[1, 1] Non sorprende che, nel continuo avvicendarsi di eventi dovuto al capriccio del caso, spesso, per pura coincidenza, si determinino situazioni analoghe. [2] Può darsi che, essendo indefinita la quantità di materia a disposizione della sorte, essa agevolmente dia vita ad una infinità di situazioni analoghe; ovvero che, verificandosi gli eventi da materiale delimitato, necessariamente situazioni derivate dalle medesime circostanze si ripetano. [3] Vi è chi si diletta a collegare eventi — letti o sentiti raccontare — la cui analogia è dovuta a mera coincidenza, sicché in apparenza sembrino scaturire da un disegno razionale e provvidenziale. [4] Alcuni esempi: i due famosi Attis, l’uno di Siria, l’altro arcade, furono entrambi uccisi da un cinghiale1; dei due Atteoni uno fu sbranato dai cani, l’altro dilaniato dai suoi amanti2; [5] dei due Scipioni l’uno fu il primo a sconfiggere i Cartaginesi, l’altro ne determinò la fine3; [6] Ilio cadde prima ad opera di Eracle per via delle cavalle di Laomedonte, poi ad opera di Agamennone che la prese con l’inganno del cavallo di legno ed, infine, ad opera di Caridemo perché un cavallo si mise tra le porte della città impedendone la chiusura4; [7] due città che devono il loro nome a piante tra le più odorose — Io e Smirne —, secondo la tradizione, sono la patria di Omero la prima e la sua tomba la seconda5. [8] Mi sia consentito aggiungere un altro esempio. I generali più bellicosi, abili e subdoli rimasero con un occhio solo: alludo a Filippo6, Antigono7, Annibale8 ed a Sertorio9, protagonista di questo bios. [9] Meno donnaiolo di Filippo10, più leale di Antigono nei confronti degli amici, più mite di Annibale con i nemici, egli li uguagliò tutti per intelligenza, ma li superò per sfortuna: [10] perseguitato dalla sorte più che dai suoi avversari diretti, fu pari a Metello per esperienza militare, a Pompeo per audacia, a Silla nel saper sfruttare il caso, ai Romani per potenza quando, esule, si contrappose loro, lui — straniero — al comando di orde di barbari.

[11] A Sertorio voglio paragonare, tra i Greci, Eumene di Cardia: entrambi abili nel comandare e subdoli in guerra, entrambi esuli dalla patria e a capo di popoli stranieri, andarono incontro, per volontà del fato, ad una morte violenta ed ingiusta; [12] entrambi caddero vittime di complotti orditi da chi aveva collaborato con loro per vincere il nemico.

[2, 1] Quinto Sertorio, discendente da illustre famiglia della sabina Norcia11, rimase ben presto orfano di padre. La madre si dedicò con tanta cura alla sua educazione che egli le rimase sempre legato da profondo affetto; il suo nome era Rea12. [2] Iniziò la carriera pronunciando orazioni giudiziarie e, sebbene ancor giovane, acquisì credito presso la cittadinanza grazie all’abilità retorica. Ben presto, dopo alcune imprese militari condotte brillantemente e con successo, le sue ambizioni si rivolsero altrove13.

[3, 1] All’epoca in cui la Gallia fu invasa dai Cimbri e dai Teutoni14, Sertorio fece il servizio militare al seguito di Cepione15. Sconfitti per la loro scarsa abilità16, i Romani furono costretti a ritirarsi; Sertorio senza cavallo, coperto di ferite, attraversò controcorrente il Rodano a nuoto, e per di più senza togliersi la corazza e lo scudo17 (prova di un fisico vigoroso ed abituato alle fatiche). [2] I Cimbri e i Teutoni invasero di nuovo la Gallia18 costituendo una seria minaccia: la loro forza d’urto era tale che i soldati romani non riuscivano a rimanere nei ranghi per eseguire gli ordini impartiti dal comandante. La spedizione era guidata da Mario; in questa occasione Sertorio ebbe il compito di operare una sortita in campo nemico19. [3] Si vestì come i Celti, acquisì un minimo di nozioni della loro lingua che gli permettesse di improvvisare una conversazione, poi si mescolò ai barbari. Stando tra di loro, prese a spiarne i movimenti e ad ascoltarne i discorsi; non appena fu in possesso delle informazioni necessarie, ritornò nel campo di Mario. [4] La sua audacia fu adeguatamente ricompensata; anche nel prosieguo della campagna compì più volte imprese coraggiose e brillanti, guadagnandosi il rispetto e la fiducia del comandante20.

[5] Quando la spedizione si concluse, venne inviato come tribuno militare al seguito del governatore Didio21 in Spagna, ove trascorse l’inverno presso i Celtiberi nella città di Castulo22. [6] I barbari avevano in spregio i soldati romani, che, profittando dei privilegi che si erano arrogati, erano sempre pronti a commettere soprusi e continuamente ebbri. Una notte, insieme ai rinforzi che avevano chiesto e ottenuto dalla vicina città dei Girisini23, assalirono le case dei Romani e li uccisero. Sertorio riuscì a salvarsi con pochi uomini, radunò i superstiti e fece un sopraluogo lungo le mura. [7] Si accorse che le porte, attraverso le quali i barbari erano penetrati furtivamente, erano rimaste aperte. Sertorio non commise la stessa loro imprudenza: mise di guardia alcune sentinelle, occupò la città e sterminò tutti gli uomini in grado di combattere. [8] Poi, ordinò ai suoi soldati di deporre le armi e levarsi le vesti per indossare quelle dei barbari e li esortò a seguirlo fino alla città da cui erano partiti, la notte, gli assalitori. [9] Ingannati dalla foggia delle armi, i barbari lasciarono aperte le porte: Sertorio potè catturarne molti, perché gli abitanti erano convinti di avere a che fare con gli alleati ed i concittadini che tornavano vittoriosi dall’impresa. [10] Moltissimi furono uccisi dai Romani presso le porte, gli altri si consegnarono e furono venduti.

[4, 1] La fama di Sertorio si diffuse per tutta la Spagna; quando ritornò a Roma, fu eletto questore della Gallia Cisalpina24. Il momento era opportuno: [2] allo scoppio della guerra contro i Marsi25, ebbe l’incarico di arruolare soldati ed approvvigionarsi di armi. Vi si dedicò con grande zelo ed eseguì il compito che gli era stato affidato in brevissimo tempo — se si considerano la lentezza e la fiacchezza degli altri giovani — tanto da guadagnarsi la fama di persona di azione, destinata a grandi imprese. [3] Ebbe una posizione di comando e, con la stessa audacia con la quale aveva agito da soldato, portò a termine da solo gesta straordinarie senza risparmiarsi nel combattimento, anche se ciò gli costò la perdita di un occhio. [4] Era solito vantarsi di questa sua menomazione, dicendo che, mentre gli altri soldati non avevano con sé i segni tangibili del proprio valore perché non sempre indossavano collane, lance e corone, lui, al contrario, esibiva continuamente il marchio del suo coraggio: al vedere il volto deturpato per l’incidente occorsogli, si potevano subito cogliere i segni del suo valore. [5] I Romani gli manifestarono palesemente la propria stima, del resto ben meritata: quando entrava in teatro, era accolto da applausi ed acclamazioni che neppure personaggi più avanzati negli anni e più famosi di lui riuscivano ad ottenere facilmente26.

[6] Non divenne tribuno militare, sebbene avesse posto la propria candidatura, per l’opposizione di Silla27 e sembra che da quel momento egli abbia preso ad odiare Silla. [7] Quando Mario, sconfitto da Silla, andò in esilio e Silla partì per la spedizione contro Mitridate28, il console Ottavio29 rimase fedele alla linea siriana; il collega Cinna, invece, che aveva mire rivoluzionarie, riprese la politica innovativa di Mario e Sertorio lo seguì30, soprattutto perché Ottavio era un debole e diffidava dei partigiani di Mario. [8] I due consoli ebbero un violento scontro nel foro31: Ottavio vinse e Cinna, seguito da Sertorio, fuggì dopo aver perso non meno di diecimila uomini. [9] Essi percorsero tutta l’Italia usando ogni mezzo di persuasione per raccogliere i resti dell’esercito mariano e dar battaglia ai seguaci di Ottavio32.

[5, 1] Nel frattempo Mario, salpato dall’Africa33, stava per raggiungere il console Cinna34, che egli avrebbe affiancato come semplice cittadino. Tutti in Roma erano pronti ad accoglierlo. Sertorio non era d’accordo per due motivi: Cinna, spalleggiato da un personaggio così influente, non avrebbe più favorito lui, Sertorio, come prima; poi, l’arroganza di Mario e la sua mancanza di misura, lo avrebbero indotto a spadroneggiare commettendo ingiustizie e provocando rivolgimenti. [2] A detta di Sertorio, ben presto lui e Cinna sarebbero stati i padroni della città; se Mario fosse ritornato a Roma, si sarebbe attribuita ogni gloria ed avrebbe accentrato nella sua persona ogni forma di potere, perché era contrario alle coalizioni di governo e del tutto inaffidabile. [3] Cinna ammetteva che i discorsi di Sertorio erano pieni di buon senso; quanto a lui, provava molta incertezza e grave imbarazzo, perché non poteva respingere Mario dopo averlo espressamente invitato per aiutarlo a governare la città. Sertorio obiettava [4] che il suo tentativo di individuare la soluzione migliore era dettato dalla convinzione che Mario tornasse in Italia per sua volontà. Ora, invece, non era più necessario che Cinna mettesse all’ordine del giorno il ritorno di Mario ed il comando da attribuirgli, visto che aveva già deciso di richiamarlo! Non restava altro da fare che accoglierlo e metterlo alla prova: la parola datagli non lasciava spazio ad altre decisioni. [5] E così Mario ritornò per volontà di Cinna35 e l’esercito venne diviso in tre parti, ciascuna delle quali comandata da uno di loro36. [6] Benché la guerra fosse ormai finita, le truppe di Mario e Cinna si diedero ad ogni sorta di violenze ed atrocità tanto che i mali della guerra al confronto sembravano oro. Solo Sertorio — si dice — non si lasciò trascinare dal desiderio di vendetta, non uccise nessuno e non commise violenza alcuna approfittando del suo potere. Ciò gli procurò l’inimicizia di Mario; con Cinna, invece, ebbe un colloquio privato e, dopo molte insistenze, riuscì ad ammansirlo. [7] Anche gli schiavi che Mario aveva reclutato durante la guerra e che in seguito ebbero il privilegio di diventare guardie del corpo del tiranno ottenendo denaro e potere37, forse sobillati dallo stesso Mario, forse con la sua complicità, forse di propria iniziativa, oltraggiarono i loro padroni: li assassinavano, violentavano le padrone e i fanciulli. Ritenendo ormai intollerabile la situazione, Sertorio li uccise tutti a colpi di giavellotto mentre si trovavano nei loro accampamenti: essi non erano meno di quattromila38.

