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Intorno alle tre del giorno successivo a questi fatti, Snæfríður Björnsdóttir Eydalín e un’altra donna passeggiavano nel prato di casa a Bræðratunga, recando in spalla un fascio d’erbe, dato che anche lei, come le sue progenitrici, conosceva le piante officinali e ne ricavava bevande medicamentose e tinture, oppure le raccoglieva per il loro profumo; portava una vecchia veste azzurra ed era a collo nudo e a testa scoperta sotto il sole, con i capelli sciolti e sciupati dalle intemperie per via delle escursioni giornaliere, e con un colorito dorato come il campo che la circondava.
A un tratto vide a poca distanza un grasso cavallo nero legato alla roccia che serviva da posta, e un uomo bassetto ed emaciato, vestito di scuro, camminare avanti e indietro davanti all’ingresso, con una postura ingobbita, a mani giunte e rivolte al suolo. Era il prevosto di Skálholt. Quando scorse la padrona di casa, si tolse l’alto cappello e reggendolo in mano le andò incontro sul prato.
«Onore inatteso», disse lei, sorridendo e facendo una riverenza, poi si avvicinò e gli tese una mano screpolata e un po’ sporca, emanando un caldo profumo di timo, paleo, terra ed erica.
Lui evitò di guardarla, ma dopo averla salutata e aver lodato Dio nel trovarla in buona salute, si legò nuovamente il cappello sopra la parrucca della domenica e intrecciò le dita come prima, osservandosi i dorsi delle mani che erano violacei e gonfiati dagli anni. «È una giornata talmente luminosa che non ho resistito alla tentazione di far preparare il mio bel Brunetto», disse, come per giustificare quella sua visita.
«È proprio nei giorni della canicola che lo stafilino prende il volo», disse lei. «È sempre in questa stagione che mi viene voglia di darmi alla macchia.»
«In questa povera terra in cui tutto muore, sono giorni che hanno la natura dell’eternità stessa», disse lui. «Sono l’
apex perfectionis
.»
«Che piacere incontrare vossignoria in paradiso – su questo prato. Benvenuto.»
«No, no, non è mia intenzione predicare eresie, e
madame
non creda che io cominci a pendere verso il paganesimo, se lodo la creatura prima del Creatore. Intendevo solo che i giorni sono perfetti quando la preghiera si trasforma in un ringraziamento, quasi per volontà propria: si comincia a pregare e tutt’a un tratto ecco che ci si è messi a ringraziare.»
«La prossima volta che verrete a trovarmi, caro reverendo Sigurður, sono certa che mi racconterete di aver conosciuto una graziosa fanciulla e di aver sentito in quell’incontro la vita eterna e il
summum bonum
», disse lei. «E sono venuta a sapere che in un vecchio rudere avete trovato un orrido crocifisso che invocate in segreto.»
«
Credo in unum Deum
,
madame
», disse il pastore.
«Per carità, non pensate che io vi sospetti di eresia per il solo fatto di possedere un’immagine sacra, caro reverendo Sigurður.»
«Quel che conta è l’atteggiamento dell’uomo di fronte alle immagini, non l’immagine in sé. L’importante è credere alla verità, che può celarsi perfino in un’immagine imperfetta, e vivere per essa.»
«Già», disse lei. «Proprio l’altro giorno ho dovuto levare di mezzo il corno destro del montone d’Abramo, perché in quell’angolo della tela dovevo mettere il monogramma e la data. Qualcuno si metterà in testa che il montone si sia spezzato un corno nel cespuglio? No, tutti sanno che il montone d’Abramo l’ha mandato Dio, e ha due corna impeccabili.»
«A proposito d’immagini», disse lui, «vi spiego come la penso io. L’immagine per eccellenza è quella che abbiamo della vita, quella che noi stessi ci costruiamo. Le altre vanno bene se ci mostrano dove siamo manchevoli e come possiamo migliorare la nostra condotta. Ecco perché ho salvato quella vecchia immagine del Cristo dell’era papale che ho trovato in mezzo ai ruderi.»
«Siete saggio, reverendo Sigurður, ma non so se ricamerei sulle mie tele tutte quelle immagini benefiche di cui parlate voi.»
«Eppure resta valido ciò che leggiamo nei
doctores
, ossia che l’immagine più bella è la verità espressa da una buona condotta di vita.»
«Posso invitare il
doctor angelicus
, redivivo nel Flói, a entrare in una povera casa e accettare un’innocente bevanda di mia produzione?» domandò la signora.
«Dio ve ne ricompensi», rispose lui. «Beato l’uomo che è deriso da
madame
. Ma allo stesso modo in cui lo stafilino cammina a terra per undici mesi per poi volare al sole il dodicesimo, così anche il povero religioso deve pur avere un tempo per sé: potrei passeggiare per un istante al fianco di
madame
su questo prato, e discutere di una questione che mi sta a cuore?»
