Erano in taxi, diretti all’American Bar in fondo a General Leclerc, per vedere i risultati delle elezioni. La pioggia aveva cominciato a cadere di stravento, tre minuti dopo mezzanotte. La piccola Fiat, col parabrezza tutto rughe e fossette formate dall’acqua, all’improvviso cominciò a slittare, sterzò a sinistra e (quasi) contro il leone di Denfert-Rochereau, ma poi sterzò di nuovo, con le ruote che giravano come trottole, completò a tutta birra il primo giro della rotonda e a metà del secondo si fermò davanti a Boulevard Raspail, ma in senso contrario. “Ullallà,” disse il tassista, esultante. “Massimo effetto raffica di mitragliatrice.”
La donna francese, Nelli, per lo spavento aveva stretto esageratamente la mano di Green.
“Siamo quasi arrivati,” disse Jimmy Green. “Vuole soltanto rendere più interessante la cosa.”
“Idiota,” disse la donna francese, toccandosi i capelli e lanciando una rapida occhiata fuori dal finestrino unto del taxi. Le macchine passavano di gran carriera, strombettando.
Il minuscolo tassista (indiscutibilmente turco) le rivolse un sorriso raggiante dallo specchietto retrovisore, un’occhiata di gioia e di rimprovero, poi diede gas, piroettò sull’asfalto sdrucciolevole e sfrecciò via. Evidentemente gli piacevano i piccoli incidenti che potevano sfociare in una catastrofe.
Green era passato diverse volte davanti al posto dove lavorava la donna francese, andando avanti e indietro dalla piccola e buona trattoria di rue Soufflot. Era la proprietaria, pensava – della piccola galleria fotografica di rue Racine – o altrimenti era la commessa. Non aveva molta importanza. Voleva solo vederla più da vicino. La galleria vendeva senza autorizzazione celebri stampe non firmate per un bel mucchio di soldi. Ai turisti. L’anonima coppia che ballava il valzer in una strada di Parigi (che era una messinscena, lo sapevano tutti). Due clochard che bevevano sul quay. L’onnipresente Lartigue di un uomo con uno zucchetto a testa in giù, che si tuffava (così pareva) nell’acqua bassa e luccicante di uno stagno. Se ne compravi una, pensò Jimmy Green, tornavi a casa felice.
Ogni pomeriggio era possibile vedere quella donna che guardava la strada dalla vetrina del negozietto, col viso che si confondeva nel vetro alla cupa immagine di Capa nella quale si scorgevano alcuni ufficiali giapponesi in calzoni a sbuffo che scherzavano tra loro fumando una sigaretta, mentre cento cinesi legati, in ginocchio, aspettavano pazientemente ciò che presto sarebbe avvenuto.
Green era entrato inventandosi una domanda su Capa. Che macchina? Che pellicola? Dov’era stata pubblicata per la prima volta? La donna gli sorrise con i suoi occhi viola. Come poté vedere adesso Jimmy, era più avanti negli anni di quanto pensasse. La pelle sotto gli occhi era un po’ rugosa, ombreggiata, il viso lunghetto, le palpebre pesanti. Labbra sottili, una bocca piccola, denti non perfetti. Le diverse parti non erano così attraenti. Ma lei sì: la pelle liscia, le mani, le caviglie, l’espressione neutra in cui si leggeva una vaga speranza di essere guardata. Indossava una leggera camicia di seta a fiorami rosa e blu, ed eleganti scarpe décolleté color ciliegia. I capelli erano quelli rossoneri che portavano tutte, con la frangetta. Un aspetto, pensò Green, che non si curava dell’età. Era ebrea, immaginò, come lui: anche se i francesi prima di tutto erano francesi. Aveva deciso di invitarla all’American Bar, dove non era mai stato. Quello che la donna avrebbe detto non contava. Non voleva andare a letto con lei, voleva solo andare in qualche posto. Delle elezioni in patria non gli importava quasi niente.
Aveva gironzolato nella galleria, fingendo di guardare questo e quello, parlando distrattamente con nessuno, rendendosi plausibile. Sicuro. Lei non sapeva niente di Capa, il che significava che era la commessa.
La donna tornò alla vetrina, a osservare gli studenti del lycée che andavano a casa con gli zaini in spalla, ridendo tra loro. Era la vista che aveva del mondo. In quello che Jimmy immaginava lei già si aspettasse, dal centro del negozio domandò – in inglese – se avrebbe gradito andare con lui quella sera a vedere le elezioni americane alla tv. Lei si voltò a mezzo e sorrise, come se lui avesse detto un’altra cosa.
“Come?” chiese. Lui ripeté le parole e sorrise, come se fosse uno scherzo. Lei batté leggermente la punta della scarpa rossa sul pavimento lucido, e si lasciò sfuggire un respiro chiaramente percepibile. Era seccata. Lui continuò a sorridere, fece un inchino, si sentiva estremamente americano. Lei scosse il capo per dire di no. “D’accordo,” disse. “Sì. Non ho altro niente da fare.”
“Nient’altro da fare,” disse lui. Non aveva ancora detto il suo nome. Ma lo fece. “Sono Jimmy Green. Di Cadmus, Louisiana.”
“Nelli,” disse lei, e questo bastò.
Cadmus era una bella città del Sud dove gli ebrei potevano prendere parte a quasi tutte le cose tranne il country club. Si trovava nella zona nordoccidentale dello stato. Petrolio, gas e legname. Conservatrice, ma non antidiluviana. Non aveva aderito alla secessione, mentre altre città sì. Il cotone si fermava un po’ più a est.
Jimmy Green era piaciuto – in lungo e in largo – era stato ammirato e aveva avuto successo. Per qualche tempo era stato il sindaco progressista della città, ma aveva amici da tutte le parti. Sua moglie faceva l’avvocato, sua figlia era a Dartmouth, destinata alla facoltà di Medicina. Suo padre, morto da anni, aveva fondato un’azienda che provvedeva alla manutenzione delle sgranatrici di cotone. Jimmy era stato vicepresidente della banca fondata sempre da suo padre per finanziare la sua impresa, prima che gli offrissero la carica di sindaco. Jimmy era stato a Yale, dove aveva tirato di boxe, studiato sempre ampiamente le materie più diverse, il che aveva finito per condurlo all’interdisciplinarietà. Era socievole, giocava a golf al club di cui non poteva essere socio, se la passava bene, era ricco di ingegno.
