L’obbligo del digiuno, che in estate dura naturalmente molto più a lungo che in inverno, vale per i musulmani adulti, uomini e donne, queste ultime purché non abbiano le mestruazioni. Naturalmente durante questo rigido digiuno sono previste limitazioni e facilitazioni: per gli anziani e gli ammalati, per le donne incinte e per quelle che allattano, per chi si trova in viaggio e fondamentalmente anche per chi esercita lavori fisicamente pesanti. Tuttavia essi devono recuperare i giorni di digiuno tralasciati, il che non è sempre facile.
L’inizio del mese Ramadan, mese di digiuno, viene oggi determinato secondo l’usanza antica attraverso l’osservazione della luna nuova, e annunciato pubblicamente dai media; tappeti speciali per il Ramadan vengono esposti nelle moschee e anche i minareti sono illuminati durante tutte le notti. In che modo i musulmani giungono a considerare il periodo di digiuno non come un opprimente momento di penitenza, bensì come un periodo di festeggiamenti? La spiegazione sta nella duplice valenza del mese di digiuno, il suo lato giornaliero e il suo lato notturno. Dal momento che di giorno si deve digiunare (e ci si deve astenere dai rapporti sessuali), di notte invece si è liberi. Secondo una rivelazione, il Profeta stesso aveva d’altronde abolito il divieto di rapporti sessuali duranti le notti di Ramaḍan.32 Durante la notte si mangia e anche molto, in genere più del solito e più a lungo, a volte si consuma un abbondante pasto (faṭūr), per il quale si deve andare a fare la spesa immediatamente prima, quando i negozi sono ancora aperti. Il giorno successivo si può dormire a lungo e questo facilita notevolmente il digiuno giornaliero. Digiunare e festeggiare in comune aiuta a compattare la comunità e invita alla partecipazione anche i musulmani di per sé meno praticanti.
In fin dei conti si tratta dunque di un periodo più di festa che di penitenza, pieno di numerose attività religiose e sociali, nelle moschee e nei caffè. Il Ramadan è un periodo di digiuno e di festa dell’intera comunità musulmana, un grande simbolo di unità per i musulmani in tutto il mondo e contemporaneamente un invito per i non musulmani a entrare nella umma. La fine del Ramadan viene anch’essa stabilita dalla luna nuova e festeggiata con la festa dell’interruzione del digiuno (’īd al-fiṭr) – una delle due principali feste islamiche.
Il grande pellegrinaggio alla Mecca
Tutte e tre le religioni profetiche, ma anche molte altre, conoscono l’esperienza del pellegrinaggio. Nell’ebraismo bisogna salire tre volte - per le tre feste del raccolto (festa del pane azzimo, festa settimanale, festa dei tabernacoli)33 – a Gerusalemme, più precisamente da Gerusalemme fino al monte del tempio: tre feste di gioia, intese come feste di pellegrinaggio. Sin dall’antichità c’erano opinioni discordanti sull’interpretazione del comandamento: occorreva assolutamente recarsi sul posto di persona, un’interpretazione letterale, oppure secondo le proprie effettive circostanze e possibilità? Ciò nonostante gli ebrei compivano il pellegrinaggio a Gerusalemme anche dopo la distruzione del secondo tempio, sebbene la gioia per la vista di Gerusalemme si associasse al lamento rivolto verso il luogo sacro distrutto e verso l’unico muro occidentale rimasto, risalente a Erode. Anche in epoca moderna gli ebrei compiono il pellegrinaggio a Gerusalemme e naturalmente più che mai nell’epoca del sionismo e oggi, dopo la nuova fondazione dello stato di Israele.
