il giovane artista si sarebbe manifestato l'anno successivo, quando Bruno Bischofberger lo portò a pranzo e Basquiat buttò giù lo strambo e bagnato autoritratto con Warhol (Dos Cabezas). E la sua storia con Paige Powell della primavera seguente lo fece precipitare direttamente nell'orbita di Warhol.
Ma fu Bischofberger a creare infine una situazione che Warhol trovò irresistibile: trasformò il legame tra i due in utile netto. Dice Cutrone:
Le persone cercavano sempre di usare Andy, e Andy aveva un modo meraviglioso di utilizzarle a sua volta. Andy non entrò mai a stretto contatto con Jean-Michel fin quando Bruno Bischofberger non cacciò fuori un mucchio di soldi proponendo una collaborazione tra i due18-38.
A detta di Cutrone, l'interesse di Warhol per Basquiat seguì il solito schema:
Andy è una sorta di Alcolisti Anonimi. Basterebbe guardare alla serie di tossicodipendenti, me incluso, che è passata da lui. Andy non si faceva di niente. Il suo astenersi dalle droghe gli dava una sorta di senso di controllo. D'altro canto lui stesso aveva bisogno di una boccata d'ossigeno. Era circondato da tutti quei vestiti e cravatte, e quello che voleva era un'immagine da ribelle. Aveva bisogno di essere portato via dalla Casa Bianca e di essere trasformato in quell'artista che si sarebbe innamorato del ragazzetto nero. In parte bramava una follia del genere. Infine, ma non meno importanti del resto, c'erano i soldi di Bruno. Con queste tre cose a suo vantaggio, Jean-Michel venne accolto nell'ovile. Andy era un omosessuale dandy che si divertiva di cuore a collezionare gente, e alla gente piaceva essere collezionata18-39.
Basquiat fu una delle ultime e meravigliose conquiste di Warhol. Se Warhol era attratto dalla sua energia creativa, fu anche stimolato dal successo di Basquiat, dal posto che occupava al centro esatto della vita culturale di quel momento. Basquiat voleva avere accesso alla Factory, Warhol voleva entrare dritto nel cuore di Downtown. Non erano attratti soltanto l'uno dall'altro, ma erano attratti da quello che ognuno di loro avrebbe rappresentato. Dice Bockris:
Warhol a quel tempo aveva toccato il fondo della sua carriera. Prima di conoscere Jean-Michel Basquiat aveva fatto una mostra di disegni di biglietti di dollari, e non li aveva venduti. Era veramente in ribasso prima che iniziasse a collaborare con Jean-Michel, e in qualche modo se ne innamorò. La collaborazione con un nuovo giovane artista alla moda fu assai vantaggiosa per Warhol. Ma per capire che Jean-Michel rappresentò per Andy il favoloso e miracoloso istinto animale dell'artista sovversivo, bisogna capire Warhol. Andy vide in Jean-Michel esattamente quello che Jean-Michel sarebbe potuto essere, ovvero una superstar di Warhol che sarebbe bruciata splendente nella notte, prima di disintegrarsi con gioia. La carriera di Jean-Michel fu simile a quella di molte altre superstar: due anni di fama estrema, e poi la disintegrazione, e la morte18-40.
Nel giugno del 1983 Basquiat andò di nuovo a Los Angeles. Fred Hoffman lo presentò a Lee Jaffe, un ex-musicista che aveva suonato con Bob Marley. Basquiat aveva previsto di partire per Tokyo il giorno successivo per fare da modello per una mostra fotografica di Issey Miyake. Con la sua solita impetuosa generosità, invitò Jaffe ad andare con lui. Jaffe ricorda le buffonate di Basquiat durante il servizio fotografico in Giappone. «Indossava una maglietta che valeva qualche migliaio di dollari, e andava gettando vernice dappertutto. Il giapponese andò del tutto fuori di testa»18-41.
Decisero di conquistare il loro giro del mondo, con Basquiat che, come sempre, comprava biglietti in prima classe per entrambi. Ma dopo un interludio sgradevole e pieno di turisti in Thailandia, andarono a Zurigo, e poi nella casa di villeggiatura di Bruno Bischofberger a Saint Moritz. Bischofberger fu contento di vederli: aveva infatti dieci tele vuote schierate in garage che aspettavano di essere riempite da Basquiat. Basquiat s'infuriò. Jaffe non ci mise molto a convincerlo a vendicarsi dipingendo invece che sulle tele su un costosissimo materasso fatto su ordinazione. Ricorda Bischofberger:
Ogni volta che veniva qui Jean-Michel chiedeva se c'era un posto in cui poteva dipingere. Non dipingeva mai niente che fosse specifico per una mostra qui a Zurigo. Ma a Saint Moritz non avevamo ancora uno studio. E così in uno dei garage c'era il magazzino con le tele: quando Jean-Michel voleva dipingere, avrebbe potuto farlo lì. C'era anche un costosissimo materasso fatto a mano messo lì, e Jean-Michel sapeva che era fatto in gomma naturale e che era stato ordinato con quasi un anno di anticipo. Yo Yo [la moglie di Bischofberger, nda] era talmente arrabbiata che Jean-Michel osò giusto riprendersi le sue cose18-42.