[6, 1] Non molto tempo dopo Mario morì39 e di lì a poco Cinna venne assassinato40. Fu eletto console Mario il giovane41, con l’opposizione di Sertorio perché l’elezione era controlegge. Tornato a Roma42, Silla dovette lottare con i vari Carbone, Norbano e Scipione e li vinse43. [2] La situazione precipitò per la debolezza dei capifazione e per colpa dei traditori44. Sertorio non volle diventare, con la sua presenza «inutile», complice dei responsabili di quel degrado: quanto maggiore era il potere tanto peggiori risultavano le mire politiche. [3] L’ultimo atto fu consumato quando Silla si accampò vicino a Scipione45, fingendo intenzioni amichevoli; gli fece credere che voleva trattare ed, invece, provocò la defezione dell’esercito. Sertorio aveva previsto questo pericolo ed, anzi, aveva cercato di mettere in guardia Scipione, ma invano. [4] Senza più speranze abbandonò la città alla volta della Spagna46. Egli intendeva creare un rifugio per gli amici di Roma sconfitti dai loro avversari47 sol che fosse riuscito ad imporre la propria autorità. [5] Mentre attraversava le montagne, fu colto da violenti temporali e fu costretto dai barbari a pagare una tassa di pedaggio per poter proseguire il cammino. [6] Contrariati, i compagni di viaggio mal tollerarono che un proconsole romano dovesse pagare tributi ai barbari incivili; Sertorio, senza punto badare a quella che comunemente veniva considerata un’onta, ribatteva che si trattava di «pagare» il tempo, bene tra i più preziosi per un uomo dalle grandi ambizioni. Diede, quindi, ai barbari il denaro richiesto per tenerli contenti e mise subito piede sul suolo iberico. [7] Vi trovò popoli numerosi e «giovani», intolleranti del dominio romano, nelle forme arroganti e violente esercitate dai vari proconsoli che si erano via via succeduti48. Sertorio riuscì a farseli amici, tessendo ottime relazioni con i capi ed alleviando le popolazioni dall’onere delle tasse. [8] Si rese anche gradito perché non pretese alloggi per le sue guarnigioni e fece stanziare i quartieri invernali dei soldati nei suburbi, anzi fu il primo ad innalzarvi la propria tenda. [9] Non ricorse, tuttavia, solo al favore dei barbari: dei Romani residenti in Spagna, arruolò quelli in grado di prestare servizio militare, fece costruire navi e macchine belliche di ogni genere. In tal modo affermò la propria autorità sulle città, mostrandosi mite nei periodi di pace e temibile nei preparativi di guerra.

[7, 1] Quando venne a sapere che Silla, impadronitosi di Roma, aveva sconfitto i seguaci di Mario e Carbone49, fu certo che, entro breve tempo, sarebbe giunto un generale con un esercito e il compito di muovergli guerra. Fece, pertanto, presidiare i Pirenei da Livio Saldatore50 ed i suoi seimila fanti. [2] Non molto tempo dopo comparve l’inviato di Silla, Gaio Annio51: egli si rese conto della forza del suo avversario, quando, bloccato alle falde dei Pirenei, si trovò in una situazione assai critica52. [3] In seguito all’assassinio a tradimento di Livio da parte di tal Calpurnio detto Lanario53, i soldati abbandonarono le montagne ed Annio potè valicarle con un esercito così potente da sgominare chiunque lo ostacolasse. [4] Sertorio non era in grado di tenergli testa: con tremila uomini si rifugiò a Cartagena54, donde salpò e, attraversato il mare, giunse in Africa, nella regione di Mauritania. [5] Alcuni suoi soldati caddero vittima di un’imboscata tesa loro dai barbari mentre si recavano, inermi, a far rifornimento d’acqua55. Molti perirono e Sertorio si imbarcò di nuovo per la Spagna, ma, ivi approdato, fu scacciato. Allora, alleatosi con i pirati cilici56 che si erano aggregati a lui, ripiegò verso l’isola di Pitiussa57 dove si impadronì della guarnigione che Annio aveva lì posto di guardia e poi salpò di nuovo. [6] Poco dopo comparve Annio con una flotta e cinquemila opliti; Sertorio sferrò un attacco contro di lui, ma la sua flotta era composta di navi leggere, adatte ad una navigazione veloce, e non al combattimento. Al levarsi di un forte zefiro58, quando il mare si ingrossò, la gran parte delle sue fragili navi, battute ai fianchi dai marosi, si infranse obliquamente contro la costa. [7] Con le poche imbarcazioni che gli erano rimaste, per dieci giorni rimase in balia delle onde, mentre la tempesta imperversava sul mare ed i suoi nemici lo minacciavano sulla terraferma: a fatica scampò alle ondate che battevano incessantemente sui fianchi delle navi ed al forte uragano.

[8, 1] Quando il vento si placò, Sertorio riuscì ad approdare su alcune isole disseminate nel mare, dove sostò benché fossero prive di acqua59. Salpò nuovamente e, attraversato lo stretto di Gadara60, piegò a destra costeggiando quella parte della Spagna che si trova oltre la foce del Baetis (fiume che sfocia nell’Oceano Atlantico e dà il nome al territorio che attraversa)61.

[2] Sulla costa incontrò alcuni marinai, appena giunti dalle cosiddette «Isole dei Beati», che si trovano nell’Oceano Atlantico. Sono due isole separate da un piccolo stretto di mare, distanti dall’Africa diecimila stadi. [3] Le piogge vi cadono rare e poco abbondanti, per la gran parte dell’anno soffiano umide brezze che rendono la terra ricca e fertile, adatta alla coltura: essa, invero, produce spontaneamente frutti dolci e così abbondanti da soddisfare le necessità degli abitanti, la cui vita trascorre spensieratamente nell’ozio. [4] Le brezze leggere che spirano sulle isole sono dovute alla mancanza di un netto avvicendarsi di stagioni ed alla gradualità con cui muta il clima. I venti del nord e dell’est, provenienti dal continente, data la lontananza delle isole, debbono percorrere grandi distanze e, di conseguenza, perdono la loro forza e si mitigano prima di giungere su di esse. I venti di nord-ovest e del sud, provenienti dal mare, portano con sé piogge poco frequenti e scarse che si limitano a rinfrescare la terra nutrendola con dolcezza62. [5] Ecco perché anche fra i barbari è radicata la convinzione che questo sia l’Elisio e la terra dei Beati descritta da Omero63.

[9, 1] Nell’ascoltare il racconto di quei marinai, Sertorio fu preso da un acuto desiderio di raggiungere le isole per prendervi dimora e vivere in pace, lontano dalle dittature e dalle guerre senza fine. [2] Ciò fu intuito dai pirati cilici, i quali alla pace e all’ozio preferivano le ricchezze ricavate dai saccheggi. Decisero, quindi, di imbarcarsi per l’Africa per riportare sul trono di Mauritania Ascali, figlio di Ifta64. [3] Sertorio non si perse d’animo, ma stabilì di aiutare i nemici di Ascali, anche perché non voleva che l’impossibilità di procurarsi mezzi di sopravvivenza causasse la «diaspora» dei suoi compagni, ai quali egli voleva offrire nuove prospettive e nuove mete. [4] I Mauritani lo accolsero con gioia. Senza indugi Sertorio mosse guerra ad Ascali e lo assediò. [5] Poiché egli era alleato con Silla, giunse in suo aiuto un esercito comandato da Pacieco65, che, in uno scontro, Sertorio uccise. Si impadronì, quindi, dell’esercito, lo riunì al suo ed assediò Tingis66 dove Ascali si era rifugiato con i fratelli. [6] Una tradizione libica vuole che a Tingis sia il sepolcro di Anteo67: Sertorio fece riportare alla luce la sua tomba, perché non credeva alle dicerie dei barbari sulla grandezza del corpo del gigante. [7] Lo scheletro venne disseppellito: misurava sessanta cubiti come voleva il mito. Stupefatto, Sertorio fece sacrifici, poi ricoprì la fossa di terra; in tal modo, accrebbe la fama di Anteo e ne consolidò il culto. [8] Secondo una tradizione locale di Tingis, alla morte di Anteo la moglie Tinges si sarebbe legata ad Eracle. Dalla loro unione nacque Soface, che divenne il re della città alla quale diede il nome della madre68. [9] Il figlio di Soface, Diodoro69, sottomise gran parte dei popoli che abitavano l’Africa con un esercito di Greci — Olbii e Micenei70 — qui portati da Eracle. [10] Ho fatto questa digressione per rendere omaggio a Giuba, dei monarchi il più amante della storia71: tra i suoi antenati vi sono, infatti, Diodoro e Soface. [11] Sertorio occupò l’Africa, ma si comportò in maniera mite con chi gli rivolgeva suppliche o gli dimostrava fiducia; restituì al popolo le ricchezze, le città e il potere, e prese solo quanto esso gli diede meritatamente.