Anche nel cristianesimo esisteva fin dall’inizio l’usanza del pellegrinaggio. Tuttavia nel Nuovo Testamento non si trovano prescrizioni cristiane specifiche a tal proposito (si racconta solo del «pellegrinaggio» ebraico tradizionale compiuto da Gesù verso Gerusalemme). Probabilmente per questo motivo, nel cristianesimo non è prescritto alcun pellegrinaggio vincolante. Per i cristiani non è determinante un luogo ma una persona. Tuttavia, già durante i primi secoli della nostra Èra, si sviluppa un’usanza cristiana del pellegrinaggio: verso i luoghi dei martiri o verso le loro tombe (soprattutto nei sepolcri di Pietro e Paolo a Roma) e verso i luoghi nei quali operò Gesù in Palestina. Particolarmente importante divenne nel medioevo il pellegrinaggio alla tomba dell’apostolo Giacomo a Compostela – tornato in auge nell’epoca moderna. Molto più tardi nella tradizione cattolica si aggiungono pellegrinaggi verso determinati luoghi, nei quali sono avvenute apparizioni di Maria o di altri santi.
Nell’Arabia pre-islamica sin dall’antichità si compivano pellegrinaggi annuali e semestrali e cioè all’inizio della primavera e durante il raccolto autunnale. La Mecca in ciò si distingueva grazie alla Ka’ba e agli altri santuari nelle vicinanze. Questa usanza araba antica continuò a essere praticata – come già visto – anche in ambito islamicomonoteistico. Il Profeta mantenne i vari luoghi antichi e le diverse cerimonie arcaiche; depurati dai tratti politeistici e nuovamente interpretati, questi elementi vennero fusi in un unico gruppo di rituali e resi nuovamente fecondi, grazie alla connessione con la storia di Abramo e Ismaele (maqām Ibrāhīm = impronta del piede di Abramo presso la Ka’ba).34
Questo pellegrinaggio aveva un grandissimo significato, non solo per la riconciliazione di Muḥammad con La Mecca, ma anche per l’integrazione delle popolazioni musulmane, costantemente in aumento. Perciò con la sua nicchia per la preghiera (miḥrāb) collocata nella direzione (qibla) della Mecca, ogni moschea, ovunque nel mondo, ricorda continuamente ai musulmani il loro luogo di partenza, la loro origine, la patria della loro religione. Bastava solo immaginare di procedere dritti in linea d’aria per sapere verso quale direzione i musulmani, «quelli di loro che abbian la possibilità di fare quel viaggio»35 dovevano dirigersi.
È dunque comprensibile che il grande pellegrinaggio (ḥaǧǧ) alla Mecca diventasse il quinto pilastro principale dell’islam. Ogni musulmano adulto doveva compiere questo pellegrinaggio una volta nella vita, anche se oggi in realtà solo una piccola parte dei musulmani se lo può permettere (per questo è ammesso inviare un sostituto); spesso una famiglia oppure un intero paese risparmia, affinché almeno uno di loro possa partecipare al pellegrinaggio per la benedizione di tutti, e in seguito a ciò possa porre il titolo onorifico di «pellegrino» (ḥaǧǧ) davanti al proprio nome. D’altra parte però La Mecca, dove prima convivevano pacificamente anche ebrei e cristiani, divenne la «madre delle città» (umm al-qurā): un «luogo sacro e inviolabile» (ḥarīm), una città ora vietata ai non musulmani per la sua sacralità (al-ḥaram = «il luogo santo» ha un’estensione minima di cinque chilometri in tutte le direzioni dalla Ka’ba). Anche Medina è una città sacra, ma la visita alla tomba del Profeta non è obbligatoria.