E poi… era andato tutto in malora, sempre più rapidamente e nel modo più imprevedibile e spettacolare. La giovane figlia di un collega della banca. Qualche ricevuta di viaggi sbagliata. Somme di denaro non registrate (sebbene ripagate). Un provvedimento giudiziario evitabile, ma scandaloso. Gli fu chiesto di dimettersi da sindaco e banchiere. Naturalmente, non si fece a meno di sottolineare che era ebreo.
“Come immaginavi che sarebbe andata a finire, Jimmy?” aveva detto sua moglie mentre usciva dalla porta del divorzio. “Non so,” aveva detto lui, cercando di sorridere. “Forse non ci ho proprio pensato.” Questo era successo cinque anni prima. Non erano molti.
Da Cadmus si era trasferito a New York, dove per qualche tempo affittò un appartamento e cercò di ambientarsi (suo padre gli aveva lasciato dei soldi, di cui non aveva perso le tracce). Poi su nel Maine, per nulla di particolare tranne il fatto che conosceva gente a Camden, ed era saltata fuori una casa sull’oceano. Il Maine era un ottimo posto da cui ripartire e conoscere il mondo, cosa che sentiva di dover fare. Aveva solo cinquantun anni. Sua figlia andava a trovarlo, ma piangeva ed era arrabbiata. Sua moglie si risposò rapidamente, ma non perse il proprio rancore. Jimmy era in contatto con poche persone che lo amavano e si fidavano di lui. Uno o due compagni di università.
Nulla, ovviamente, suggeriva che la vita gli avesse sorriso o, se è per questo, che lo avesse trattato ingiustamente. La vita stava ancora cercando di sorridergli. Qualcuno (il suo defunto padre) avrebbe detto che era un debole, ma non necessariamente un debole cattivo. Sua sorella a Cincinnati, che insegnava in seminario e aveva sposato un rabbino, era di vedute meno flessibili. Ma Jimmy era sicuro di avere alcune buone qualità. Era assolutamente privo di crudeltà. Non si compativa. Era leale, alle sue condizioni. Non si scoraggiava facilmente. Sapeva essere paziente. Molte altre persone si trovavano nella sua attuale scomoda situazione: persone che sapevano che la loro sorte e le loro circostanze non corrispondevano pienamente a quello che erano.
Jimmy, però, non aveva il minimo desiderio di rimettersi a lavorare – questo era chiaro – e nessuna ragione di farlo. E non un giorno nella vita scoprì di sentire la mancanza di Cadmus, Louisiana. Troppo, troppo piccola.
A Parigi si era fatto qualche nuova amicizia: uomini, per lo più, del suo corso di francese all’American Library. Tra gli annunci di una rivista aveva trovato un appartamento, solo per l’autunno. “Parziale vista della città con gerani.” Mangiava sempre fuori. Si esercitava nella nuova lingua con camerieri e tassisti, che preferivano l’inglese. Amava Parigi, dov’era stato due volte da studente e una con Ann, sua moglie. Da qualche parte aveva letto che in un saggio qualcuno aveva scritto che a Parigi ti sentivi più straniero che in qualunque altro posto: cos’era? Non se lo ricordava. Ma non gli sembrava vero. Non si sentiva molto straniero, lì. Quello che gli sembrava vero era che non aveva più molta importanza il posto dove uno si trovava. Non più come prima. Parigi andava benone. Ma se qualcuno gli avesse chiesto perché adesso era lì, in autunno, anziché a Berlino o al Cairo o a Istanbul – ovunque – non credeva che avrebbe saputo rispondere. Le altre persone, le persone comuni che avevano avuto esperienze di vita simili alle sue più recenti, non avevi mai modo di seguire cosa gli era successo. Svanivano. Andavano avanti con la loro vita, che aveva solo smesso di svolgersi sotto quella luce abbacinante.
Nelli aveva detto di raggiungerla nel suo appartamento in avenue de Lowendal. Doveva consegnare sua figlia al marito, che abitava poco lontano. La figlia dormiva, il che avrebbe facilitato le cose. Era vicino all’École Militaire, dove la metropolitana emergeva dal sottosuolo, e si vedevano gli Invalides, e dopo quelli la Torre e il fiume. Anche l’appartamento di Jimmy non era lontano.
Un grande cancello ricurvo stile Beaux-Arts con una garitta da gardien vuota immetteva dal viale in un ampio cortile simile a un parco interno con palazzi di quattro piani uniti tra loro su tre lati. Grandi alberi spogli si drizzavano nel buio. C’erano delle panchine decorative per quando il tempo avesse compiuto il suo giro e i fiori fossero tornati a sbocciare. Era quasi mezzanotte, in molte finestre le luci erano accese. Una pioggia fredda aveva cominciato a cadere mentre Jimmy si avvicinava a piedi, con un tremolare di luci nel cielo di latte. Lui era in jeans, con la giacca e le scarpe di gomma del Maine.
L’appartamento di Nelli era al secondo piano, una porta lasciata socchiusa come se dentro ci fosse una certa animazione, forse gente che partiva e che arrivava. Lei lo accolse senza cerimonie, seduta su un pouf, mentre si metteva le scarpe per uscire. L’appartamento era spazioso: soffitti alti, appliques di ottone, finestroni senza tende affacciati sul giardino, pesanti lampade a stelo che gettavano una luce incerta e dorata sul mobilio di cuoio. Tutti i tappeti erano di origine orientale. Ricca, pensò Jimmy. Molte superfici reggevano soprammobili, piccole forme umane di legno, urne, cocci di vasi, alabarde, oggetti dall’aria autentica. Non alla portata del borsellino di una commessa. Jimmy si sedette sull’orlo di un divano in pelle e la osservò mentre portava a termine l’ultimo intimo atto della sua vestizione. Non aveva detto niente. Solo “Salve”, come se fosse contento di essere lì.