Si allontanarono nel prato.
Lui non aveva ancora alzato lo sguardo, camminava con circospezione, badando bene a dove posava i piedi, esitando a ogni passo come per misurarne l’effetto sul suolo e su se stesso. Era un po’ più basso di lei.
«Parlavamo giustappunto d’immagini», riprese in tono libresco, con le mani nella stessa posizione di prima, «immagini veritiere o fallaci, quelle che l’uomo costruisce nel modo giusto e quelle che costruisce nel modo sbagliato, benché il contenuto gli provenga da Dio. Lo so, trovate bizzarro che io vi sottoponga certe scempiaggini. Ma sono pur sempre il pastore della vostra anima. Io credo che il Signore voglia che vi parli. E l’ho pregato d’illuminarmi. Credo che Lui voglia che io vi dica queste parole: Snæfríður, il Padre Celeste vi ha dato più di quanto voi abbiate voluto accettare da Lui.»
«Sarebbe un’accusa?» chiese lei.
«Ad accusarvi non sono io», rispose il pastore.
«Dunque chi?» chiese ancora lei. «Ho fatto qualcosa di male?»
«Avete fatto qualcosa di male a voi stessa. Lo dice Dio, e lo sa l’Islanda intera, ma nessuno meglio di voi medesima. La vita che avete condotto in questi anni non si addice a una donna che è un vanto per tutte le altre.» Solo ora la guardò, ma fugacemente, ed ebbe un tremito alle labbra. I suoi occhi neri rifuggirono la pelle dorata di lei.
Snæfríður sorrise con un’aria assente, e rispose con noncuranza, a bassa voce, come se lui le avesse fatto notare un granello di polvere sulla manica: «Oh, ora anche la sposa di Cristo comincia a interessarsi a una misera inezia qual è la mia vita?»
«Non avrei mai creduto che mi sarebbe toccato l’onere di conferire con una signora, in particolare una donna così lontana dall’aver commesso un’azione che tanto
in civilibus
quanto
in ecclesiasticis
si definirebbe crimine, facendole una predica sulla sua condotta.»
«Mi spaventate, caro reverendo Sigurður. Per caso avete letto la
Prophetia Merlini
o la
Visio Tnugdali
prima di uscire di casa? Quanto darei per comprendervi come si deve!»
«Sarei felice se conoscessi la strada per il vostro cuore, ma orientarsi in un tale labirinto trascende le facoltà di un semplice ecclesiastico, soprattutto se voi stessa non volete comprendere ciò di cui si parla. Ma anche se il vostro cuore è un muro in cui un poeta inetto non sa trovare una porta, io ho comunque l’obbligo di parlare.»
«Dunque parlate, caro reverendo Sigurður.»
«Quando rivolgo la parola a
madame
, voi sapete che non ignoro con chi parlo: voi siete la donna più nobile che sia mai vissuta in tutte le terre del Nord, istruita quanto coloro che venivano definite erudite nell’Islanda di un tempo, avviata agli studi classici fin dall’infanzia e artista di tale valore che le vostre tele sono rinomate nelle cattedrali straniere; in più siete l’unica che la madre del Signore abbia dotato di un tale profumo di vita che la vostra stessa presenza in Islanda, sommata a quella dei nostri piccoli fiori, è una promessa di protezione del nostro signore Gesù su questa povera terra, malgrado la motivatissima collera del Padre suo. I pochi nostri connazionali che conservano una parvenza di saldezza d’animo sono gravati da grossi debiti, in questi tempi difficili, e una donna come quella che ho appena descritto non ha alcun diritto, al cospetto di Dio, di gettare al vento la propria vita restando legata a una persona che è l’antitesi del buon nome della sua patria. Sarete perplessa a sentire dalla bocca di un prete parole contrarie a ciò che il Signore ha unito. Ma io ho vegliato e atteso. Ho invocato lo Spirito Santo. Ed è mia convinzione che il vostro problema vada risolto
in casu
. Sono certo che perfino il papa, pur affermando che il matrimonio sia un sacramento indissolubile, vi scioglierebbe dal vincolo, considerando che è ancor più scandaloso di un adulterio.»
«Oh, quasi dimenticavo, reverendo Sigurður: voi siete stato un mio pretendente», disse lei. «A vostro avviso dovrei separarmi dal mio Magnús e sposare il prevosto. Ebbene ascoltate, mio caro: se lo facessi, voi cessereste di essere un mio pretendente, e i pretendenti sono i più beati in tutto il genere umano… a parte le fidanzate. Oltretutto, che ne direbbe quel
Christus
che avete dissotterrato da un mucchio di macerie?»