Tuttavia, il grande pellegrinaggio dei musulmani alla Mecca ha poco a che fare con il relativamente comodo viaggio di pellegrinaggio a Roma o a Lourdes, anche se alcuni riescono ad associarvi il loro viaggio d’affari, di studio o turistico. Il hagg ha particolari esigenze. Il pellegrinaggio è valido solo se il pellegrino, indipendentemente dal ceto o dalla classe sociale, si sottopone a un rituale molto preciso:
– innanzitutto bisogna raggiungere un particolare stato di consacrazione (iḥrām): attraverso determinate azioni rituali (parola chiave: labbaika allāhumma = «ai tuoi servizi, oh Dio») bisogna indossare una veste bianca e senza orlo, non ci si deve più né radere né pettinare, non bisogna tagliare né capelli né le unghie, non bisogna usare profumi, né copricapo né velo, bisogna indossare di preferenza i sandali ed è necessario astenersi dai rapporti sessuali;
– infine deve essere eseguita, con estrema precisione, una lunga serie di rituali, a volte veramente difficoltosi e complicati (in genere occorre l’aiuto di una guida): da un lato i riti del «piccolo pellegrinaggio», che prevede per tutto l’anno un’eventuale «visita» (‘umra) della Ka’ba, nella moschea centrale della Mecca, girando attorno a essa per sette volte; dall’altro i riti del «grande pellegrinaggio» (ḥaǧǧ), possibili solo in giorni stabiliti durante il mese del pellegrinaggio (ḏū ’l-ḥiǧǧa) ed eseguibili nei vari luoghi sacri attorno alla Mecca (Mina, Muzdalifa e ‘Arafat).
Le principali stazioni del grande pellegrinaggio sono: il primo percorso di sette giri attorno alla Ka’ba, il percorso da compiersi per sette volte del segmento di strada tra la collina Safa e Marwa, la scalata del monte Rahma («monte di grazia») nella piana di ‘Arafat; la raccolta dei ciottoli a Muzdalifa e il lancio delle piccole pietre contro una roccia, il sacrificio di un animale a Mina e il pasto sacrificale finale; infine la ripetizione del percorso attorno alla Ka’ba.36 Tutti questi sono comandamenti di Dio, e, come molti riti religiosi, è possibile comprenderli razionalmente solo a certe condizioni; in ogni caso vanno eseguiti con riverenza.
Alcuni di questi riti islamici, menzionati nel Corano e nella tradizione musulmana relativa ad Abramo, Hagar o Ismaele, mostrano ancora chiaramente le loro origini pre-islamiche:
– il lancio di quarantanove pietre di selce (ǧamra) a Mina contro il pilastro di sasso che si può interpretare come una simbolica lapidazione del diavolo;
– baciare, toccare o salutare la pietra nera (distrutta da molti secoli e racchiusa da un anello di pietra e da un rivestimento d’argento), che si trova nell’angolo orientale esterno della Ka’ba;
– il sacrificio di pecore, capre, addirittura cammelli. Questo viene compiuto contemporaneamente da tutti i pellegrini; agli animali viene tagliata la gola in direzione della Ka’ba (da parte del macellaio o del pellegrino stesso), cosa che al giorno d’oggi comporta ogni volta, per più di un milione di pellegrini, l’uccisione nel giro di un’ora di centinaia di migliaia di animali. Segue la grande festa del sacrificio con la suddivisione e il consumo della carne sacrificale, dopo la quale ci si rade, ci si tagliano i capelli e si indossa un nuovo vestito. Insieme all’interruzione del digiuno questo giorno del sacrificio (yawm aladha), ovunque festeggiato nel mondo islamico, è la festa più importante dell’islam.
L’islam è l’unica religione di Abramo che abbia conservato il sacrificio cruento (oltre che in questi casi, a volte anche nel caso di adempimento di voti). Tuttavia per i musulmani non è importante l’esteriorità, ma l’atteggiamento religioso e spirituale fondamentale che si ottiene grazie al pellegrinaggio: l’accostamento totale a Dio e il temporaneo allontanamento dal mondo.