“Mio padre, che era un ar-che-o-lo-go,” disse Nelli, come se avesse seguito il suo sguardo. “Dove andava, si teneva quello che voleva.”
Ora lei indossava un corto abito rosso, e décolleté diverse con cinturini che le abbellivano le caviglie. Ignara della pioggia che cadeva. In quella luce fosca era ancora più attraente. Cominciò a raccogliere in una valigia rosa da bambina oggetti sparsi che lui non aveva notato. La presenza di Jimmy non aveva cambiato nulla. Qualunque cosa stessero facendo, l’aveva fatta con qualcun altro. Era bella quella sensazione: di prime cose, di cose nuove. Anche se cominciavi a non desiderarla.
“Probabilmente io farei lo stesso,” disse Jimmy, quasi troppo tempo dopo che lei aveva accennato alle frodi di suo padre. Sentiva nella propria voce l’accento del Sud, come non accadeva normalmente. Significava che era a suo agio. Era stato in poche case di Parigi. I francesi non t’invitavano mai. T’incontravano nei locali pubblici e ti tenevano a distanza. Lì, però, si stava bene. Gli piacque guardarla mentre finiva di vestirsi, mentre metteva la roba di sua figlia nella valigia. Credeva che il proprio silenzio esprimesse questo sentimento.
“Sono stata concepita in questo appartamento,” disse Nelli. Indicò una porta bianca che era chiusa. “In quella stanza.”
“Io sono stato concepito dentro una macchina in un campo di cotone,” disse Jimmy. “Dopo un incontro di football.” Lei inalò bruscamente un po’ di fiato, come se fosse una storia scandalosa.
In mezzo a un assortimento di maschere africane c’era una menorah di ottone. Aveva ragione, dunque. Lei disse che parlava l’inglese così bene perché negli anni settanta era vissuta a Los Angeles col suo primo marito, che aspirava a fare cinema ma non l’aveva mai fatto. Il suo vocabolario veniva da quei tempi. “Non c’è modo” per dire “no”; “Suu-per” per dire “bene”. “Fantastico”, come nella frase “mio padre portò via fantastiche antichità da un paese che è diventato il Ciad”. Lui non aveva usato queste parole a Cadmus. Ma dirle faceva sembrare Nelli dolce e indifesa, due cose che non era, a quanto poteva immaginare.
Oltre ai tesori rubati, l’appartamento conteneva una grande gabbia di vimini con dentro due minuscoli uccelli silenziosi. Sul tavolino dall’aspetto arabo c’era una cartina della metropolitana di Londra. La circolare di un seminario sulla sessualità dopo la menopausa, in due lingue. E una cartolina che mostrava una Nelli adolescente con gli occhiali che guardava severamente l’obiettivo della macchina fotografica. Non era una foto molto lusinghiera. Nelli come una scolara corrucciata nella gonna a plissé di una divisa grigia con calzettoni fino ai ginocchi, una camicetta bianca e i capelli in due rigide treccine. Adesso sembrava più felice.
Nelli rientrò attraverso la porta bianca dalla quale era uscita. Indossava un impermeabile nero e quello che la madre di Jimmy chiamava sempre “un foulard”, e portava una bambina addormentata avvolta in una coperta rosa, il corpo della piccola abbandonato tra le sue braccia. Nella stanza da cui era uscita, una luce fioca rivelava un ampio letto con un piumino bianco, e una parete di fotografie in cornice. Dalla porta aperta uscì un cane nero. Gli avevano rasato il pelo, lasciando testa e muso grandi e lanosi. Come un doccione. Si fermò e rimase a guardare, come se si aspettasse che Jimmy facesse qualcosa di sorprendente.
Nelli guardò la cartolina, tenendo la figlia in equilibrio su un braccio. Una bambina che poteva avere quattro anni.
“Le piace questa cartolina?”
“Mi piace il suo ritratto,” disse Jimmy.
“Può prendere questa?” Gli porse la valigia rosa che aveva riempito di roba della bambina. Era leggerissima.
“Questa l’ha fatta il mio primo marito,” disse Nelli, sistemando la coperta intorno al viso della bimba addormentata. I suoi capelli erano neri, folti e ricciuti, il viso affondato nella spalla di sua madre. Fuori, adesso, la pioggia scrosciava. Lei increspò le labbra in un mugolio di noncuranza. “Le piace la coiffure del cane? Come si dice? Taglio di capelli?”
“Non troppo. Sembra triste.”
“No. Certo. Ma lei lo vuole così.” La bambina cui alludeva era un fagotto ben confezionato. “Crede che lui voglia sembrare biii-sarro. Crede che si senta in-tee-re-sante. È la sua bambola.”
Nel taxi diretto a casa del marito, che era dietro il Trocadero – un quartiere caro –, lui cominciò a pensare che nel Maine, dov’era la sua casa, adesso era pieno autunno, la stagione che tutti desideravano. Bianche mattine di gelo, il sole per mezza giornata, sere in cui la luna passava scivolando come dentro un liquido. Il tempo indolente dei sogni a occhi aperti e di pazienti progetti prima dell’inverno. L’orologio tornò indietro. La sua casa aspettava, vuota. Concluso questo periodo parigino, sarebbe tornato là. Avrebbe iniziato qualcosa. Gli venne in mente sua figlia, certo. Aveva pensato di offrirle un volo per Parigi, anche se era ormai una specializzanda in chirurgia nel Minnesota, e non sarebbe venuta, per una prevedibile lealtà verso la madre.
Nelli cominciò a parlare di appartamenti, con la figlia afflosciata tra le braccia, mentre un lieve aroma acido si alzava dalla coperta. Il visetto ordinario della piccola giaceva composto nel sonno. Nelli doveva ancora dire il suo nome, o quello di Jimmy.
