Falsa beltà, che mi costasti cara,

ipocrita dolcezza, cuore duro,

piú duro che se mastichi del ferro,

son certo che ti posso nominare

perfido incanto e morte del mio cuore,

orgoglio chiuso che mi fai morire,

occhi crudeli che non sanno dire:

soccorri l’infelice e non lo affliggere1!

Meglio era assai se correvo a cercare

soccorso altrove, ne avrei avuto onore,

ma il mio cuore era schiavo del tuo cuore2;

ed ora trotto in fuga e in disonore.

Aiuto, aiuto! (il maggiore e il minore)3,

ma morirò senza colpo ferire,

a meno che Pietà non voglia dire:

soccorri l’infelice e non lo affliggere!

Tempo verrà che ti farà appassire

e il tuo bel fiore lo farà seccare.

Ne riderei, se avessi la dentiera4,

ma è follia che non si può sperare:

vecchio sarò e tu brutta e incolore.

Bevi forte finché il ruscello scorre.

Non dare a tutti lo stesso dolore:

soccorri l’infelice e non lo affliggere!

Principe dolce, degli amanti sire,

nel vostro sdegno non vorrei incorrere.

Dice il buon cuore, per nostro Signore:

soccorri l’infelice e non lo affliggere!

1 Lett.: «orgoglio nascosto che fai morire la gente […] non vuole la rigorosa giustizia, senza infierire, soccorrere un povero?»

2 Lett.: «niente mi avrebbe strappato dall’affare», oppure «niente mi avrebbe attirato a parte quest’affare».

3 Buffamente espresso come se si potesse chiedere insieme il massimo aiuto e il minimo!

4 Lett.: «se potessi masticare», cioè muovere la mascella.