È facile vedere che l’organizzazione del pellegrinaggio, con un numero di partecipanti sempre più in aumento, rappresentava una crescente sfida per l’autorità politica. La qualifica di signore protettore dei luoghi santi fu inizialmente affidata al califfo di Damasco e poi a quello di Baghdad, dal secolo X al califfo fatimida e ai successivi sultani del Cairo, a cui seguirono infine i sultani ottomani e poi i sovrani dell’Arabia Saudita. Si tratta sempre del medesimo pellegrinaggio - ma naturalmente segnato da circostanze politiche e sociali in costante mutamento. Si ripete anno dopo anno, e il gigantesco addobbo della Ka’ba, ogni anno, viene rinnovato; quello vecchio però viene tagliato in pezzi e venduto ai pellegrini come souvenir.
Questa disamina della natura e del nucleo dell’islam, della sua figura centrale dominante e dei suoi elementi strutturali di base può bastare per i nostri scopi. Prima di impegnarci nella grande storia, lunga quattordici secoli, vorrei però fermarmi un momento per fare una sintesi e anche per porre ulteriori domande.
Sostanza religiosa in mutamento
Le riflessioni fatte finora portano a chiedersi cosa siano centro e fondamento della fede musulmana, in altre parole: che cosa è la sostanza religiosa dell’islam? Ciò che riescono sempre a mettere in evidenza – a ragione o a torto – le interpretazioni storiche, politiche, sociologiche e antropologiche proprie dei documenti religiosi islamici, divenuti autorevoli e storicamente potenti, è il contenuto religioso centrale: «non vi è alcun dio al di fuori di Dio e Muḥammad è il suo Profeta!». Non esiste alcuna fede islamica, né acuna religione islamica senza questa dichiarazione.
Dio e il suo Profeta – attorno a questi due punti cruciali vibra l’intera testimonianza del Corano, in forma per così dire ellittica. Naturalmente il fatto che lo stesso unico Dio costituisca il centro del Corano permette al suo «teocentrismo» di essere rappresentato. Però, ciò che si rende palese nel Corano è che questo singolo Dio non viene mai visto da solo, bensì sempre insieme a colui al quale egli rivolge costantemente la propria rivelazione. Le sure coraniche non vertono attorno ai più intimi «segreti della divinità», ma attorno al messaggio che il Profeta deve annunciare al suo popolo.
Considerando con ancora maggior precisione i differenti elementi strutturali e le restanti linee conduttrici della fede islamica, ecco cosa troviamo:
– la fede nel Dio comune agli ebrei e ai cristiani, che non permette alcuna associazione;
– la fede nel profeta Muḥammad, la quale attesta la validità dei profeti prima di lui e conclude con lui in quanto «Sigillo dei Profeti»;
– la fede nel Corano trasmesso dal Profeta come la rivelazione pura e definitiva di Dio.
Questo rapporto speciale del profeta Muḥammad con il suo Dio, risultante nel Corano, è punto di partenza germinale e nucleo di cristallizzazione costitutivo dell’islam, e rimarrà il concetto fondamentale, mai abbandonato, della religione islamica, durante tutta l’iniziale negazione di sé dei compagni di stirpe di Muḥammad e attraverso tutti gli sviluppi e le complicazioni della storia islamica. In questo centro costante che tutto muove – Dio e il suo messaggio nel Corano – si fondano le caratteristiche dell’islam:
– originalità dall’epoca più arcaica;
– continuità nella sua storia attraverso i secoli;
– identità nonostante tutte le diversità di lingue, di razze, di culture e di nazioni.
Chi voglia approfondire correttamente l’attuale situazione dell’islam deve però conoscerne la storia perché, analizzandone l’«essenza» e le strutture, non abbiamo certo catturato in alcun modo il vero islam vivente. Così come una formula costruita staticamente non descrive chiaramente un edificio imponente e tutto il suo peso, una descrizione dell’essenza è ancora meno rivelatrice delle complessità di una religione concreta. Quel che è certo è che, come già nell’ebraismo e nel cristianesimo, anche nell’islam non si deve considerare una misura statica, bensì una storia vivente, nella quale «l’essenza» dell’islam e la sua «sostanza religiosa» hanno continuato ad assumere forma sempre nuova e diversa. E verso questa storia che ora dobbiamo rivolgerci.