Il fiume sopra il quale stavano passando era già gonfio di pioggia, il cielo nebbioso bianco e splendente sopra la Concorde. “Mi piacerebbe avere una casa nuova. Sa?” disse Nelli a bassa voce. “Magari in un altro paese. Avere degli animali. Une ferme.” Si appoggiava alla sua spalla e alla valigia rosa che lui teneva in mano. “È vero che in America ci sono case enormi oltre a quelle piccole… come si chiamano? Piccoli terreni?”
“Sì,” disse lui. “Minuscoli lotti.” La sua banca ne aveva finanziati molti prima che andasse tutto a rotoli.
“E lei dove abita? A Parigi.”
“In rue Cassette. Vicino al Sulpice. Ho una casa in affitto.”
“Bello stare là,” disse lei. “Molto costoso. Gli americani amano vivere dove non sono nati.” Con la testa sulla sua spalla, sbadigliò, tenendo in grembo la figlia nella coperta. “A mia figlia,” disse, “piacerebbe molto une ferme. Lei ama tutti gli animali. Ha degli animali nel posto dove vive, in America?”
“Li avevo,” disse Jimmy. “Una volta.” Si era messo al passo con i ritmi della sua elocuzione.
Il marito, il padre della bambina, era un immigrato delle Indie Occidentali color caffelatte, piccolo, allegro, calvo, che aprì la porta indossando un caffettano di seta bianca e un orecchino d’oro. Sembrava contento di ogni cosa. Sorrise, diede la mano a Jimmy e accettò la valigia della bambina. Nell’appartamento c’era una giovane donna nera con i capelli biondi in una calzamaglia a macchie di leopardo che venne alla porta. Nelli, il marito e la donna parlavano in francese sottovoce e ridevano e sembravano amici: nella misura del possibile, pensò Jimmy. Mentre sua moglie lo odiava.
Il nome del marito era Sammy. Non era lui che aveva fatto la fotografia. Rimasero tutti sulla porta. Nessuno si comportò come se fosse strano portare lì la figlia a mezzanotte. La figlia non si svegliò, anche se Sammy le diede un bacio sulla fronte e le parlò come se fosse sveglia. Disse il suo nome, Lana. Nelli disse il nome di Jimmy in qualcosa di simile all’inglese: gii-mi. Green. E abbassò gli occhi. Poi, a momenti, parlarono in inglese tutt’e quattro.
“Lieto di conoscerla,” disse Sammy come se lo interessasse chi gli portava lì sua moglie.
“Anch’io,” disse Jimmy, e si sentì bene accetto. La figlia non aveva nessuna somiglianza con quest’uomo.
Nelli parlò ancora in francese, rapide frasi attinenti al lavoro che comprendevano le parole demain, quinze e (gli parve) diner. Così molte delle loro parole erano le stesse, e tutti parlavano troppo in fretta. Poi la cosa finì, e scesero per le scale buie.
Fuori, sul marciapiede battuto dalla pioggia dove si era formata una pozzanghera, il taxi cui avevano chiesto di attendere era andato via. Inaspettatamente, Nelli lo prese per un braccio sopra il gomito, lo baciò appassionatamente sulla bocca e si strinse a lui. Lui le mise le mani sui fianchi, che erano ossuti, sentì le sue costole sotto l’impermeabile, il reggiseno rigido, e l’abbracciò goffamente. Sammy doveva essere là che li guardava da una finestra. Pensò a Nelli – la studentessa della cartolina – sfrontata nella sua grigia divisa scolastica. La sua vita, per quel momento, gli sembrò molto lontana da lui. Che era un bene.
“Mi sento sempre così quando mi stacco da lei,” disse Nelli sommessamente col viso nella sua spalla, mentre il foulard si bagnava.
“Come?” mormorò lui.
“Libera,” disse lei. “Come se la mia vita fosse nuova. È meraviglioso.”
“Non è quello che pensavo avrebbe detto.” La teneva stretta a sé, respirandole nei capelli.
“Lo so. Ma… è la verità. Non gli chiedo tanto spesso di badare alla bambina. Avevo una gran voglia di venire… con lei.”
E lui, com’era felice! Che dicesse una cosa simile, che volesse andare con lui e tutto quello che comportava. Guardò lungo la strada cercando le luci di un altro taxi e ne avvistò uno.
Le lunghe vetrine dagli orli dorati dell’American Bar esplosero come una fiammata in General Leclerc. Taxi arrivavano e partivano sotto la pioggia. Alcune prostitute ridicolmente giovani aspettavano nella luce calda in minigonna e stivali bianchi di vernice, sperando che qualcuno le invitasse a entrare. Magee, l’irlandese che Jimmy conosceva dalla Library, gli aveva detto che adesso tutte le prostitute erano polacche, e avevano pittoresche malattie, solo che erano così splendide che uno se lo dimenticava. Era Magee che gli aveva parlato di questo locale. Gli americani ci venivano a ubriacarsi la notte delle elezioni. Era la tradizione. Uno sballo. A nessuno importava chi era il vincitore. Meno di tutti a Magee.
Dentro, l’American Bar era enorme, molto rumoroso, pieno di fumo e di uomini nella luce cuprea e violenta. Il pavimento era di minuscole piastrelle rosse, bianche e blu, che rendevano ogni cosa più sonora. Camerieri in lunghi grembiuli circolavano con bottiglie di champagne. C’erano dei televisori su tutte le pareti, e gruppi di giovanotti dall’aria di uomini d’affari in maniche di camicia e bretelle fumavano sigari, ridevano, urlavano e bevevano.
Un giornalista americano molto noto occupava tutto lo schermo, seduto a una scrivania con i grossi numeri delle previsioni elettorali dietro di lui. Era impossibile sentire qualcosa. Da qualche parte, c’era un quartetto vocale che cantava, e quelle che cantavano erano, chissà perché, arie irlandesi, più il continuo trillare e sbatacchiare di casse. Doveva essere emozionante, invece era opprimente e faceva girare la testa.