[10, 1] In quel momento il nostro eroe non aveva progetti chiari circa il suo futuro. Proprio allora giunse una ambasceria da parte dei Lusitani72 che intendevano affidargli il comando dell’esercito. Il timore dei Romani e la conseguente necessità di un comandante abile ed esperto li spingeva a richiedere l’aiuto di Sertorio del quale avevano saggiato la bravura nelle precedenti imprese iberiche. [2] Egli — si dice — non era persona facile agli entusiasmi e alla paura; per carattere rimaneva imperturbabile di fronte agli eventi più funesti ovvero ai successi più eclatanti. [3] Audace quant’altri mai nel fronteggiare uno scontro in campo aperto, se le circostanze richiedevano capacità di sottrarre piani al nemico, abilità nello sfruttamento di una posizione di forza ovvero manovre di attraversamento da condurre con prontezza, inganno e fraudolenza, era bravissimo a piegarsi a tali esigenze. [4] Prodigo nell᾽elargire ricompense al valore, era altrettanto moderato nelle punizioni. [5] Eppure, da quanto di lui si dice, negli ultimi anni della sua vita, fu crudele e violento nei confronti degli ostaggi73, segno che la necessità e il calcolo avevano domato un carattere non certo mite per natura. [6] Non credo che le circostanze, da sole, siano in grado di mutare radicalmente la virtù, se essa è pura e conforme a ragione; non escludo, tuttavia, che il destino possa in una certa misura alterare le qualità di un personaggio, trasformando una natura mite e benevola in una altrettanto crudele, in seguito al verificarsi di grosse sventure. [7] A ciò si deve imputare, a mio parere, il cambiamento di Sertorio: abbandonato dalla buona sorte, inasprito dal destino avverso, si rivoltò contro chi commetteva ingiustizia nei suoi confronti.

[11, 1] Chiamato dai Lusitani, Sertorio abbandonò l᾽Africa. [2] In qualità di comandante supremo, instaurò subito fra le truppe una ferrea disciplina e riuscì a sottomettere il territorio circostante. La gran parte degli Iberi accettò di buon grado il dominio di Sertorio perché ne conosceva la mitezza e le capacità organizzative. Egli seppe anche abilmente allettarli con l᾽inganno. [3] Cominciò con la cerbiatta. Un contadino lusitano aveva trovato in campagna una cerva che aveva appena partorito e stava fuggendo inseguita dai cacciatori. Poiché l᾽animale gli sfuggì, si mise all᾽inseguimento della cerbiatta, colpito dal suo straordinario pelo tutto bianco e la catturò. [4] Con questo trofeo, il contadino si recò da Sertorio che si trovava lì vicino: gli stavano portando i doni della campagna ed i frutti dei campi ed egli li accoglieva con genuino piacere e contraccambiava con generosità. [5] Sertorio accettò il dono senza troppo entusiasmo. Con il tempo la cerva perse ogni selvatichezza: accorreva ai richiami del padrone, lo seguiva dovunque andasse e non si mostrava per nulla spaventata dalla Ma e dagli schiamazzi dei soldati. [6] Sertorio pensò, allora, di presentarla al popolo come dono della divina Artemide e, conoscendo la superstizione dei barbari, diffuse la voce che la cerva era in grado di svelargli molti segreti. [7] Naturalmente si avvaleva di alcuni espedienti. Se veniva segretamente informato che i nemici avevano fatto incursione contro una città che era sotto il suo dominio o ne avevano provocavato la diserzione, fingeva che la cerva, durante il sonno, gli avesse suggerito di tenere pronte le truppe. [8] Se gli riferivano che uno dei suoi generali aveva riportato una vittoria, teneva nascosto il latore della notizia e presentava al popolo la cerva incoronata — segno che era portatrice di buone notizie —, esortando la gente a ben predisporsi ed a sacrificare agli dèi in attesa di un qualche successo74.

[12, 1] Ricorrendo a stratagemmi di tal fatta, Sertorio rese più docili i barbari e li convinse che a guidarli fosse non la volontà di uno straniero ma quella di un dio; gli eventi collaborarono nell᾽accrescere in modo straordinario tale convinzione. [2] Il suo esercito annoverava duemilaseicento «Romani», settecento Libici che lo avevano seguito in Lusitania, quattromila peltasti lusitani e settecento cavalieri. Esso doveva misurarsi con l᾽esercito romano, comandato da quattro imperatores e composto da centoventimila fanti, seimila cavalieri, duemila tra arcieri e frombolieri, spalleggiati da innumerevoli città, mentre Sertorio poteva contare a malapena su una ventina. [3] Eppure, nonostante l᾽esiguità e le scarse forze del suo contingente, riuscì non solo a sottomettere popolazioni indomite e ad occupare molte città, ma anche a battere i generali dell᾽esercito nemico. Nello stretto di Mellaria75 riportò una vittoria navale su Cotta76, [4] per terra sconfisse il governatore della Betica77, Fufidio78, nei pressi del Baetis79 uccidendo duemila Romani; il suo questore80 vinse Domizio Calvisio81, proconsole della Spagna Citeriore; Sertorio uccise di sua mano Torio82, uno dei comandanti che Metello gli aveva inviato contro con un esercito. [5] Lo stesso Metello83, uno dei personaggi più famosi e potenti del tempo, venne più volte sconfitto84 e si trovò in difficoltà tali che dalla Gallia Narbonese corse in suo aiuto Lucio Manlio85 e da Roma fu inviato in tutta fretta con un esercito Pompeo Magno86. [6] Metello non sapeva come comportarsi per piegare quell᾽avventuriero che evitava gli scontri aperti e cambiava con grande disinvoltura tattica militare grazie alla leggerezza dell᾽armatura dei soldati iberici ed alla loro agilità. [7] Egli era abituato alle battaglie tra fanterie contrapposte secondo le regole tradizionali; la falange che comandava era lenta e compatta, agile nel respingere gli attacchi dei nemici ma per nulla idonea ad arrampicarsi sui monti, a bloccare, inseguendoli, uomini così veloci ed a tollerare la fame, i bivacchi senza fuochi e senza tende, come facevano i soldati di Sertorio87.

[13, 1] Metello, per giunta, era piuttosto avanzato in età e, dopo aver partecipato a tante dure battaglie, ora conduceva un tipo di vita più rilassato e comodo, mentre il suo nemico era uomo temerario e dal fisico straordinariamente vigoroso, veloce e leggero. [2] Sertorio non beveva mai, neppure durante le pause dalla guerra, sapeva affrontare grosse fatiche, lunghe trasferte, veglie ininterrotte con cibo scarso e scadente. Finendo col percorrere sempre le stesse zone per cacciare nei momenti di svago, conosceva tutti i luoghi più o meno accessibili e, pertanto, sapeva dove fuggire se inseguito e come circondare il nemico negli agguati. [3] Metello, perciò, non potendo combattere, era nella medesima situazione di un generale che fosse stato sconfitto mentre Sertorio, anche quando veniva messo in fuga, sembrava esserne l᾽inseguitore. [4] Egli impediva al nemico il rifornimento di acqua e viveri, lo bloccava durante gli spostamenti, lo costringeva a muoversi se era accampato. Quando Metello assediava una città, Sertorio compariva all᾽improvviso, gli tagliava il rifornimento dei generi di prima necessità e lo assediava a sua volta. [5] I soldati di Metello erano ormai allo stremo delle forze quando Serto-rio fece conoscere la sua intenzione di sfidare a duello l᾽avversario. La proposta fu da loro accolta con entusiasmo: essi invitarono Metello a combattere generale contro generale, romano contro romano e, quando Metello rifiutò, si ribellarono. Egli non si curava della loro disapprovazione, non a torto [6] perché, come dice Teofrasto, «un generale deve affrontare una morte degna di un suo pari e non di un fante qualunque»88. [7] Fu allora che Metello prese di mira gli abitanti di Langobriga89, fedeli alleati di Sertorio. Avendo constatato quanto fosse facile prenderli per sete (la città possedeva un unico pozzo e, per di più, durante l᾽assedio avrebbero perso le sorgenti dei quartieri periferici e quelle vicine alle mura), marciò contro la città, convinto di poterla ridurre allo stremo nel giro di due giorni. In questa prospettiva aveva in precedenza rifornito i soldati di provviste per soli cinque giorni. [8] Sertorio accorse subito in aiuto dei Langobrigi, fece riempire d᾽acqua duemila otri, pagando ciascuno di essi profumatamente [9] e scelse tra gli Iberi ed i Mauritani che offrivano la loro collaborazione i più robusti e veloci. Li mandò sui monti ordinando loro di consegnare gli orci ai cittadini e di portare fuori della città di nascosto chi non era in grado di combattere, di modo che l᾽acqua fosse sufficiente agli assediati. [10] Nell᾽apprendere ciò, Metello fu colto dallo scoramento, perché i suoi soldati avevano ormai consumato le provviste. Mandò Aquino90 in cerca di cibo con seimila uomini. [11] Quando Sertorio venne a saperlo, preparò un agguato lungo la strada che avrebbero percorso. Al sopraggiungere di Aquino tremila uomini sbucarono fuori da una gola profonda per assalire i nemici, Sertorio gli si parò innanzi e lo mise in fuga, uccidendo alcuni dei soldati, altri catturandoli vivi. [12] Al vedere Aquino tornare senza armi e senza cavallo, Metello batté vergognosamente in ritirata tra le beffe degli Iberi.