Ma Bischofberger non era dell'idea che il quadro di Basquiat dovesse andare perduto: non solo ebbe le scuse dell'artista, ma ottenne anche il permesso di recuperare il quadro. «Però Jean-Michel si scusò cinque volte, e comprai comunque il quadro. Dopo qualche tempo mi permise di tagliare la tela dal materasso e stirarlo»18-43. Dice la Powell: «Jean-Michel s'incazzò quando vide che Bruno aveva quelle tele lì che lo aspettavano in garage. Era una di quelle cose che lo facevano diventare pazzo»18-44.
E tuttavia Jean-Michel si divertiva a torturare i ricchi collezionisti che lo corteggiavano. Ricorda la Powell:
Mi ricordo di una volta in cui c'erano questi due collezionisti, ed era una notte calda, umida, da cani. Volevano portarlo a cena fuori. E così Jean-Michel scelse il ristorante più caldo che stava sulla Columbus Avenue e che faceva cibo messicano, e i collezionisti erano lì tutti afflosciati. Un'altra cosa che fece fu sganciare delle bombette puzzolenti tedesche. Credo di averne ancora una serie. Le sganciò tutte quante alla galleria in cui Milo Reese [uno degli artisti che ispirò il personaggio di Stash nei racconti di Tama Janowitz Schiavi di New York, nda] stava facendo una mostra. Erano delle cose veramente squallide, che trasportavi in una fiala. Ed erano talmente disgustose. Le lanciava appena vedeva arrivare qualche collezionista. Ne lanciò un sacco18-45.
E non era molto più civile con i galleristi. Girò presto voce a SoHo che avesse rovesciato un vaso di frutta e noccioline sulla testa di Michelle Rosenfeld, gallerista che era andata a Crosby Street per comprare dei lavori di Basquiat, portandogli cibo sano in regalo. Ricorda la Powell:
Una volta ero a casa sua, ed ecco che di colpo c'è giù Larry Gagosian, e dice che sta salendo. E Jean-Michel dice: «Non te ne andare! Non te ne andare!». Per cui Larry sale e hanno questa lite tremenda, e io ero imbarazzata perché poco tempo prima ero stata a casa di Larry a Los Angeles e lui era stato così ospitale. Da come si comportava Jean-Michel sembrava fossi lì per difenderlo. Corse da me, mi afferrò per un braccio e disse: «Non ho intenzione di farlo. Non ho intenzione di fare un quadro per lui». Ero mortificata. E mi ricordo solo di essermi chiusa in bagno. A quell'epoca ero terrorizzata da Larry, con Andy che mi raccontava tutte quelle storie sulle telefonate oscene che faceva. E poi Andy fece una mostra con lui, e quando gli chiesi perché lo facesse dopo avermi terrorizzata per anni su quell'individuo, disse: «Oh, be', paga in contanti»18-46.
In agosto Warhol era riuscito a insinuarsi con successo nella storia fra la Powell e Basquiat. La Powell rievoca l'attimo in cui Warhol fece la mossa decisiva, un pomeriggio in una gelateria dell'Upper West Side:
Mangiammo delle coppe di gelato e poi andammo a cena. E Jean-Michel era una persona talmente passionale: eravamo appena andati via e lui era lì che mi sbaciucchiava e tutto quanto. E Andy non riusciva a sopportarlo. Dopo tutti questi preliminari di scambi di appunti e lettere e dopo quel pomeriggio, Andy di colpo invitò Jean-Michel a fare ginnastica insieme a lui18-47.
Scrisse Warhol nei suoi Diari il 17 agosto 1983:
Andato all'appuntamento con Jean-Michel e fatto esercizi con lui e Lidija (taxi 5$). E lui ha un forte odore corporale. È come Chris che pensa sia sexy emanare quell'odore quando si fa ginnastica. Ma, voglio dire, per me non lo è proprio. E tutto quell'odore mi ha fatto pensare alla mia vita e a come in realtà io non stia perdendo granché. Cioè, penso a Paige che fa del sesso con Jean-Michel e mi chiedo come possa farlo. Insomma, cosa si fa, si accenna a qualcosa tipo: «Be', hum, perché non facciamo qualcosa di sfrenato come ad esempio una doccia insieme?»18-48.