Lui replicò: «Ho sempre saputo che la favella letterata dei vostri progenitori e delle vostre progenitrici ha radici pagane; come posso contrastarla io, ecclesiastico senza nerbo, che poco penso e ancor meno dico? E ho sempre saputo fin troppo bene, malgrado quel vecchio scherzo ormai dimenticato, che i pensieri della figlia di un magistrato non si accompagnano ai miei. Basti vedere la scelta che ha fatto quando è stata disillusa da quel grande uomo di mondo di cui si era invaghita. Un misero chierico sulla soglia della vecchiaia potrà dunque nutrire ancor meno speranze su una donna del genere, quand’anche fosse libera, ora che è di nuovo in Islanda colui con il quale non si sarebbe mai arrischiato a competere neppure in più giovane età.»
Lei ebbe un lieve moto d’inquietudine e disse: «Ah, smettete di sbattermi in faccia i grilli che può avere avuto per la testa una sciocca fanciullina nella casa di suo padre; nulla desta ilarità più genuina – e più innocente – che l’adolescenza.»
«Che fossero celie o cose serie, lo deciderà la vostra coscienza. Ma io ho un ricordo assai nitido di una donna ben matura che mi disse all’orecchio di amarlo “da sveglia, da dormiente, da viva, da morta”. E non mi sorprenderei se il vostro rapporto con lui fosse venuto a costituire la tela stessa su cui avete ricamato la vostra vita. Ho il sospetto che sia stato quel grande uomo di mondo, quel mezzo straniero, a guidare i vostri malcerti passi sullo sdrucciolevole pendio che vi ha condotta all’orlo del baratro su cui vi trovate ora. Era compare di principi e conti al di là del grande mare, con stivali inglesi e una gorgiera che cambiava una volta alla settimana, ben introdotto a tutte quelle eresie di chi nega Dio, ai trattati di dialettica pagani e alle letture contemporanee francesi che i detrattori dei divini giudizi avidamente compulsano. Talvolta il Signore mostra agli uomini miraggi dallo strano riflesso speculare. Ha permesso al Tentatore di camminare in terra vestito di luce. Come spesso si sente nelle storie edificanti, voi avete perso il discernimento per effetto della vostra volontà accecata, e vi siete ridestata al fianco di un mostro, la sembianza che ogni uomo di mondo assume al cospetto del Signore; certo, costui non possiede una contea al di là di un fiume più ampio del Tungufljót, e ha una sola gorgiera, peraltro assai sgualcita, ma quanto a spregio dei divini giudizi non è da meno di quell’altro, sobillato a sua volta dallo
spiritus mali
, che agli occhi di Dio è alla stessa stregua delle letture francesi e della dialettica pagana, benché quassù sia irrorato d’acquavite.»
«All’inizio credevo che foste venuto qui per seminare zizzania fra me e il mio Magnús», disse lei, «ma ora sento che vi riferite a tutt’altro uomo: quello che una volta avete definito il meglio che un amico fidato potesse augurarmi. Se costui è il Tentatore fatto persona, come voi dite, non mi avete augurato nulla di buono all’epoca in cui avete pronunciato quelle parole.»
«Già trentacinquenne e ancor fatuo giovanotto, ho visto seppellire le brave e adorabili donne che erano state mia sorella, mia madre e la mia amatissima, mia stella polare e mio riparo, che aveva venticinque anni più di me. Mi sono ritrovato a un bivio. Preso da un’impudentissima brama terrena, ho guardato rapito le faville sprigionate dagli zoccoli dei destrieri di uomini altolocati, magnificando i vani luccichii del mondo al punto di far sparire il Cristo di fronte al mio vizioso Adamo. Così sono diventato il pretendente della giovane figlia del magistrato, la quale mi disse che ero il secondo in graduatoria. Era già passato di lì il signore del mondo, il solo che io invidiassi, il primo a ottenere la vostra benevolenza. Sapevo che non l’avreste mai avuto. Sapevo che non sarebbe mai ritornato.»
«E ora che sapete che è di nuovo in Islanda, pensate sia giunto il tempo di esprimere la vostra opinione su di lui.»
«Non state più parlando con un pretendente innamorato,
madame
, ma con un eremita che ha fatto esperienza della vita e dissotterrato il suo Cristo da un mucchio di macerie, come l’avete definito voi – e che ha cessato d’impallidire dinanzi ai signori del mondo. Ma benché io sia un vecchio eremita, voi siete una giovane donna che ha ancora lunghi anni davanti a sé, e doveri nei confronti della nazione e della cristianità. E questa è la sorte che tocca alla vostra cara anima, la cui cura compete a me… per la gloria di Dio.»