[14, 1] In tal modo Sertorio si guadagnava la stima e l᾽affetto dei barbari. Dando loro armi, formazioni militari e tesserae romane91, riuscì a modificare il loro modo di combattere feroce e selvaggio: una banda di briganti si trasformò in un vero e proprio esercito. [2] Senza lesinare oro ed argento, faceva forgiare elmi e scudi finemente lavorati, e confezionare clamidi e chitoni dai vivaci colori: così facendo, li aiutava e assecondava i loro desideri, creandosi una enorme popolarità. [3] Le misure che lo resero maggiormente popolare furono quelle adottate nei confronti dei figli degli Iberi. Radunò i più nobili di ogni etnia nella importante città di Osca92 e li fece istruire nelle lettere da maestri greci e romani. Di fatto questi giovani erano ostaggi anche se ufficialmente si trovavano lì per essere educati, onde poter partecipare, in futuro, alla vita politica, accedendo alle magistrature. [4] I genitori erano profondamente compiaciuti nel vedere i figli, composti e con la toga praetexta, frequentare quella scuola a spese di Sertorio; egli li sottoponeva spesso ad una verifica per saggiarne la preparazione e premiava i più meritevoli con quegli ornamenti aurei che i Romani chiamano bullae». [5] Secondo un uso iberico, le guardie del corpo di un generale si danno la morte se il capo muore (i barbari chiamano questo costume consacrano)94. Orbene, mentre gli altri generali erano seguiti da una esigua scorta di guardie del corpo votate a questa triste sorte, ad accompagnare Sertorio erano in migliaia, pronti a morire per lui. [6] Si racconta che, nel corso di una ritirata, gli Iberi, incalzati dal nemico nei pressi di una città, incuranti di sé, riuscirono a salvare Sertorio sollevandolo al di là delle mura, dopo esserselo passato sulle spalle dall᾽uno all᾽altro. Solo quando il loro comandante fu al sicuro, cercarono scampo95.

[15, 1] Non solo gli Iberi, ma anche i soldati che giungevano dall᾽Italia nutrivano un profondo affetto per Sertorio. [2] Perpenna Ventone96, popularh come Sertorio, giunse in suo aiuto in Iberia, portando con sé molto denaro ed un grande esercito. Quando all’improvviso decise di combattere da solo contro Metello, i soldati ne furono contrariati. Nel suo accampamento non si faceva che parlare di Sertorio tanto che Perpenna, che si vantava di discendere da un illustre casato e di possedere molte ricchezze97, non ne fu affatto contento. [3] Ma proprio allora giunse la notizia che Pompeo aveva oltrepassato i Pirenei: i soldati, armi in pugno e con le insegne della compagnia innalzate, a gran voce costrinsero Perpenna a condurli da Sertorio, [4] minacciando di disertare se non lo avesse fatto. Essi volevano unirsi ai soldati di Sertorio, che, solo, era in grado di allontanare la minaccia costituita da Pompeo e salvarli. [5] Perpenna si piegò e li fece ricongiungere all’armata di Sertorio: erano cinquantatre coorti.

[16, 1] Sertorio aveva raccolto un grande esercito e si era alleato con i popoli che abitavano al di qua del fiume Ebro. Nel suo accampamento affluivano in continuazione da ogni parte nuove forze. [2] L’indisciplina e la ferocia di questi barbari, che assalivano il nemico urlando e non tolleravano indugi, colpì molto Sertorio. Dapprima cercò di ammansirli a parole. [3] Poi, alla prima manifestazione di intolleranza e di violenza, li lasciò fare, permise che si azzuffassero con i nemici, sperando in cuor suo che, malmenati dagli avversari anche se non del tutto sconfitti, diventassero più remissivi. [2] Le sue previsioni si avverarono99. Egli corse in loro aiuto, li bloccò mentre stavano fuggendo e li riportò al sicuro nell’accampamento. [5] Per risollevarli dallo scoramento, pochi giorni dopo riunì in assemblea tutti i soldati, poi fece introdurre due cavalli, uno vecchio e malandato, l’altro grande, vigoroso, con una bella coda folta dal pelo meraviglioso. [6] Fece porre accanto al cavallo debole un uomo vigoroso, accanto a quello forte un individuo piccolo ed insignificante. [7] Ad un segnale convenuto l’uomo pieno di forze afferrò impetuosamente con entrambe le mani la coda del cavallo e la tirò verso di sé per spezzarla, l’altro più debole strappò ad uno ad uno i peli della coda del cavallo più vigoroso. [8] Il primo, dopo essersi affaticato a lungo ed invano, rinunciò tra le risate degli spettatori, il secondo in poco tempo e senza aver compiuto sforzi particolari, mostrò al pubblico la coda priva di peli. [9] A questo punto Sertorio si levò e disse: «Potete constatare, alleati, come la perseveranza sia più efficace della violenza e come ciò che non può essere conquistato tutto d’un colpo cede a poco a poco. [10] La perseveranza è invincibile: il tempo che alla lunga riduce e toglie forza è benevolo alleato di chi sa sfruttare con intelligenza il momento giusto, mentre è nemico di chi agisce con fretta inopinata». [11] A furia di ripetere l’apologo ai barbari, Sertorio insegnò loro l’importanza di servirsi correttamente delle opportunità100.

[17, 1] Tra le sue imprese belliche suscitò molto scalpore la spedizione contro i cosiddetti «Caracitani»101. [2] È questo un popolo che vive al di là del fiume Tagonio: non abita in città о villaggi, ma su un grande ed alto colle il cui versante settentrionale è ricco di cavità ed anfratti. [3] La pianura alla base del colle è costituita di terreno argilloso e poroso e, pertanto, facilmente sgretolabile. Esso è talmente privo di consistenza che, se vi si posa il piede sopra, si spande tutt’in- torno come calce о cenere. [4] Appena si profila la minaccia di un attacco, i Caracitani si rifugiano nelle caverne portando con sé i loro beni, onde evitare di venire depredati e diventano imprendibili con la forza. Sertorio, che si era allora allontanato da Metello, aveva posto il campo nei pressi della collina. Contrariato perché si sentiva impotente nei confronti di quei barbari e temendo di passare ai loro occhi per uno che si tirava indietro, sul far del giorno decise di perlustrare la zona spingendosi fino alla collina. [5] Essa sembrava essere inattaccabile da ogni lato. Ma, mentre era lì in preda all’ira e rimuginava propositi tanto minacciosi quanto vani, vide sollevarsi dalla piana verso l’alto e in direzione delle caverne un gran polverone, mosso dal vento. [6] Gli anfratti erano orientati a settentrione, come ho già detto; il vento, che alcuni chiamano caecias102 e che più di altri imperversa nella zona, soffia da nord, provenendo dalle umide pianure e dai monti innevati del settentrione. [7] Anche in quella stagione — si era in piena estate —, alimentato dai ghiacci che si stavano sciogliendo dalle montagne situate a nord, soffiava con dolcezza, rinfrescando di giorno i Caracitani e il loro bestiame. [8] Sertorio prese atto della situazione, aggiunse ai dati autoptici ciò che dicevano gli indigeni, rielaborò il tutto, quindi ordinò ai soldati di prendere il terreno secco e cinerino della pianura e di portarlo di fronte alla collina ammucchiandolo. Durante tale operazione i barbari si prendevano gioco di lui, convinti che volesse costruire un terrapieno per assalirli. [9] I soldati lavorarono fino al sopraggiungere della notte, poi Sertorio li condusse via. Sul far del giorno cominciò a soffiare una brezza leggera che rimosse la parte superficiale della terra che i soldati avevano ammucchiato a mo’ di tumulo, disperdendola come le pagliuzze di una balla di fieno. [10] Con il levarsi del sole sopravvenne l’impetuoso caecias che coprì di polvere la collina: i soldati che erano saliti sul terrapieno rivoltavano da sotto in su la terra ammassata e la calpestavano, mentre alcuni vi facevano addirittura camminare su e giù i cavalli perché la terra, sgretolata il più possibile, potesse sollevarsi più facilmente sotto la spinta del vento. [11] Il terreno, rivoltato e smosso con tanta cura, divenuto preda del vento, fu sollevato in alto in direzione degli anfratti dove i barbari si nascondevano e che avevano l’apertura rivolta verso il caecias. [12] Tali aperture costituivano gli unici sbocchi delle caverne: i barbari, colpiti in pieno dal vento intriso di cenere, ne rimasero accecati e soffocati. [13] Dopo due giorni di resistenza, il terzo si arresero a Sertorio: l’impresa accrebbe non tanto il potere quanto la nomea di Sertorio che con l’astuzia aveva ottenuto ciò che le armi non erano riuscite a conquistare.

[18, 1] Nella guerra tra Sertorio e Metello la sorte sembrava favorire il primo, anche perché Metello, avanzato negli anni e per natura lento, non era in grado di fronteggiare l’audacia di un uomo che comandava briganti più che soldati. [2] Quando Pompeo riuscì ad attraversare i Pirenei e pose il campo di fronte a quello di Sertorio, tra i due vi fu un lungo periodo di schermaglie, nel corso delle quali entrambi sperimentarono con successo stratagemmi escogitati dall’avversario о nefurono vittime103. Infine Sertorio riuscì a spuntarla su di lui, capace come era a guardarsi dalle insidie del nemico ed a tenderne a sua volta. La sua nomea di generale tra i più abili nel condurre la guerra giunse sino a Roma. [3] Vi è da dire che la fama di Pompeo non era cosa da poco: le imprese brillanti condotte sotto Siila gli avevano procurato il cognomen di Magno («Grande»)104 e l’onore del trionfo quando era ancora imberbe105. [4] Per tale motivo molte città che erano in mano a Sertorio guardavano a Pompeo sperando di poter passare dalla sua parte, ma desistettero ben presto dopo l’inaspettato esito dell’assedio di Lauro106. [5] Sertorio aveva cinto d’assedio la città, Pompeo vi giunse in soccorso con l’intero esercito. Lì vicino vi era una collina che sembrava costituire un ottimo punto strategico: Sertorio aveva fretta di occuparla e Pompeo cercò di impedirglielo. [6] Sertorio arrivò per primo. Pompeo, convinto che la situazione fosse a lui favorevole, pensava di poterlo stringere tra la città ed il suo esercito accampato lì vicino. [7] Inviò, pertanto, un’ambasceria agli abitanti per incoraggiarli e li invitò ad affacciarsi alle mura perché si rendessero conto della facilità con cui avrebbe stretto d’assedio Sertorio. [8] La notizia fece sorridere Sertorio il quale esclamò che avrebbe mostrato al discepolo di Siila (così chiamava Pompeo per burla) che un buon generale deve guardarsi alle spalle e non limitarsi a osservare ciò che ha innanzi. [9] Mostrò, quindi, agli assediati seimila fanti che aveva lasciato nell’accampamento dal quale era partito per occupare la collina e che avevano ricevuto l’ordine di cogliere alle spalle Pompeo nel momento in cui avesse attaccato. [10] Troppo tardi Pompeo comprese la situazione: egli non osava farsi avanti per timore di un accerchiamento e, d’altra parte, si faceva scrupolo di abbandonare i cittadini assediati che stavano correndo un grave rischio. Ed intanto era costretto ad assistere impotente alla loro capitolazione giacché i suoi alleati barbari si stavano consegnando a Sertorio in preda alla disperazione. [11] Sertorio, però, non infierì su di loro e li lasciò liberi. Incendiò la città non tanto per perseguire un crudele desiderio di vendetta — di tutti i generali sembrava essere il meno propenso all’ira — quanto per suscitare sentimenti di vergogna ed avvilimento tra i partigiani di Pompeo e perché tra i barbari si diffondesse la voce che Pompeo, pur essendosi trovato così vicino alla città assediata da potersi riscaldare alle fiamme dell’incendio, non ne aveva difeso i cittadini suoi alleati10