Una settimana dopo Warhol fotografava Jean-Michel in sospensorio. La relazione tra i due, anche se non fu mai espressamente fisica, ebbe un che di sessuale. 29 agosto:
Io e Jean-Michel siamo andati da Yanna's, e ci siamo fatti fare le unghie […]. Noi due saremmo proprio una bella storia per «Vogue» (pedicure 30$)18-49. […] In taxi da Lidija (5$). Fatto gli esercizi con Jean-Michel che mi ha portato un po' dei suoi capelli, recisi e applicati a un casco. Bellissimo. […] Lui e Paige avevano fatto una litigata perché avevano appuntamento alle 9 e lui si era presentato solo alle 1318-50.
La situazione si fece presto insostenibile anche per una così masochisticamente accomodante come la Powell:
Cominciai ad essere allontanata, perché Jean-Michel continuava a fare cose con Andy. Andy diceva che andava in studio da Jean-Michel quando sapeva che io non potevo andarci perché avevo da fare in ufficio. E Jean-Michel disdiceva gli appuntamenti con me perché c'era Andy che andava a trovarlo. Fu una cosa orrenda, un vero inferno. Dovevamo andare da qualche parte e lui spariva, poi riappariva, imbarazzato, in ufficio e dietro a lui entrava Andy che si scusava al posto suo dicendo: «Be', sai com'è, c'è qui Jean-Michel ed è veramente mortificato e vorrebbe cenare con te stasera, ma si spaventa a entrare nella stanza». Così, alla fine, Andy iniziò a comportarsi come se fosse lui il tramite tra Jean-Michel e me18-51.
Warhol aveva vinto al tiro alla fune, e il suo ruolo e quello della Powell si erano completamente ribaltati. Dice la Powell:
Jean-Michel era talmente infatuato di Andy che leggeva tutti i libri su di lui. Leggeva lentamente ma era come se tutto fosse importantissimo per lui, e così finiva per fargli tipo sei o sette domande per ogni singola riga di ogni libro, tipo Andy from A to B18-52.
L'infatuazione era reciproca. Dice Colacello:
Penso che Warhol fosse affascinato da Basquiat e avesse un forte ascendente su di lui. Ma parte di Andy ti vedeva sempre come un possibile argomento per il suo diario, come una possibile registrazione. Andy stava cercando di comportarsi in modo responsabile e si preoccupava sul serio di Basquiat, ma poi ti chiedevi: si preoccupa di Paige, o la sta solo usando come amante sostitutiva di Basquiat? Probabilmente si faceva descrivere da lei come fosse il sesso con Basquiat. Erano questi i sogni di Andy, stare in mezzo alle coppie in questo modo. Paige voleva avere un bambino da Basquiat, su idea di Andy. Una delle grandi frasi che mi disse Andy fu: «Sto vivendo la mia vita attraverso la tua». Disse la stessa cosa a Candy Darling. Più che il Grande Fingitore, era il Grande Registratore. Era un registratore audio e video ambulante, al punto che avrebbe voluto vedere qualcuno morire. Andy era la spugna delle spugne, l'intero Mar dei Caraibi di spugne18-53.
Basquiat e Warhol non furono mai amanti, ma il lascivo interesse di Warhol per Basquiat era evidente. Dice Benjamin Liu:
Il rapporto che Andy aveva con Jean-Michel era come un sogno bagnato che non arrivava mai alla fine. Andy mi disse: «Jean-Michel ha un grosso uccello. Te lo immagini? È per questo che piace a tutte quelle ragazze». Ad Andy piace sapere come ragiona la gente e cosa fa sì che abbia i suoi incredibili impulsi sessuali. Jean-Michel aveva magnetismo animale e Andy non faceva altro che sondarlo alle cene o dicendo, per scherzo, cose tipo: «E così, quante volte sei venuto stanotte?». In effetti è una cosa che Andy fa sempre, lo fa anche con i gay. Ma questa volta era più interessante, e lo stesso Andy scoprì che prima di allora aveva fatto marchette e che l'aveva fatto anche con uomini, e trovò la cosa estremamente affascinante. Non si trasformò mai in una relazione sessuale. Andy era il re dei voyeur18-54.
L'ingresso di Basquiat nel circolo privato di Warhol coincise con la fine della romantica storia di Warhol con il designer Jon Gould. Dice Liu:
Jon stava diventando sempre più marcio e sgradevole, e a un certo punto fu costretto a trasferirsi a Los Angeles, e tutte le tenerezze che Andy aveva nei suoi confronti le trasferì su Basquiat. Ci fu un momento in cui pensava più a Jean-Michel che a Jon. Jean-Michel rivitalizzò Andy, su questo non si discute, gli diede energia18-55.
Per altri erano una coppia perfetta. «Jean-Michel era interessante, disinvolto, carino, sexy, sveglio e popolare, tutto quanto in uno», dice il gallerista Howard Read, «era una specie di re dell'esotismo perché era nero, giovane e tossico, e in quel momento probabilmente era innamoratissimo di Paige»18-56. A detta di Peter Brant, Warhol inizialmente lo vide come un folgorante nuovo protetto: «Quando ne parlai con Andy, mi disse che pensava veramente che i lavori di Basquiat fossero grandi. Era come un atleta che parla di un atleta più giovane»18-57.