«E quale sorte ha scelto per me
monsieur
, per la gloria di Dio, se posso permettermi?»
«Sono certo che vostra sorella, moglie del vescovo, sarebbe lieta se voi abitaste con lei a Skálholt per circa un anno, nel mentre che il vostro divorzio da Magnús segue il proprio corso e voi riflettete sul da farsi.»
«Dopodiché?»
«Come dicevo, siete una donna giovane», rispose il pastore.
«Tutto chiaro», disse lei. «A parte voi, caro reverendo Sigurður, a quale zotico o ecclesiastico di bassa lega mi destinereste, per la gloria di Dio, di qui a un anno?»
«Potreste scegliere fra grandi proprietari terrieri e nobiluomini», disse il prevosto.
«Lo so io chi prenderei. Prenderei il vecchio Vigfús Þórarinsson, se si degnasse. Oltre a essere un grande proprietario terriero, possiede argento a palate; senza contare che è uno dei pochi uomini in Islanda a saper parlare con le gentildonne.»
«Può essere che nel corso di quest’anno passi da Skálholt un uomo ancora più altolocato,
madame
.»
«Non vi seguo. Mi auguro che il prevosto non voglia destinare la mia cara anima al diavolo in persona, per la gloria di Dio.»
«Una donna di giudizio, dedita alla virtù e attenta all’onore della propria famiglia, oltre che a quella giustizia che ha reso suo padre uno dei grandi vegliardi di questa nazione, detiene un’autorità e un potere più elevati delle regie patenti. Chissà che Dio non abbia deciso che
madame
, come Giuditta, tramite la tenerezza vinca il nemico di suo padre?»
«È impresa da poco essere prodighi di ciò che non si possiede, caro reverendo Sigurður», disse lei, «e non offendetevi se vi dico che questo discorso mi ricorda molto il gioco della nave che fanno i bambini.
22
Non provo neppure a interpretare le vostre insinuazioni sul conto di mio padre, e men che meno a immischiarmi nelle vostre idee sui regi emissari. Ma se voi e la vescovessa Jórunn intendete darmi rifugio come se io fossi una vagabonda o un peso per la società, vi faccio presente che sono la signora di Bræðratunga, e che amo mio marito non meno di quanto mia sorella Jórunn ami il vescovo marito suo, perciò nessuna delle due è tenuta a vivere della carità dell’altra… e credevo che mia sorella lo sapesse, prima di affidarvi questa missione.»
A quel punto il prevosto sciolse le mani che gli tremavano visibilmente. Si schiarì la gola per avere una voce più salda. «Vi conosco da quand’eravate bambina, Snæfríður», disse, «ma un cattivo poeta fatica a tenersi in equilibrio su quel sottile filo di parole che conduce al vostro cuore, perciò è bene che questa conversazione si chiuda qui. Data l’inadeguatezza della mia eloquenza, non mi resta che palesare la prova che avrei preferito tenervi nascosta.»
S’infilò una mano sotto il mantello e ne trasse un documento tutto gualcito, lo dispiegò con mano tremante e glielo porse. Era il contratto stipulato la notte prima nel porcile di Eyrarbakki, con il quale il marito gentiluomo vendeva a un porcaro danese e a un assassino islandese tre notti di pieno godimento dei suoi diritti coniugali, in cambio di un barilotto d’acquavite. Lei prese il documento e lo lesse, e lui si preparò a bere con lo sguardo qualunque suo cambio d’espressione, che però non ci fu: teneva la bocca chiusa e aveva il volto impassibile al quale ricorreva fin dall’infanzia, quando il sorriso spariva. Dopo aver scorso attentamente il contratto per due volte, scoppiò a ridere.
«Ridete?» disse lui.
«Sì», rispose lei, rilesse e rise.
«Passi pure che io sia nato ieri e che da parte vostra non meriti altro che disprezzo e dileggio, anziché un dialogo sincero e amichevole. Ma quel che so è che una donna fiera non ride, neppure per affettazione, di un’inaudita inverecondia come questo scritto.»
«C’è una sola cosa che non capisco», disse lei. «Com’è che siete venuto a parte di questa faccenda, caro reverendo Sigurður? Dov’è il contratto che avete stipulato voi con il porcaro e l’assassino?»
«Sapete benissimo che io non c’entro nulla con questo astruso documento», rispose il pastore.
«Non mi era neppure passato per la mente», ribatté Snæfríður. «Dunque tocca a voi dimostrare di essere subentrato nell’accordo. Altrimenti alla signora non resterà che attendere che i legittimi beneficiari si facciano avanti.»
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Gioco che consiste nel decidere, fra tre ragazze note ad ambo i giocatori, quale sposare, quale portare a spasso e quale rifiutare.