[19, 1] Anche Sertorio fu più volte sconfitto; erano, invero, i suoi generali a subire le disfatte, mentre lui ed il suo esercito continuavano a rimanere invincibili. [2] Abilissimo nel rimediare agli insuccessi, per ciò era stimato più degli avversari, anche se vittoriosi. Così successe, ad esempio, nella battaglia del Sucrone108 combattuta contro Pompeo e ancora in quella di Segonzia contro Pompeo e Metello coalizzati109. [3] La battaglia del Sucrone fu causata — a quanto si dice — dalla fretta di Pompeo che non voleva dividere la vittoria con Metello. [4] Anche Sertorio desiderava affrontare Pompeo prima dell’arrivo di Metello. Egli, tuttavia, temporeggiò fino a sera e solo allora attaccò, convinto che le tenebre avrebbero ostacolato i nemici, i quali, non essendo del luogo, conoscevano poco la zona ed avrebbero trovato difficoltà sia nel fuggire sia nell’assalireuo. [5] Quando i due eserciti si scontrarono, Sertorio si trovò faccia a faccia non con Pompeo ma con Afranio11’ che guidava l’ala sinistra mentre Sertorio era nell’ala destra. [6] Avendo saputo che i suoi, impegnati con Pompeo, stavano battendo in ritirata, affidò l’ala destra ad altri112 e corse in aiuto dei vinti. [7] Bloccò i soldati in fuga riunendoli con quelli rimasti sul posto, rivolse loro parole di incoraggiamento; infine, attaccò Pompeo ed i suoi che stavano a loro volta attaccando e mise in fuga i soldati113. [8] Pompeo stesso, ferito114, rischiò la vita e riuscì fortunosamente a salvarsi sol perché i Libici alleati di Sertorio si impadronirono del suo cavallo, bardato di finimenti dorati e impreziositi da fitte borchie metalliche finemente intarsiate, e, per dividersi il bottino, rinunciarono all’inseguimento115. [9] Nel frattempo Afranio ebbe il sopravvento sugli avversari schierati di fronte a lui, che Sertorio aveva lasciato per correre in aiuto dell’altra ala, li ricacciò fino all’accampamento, li attaccò al calar delle tenebre e li sgominò, ignaro che Pompeo, essendo fuggito, non era riuscito ad impedire ai suoi soldati di darsi al saccheggio116. [10] Vinto il nemico contro il quale stava combattendo, Sertorio ritornò di nuovo nell’ala che comandava in precedenza e, approfittando del grande disordine che regnava fra i nemici, li assalì e ne uccise molti. [11] Sul far del giorno si preparò ad un nuovo combattimento, ma, avuta notizia che Metello si stava avvicinando, sciolse le file e si ritirò dicendo: «Io quello sbarbatello, se non fosse comparsa la vecchia, l’avrei rispedito a Roma carico di botte!»117.

[20, 1] Proprio in quel periodo la cerva della quale ho già parlato118 divenne introvabile: Sertorio fu preso dallo sgomento perché si vedeva privato di uno strumento di persuasione senza pari nei confronti dei barbari, proprio quando avevano bisogno di essere incoraggiati. [2] Un po’ di tempo dopo alcuni viandanti, di notte, si imbatterono nell’animale119 e, riconosciutolo dal colore del pelo, lo catturarono. [3] Poi informarono Sertorio; egli promise un bel gruzzolo di denaro in cambio del loro silenzio circa l’awenuto ritrovamento. La cerva rimase nascosta per alcuni giorni. Quindi Sertorio si presentò agli Iberi tutto baldanzoso, salì sulla tribuna ed annunciò ai capi di aver ricevuto in sogno una rivelazione divina riguardante una grande fortuna. Mentre si accingeva ad aprire le udienze, [4] i guardiani liberarono la cerva che corse giuliva verso la tribuna dove aveva visto Sertorio, si fermò accanto a lui e, poggiandogli la testa sulle ginocchia, col muso gli sfiorò la mano destra, come era solita fare. [5] Sertorio ricambiò con autentico trasporto le manifestazioni d’affetto dell’animale e versò anche qualche lacrima. I presenti, colpiti da ciò a cui avevano assistito, scortarono Sertorio a casa tra grida e applausi, convinti di aver a che fare con un essere dotato di poteri soprannaturali e caro agli dèi: in loro rinacquero le speranze per il futuro120.

[21, 1] Nella piana di Segonzia121 il nostro eroe aveva assediato i nemici, riducendoli allo stremo delle forze. Poiché essi compivano continue razzie per procurarsi il cibo, fu costretto ad affrontarli in campo aperto122. [2] Dovette battersi strenuamente su due fronti: Memmio, il più valido dei luogotenenti di Pompeo123, cadde nel pieno della battaglia e Sertorio, vittorioso, fece strage dei soldati che ancora cercavano di opporsi. Si mosse verso Metello: egli stava resistendo oltre misura malgrado l’età, ma venne colpito da una lancia124. [3] I soldati romani che avevano assistito alla scena ovvero ne avevano avuto notizia dai commilitoni non ebbero il coraggio di abbandonare il loro generale: con furia cieca si rivoltarono contro gli avversari, gli scudi protesi in avanti, lo sottrassero con la violenza agli Iberi, che respinsero. [4] Sertorio si rese conto che era ormai impossibile vincere la battaglia; escogitò, pertanto, uno stratagemma che gli permettesse di fuggire e di far venire in soccorso altri contingenti senza, tuttavia, correre rischi. Durante la fuga, giunse in una città arroccata su un monte e di difficile accesso125, e si mise a rinforzarne le mura e le porte; non aveva certo intenzione di sostenere un assedio, ma voleva solo ingannare i nemici. [5] Essi si prepararono all’assedio, convinti che il luogo fosse facilmente espugnabile e non si accorsero che i fuggiaschi erano andati oltre la città e che l’esercito di Sertorio si stava nuovamente riaggregando. [6] Egli aveva inviato i suoi legati nelle città alleate con l’intesa che lo avrebbero avvertito quando avessero raccolto un numero sufficiente di uomini. [7] Non appena fu informato dai messaggeri, Sertorio si ricongiunse ai suoi facendosi strada senza problemi tra i nemici e sferrò un nuovo attacco con un esercito più numeroso. Impedì loro di sfruttare le risorse di quella fertile terra tendendo agguati, accerchiandoli, operando incursioni in più punti ed assalti fulminei; quanto al mare, fece presidiare le coste dalle navi dei pirati126. [8] Alla fine i generali romani dovettero separarsi e ritirarsi, Metello in Gallia, Pompeo presso i Vaccei127, dove passò l’inverno tra mille difficoltà per mancanza di risorse; intanto scriveva al senato, minacciando di licenziare l’esercito se da Roma non gli avessero inviato del denaro: il suo patrimonio l’aveva consumato tutto nelle lotte sostenute in Italia. [9] In Roma circolava insistente la voce che Sertorio sarebbe giunto in Italia prima di Pompeo, tanto grande era la sua abilità rispetto ai migliori generali del tempo.

[22, 1] Il timore che Metello provava nei confronti del potere e della grandezza dell’avversario è evidente dall’editto che egli promulgò128, promettendo a chi avesse ucciso Sertorio una taglia di cento talenti d’argento e ventimila plettri di terreno129 se civis romano, il ritorno a Roma se esule. Per evitare ulteriori scontri in campo aperto, Metello comprava la morte di Sertorio incitando al tradimento. [2] L’avere, poi, riportato una sola vittoria su Sertorio gli infuse tanta baldanza e fiducia nelle proprie capacità di mietere successi da farsi insignire del titolo di imperator e da pretendere sacrifici ed altari dalle città in cui si recava130. [3] Raccontano che egli si faceva porre corone sul capo, che era invitato a sontuosi banchetti ai quali partecipava indossando le vesti del trionfatore, che riceveva trofei d’oro e corone che gli venivano consegnate da Vittorie alate mosse da appositi macchinari, mentre cori di donne e fanciulli cantavano epinici in suo onore131. [4] Per Metello Sertorio era uno schiavo sfuggito a Siila, il cui esilio costituiva un’appendice di quello di Carbone: la sua baldanza per averlo messo in fuga e vinto, lo rendeva, pertanto, ancor più ridicolo.