Tutti gli uomini d’affari in bretelle e maniche di camicia erano, pensò, repubblicani: avevano dei tagli di capelli e delle facce lisce così curate! Aspettavano tutti l’elezione del loro candidato per potersi mettere a ragliare, e tornare di corsa in ufficio alle prime luci, pronti a stampare denaro.
Un cameriere offrì dello champagne, che era gratis e sapeva di aceto. Non c’era proprio niente da fare. Jimmy e Nelli erano schiacciati contro un muro tutto specchi con cornici dorate. Ma lui era felice di essere lì, lì con questa donna. Lei era impalata nel suo vestito rosso, col mento alzato come se si sentisse osservata da qualcuno. Colpiti dalla luce della sala, i suoi occhi erano quasi neri, le labbra sottili molto rosse e levigate. Il suo colore era il rosso. Il viso lungo il suo attributo migliore. Insolito. In un’altra donna non sarebbe andato bene.
“Chi vorrebbe che vincesse?” disse Nelli nel frastuono. Stava guardando un televisore dove la faccia del democratico e quella più vecchia e sorridente del repubblicano erano insieme sullo schermo. Stavano per essere annunciati i risultati di New York. I giovani uomini d’affari che masticavano il sigaro cominciavano a mostrare rumorosamente la loro disapprovazione per quello che si aspettavano fosse l’esito sbagliato.
“Una volta mi piacevano i democratici,” disse Jimmy Green.
“Oh, mio dio,” disse Nelli, scandalizzata, con la mano sopra la bocca socchiusa. Poi alzò vivacemente il mento per rimproverarlo. “Lei è pazzo.”
“Certo,” disse lui. Non gli importava. Perché doveva, adesso?
“Niixon,” disse lei. “Lo amavo.” L’infido faccione cascante e gli occhi spenti di Nixon gli si riaffacciarono per un attimo alla mente. Suo padre lo aveva detestato. “Uno che dalla nascita ha sempre odiato gli ebrei.” Era l’unica volta che aveva detto una cosa simile. Avevano tutti seguito il funerale alla tv e avvertivano la solennità del momento.
“Nii-xon era così buffo,” disse Nelli. “Sembrava un uomo politico francese, sa?” Gonfiò le guance e fece una faccia grottesca. Quanti anni poteva aver avuto quando Nixon era presidente? Quando viveva a Los Angeles con l’altro marito. Vent’anni fa.
Reggendo il bicchiere e facendo fatica a parlare, lui cominciò a spiegare perché era sbagliato amare Nixon. Ma si bloccò.
“Oggi non è tanto diverso,” disse lei. “Credi che lo sia, ma non è vero.” Lui non capiva di cosa stesse parlando. Nelli aveva creduto che lui avesse detto una cosa che non aveva detto.
Guardò la bella faccia squadrata in Technicolor del democratico che consumava la tv sopra la parola lampeggiante VINCITORE. I repubblicani che guardavano dal basso fischiavano, imprecavano e tiravano sigari contro lo schermo.
Di lì a poco Nelli pescò uno che conosceva, un giovanotto roseo e paffuto con la testa tonda spelacchiata e gli occhiali di metallo. Come gli altri, fumava un sigaro e portava bretelle rosse sopra una camicia bianca inamidata contro la quale premeva la sua pancetta. Andò a parlare con lui al banco, e istantaneamente l’uomo si animò, anche se guardava Jimmy mentre l’abbracciava. Lei gli fece una carezza sulla gota rotonda e rise. Conosceva gente, lì.
Jimmy si guardò intorno cercando Magee l’irlandese, che era un avvocato della Texaco, ma non lo trovò. In mezzo alla folla non si vedeva niente. Nessuno che parlasse francese, nemmeno i camerieri. Ne stava cercando uno. Gli girava la testa più di prima e non si sentiva molto bene.
In un lampo, Nelli era arrivata col giovanotto grasso dalle guance rosa, che si presentò come Willard B. Burton di St. Johnsbury, Vermont. Un nome che sembrava troppo vecchio per lui, come se lo avesse inventato. Willard B. Burton disse che lavorava “giù alla Lowndes, Rancliffe, nella Prima”. Era chissà cosa di un fondo di sviluppo così così. Quella sera, però, la sua principale aspirazione era di capeggiare i Giovani repubblicani. Era l’anfitrione. Faceva gli onori di casa, e presto, disse, quando chiudevano gli stati del Sud e dell’Ovest, si sarebbero fatti i conti. “Allora suoneremo un’altra canzone,” fu come la mise.
Willard B. Burton aveva gli occhi azzurri più chiari del mondo, incorniciati da una pelle rossa che sembrava irritata, e una bocca tumida. Era come se qualcuno lo avesse lessato. Possedeva anche piedi enormemente lunghi, chiusi in un paio di scarpe lucide dalla mascherina allungata. Beveva whisky e procedeva un po’ a zig-zag.
“Noi chi appoggiamo, Mister White?” chiese Willard B. Burton con un sorriso.
Nelli interloquì con un irritante pigolio. “Gli piace quello carino.”
Burton strizzò gli occhi pallidi. Erano in mezzo a un fiume di gente. Stavano iniziando altri fischi. Altre cattive notizie.
“Sul serio?” disse Willard B. Burton.
“Non importa,” disse Jimmy.
“Be’, certo che importa. Dovrei ordinarti di uscire. E non sento il vecchio Sud nella tua voce? Dovresti vergognarti.” Willard B. Burton abbassò il mento grassoccio mostrando un teatrale disappunto. Le sue labbra copiose si erano inumidite.
“Io non mi vergogno. Ma lei può ordinarmi di uscire,” disse Jimmy. “Va bene. Ce ne andiamo.”
“No. Davvero,” disse Willard B. Burton. “Dobbiamo farti ricoverare in una clinica. Tu sei uno squilibrato.” Venne avanti, sempre a zig-zag, brandendo il bicchiere nel pugno, col sigaro nell’altra mano. Il suo labbro inferiore si sovrappose a quello superiore come per esprimere la sua determinazione sull’idea della clinica. Era l’espressione di cui ridevano quelli della Lowndes, Rancliffe, quando lui non era presente.