A fine agosto Basquiat accettò l'offerta di Warhol di trasferirsi nell'edificio di mattoni a due piani al 57 di Great Jones Street che Warhol di tanto in tanto minacciava di trasformare in lavanderia a gettoni. L'affitto era alto: quattromila dollari al mese. Ricorda la Powell:
Mi ricordo che ne parlai un sacco con Jean-Michel, e ci mettemmo seduti con carta e penna cercando di capire come avrebbe dovuto fare per procurarsi quei soldi. Lo voleva più perché era di Andy che per lo spazio in sé18-58.
Warhol, sempre attento agli affari, era preoccupato. Nei suoi Diari, in data 26 agosto si legge:
E così Benjamin ha preso in considerazione l'ipotesi di pagargli l'affitto e spero che la cosa vada in porto. Jean-Michel sta cercando di guadagnarsi quei soldi dipingendo regolarmente e tutti i giorni. Se non ce la fa e non riesce a pagare l'affitto, sarà difficile mandarlo via. È sempre difficile mandare via la gente18-59.
Warhol fece a Basquiat tiepidi discorsi d'incitamento, un modo tutto suo per dimostrargli il suo amore:
Labor Day. Ha chiamato Jean-Michel, voleva filosofeggiare. Così è venuto e abbiamo parlato. Ha paura di finire come un fuoco di paglia e io gli ho detto di non preoccuparsi, che non sarebbe andata così. Ma poi mi sono preoccupato perché ha in affitto il nostro edificio in Great Jones e se fosse davvero un fuoco di paglia e non avesse il denaro per pagarci l'affitto (provviste 35,06$, 6$)18-60?
Quando il 15 settembre 1983 Michael Stewart, un graffitista di origini borghesi che casualmente a quell'epoca usciva con l'ex-fidanzata di Basquiat Suzanne Mallouk, venne picchiato a morte dalla Polizia addetta alla metropolitana18-61, Basquiat rimase fortemente impressionato. Se già il fatto che Stewart portasse i dreadlocks ne faceva un facile alter ego, venne anche fuori che era morto per dei reati che erano suoi tanto quanto di Basquiat. Dopotutto Basquiat aveva utilizzato i suoi graffiti stravaganti come trampolino di lancio per la sua supersonica carriera. Quando Basquiat seppe che Stewart, venticinquenne aspirante artista e modello, era stato preso a randellate e strozzato fino al coma dagli sbirri bianchi della metropolitana, passò la notte a casa di Paige Powell a disegnare teschi neri. Il 28 settembre Stewart morì18-62. Non molto tempo dopo Basquiat dipinse il tragico episodio su un parete di casa di Keith Haring, in un'opera che si chiamava Untitled (Defacement)18-63.
La motte brutale di Michael Stewart colpì sul personale Basquiat anche perché a quel tempo ci usciva Suzanne Mallouk. Turbata dall'omicidio, Suzanne avviò una campagna per investigare sull'incidente e portò i poliziotti coinvolti in giudizio. Raccolse soldi da una serie di artisti, incluso Keith Haring. Ma Jean-Michel non diede un solo penny. Quando la Mallouk gli chiese un contributo, continuò a ripetere: «Potevo essere io! Potevo essere io!»18-64. Più o meno una settimana dopo Basquiat lasciò il Paese. Con la sua solita impulsività, decise all'ultimo minuto di accompagnare Warhol a Milano. Si legge sui suoi Diari in data 5 ottobre 1983:
Non pensavo che Jean-Michel sarebbe venuto, ma mentre aspettavo in coda all'aeroporto lui è comparso, il solito pazzo, ma carino e adorabile. Non dormiva in casa da quattro giorni, ha detto che mi avrebbe guardato dormire. Moccicava dappertutto e si soffiava il naso nei sacchetti di carta. […] Anche se Paige lo ha trasformato quasi in un signore, perché adesso si fa il bagno18-65.
Forse colpito dalla morte di Stewart, Basquiat cominciò ad essere terrorizzato. Disse a Warhol che aveva pensato al suicidio. Warhol lo ignorò. 6 ottobre:
È venuto Jean-Michel e ha detto che era depresso e che intendeva uccidersi e io ho riso e gli ho risposto che si sentiva così perché non dormiva da quattro giorni e dopo un po' di questa menata è tornato in camera sua18-66.