[5] Serto rio dimostrava altrimenti la sua grandezza: ai senatori romani esuli in Iberia mantenne il titolo di «senatore», sceglieva tra loro i questori ed i pretori e regolava gli affari in ossequio alle leggi romane132. [6] Pur servendosi delle armi e del denaro fomiti dalle città iberiche, non assegnava ai locali nessuna alta magistratura, neppure nominale, sicché essi avevano come pretori e magistrati dei Romani: lo scopo di Sertorio era quello di rendere liberi i Romani e non di creare una classe politica iberica potente che si opponesse a Roma. [7] Egli amava la sua patria e desiderava ritornarvi. Nei momenti difficili era capace di eroismi, ma non infieriva mai sugli avversari, anzi, quando vinceva, di solito mandava messaggi a Metello e Pompeo, dicendosi pronto a deporre le armi ed a ritirarsi a vita privata purché gli permettessero di tornare in patria. [8] Preferiva vivere come un qualsiasi anonimo cittadino in Roma piuttosto che essere proclamato, esule, capo di popoli interi. [9] Dicono che il vero movente del suo desiderio di tornare in patria fosse l’amore per la madre che lo aveva allevato — sola — quando era rimasto orfano di padre e gli aveva dato tutto il suo affetto. [10] Seppe della sua morte nel momento in cui gli amici iberici gli proponevano il comando133 e per poco non si tolse la vita per il dolore. [11] Per sette giorni rimase sdraiato sul suo giaciglio senza impartire ordini e vedere nessuno, neppure gli amici. A fatica i colleghi e i pari grado che stavano di guardia vicino alla sua tenda riuscirono a farlo uscire perché incontrasse i soldati e lo sollecitarono ad occuparsi delle sue attività che stavano andando per il meglio. [12] A ragione, dunque, i più ritengono che la vera indole di Sertorio fosse mite e tranquilla e che egli avesse intrapreso la carriera militare, facendo forza alla propria natura; non accordandogli l’impunità, gli avversari lo costrinsero a prendere le armi ed a fare della guerra una forma di difesa della propria incolumità.

[23, 1] Altrettanta magnanimità Sertorio mostrò nelle trattative con Mitridate. [2] Vinto da Siila, il re si preparava ad una nuova guerra contro Roma: invase, dunque, l’Asia134. La fama di Sertorio si era diffusa un po’ ovunque ed anche nel Ponto i marinai provenienti dall’occidente pubblicizzavano le sue gesta come una mercanzia straniera. [3] Mitridate decise di inviargli ambasciatori, spinto anche dagli adulatori che lo circondavano135 che, da veri fanfaroni, paragonavano Sertorio ad Annibaie, Mitridate a Pirro e concludevano che i Romani non sarebbero riusciti ad infrangere una coalizione formata dal più abile dei generali e dal più potente dei re. [4] Vennero inviati da Mitridate ambasciatori in Iberia come latori di una missiva contenente la seguente proposta: Mitridate prometteva aiuti in denaro e navi per sostenere la guerra in cambio del dominio sull’Asia, del quale i Romani lo avevano privato dopo il trattato stipulato con Siila. [5] Sertorio convocò il consiglio che egli chiamava senato, premuto anche da chi voleva che la proposta fosse incondizionatamente accettata (giacché si richiedeva un assenso formale, di fatto privo di valore perché relativo a cose su cui essi non avevano potere, in cambio di aiuti concreti dei quali, al contrario, avevano bisogno). [6] Sertorio non fu d’accordo: egli era convinto che non ci si dovesse opporre all’occupazione da parte di Mitridate della Bitinia e della Cappadocia, perché tali regioni erano abitate da gente avvezza a servire e non erano nella sfera degli interessi dei Romani. Quanto, invece, alla provincia che i Romani governavano a pieno diritto136 e che avevano riconquistato con una battaglia vinta da Fimbria137 quando Mitridate l’aveva occupata sottraendola loro, patteggiando in seguito — nel corso delle trattative con Siila — la resa di Mitridate, Sertorio non avrebbe permesso a Mitridate una nuova invasione. [7] Egli, infatti, voleva dar lustro a Roma con le sue vittorie e non indebolirla per ritagliarsi un piccolo spazio di potere. Un uomo di nobili sentimenti doveva vincere con onore e non usare mezzi vergognosi per mettersi al sicuro.

[24, 1] La risposta di Sertorio a Mitridate138, congegnata nei termini sopra riferiti, colse alla sprovvista il re il quale — si dice — sbottò di fronte agli amici in questa esclamazione: [2] «Quali ordini avrà il coraggio di impartire Sertorio quando riuscirà ad insediarsi sul Palatino139, se già ora, confinato in una terra bagnata dall’Oceano Atlantico, vuole limitare il nostro potere e ci minaccia di guerra se tentiamo di occupare l’Asia?». [3] Nonostante queste premesse, fu stipulato un patto fra i due: Mitridate avrebbe conservato la Cappadocia e la Bitinia, Sertorio gli avrebbe inviato un legato con dei soldati in cambio di tremila talenti e quaranta navi. [4] L’uomo che Sertorio inviò in Asia era uno degli esuli del senato e si chiamava Marco Mario140. Con il suo aiuto Mitridate occupò alcune città dell’Asia. Era Mario tuttavia, ad entrare per primo, a cavallo, con fasci e scuri: Mitridate di buon grado lo seguiva al secondo posto, come un suddito. [5] Ad alcune città asiatiche Mario restituiva la libertà, ad altre mandava messaggi preannunciando che, grazie a Sertorio, sarebbero state esonerate dai tributi. L’Asia, fino ad allora oppressa dagli esattori, sconvolta dalla tracotanza e dalla avidità delle truppe ivi stanziate, sperava e attendeva un cambiamento di governo.

[25, 1] Nel frattempo in Spagna i senatori e i colleghi di Sertorio, che avevano ormai raggiunto una certa sicurezza e confidavano di poter vincere gli avversari, cominciarono a nutrire senza motivo invidia e gelosia nei confronti di Sertorio per il potere che aveva raggiunto. [2] Li guidava Perpenna141, che pretendeva con arroganza di assumere il comando per via dei suoi nobili natali. Cominciò, dunque, furtivamente, a rendere partecipi gli amici di tali indegni propositi. [3] Diceva: «Per quale cattiva sorte stiamo andando di male in peggio? Noi che in patria ritenemmo lesivo della nostra dignità eseguire gli ordini di Siila che allora spadroneggiava per mare e per terra, qui giunti con la speranza di vivere liberi, ci siamo rovinati, siamo divenuti volontariamente degli schiavi, facciamo i guardiani dell’esilio di Sertorio, facciamo parte di un senato il cui nome da solo è sufficiente a suscitare l’ilarità degli ascoltatori, tolleriamo violenze e soprusi e ci sottoponiamo a fatiche proprio come gli Iberi e i Lusitani?». [4] Infiammati da queste parole, i più, pur senza rivoltarsi apertamente contro Sertorio di cui temevano il potere, gestivano male i suoi affari senza che se ne accorgesse, maltrattavano i barbari, li punivano con durezza e li oneravano di balzelli addossando ogni responsabilità a Sertorio. [5] La ribellione e il disordine cominciarono allora a serpeggiare nelle città. I capi inviati da Sertorio per rimediare agli sconvolgimenti e calmare gli animi facevano ritorno dalle loro spedizioni solo dopo aver inasprito i conflitti e rinfocolato lo spirito di ribellione. [6] Tutto ciò modificò talmente il comportamento di Sertorio che, da benevolo e mite qual era, arrivò a far violenza sui giovani Iberi allevati ad Osca142, uccidendone alcuni e vendendone altri.

[26, 1] Perpenna, dopo aver tratto dalla propria parte molti congiurati, riuscì a convicere anche uno dei generali, tal Mallio143. [2] Era costui infatuato di un bel giovinetto e, per dargli prova tangibile del suo affetto, lo mise a parte del complotto e lo invitò ad abbandonare gli altri suoi amanti per dedicarsi a lui solo, perché nel giro di pochi giorni sarebbe diventato potente. [3] Ma il giovane aveva un debole per un altro dei suoi innamorati, di nome Aufidio144 e gli riferì quanto aveva detto Mallio. Aufidio ne rimase molto turbato: anch’egli faceva parte del complotto ma ignorava che Mallio fosse dei loro. [4] Il giovane gli aveva fatto anche i nomi di Perpenna, Grecino145 ed altri che — a quanto ne sapeva — erano tutti congiurati. Anche se sconvolto, fece finta di non dar peso a quanto gli era stato riferito e invitò il giovane a non dar retta a Mallio, uomo vanesio e frivolo. Poi si recò da Perpenna e gli comunicò che non vi era tempo da perdere se non si volevano correre dei rischi e che bisognava agire. [5] Tutti furono d’accordo, assoldarono un uomo, il quale aveva il compito di presentarsi a Sertorio con una lettera che annunciava la vittoria di uno dei generali sertoriani e la strage dei nemici. [6] Sertorio accolse la notizia con viva soddisfazione e offrì sacrifici agli dèi; Perpenna lo invitò ad un banchetto insieme agli amici lì presenti — erano tutti congiurati — e dopo molte insistenze riuscì a convincerlo. [7] I banchetti ai quali partecipava Sertorio si svolgevano all’insegna del massimo decoro e della più grande compostezza, perché egli non voleva vedere né ascoltare alcunché di disdicevole. Con i suoi commensali amava trattenersi compostamente, con garbo e cordialità. [8] In quell’occasione, in pieno simposio, andando alla ricerca di uno spunto per provocare un diverbio, i commensali cominciarono a servirsi ostentatamente di un linguaggio volgare e, fingendosi completamente ubriachi, abbandonarono ogni ritegno per farlo adirare. [9] Sertorio, contrariato dalla loro scompostezza ovvero intuendo i loro propositi dall’audacia del linguaggio e dal fatto che non lo curavano, diversamente dal solito, cambiò posizione sul triclinio e voltò loro la schiena dando così ad intendere che non voleva vedere о sentire nulla. [10] Dopo che Perpenna, presa una coppa di vino, nel berla se la fece sfuggire dalle mani con gran fragore (era questo il segnale convenuto), Antonio146, che si trovava nel triclinio al di sopra di Sertorio14’, lo colpì con la spada. [11] Ferito, egli fece per voltarsi nel tentativo di sollevarsi ma Antonio si gettò su di lui, gli afferrò le mani per impedirgli di difendersi dai numerosi colpi che gli venivano vibrati: così Sertorio morì148.