“Va’, va’, vattene adesso, Burty,” disse Nelli. “Sei noioso. Mi stai seccando.”
Gli occhi di Willard B. Burton s’impossessarono di quelli di Jimmy e acquistarono la freddezza di un furore buffonesco. “Lei deve proprio farsi curare la sua malattia mentale, Mister French,” disse. “Lei è un ignorante.”
“Va’ via, Burty,” disse Nelli, e lasciò errare lo sguardo tutt’intorno, cercando una faccia nuova.
“Dovremo sistemarti. E lo faremo.” Burton faceva del suo meglio per essere minaccioso. Jimmy pensò che se qualcuno lo avesse schiaffeggiato sarebbe stato meglio.
“Non è il caso di agitarsi,” disse Jimmy, e sorrise.
“È così?” disse Burton.
“Certamente.”
“Be’, vedremo.” Nelli lo aveva preso per un braccio là dove la carne doveva essere flaccida sotto la camicia inamidata. “Quanto a questo, la vedremo,” disse lui, poi girò su se stesso, barcollando, con lei che lo teneva ancora a braccetto, e sbandò nella folla verso il bar.
Dopo, per breve tempo, rimasero là fermi senza parlare, con le spalle agli specchi luccicanti, che in certi punti consumati rivelavano il nero sottostante. Erano all’inizio di un corridoietto che portava giù ai bagni. La gente passava urtandosi goffamente. Quando si aprivano le porte, ne uscivano umidi odori. Nelli non aveva più parlato di Willard B. Burton. Domani lui avrebbe dimenticato gran parte di questo, forse tutto. Quando passò un cameriere, Jimmy chiese un gin.
“Cosa ti spinge a voler venire a Parigi?” disse lei, usando il mezzo inglese di “Pa-rii”.
“Oh, mi fa pensare che potrei essere qualcosa di buono, se volessi.” Che era vero, o almeno lo credeva.
“Sul serio?” Lei non lo stava ascoltando, assolutamente, si guardava intorno arricciando il naso e facendo da spettatore. “Io sono nata a Pa-rii. Credi che questo sia tutto il buono che posso essere?”
“Tu sei meravigliosa,” disse Jimmy. “E molto gentile.” Era quello che diceva alle donne che gli piacevano quando era ubriaco. Erano meravigliose. E molto gentili. La tirò più vicino, con le spalle contro lo specchio. Sembrava che Nelli desiderasse essere baciata di nuovo. Non c’erano altre coppie che si baciavano.
La baciò sulla bocca e assaporò il gesso del suo rossetto, riconoscendo l’odorino acido della coperta della bambina. Il viso di Nelli era molle, non aveva la pelle tesa ed elastica di una ragazza. Tastò nuovamente le sue ossa, la sua magrezza. I suoi capelli secchi sapevano di fumo e di profumo. La strinse sotto il braccio nudo, verso l’ascella.
“Quanti anni hai?” gli disse lei all’orecchio. Il suo alito umido.
“Cinquanta,” disse lui, e si sentiva sbronzo, come se la causa fosse l’intenso rumore.
“Cinquanta,” disse lei. Alcuni uomini d’affari ora stavano cantando, come se volessero competere col quartetto vocale.
Beantown, oh Beantown,2 che città cattiva,
E piuttosto triste e oscena,
Questa città che in definitiva
Non è affatto pulita, né serena
Cosa significava? si chiese Jimmy. Qualcosa di Harvard, dov’erano andati tutti.
“Dovremmo sloggiare di qui, non credi?” disse Nelli. Cosa significavano cinquant’anni per lei? Forse lei ne aveva quaranta.
“Assolutamente,” disse lui, poi ebbe la certezza di aver detto così.
Lei lo baciò sull’orecchio, inviandogli una scossa nelle cosce. La parola VINCITORE fu di nuovo annunciata alla tv, seguita da un forte ululato.
“Credo che il candidato del tuo amico non abbia vinto,” disse lui.
“Non è mio amico.” Lei stava guardandosi intorno nella sala.
Lui affondò lo sguardo nel salone cercando Willard B. Burton, per vedere cosa stava facendo in quel momento di grande sconforto. La faccia tonda e infelice era irreperibile.
Mentre uscivano, vide Magee davanti al bancone di rame che sembrava ubriaco e sudato. Al suo fianco c’era una ragazza alta e bionda in una succinta gonna d’argento. Magee indossava un ridicolo completo western con le tasche a forma di frecce. Aveva la camicia zuppa di sudore, e la cerniera dei calzoni semiaperta, mentre gli occhi castani erano rossi e sfocati.
“Ormai è diventata una maledetta veglia funebre,” riconobbe Magee.
“Poco male,” disse Jimmy.
“Dovresti rimanere. Uno stronzo della tua ambasciata terrà un discorso sulla democrazia americana. Farà scoppiare una rivoluzione, cazzo.”
“Noi ce ne andiamo,” disse Jimmy. Aveva la mano di Nelli sulla schiena. Sorrise a Magee, che lo toccò leggermente sulla spalla.
“Sei una brava persona,” disse. “Qui est votre cocotte?” La ragazza alta e bionda voltò loro le spalle. Jimmy non capì l’ultima parola, qualcosa che Magee aveva interpretato male. Spinse Nelli verso le pesanti porte piombate e in strada.
Mentre uscivano sul marciapiede dove aveva cessato di piovere, e dove una fila di taxi arrivava fino all’angolo, con i conducenti ritti davanti ai loro veicoli che chiacchieravano con le prostitute, sentì un rumore di passi – alle sue spalle – perché le porte del bar si erano riaperte e una folata d’aria dall’interno gli aveva sfiorato il collo. Un istinto gli disse Spostati, levati di mezzo, sta arrivando qualcuno. Strinse la mano di Nelli per tirarla in disparte.
“Sei tu l’emerita testa di cazzo alla quale bisogna dare una lezione?” disse una voce maschile.
Un americano.