A quel tempo, quando Basquiat si sentiva particolarmente vulnerabile, la risposta di Warhol di solito era voltarsi dall'altro lato. Il messaggio era chiaro: anche se in realtà capiva di cosa avesse bisogno Basquiat, non voleva o non era capace di fornire comprensione su richiesta. Il giorno dopo Warhol tornò a New York, mentre Basquiat andò con Haring a Madrid. Stava diventando ancora più mondano del suo mentore, cosa della quale Warhol risentiva, o che forse lo faceva sentire semplicemente in colpa. La settimana successiva si vendicò con il suo protetto. 18 ottobre: «È venuto Jean-Michel e io l'ho schiaffeggiato (ride). Non sto scherzando. E piuttosto forte. E questo l'ha scosso un po'. Gli ho detto: "Come hai osato mollarci, a Milano?"»18-67. Uno può solo immaginarselo come reagì Basquiat a simile inattesa violenza fisica da parte di Warhol, l'uomo che aveva scelto come surrogato di padre.
Nel frattempo la Powell continuò la sua campagna per la scalata dell'artista. A fine ottobre organizzò una conferenza di Basquiat al Vassar College18-68. Ma questa volta i suoi sforzi di promuovere Basquiat non andarono secondo i piani. Racconta la Powell:
L'idea gli piaceva. Pensava fosse semplicemente grande. Era una cosa di cui andava veramente fiero. Ma quando arrivò il momento di farlo, era impietrito. Era tutto organizzato, e di colpo andò come fuori di testa. Era nervosissimo, e non voleva che andassi lì per nessuna ragione18-69.
Basquiat andò da solo: a quanto riportato da tutti la conferenza fu un successo. Disse a Warhol che aveva lasciato Paige a New York perché «voglio rimorchiare le ragazze di qui». Warhol portò Paige, che nei suoi Diari descrisse come «isterica», a bere al Mayfair:
E Paige era sconvolta – aveva appena dato a Jean-Michel un assegno di ventimila dollari perché gli aveva venduto dei quadri. Ha dello che non avrebbe più esposto e venduto i suoi quadri18-70.
E mantenne la parola. Ricorda la Powell:
Mi ricordo quando gli dissi che avrei smesso di vendere i suoi quadri: era sul punto di piangere, completamente sconvolto. Poi diventò del tutto isterico. E poi Andy cercò di convincermi a continuare a farlo perché le vendite andavano bene. Ma non potevo essere la sua fidanzata e vendere i suoi quadri. Non poteva funzionare, non so se mi capisci. E tutti quanti mi stavano addosso ogni volta che lui spariva. Avevo tutti alla gola. Ricevevo talmente tante telefonate al lavoro che non riuscivo a rispondere. Nel senso che chiamavano proprio tutti: dai suoi amici che lo cercavano ai galleristi, alle riviste, ai collezionisti, agli spacciatori. Così era troppo18-71.
La Powell non riusciva nemmeno a stare dietro alle condizioni sordide in cui versava il loft. «Se ne stava accasciato sul letto coperto di spaghetti secchi tipo Tremotino18-72», dice, «e una volta fui costretta a chiamare i Neumann chiedendo loro di mandargli del cibo. Non era mai stato tanto depresso»18-73. A quell'epoca la dipendenza dalla droga di Basquiat era del tutto fuori controllo. Dice la Powell:
Era sempre preso dal suo frenetico consumo di droga. Camminavamo per strada per andare a colazione o a pranzo, e lui diceva: «Be', ho dimenticato una cosa. Devo tornare indietro in studio e pure di corsa», e poi si rifaceva vivo dopo tre giorni. Se usciva un articolo in cui si parlava di lui, era fiero di mostrarlo al padre ma versava il caffè sul pezzo dove si diceva che era un drogato. Quando io e Andy andavamo da lui in studio, Andy comprava i suoi disegni e i due litigavano sempre per il prezzo. Andy odiava pagarlo perché sapeva dove andavano a finire i soldi. Gli avevo proposto di accompagnarlo da qualche parte dove disintossicarsi, e mi aveva preso in giro. Una volta andò in una clinica, ma la mollò in fretta. In cuor suo voleva disintossicarsi. Era una cosa di cui si vergognava18-74.
Nel febbraio del 1984 Basquiat, la Powell e la famiglia di Basquiat partirono per Hana, alle Hawaii. La Powell ricorda l'effetto che le fecero i biscotti alla marijuana che avevano preparato:
Entrai in cucina e il pavimento a scacchi si era ristretto ed era diventato delle dimensioni di Alice nel Paese delle Meraviglie. E dissi a Jean-Michel: «Ho il circo dentro la pancia». E lui si fermò gelido e disse: «La magia, si tratta proprio di questo. Di trovare la magia. Quello che cerco di fare è trovare la magia». Poi ci lasciammo e mi disse: «Oh, adesso dirai a tutti il segreto della mia pittura». E io gli dissi che non l'avrei fatto, anche se mi aveva spiegato un sacco di cose. Ma ho sempre tenuto il segreto, e il segreto è che si ispirava ai cartoni animati che vedeva in Tv. Era questa la cosa più importante, fu l'ispirazione per un sacco della roba che fece18-75.