[27, 1] Gli Iberi reagirono allontanandosi immediatamente dai sertoriani e, previi accordi tramite messaggeri, passarono a Pompeo e Metello. Perpenna radunò quelli che erano rimasti con lui149 e cercò di portare avanti una linea di azione. [2] Ma, pur usando gli stessi metodi di Sertorio, Perpenna non sapeva servirsene se non per scopi turpi per cui divenne evidente che non era in grado né di comandare né di obbedire150. Durante la campagna contro Pompeo [3] fu subito sconfitto e fatto prigioniero151. Non tollerò la disfatta con il coraggio di un vero imperator: impadronitosi dei documenti di Sertorio, promise a Pompeo di fargli leggere lettere autografe di consolari e potenti che da Roma richiamavano Sertorio in Italia, dove, a parer loro, molti volevano abbattere lo stato e provocare un cambiamento di regime. [4] Pompeo, in quell’occasione, non mostrò giovanile inesperienza152, ma seppe comportarsi da uomo politico consumato e avveduto e riuscì a stornare da Roma il pericolo di una rivoluzione. [5] Fece un gran mucchio dei documenti e delle carte di Sertorio, li bruciò senza leggerli о farli leggere a chicchessia153 ed uccise senza indugio Perpenna nel timore che potesse provocare disordini e ribellioni diffondendo i nomi degli estensori dei messaggi. [6] I complici di Perpenna vennero portati al cospetto di Pompeo e trucidati: solo alcuni riuscirono a fuggire in Africa dove morirono sotto le frecce dei Mauritani. [7] Aufidio scampò all’eccidio sia perché trovò un nascondiglio sicuro sia perché nessuno si curò di lui: invecchiò, tra disagi di ogni genere, odiato dalla popolazione, in un villaggio barbaro.

1. Dell’Attis arcade non si sa nulla; l’altro è il giovane compagno di Cibele, cui altrove FLUTARCO (Numa 4, 3) attribuisce provenienza frigia (cfr. anche FVIDIO,Fasti IV 221-244). Una delle versioni più antiche della morte di Attis riferisce che fu ucciso da un cinghiale (PAUSANIA VII 17, 10) come il siriano Adonis, donde — forse — l’attribuzione di un’origine siriana ad Attis.

2. L’Atteone sbranato dai cani era un cacciatore beota, discendente per parte di madre dal fondatore di Tebe, Cadmo; secondo la versione più diffusa (attestata a partire da Stesicoro apud PAUSANIA IX 2, 3), fu in tal modo punito da Artemide che aveva sorpreso al bagno. Meno attestato il mito di Atteone di Corinto, perseguitato dagli amanti per la sua bellezza: durante un tentativo di rapimento da parte di uno di loro, finì dilaniato (scolio ad APOLLONIO RODIO IV 1212). In Moralia 772E-773B Plutarco specifica che il rapitore di Atteone fu uno degli Eraclidi, Archia, colui che in seguito fondò Siracusa.

3. Publio Cornelio Scipione Africano, console nel 205 e nel 194, vinse Annibale a Zama a conclusione della seonda guerra punica nel 202; l’Emiliano, figlio di Emilio Paolo ed entrato per adozione nella famiglia degli Scipioni (vd. Emilio 5, 5), fu console nel 147 e nel 134 e rase al suolo Cartagine nel 146.

4. Laomendonte, figlio di Ilo e re di Troia, aveva promesso ad Eracle le cavalle immortali (donate da Zeus all’avo Troo: Iliade V 265-267), se avesse liberato la figlia Esione, prigioniera di un mostro marino. Non mantenne la promessa ed Eracle occupò Troia (APOLLODORO II 5, 9 e 6, 4; FIODORO IV 32; FGINO,Fabulae 89). Notissimo il mito del cavallo costruito da Ulisse, con il quale Troia fu espugnata. Caridemo, comandante eubeo del IV secolo a. C, era al soldo sia degli Ateniesi sia del loro nemico Cotys re di Tracia. Il modo in cui prese Troia è narrato da FOLIENO (III 14) ed FNEA TATTICO (24, 3-9).

5. Ἴov è la viola e σμύρνα la mirra. Non vi è traccia di tale etimologia nelle fonti antiche. Io è una piccola isola rocciosa a sud di Paro e di Nasso, Smirne una celebre città della Ionia. Entrambe figurano nell’elenco dei luoghi che si contendevano i natali di Omero (Antologia Planudea 296): propendono per Io Aristotele (secondo FELLIO III 11, 6) e FNTIPATRO DI SIDONE (Antologia Palatina VII 2). Non vi sono attestazioni di Smirne come luogo di sepoltura di Omero (Io come tomba di Omero è in FLINIO, Naturalis bistorta IV 69; FAUSANIA X 24, 2).

6. Filippo II, il padre di Alessandro, perse l’occhio destro durante l’assedio di Metone: FIODORO XVI 34, 5; FTRABONE VII fr. 22; FLUTARCO, Moralia 307D che invoca come fonte CALLISTENE (= FGrHist 124 F 57); FIUSTINO VII 6, 14.

7. Antigono Monoftalmo, padre di Demetrio Poliorcete, perse forse l’occhio durante l’assedio di Perinto nel 340/339 (R. A. BILLOWS, Antigonos the One - Eyed and the Creation of the Hellenistic State, Berkeley-Los Angeles 1990, pp. 27-28). È citato come «monoculo» pure in Moralia 11B. Sul pudore di Antigono per questo suo difetto acquisito (fece dipingere da Apelle la propria immagine obliqua per coprire il difetto) si veda FLINIO,Naturalis historia XXXV 90.

8. Annibale avrebbe perso l’occhio per un’infezione mal curata contratta in Italia nel 217 durante il trasferimento dal territorio dei Liguri in Etruria (secondo FORNELIO NEPOTE,Hannibal 4, 3 si trattava dell’occhio destro): FOLIBIO III 79, 12; LIVIO XXII 2, 10-11; OROSIO IV 15, 3.

9. Per il modo in cui Sertorio perse l’occhio, vd. 4, 3-4.

10. Cfr. FIUSTINO IX 8, 2-3.

11. Vd. FLINIO,Naturalis historia III 107.

12. Il nome della madre è generalmente interpretato come la forma femminile del gentilizio Raius o Rahius, presumibilmente di origine etrusca, molto diffuso nell’Italia centrale.

13. Per i dati forniti in questo capitolo, si veda l’Introduzione, pp. 726-727.

14. Popoli di origine norvegese, che, dall’inizio del secondo secolo, avevano iniziato a migrare verso sud, sconfiggendo ripetutamente gli eserciti romani dal 113 al 107.

15. Q. Servilio Cepione, pretore nel 109, governatore negli anni 108/107 della Spagna Ulteriore e vincitore dei Lusitani sui quali trionfò nel 107 (BROUGHTON I, pp. 546 e 549), fu console nel 106 (ibid., p. 553).

16. Nel 105, come proconsole in Gallia, nella battaglia di Arausio, rifiutò ogni tipo di coordinamento con il collega Cn. Mallio Massimo, contribuendo alla sconfitta. Ritornato a Roma, fu processato e condannato all’esilio: CICERONE, De oratore II 197; Pro Balbo 28; LIVIO, Periochae 67.

17. Cfr. anche AMMIANO XXIV 6, 7 e NEPOZIANO, Epitoma librorum Valerli Maximi 21, 3 (con il particolare inverosimile dell’asta infissa nell’occhio).

18. Nella primavera del 102.

19. La gran parte degli interpreti ritiene che la missione di Sertorio sia da collocare nell’estate del 102, quando Mario e i suoi, accampati alla confluenza tra il Rodano e l’Isère, appaiono sempre bene informati sul cammino e i tempi di marcia degli invasori (Mario 14, 10; 15, 1).

20. In questa espressione è adombrata per taluni la partecipazione alle battaglie di Aquae Sextiae (fine 102) e Vercellae (estate 101), durante le quali i Romani sconfissero definitivamente i barbari.

21. T. Didio fu tribuno della plebe nel 103, pretore nel 101, governatore della Macedonia nel 100/99 (BROUGHTON I, pp. 563, 571, 577). Eletto console nel 98, governò la Spagna Citeriore fino al 93 (BROUGHTON II, pp. 4 e 7) in maniera spietata (APPIANO, Storia iberica 99, 431-100).

22. Città degli Oretani e non dei Celtiberi (come afferma erroneamente Plutarco), segnava il confine tra la Citeriore e l’Ulteriore: STRABONE III 3, 2. Sin dalla seconda guerra punica era stata utilizzata come quartiere d’inverno per le truppe romane (LIVIO XXIV 41, 7; APPIANO, Storia Iberica 16, 61).

23. Vd. la Nota critica.

24. Secondo la gran parte degli interpreti, l’elezione risalirebbe al 91, la questura al 90. È incerto se la Gallia fosse allora una provincia questoria oppure Sertorio fosse questore al seguito di un pretore o, ancora, fosse mandato in Gallia come quaestor pro praetore (vd. W. V. HARRIS, The Development of the Quaestorship, 267-81 B. C, «The Classical Quarterly» n. s. 26, 1976, p. 100).

25. Per la guerra sociale vd. la mia nota a Catone Minore 2, 1.

26. Cfr. SALLUSTIO, Historiae I 89 M. et ei voce magna vehementer gratulabantur.

27. La repulsa, antecedente agli eventi narrati nel contesto successivo, risalirebbe all’89 o all’88.

28. Sintesi degli eventi dell’estate 88-primavera 87 per cui cfr. Livio, Periochae 77; PLUTARCO, Mario 34-35 e Silla 7-10; FLORO II 9; APPIANO, Guerre civili I 55-62. L’alleanza tra Mario e il tribuno P. Sulpicio Rufo provocò uno scontro con Silla, il quale occupò la città. Sulpicio fu ucciso, Mario fuggì in Africa, Silla ottenne il comando della spedizione contro Mitridate VI che aveva invaso nell’89 la Bitinia e nell’88 aveva conquistato la provincia romana d’Asia. La prima guerra mitridatica durò sino all’85.