Jimmy si voltò in tempo per vedere un uomo non molto più grosso di lui, ma vestito come tutti gli altri. Camicia bianca, bretelle vivaci, capelli neri arruffati, ma con i pugni chiusi, le spalle squadrate, occhi piccoli e minacciosi. “Forse lei si sba…” disse.
L’uomo lo colpì al viso, due volte. Prima alla tempia destra, poi a un lato dell’altro occhio, quasi nella stessa posizione. I colpi gli fecero scoppiare nelle orecchie dei rombi cavernosi, risucchianti, e non furono particolarmente dolorosi. Ma erano colpi violenti che lo costrinsero a piegare le ginocchia, mentre il giovanotto che lo aveva colpito – le sue bretelle erano a stelle e strisce – faceva istantaneamente qualche passo indietro: così Jimmy capì che era lui stesso a cadere, con le mani dietro la schiena e le dita protese verso il marciapiede. Come trovarsi su un’altalena.
Quello su cui cadde non era il marciapiede, ma la cedevole fiancata di un taxi, dipinta in modo tale da imitare le strisce di una zebra. La sua caduta fu ulteriormente attenuata dal culo duro di una delle prostitute, che era d’inciampo. “Incroyable,” sentì dire qualcuno, mentre più che cadere si sedeva sul marciapiede bagnato: non si sentiva male, ma solo molto, molto stordito. Anche se pensava che doveva rialzarsi immediatamente.
L’uomo che lo aveva colpito stava già rientrando nel bar affollato. Alcune persone lo guardavano dalla porta aperta. Jimmy sentiva della musica, il rumore delle bottiglie tintinnanti, il quartetto vocale che cantava Auld Lang Syne, gente che rideva. Di lui, probabilmente. Anche se non gli era andata poi così male.
Nelli era in ginocchio al suo fianco, erano tutti in ginocchio – la prostituta, un’altra prostituta, una tassista – e lo aiutavano a rialzarsi. Il fondo dei suoi calzoni era fradicio. La testa gli rimbombava. Le ginocchia erano incerte. Gli sembrava di essersi torto un mignolo sulla portiera del taxi.
“Teste di cazzo,” disse Nelli.
“Tutto bene,” disse lui. Si sentiva sbronzo, più che leso.
Le prostitute avevano cominciato ad allontanarsi lungo General Leclerc, guardandosi cautamente indietro, con gli stivali di vernice lucenti nei fanali della macchina. Poteva sentire l’odore della donna che guidava il taxi: un ardore sudato e farinoso. Vomitare sembrava inevitabile.
Altri uomini ora stavano lasciando il bar nei loro completi da uomini d’affari, a lunghi passi nelle prime ombre della notte. Lo guardavano e sorridevano. Ma la notte correva ormai il pericolo di essere triste. Non era ciò che aveva desiderato. Era l’opposto di ciò che aveva desiderato. Un esito felice. Il suo sguardo vagava nel cielo nebbioso giallonero. I piccioni gli fecero un giro sopra la testa, poi scomparvero oltre le cime dei palazzi.
I semafori nuotavano attraverso il parabrezza del taxi come nelle inquadrature di un film. Jimmy lasciò ciondolare la testa contro la plastica del sedile di dietro. Questo taxi, in particolare, odorava di mele. Les pommes. I pugni che aveva preso in realtà non gli facevano così male; era una sensazione quasi piacevole. La mandibola, però, si stava gonfiando, da ambo le parti, e la pelle era tesa sull’osso. La testa gli pulsava. Forse si era rotto un mignolo. Tutte cose che potevano essere tollerate. Aveva solo bisogno di andare a casa.
La tassista, mentre guidava, parlava piano in francese con Nelli, che li stava indirizzando verso un locale che le piaceva. Brasserie Grenelle. Aveva fame.
“Io voglio solo andare a casa,” disse Jimmy.
Nelli sedeva al suo fianco, guardando le strade all’una di notte, attiva, vivace e attraente. Non sembrava ansiosa di toccarlo o di rivolgergli la parola. Nel suo compagno doveva essersi manifestata qualche qualità negativa. Qualcosa che l’aveva delusa. Ora occorreva tenerlo a una certa distanza. La loro breve intimità, quando Jimmy l’aveva baciata nel bar, si era estinta mentre lui finiva al tappeto.
“Ma se vuoi mangiare qualcosa…” disse. Lei lo guardò, con un viso rannuvolato e appesantito dalla frangetta di capelli crespi tinti. “Non voglio che ti abbiano rovinato tutta la notte.” Lui sorrise in un modo che gli fece dolere le ossa di tutta la faccia. Pareva che lei non volesse prestare la minima attenzione.
Fuori dal taxi, davanti alla Brasserie Grenelle, che era chiusa, Jimmy vomitò nella cunetta del marciapiede, con le mani contro la fiancata del taxi, mentre la donna spiegava a Nelli dal finestrino che non erano più autorizzati a essere suoi passeggeri. “Desolé, madame, mais non, non.” Jimmy avrebbe voluto dire qualcosa. Prendere il comando. Ma quando si rialzò, il taxi partì, e la luce sul tetto si oscurò rapidamente. Nelli lo guardò allontanarsi senza parlare.
“Dovrei proprio andare.” Era molto dispiaciuto di avere bevuto del gin, dispiaciuto che lei lo avesse visto vomitare, dispiaciuto che non fosse più contenta di stare con lui come prima.
“Dove abiti?” Si coprì la testa col foulard ed era irritata. Aveva dimenticato che Jimmy l’aveva già detto. Dei camerieri stavano mettendo le sedie sui tavoli dentro la brasserie. Non c’era un pedone in quell’isolato. Ora che aveva smesso di piovere cominciava a fare più freddo. Di là dalla strada un camioncino con alcuni tosaerba nel cassone si era fermato lungo il marciapiede. Un uomo con una tuta verde si arrampicò sul cassone per rimettere a posto le cose.