Alla fine la Powell decise di dire a Gerard Basquiat della dipendenza del figlio:
Ci incontrammo allo One Fifth Avenue e gli dissi: «Deve sapere che Jean-Michel è un tossicodipendente». Per circa due settimane parlammo al telefono. Suo padre non riusciva a lavorare. Non riusciva più a dormire e stava cercando di capire come dire a Jean-Michel che sapeva del suo problema con l'eroina, e non riusciva a trovare un modo e chiese a me di farlo, e così feci. Gli dissi: «Jean-Michel, guardati. Hai tutta la faccia graffiata. Ti cadono i denti. Che cosa stai cercando di fare? Guarda che la tua famiglia lo sa che sei un eroinomane»18-76.
La notizia fu uno shock per Gerard Basquiat, che disse di pensare che il figlio non si facesse più di qualche canna:
Ero sconvolto e preoccupato. E un po' gliene parlai, soltanto un po'. E lui ignorò la cosa… A Jean-Michel piaceva stare sempre sul filo del rasoio. Gli piaceva flirtare con il pericolo. Credo fosse una forma di autodistruzione… Anche lui era sconvolto dal fatto che l'avessi scoperto18-77.
In uno scatto di rabbia Basquiat lanciò un vaso di cristallo in testa alla Powell. «Ho anche sacrificato il nostro rapporto, al punto da rischiare che mi uccidesse lanciandomi un vaso di cristallo», dice. Ma il suo coraggio non venne premiato. E invece Basquiat si vantò dell'incidente. «Jean-Michel era tutto fiero dell'avermelo lanciato»18-78, ricorda. Il rapporto tira e molla tra la Powell e Basquiat durò due anni. Dice Cutrone: «Paige era una ragazzina cattolica tormentata dal senso di colpa che aveva bisogno di essere maltrattata, e Jean-Michel aveva tutte le intenzioni di maltrattarla»18-79. Ma anche quando smisero di stare insieme, non ci fu modo di evitare Basquiat. Warhol se ne assicurò:
Andy creava queste situazioni imbarazzanti. Diceva: «Stasera ti va di accompagnarmi al Dia Art Center?». E poi, mentre eravamo per strada sul taxi, se ne usciva con un: «Oh, Paige, sono così mortificato. Mi sono dimenticato di dirtelo. Senza pensarci ho chiesto anche a Jean-Michel di accompagnarmi». E poi Andy mi continuava a ripetere: «Jean-Michel ti ama veramente, ma devi accettare il suo problema con le droghe e devi anche accettare il fatto che continuerà a scopare in giro con tutte quelle altre ragazze». E io: «Non accetto proprio un bel nulla. Questa non può essere la mia vita». Eppure non riuscivo a separarmi da lui perché Andy ci rimetteva sempre insieme18-80.
Fu Bruno Bischofberger a ideare inizialmente le collaborazioni. L'idea gli venne nell'inverno del 1983, mentre Basquiat era da lui a Saint Moritz, qualche mese dopo che il gallerista aveva fatto la sua personale a Zurigo. Basquiat e la figlia di quattro anni di Bischofberger, Cora, avevano già fatto dei quadri insieme. Adesso realizzarono insieme un disegno per il libro degli ospiti di casa Bischofberger, dentro il quale c'era già un'opera fatta da Francesco Clemente e Cora.
Bischofberger ebbe un'intuizione: avrebbe chiesto a Warhol di collaborare con alcuni dei giovani artisti che rappresentava. Bischofberger pensava che l'arte degli anni Ottanta, con il suo singolare modo di appropriarsi delle cose, fosse adatta alle collaborazioni. Ma inserendo Warhol nell'operazione avrebbe creato tutta una nuova dimensione. Ne discusse con Basquiat. Dopo avere rifiutato l'idea di Julian Schnabel come terzo artista, decise di chiederlo a Clemente, un buon amico di Basquiat che a New York aveva lo studio non lontano dal suo. Nel corso della sua immediata visita alla Factory, Bischofberger propose il progetto a Warhol. Spiega Bischofberger:
Le collaborazioni funzionarono così. Chiesi ai tre artisti se erano d'accordo nel dipingere insieme. Furono tutti d'accordo, e dissi loro: «Le condizioni sono queste: ognuno di voi dipingerà più o meno dodici quadri, più tre disegni che farete insieme, e sempre ognuno di voi inizierà quattro quadri senza parlarne agli altri due. Va bene qualunque formato e qualunque soggetto, purché lasciate spazio agli altri per aggiungere dell'altro. E il tutto girerà tra voi tre finché non sarà finito»18-81.
Nell'autunno del 1984 Bischofberger espose quindici quadri della serie dei dipinti a tre nella sua galleria di Zurigo. Scrisse Warhol il 17 settembre del 1984:
Ora sta vendendo a quarantamila e sessantamila dollari i quadri che Jean-Michel, io e Clemente abbiamo dipinto insieme, e lui aveva detto che questi quadri a più mani erano solo una curiosità per la quale nessuno avrebbe tirato fuori un soldo. Per quindici di questi aveva pagato ventimila dollari! […] Oh, be', Jean-Michel mi ha indotto a dipingere diversamente e questa è una buona cosa18-82.