“Vicino a Sulpice. Andrò a piedi.” Nell’aria davanti a lui sentiva il terribile odore del suo fiato. Nei suoi sogni di pugile non perdevi, era impossibile. Ti colpivano, ma non sentivi nulla. E rispondevi con una pioggia di colpi.
“Puzzi,” disse lei, mettendosi in cammino lungo il boulevard, come aveva fatto quel pomeriggio nella galleria. Era così che faceva. “Ma su! Io adesso sono vicina.”
“No. Vado a casa a piedi,” disse lui.
“Sì,” disse lei, avviandosi. “Forse qualcuno non ti rapinerà entro un minuto.”
Le sue décolleté mandavano piccole detonazioni colpendo il marciapiede. Lui pensava ancora a lei che lo baciava sotto l’acquazzone, davanti alla casa del suo ex marito, prima che tutto questo avesse preso la piccola e triste strada che aveva preso. Come se fosse stato un sogno.
L’appartamento in avenue de Lowendal era buio e silenzioso. Si era acceso il riscaldamento, l’aria era pesante e sapeva di chiuso. Fuori dalle finestre il cielo era ancora giallo di nebbia, il piccolo parco gocciolava. Negli altri appartamenti c’erano solo due luci accese. Prima, dovevano esserci stati dei rumori: voci dietro i muri, acqua che cadeva attraverso i tubi, suoni fluttuanti da altri luoghi. Ora tutto taceva, anche se gli uccellini svolazzavano nella loro gabbia di vimini. Il cane che credeva di trovarlo interessante era sulla soglia della camera da letto, annusando.
Nelli mise in evidenza il suo lato pratico. Presto sarebbe andata al lavoro. Mentre si muoveva qua e là alla luce di una lampada da tavolo, cominciò a spogliarsi, come se non ci fosse nessuno nella stanza con lei. Fece una telefonata per ascoltare i messaggi, poi entrò nella camera da letto. Jimmy sentì le sue scarpe che cadevano, poi gli striduli rumori degli attaccapanni, il suono della sua voce mentre parlava pianissimo tra sé.
Era bagnato fino al midollo, aveva i capelli incollati alla testa e il corpo gli si stava irrigidendo, come se avesse avuto un incidente stradale. L’appartamento aveva un odore che prima non aveva. Qualcosa in un lavandino, o in un secchio, di cui non ci si era ancora liberati.
Nelli rientrò a piedi nudi, indossando solo una guaina bianca e un reggiseno nero. Stava raccogliendosi i capelli per fare una doccia e aveva gli occhiali, come nella foto sulla cartolina da ragazza. Il suo corpo non attirava la luce, ma lui poté vedere com’erano snelli e allungati i fianchi, le cosce, le spalle, le braccia, che apparivano più giovani di quanto avesse immaginato. Nessuna traccia del parto.
“Potresti portare fuori il cane a far pipì, per favore?” disse Nelli, con la bocca piena di forcine. Aprì un cassetto e prese un guinzaglio. “Quando mia figlia non c’è…” Stava per dire qualcosa di più, ma si fermò. Il cane nero cominciò a scodinzolare e a guardare dalla sua parte. Si era messo in posizione accanto alla porta. Nelli depose il guinzaglio sul tavolo. “Quando torni puoi fare un bagno. Ti preparerò un letto sul canapé.” Il suo viso sembrava perplesso. “È sbagliato, canapé? Che vuol dire?”
Canapé significava un’altra cosa.
“Okay,” disse lui. Aveva i piedi intorpiditi, mentre la schiena, le spalle e la mascella si stavano bloccando lentamente. Là dov’era seduto, il cane si lasciò sfuggire un sospiro. Nelli tornò in camera da letto, spense la luce e chiuse la porta.
In giardino, l’aria era glaciale. Dentro, i suoi vestiti si erano scaldati, ma adesso erano di nuovo terribili. Sotto la giacca, non riusciva a smettere di tremare. Il cane grufolava nell’erba umida, senza fretta. In una delle finestre opposte c’era un uomo ritto nel buio accanto a un acquario illuminato da una luce blu che guardava giù come se Jimmy fosse un intruso. La pioggia segnava il cambiamento di stagione. Ora sarebbe cominciato il famoso inverno di Parigi. Si sarebbe fermato più a lungo, pensò Jimmy. Forse avrebbe rivisto questa donna. Non si doveva rovinare tutto. Il meglio era possibile.
Ora in America stavano festeggiando. Willard B. Burton di St. J. doveva essere a letto, sicuramente solo. Lui, Jimmy Green, poteva dire giustamente di aver pagato il prezzo della vittoria su una riva straniera. Anche se essere lì, nella notte polare, con questa punta d’infelicità… Non avrebbe mai potuto immaginarlo. Lì, si capisce, non era mai precisamente il punto al quale eri arrivato (una prospettiva che ricordava sovente a se stesso). Lì era un punto che avevi già passato senza rendertene conto. Era questo che significava l’ottimismo? O era pessimismo? Vedere dove ti trovavi come qualcosa d’inevitabile e passato? Gli richiamò alla mente la giovane figlia del suo socio. Non aveva pensato a lei recentemente. In California… o dov’era successo? Quando lavorava per la tv. Patricia. Nulla di tutto ciò avrebbe dovuto provocare quello che aveva provocato: quel disastro. La perdita esacerbante, lo smembramento di una vita. Ma anche quello forse era stato inevitabile. Lo aveva pensato già allora. Era successo prima di succedere.
Sopra di lui, tra i freddi platani, battevano ali invisibili. Il cane non alzò lo sguardo. Il suo dito pulsava, come la testa. Un’altra luce brillò nell’appartamento in cui presto sarebbe rientrato, come se una porta fosse stata tirata indietro. Nelli era in piedi con una luce dietro le spalle, in un bianco accappatoio, e gli faceva cenno di raggiungerla. Le sue labbra si muovevano.
Quanto era stato in questo giardino buio? Aveva perso la nozione del tempo. Era il momento di rientrare, però. Dietro le nuvole basse, il cielo si stava rischiarando. Si voltò per andare.
------------
2 Nomignolo di Boston. [N:d.T.]