Ma all'insaputa di Bischofberger Warhol e Basquiat avviarono un progetto di collaborazione per conto loro. Quando l'opera a tre fu completata, iniziarono a lavorare insieme a delle nuove serie di tele.
Questi grandi quadri univano l'amore per i loghi di Warhol con il semplice repertorio di immagini di Basquiat: teschi, jazzisti, elenchi di parole. In Arm and Hammer II Warhol dipinse due riquadri circolari con il celebre bicipite flesso e il martello. Basquiat rispose trasformando uno dei due cerchi in un disco jazz completo del ritratto di un sassofonista. In Pontiac Basquiat ha aggiunto dei pinguini a un logo automobilistico a forma di nativo americano, e un serpente con le parole provocatorie: «Don't Tread on Me»18-83. Warhol, in un'autocitazione della propria fase «scarpe», dipinse una grossa sneaker. E Basquiat aggiunse le parole «(endorsement)»18-84 e «Don't tread». In Stoves Basquiat scarabocchiò sopra tutta una serie di elettrodomestici. Gli stili dei due artisti coesistono sulle tele, ma non riescono mai a fondersi in un'immagine coerente. Mentre Warhol «ridipingeva», citando una canzone dei Talking Heads18-85, Basquiat ripeteva solo se stesso. I due artisti nascosero astutamente i nuovi lavori a Bischofberger, che racconta:
Quando rividi Warhol, circa sei mesi dopo, nella primavera del 1985, durante uno dei suoi viaggi a New York a frequenza più o meno mensile, mi rivelò che lui e Jean-Michel Basquiat per diversi mesi avevano lavorato alla Factory a varie ulteriori collaborazioni. Sembrava un po' imbarazzato, presumibilmente perché lui e Basquiat non me lo avevano detto prima18-86.
Poco tempo dopo, tuttavia, Bischofberger riuscì a convincere gli artisti a rappresentarli per le loro collaborazioni. In base a quanto riportato dalla sua assistente, Beth Phillips, inizialmente aveva intenzione di usare il magazzino di Long Island come showroom in cui mostrare le opere ai grossi clienti. Dettò degli appunti alla Phillips confermando alla Hahn Brothers Warehouse che Warhol e Basquiat avrebbero firmato cinquanta quadri realizzati insieme. «Siete pregati di raccogliere i quadri in modo che gli artisti li possano firmare. La terza stanza farà da showroom per le opere. Beth Phillips è autorizzata a mostrarli a un ristretto gruppo di clienti». Disse alla Phillips che le firme erano «molto importanti», e che avrebbe accompagnato gli artisti al magazzino. Le disse anche quali clienti contattare, e cosa dire loro:
Dire ad Asher Edelman che Andy li ha dipinti a mano. E che c'è una grossa firma fatta con un pennarello nero. Chiamare il signore e la signora Schorr e dire loro che avranno la prima scelta per questi quadri. Saranno in assoluto i primi a vederli. Andy li ha dipinti a mano, e non li ha nessun altro. Chiamare Margulis, Siegal. Chiamare il signore e la signora Dannheisser. Lei è una vecchia pazza, una tipa difficile. Chiamare Robert Mnuchin. Non dovrà vederli nessun altro. Lasciare perdere tutti gli altri. Chiamare Jean-Michel e ricordargli che abbiamo bisogno dei titoli per il catalogo18-87.
Bischofberger insiste sul fatto di non ricordarsi di quegli appunti che la Phillips ha conservato. E, in effetti, a detta di entrambi, le sole persone che vennero portate nel magazzino a vedere i lavori furono Tony Shafrazi, che in seguito espose le Collaborations nella sua galleria, e suo cugino, un gallerista alle prime armi che si chiamava Vrej Baghoomian. Di solito Bischofberger, come tutti i galleristi, mostrava ai suoi clienti le diapositive delle opere. Ma gli appunti rivelano l'urgenza straordinaria che ebbe in quella circostanza. Sia Basquiat che Warhol vennero accompagnati in auto al magazzino per firmare i quadri, ma Basquiat si rifiutò di lasciare che la Phillips fotografasse il quadro a cui stava lavorando. Poco tempo dopo partì per le Hawaii dove, su sua richiesta, la Phillips gli fece arrivare un vaglia di quarantamila dollari18-88.
Il duetto pittorico continuò dal 1984 al 1985. Ma la dipendenza da eroina di Basquiat interferiva spesso, sia perché lo intontiva sia per gli sbalzi d'umore che gli procurava. 2 ottobre 1984:
Jean-Michel è venuto in ufficio a dipingere, ma si è addormentato in terra. Lì disteso sembrava un barbone, ma io l'ho svegliato e allora ha fatto due capolavori, davvero grandi18-89.
7 ottobre 1984:
Ho accompagnato giù Jean-Michel. Ha fatto un dipinto al buio, fantastico. […] Jean-Michel è molto difficile, non si sa mai in che stato d'animo è, che cosa abbia in mente. Diventa paranoico e dice: «Mi stai solo usando, mi stai usando!». E poi si sente in colpa per essere paranoico e fa di tutto per farsi perdonare18-90.
29 novembre 1984:
È venuto Jean-Michel e ha dipinto proprio sopra il bel pezzo fatto da Clemente. C'erano moltissimi spazi vuoti in cui avrebbe potuto dipingere, è stata pura cattiveria. E si muoveva al rallentatore, quindi penso che avesse preso dell'eroina. Si chinava per allacciarsi le scarpe e restava cinque minuti in quella posizione18-91.
La differenza tra l'atteggiamento che aveva Basquiat nei confronti delle sue opere e quello del suo mentore non avrebbe potuto essere più marcata. Warhol manteneva la sua tipica rigida etica anche nel lavoro, Basquiat non metteva confini tra arte e vita. Jean-Michel si faceva vivo alla Factory nel tardo pomeriggio, fumando una gigantesca canna, e lavorava sulle tele per terra. Dice Liu:
La sua routine quotidiana è veramente bizzarra perché è una non-routine. Andy è come la gente normale. Viene a lavorare. Jean-Michel invece è come sotto effetto di droga fino al momento in cui si alza, e di solito Andy che chiama e gli chiede: «Non ti sei ancora alzato? Non ti va di venire a lavorare un po'?». Andy è sempre lì che lavora, tutti i giorni. Ma Jean-Michel lavora solo quando se la sente. E poi Andy mi manda a comprargli da mangiare perché non ha fatto colazione, e non ha pranzato ed è un disastro. Così mi tocca andare all'alimentari qui vicino a prendergli quel terribile cibo spazzatura e così lui si alza e inizia a fare i suoi scarabocchi. Andy fa la sua parte di lavoro e Jean-Michel arriva e riempie gli spazi18-92.
Poi Liu usava un phon per asciugare le tele realizzate di fretta. Dice Cutrone:
La stanza era piena di fumo di canna, perché Jean aveva bisogno di stare un po' fuori per dipingere. Non dipingevano mai insieme. Andy era sempre iperimpegnato, e Jean-Michel veniva lì perché non aveva niente da fare, gironzolava e dipingeva. Poi, di solito, dopo che andava via, Andy andava a vedere cosa aveva fatto o aggiunto. Non era una collaborazione in cui si scambiavano i pennelli. Era più un gironzolare e un avere Jean-Michel tra i piedi18-93.
Ma Jean-Michel era palesemente divertito dal lavorare con il suo idolo. Disse nella videointervista rilasciata alla regista Tamra Davis e allo sceneggiatore Becky Johnston:
In un anno abbiamo lavorato a circa un milione di opere. Di solito le iniziava lui. Buttava giù qualcosa di concreto, il titolo di un giornale o un qualche prodotto, e poi io cancellavo e provavo a metterci dell'altro dentro. O poi ci lavoravo ancora sopra. Provavo a fargli fare almeno due cose, non so se mi segui. A lui piaceva fare una prima cosa e poi lasciare a me tutto il resto del lavoro. E io potevo dipingere sulle sue cose quanto mi pareva… Era divertente stare a sentire quello che aveva da dire, vedere come la prendeva… Cose così. E lui è un vero spasso. Racconta un sacco di storielle divertenti18-94.
Dice Larry Gagosian:
Sai, penso che Basquiat idolatrasse sul serio Warhol. Lui riusciva veramente a entusiasmarlo. Era come un «Marchio di qualità a garanzia del consumatore», o una cosa del genere. Per lui non era soltanto un padre, era anche l'approvazione professionale da parte di un artista bianco che era uno dei grandi. Penso che per lui professionalmente fosse una cosa molto, molto importante. Penso gli desse parecchia fiducia. E dall'altro lato gli dava pure parecchia arroganza. Credo che la loro unione sia stata una sorta di promiscua benedizione18-95.
Preso nella sua essenza, l'attaccamento di Basquiat a Warhol era molto più elementare: voleva disperatamente che Warhol gli facesse da Padrino. «Tutte le notti erano insieme. Andy era un padre per lui, su questo non c'è dubbio»18-96, dice Fab 5 Freddy. «Si amavano», dice Jay Shriver, «erano intimi e molto amici. Andy era l'unica persona a cui Jean-Michel guardava per avere conferme»18-97. Per Basquiat Warhol stava lì per dimostrargli che a qualcuno importava che lui stesse lì. Ma Warhol sarebbe stato il primo ad ammettere che non era preparato a salvare Basquiat da se stesso.