29. Cn. Ottavio fu pretore nel 90 e console nell’87 insieme a L. Cornelio Cinna, anch’egli pretore nel 90: BROUGHTON II pp. 45-46.

30. Secondo APPIANO (Guerre civili I 65, 295), solo in un secondo momento alcuni senatori, fra cui Sertorio, raggiunsero Cinna.

31. Nell’87: sul dies Octavianus, cfr. APPIANO, Guerre civili I 64, 287-65, 293. Le fonti parlano di strage, CICERONE (In Catilinam III 24) usa toni inorriditi.

32. Vd. LIVIO, Periochae 79; PLUTARCO, Mario 41,2; APPIANO, Guerre civili I 65, 294295; 298. Secondo APPIANO (ibid., 66, 303-67, 304), Ottavio rinforzò le mura di Roma, richiamò dal Piceno Pompeo Strabone che si accampò presso Porta Collina, non lontano dalle truppe di Cinna.

33. Dove era esule: Mario 40; era ormai privato cittadino, perché le leges Sulpiciae, una delle quali gli aveva confermato l’imperium pro consule per la guerra contro Mitridate, erano state abrogate da Silla (APPIANO, Guerre civili I 59, 268).

34. Cinna, invero, non era console perché l’incarico gli era stato revocato dal senato (Mario 41, 2).

35. Plutarco sembra concordare con quella parte della tradizione che vuole sia stato Cinna a richiamare Mario: LIVIO, Periochae 79; VELLEIO II 20, 5; De viris illustribus 67, 6. In Mario 41, 5-6 Plutarco segue la tradizione (Posidonio?), cui si ispira anche APPIANO (Guerre civili I 67, 305), secondo la quale fu Mario a decidere di raggiungere Cinna.

36. Anche APPIANO (Guerre civili I 67, 307) conferma la divisione dell’esercito in tre parti, comandate rispettivamente da Cinna e Carbone congiunti, da Sertorio e da Mario. La tradizione liviana lo vuole diviso in quattro parti, comandate da Mario, Sertorio, Cinna e Carbone (LIVIO, Periochae 79; FLORO II 9, 13; OROSIO V 19, 9; GRANIO LICINIANO XXXV 9-11 Criniti afferma che tra i comandanti vi era Milonio).

37. Mario aveva reclutato tali schiavi (chiamati Bardyaei) in Etruria, svuotando gli ergastula: FLORO II 9, 11;De viris illustribus 67, 6; OROSIO V 19, 5; Scholia Gronoviana, p. 286 Stangl). In Mario 43, 4, al contrario, Plutarco afferma che si trattava di schiavi fuggiti presso Mario (per APPIANO, Guerre civili I 74, 343 erano schiavi liberati da Cinna).

38. Cfr. con alcune varianti, Mario 44, 6; APPIANO, Guerre civili I 74, 344; OROSIO V 19, 24.

39. II 13 gennaio dell’86 (Mario 46, 6), nel primo mese del suo settimo consolato (LIVIO, Periochae 80; APPIANO, Guerre civili I 75, 345-346).

40. Nella primavera dell’84 (era console per la quarta volta) dalle truppe ammutinate: Pompeo 5, 1-4; APPIANO, Guerre civili I 78, 355-358); De viris illustribus 69.

41. Mario, figlio di Gaio, già esule in Africa con il padre, fu eletto console per l’82 a ventisei anni (SALLUSTIO, Historiae I 35 M.; LIVIO, Periochae 86; VELLEIO II 26, 1; APPIANO, Guerre civili I 87, 394; De viris illustribus 68, 1) contro le disposizioni di una delle leges Annales (G. ROTONDI, Leges publicae populi Romani, Milano 1912 = Hildesheim 1962, pp. 278-279). Si suicidò dopo la disfatta di porta Collina nello stesso anno.

42. Il ritorno di Silla è da collocare tra la fine dell’84 e l’inizio dell’83 (APPIANO, Guerre civili I 76-78), quindi prima dell’elezione di Mario.

43. Gneo Papirio Carbone, console dell’82 con Mario (BROUGHTON II, pp. 65-66) fu vinto a porta Collina nell’82; C. Norbano, console nell’83 (ibid., II p. 62), fu sconfitto da Silla nel medesimo anno in Campania; L. Cornelio Scipione Asiatico, collega di consolato di Norbano, fu vinto nell’82 a Teano.

44. ESUPERANZIO (48 Z.) afferma che molti disertori dell’esercito sertoriano, delusi, abbandonarono Silla. Ma, nell’anno 82, sono attestati anche tradimenti ai danni dei sertoriani: Lucrezio Ofelia passò a Silla (VELLEIO II 27, 6), e così P. Albinovano (APPIANO,Guerre civili I 91, 420) e C. Verre (CICERONE, In C. Verrem II 1, 38); per le accuse di segnities che Sertorio lanciava ai vertici si legga ESUPERANZIO 49 Z.

45. L’episodio è del luglio 83: erroneamente è considerato l’ultimo prima della fuga. Cfr. anche CICERONE, Philippicae XII 27; LIVIO, Periochae 85; VELLEIO II 25, 2-3; PLUTARCO, Silla 28, 1-6; FLORO II 9, 19; APPIANO, Guerre civili I 85.

46. Nell’estate dell’83. In Spagna Sertorio si recò non come esule, ma in qualità di governatore: cfr. § 6; comparatio 1, 6; APPIANO, Guerre civili I 86, 392 ἐϰ πολλοῦ στρατηγεῖν ᾑρημένος Ἰβηρίας.

47. Esuli politici ο proscritti (sulla proscrizione di Sertorio: LIVIO, Periochae 90; VALERIO MASSIMO VII 3, 6; FLORO II 10, 2; OROSIO V 21, 3 il quale specifica che il suo nome appariva nella prima lista; Scholia Gronoviana, p. 317 Stangl).

48. Gli esempi di brutalità dei governatori romani in Spagna sono numerosi: si pensi a L. Licinio Lucullo e Servio Sulpicio Galba nel 151/150 (APPIANO, Storia Iberica 50-60), alla crudeltà di Didio e all’episodio di Castulo (vd. la nota 21).

49. Con la vittoria decisiva di Porta Collina del novembre 82: il giovane Mario si suicidò (cfr. nota 41) e Carbone abbandonò l’Italia per rifugiarsi in Africa: APPIANO, Guerre civili I 93-94, 434.

50. La lezione Ἰουλίου dei codici è stata corretta in Λιουίου da CICHORIUS (Römische Studien, Stuttgart 1922 = 1961, p. 256): l’emendamento è accolto dalla gran parte degli interpreti, perché nel periodo storico preso in esame non sono attestati Iulii Salinatores.

51. C. Annio Lusco, praefectus quattuor cohortium Ligurum nella guerra giugurtina (SALLUSTIO, De bello lugurthino 77, 4), arrivò sui Pirenei nella tarda primavera dell’81.

52. SALLUSTIO, Historiae fr. inc. sedis 14 M. (cum inferior omni via grassaretur: alluderebbe a truppe in marcia sorvegliate dal nemico appostato su alture) ben si converrebbe, secondo LAPENNA, p. 54, al passaggio dei Pirenei di Annio.

53. SALLUSTIO, Historiae I 95 M.Calpurnius cognomento Lanarius. Si tratta, forse, di quel P. Calpurnius Lanarius coinvolto in una disputa su una proprietà di un edificio relativa al 93, di cui in CICERONE, De officiis III 66 (cfr. anche VALERIO MASSIMO VIII 2, 1). Sulla morte di Livio cfr. SALLUSTIO, Historiae I 96 M. e, forse, I 97 M. (paucos saltum insidentis) riferito ad un’imboscata.

54. Città sulla costa mediterranea sud-occidentale della Spagna, situata su un promontorio.

55. L’agguato degli indigeni è difficilmente decifrabile: potrebbe essere anche la conseguenza di un precedente attacco di Sertorio nei confronti di qualche città costiera.

56. Male endemico delle coste della Cilicia (il termine «cilici» era usato indifferentemente per indicare i pirati: APPIANO, Storia Mitridatica 92, 421), essi dominavano incontrastati il Mediterraneo al tempo delle guerre civili (PLUTARCO, Pompeo 24-25). Ma la loro presenza alle Baleari è attestata anche prima: Q. Cecilio Metello, detto poi Balearico, nel 122 fu inviato come proconsole in Spagna per contrastarli (BROUGHTON I, p. 518).

57. Le Pitiusse (Ebusus e Ophiussa) sono le isole più meridionali delle Baleari: STRABONE III 5, 1. Plutarco usa il toponimo al singolare, per riferirsi probabilmente ad Ebusus (odierna Ibiza), l’unica che fosse abitata.

58. Il cenno allo zefiro, la cui inusuale violenza indurrebbe a identificarlo con il mistral, permette di collocare la battaglia nell’inverno (tardo 81).

59. Le isolette del golfo di Alicante ovvero alcune isole della costa africana.

60. Stretto di Gibilterra, così chiamato dalla città di Gades: SOLINO 23, 13. Osserva SYME (A Fragment of Sallust?, in Roman Papers I, Oxford 1979, pp. 336-337) che l’espressione usata da Plutarco è latina; i Greci indicavano lo stretto come «Colonne di Ercole». Il passo sallustiano fonte di Plutarco sarebbe da individuarsi in uno scolio a GIOVENALE 10, 1 〈Gadessunt in Atlantico mari[s] Hispaniae proximae, ubi se angustissimo divortio inter columnas Fìerculis in medi[o] terraneos sinus Oceanus infundit.

61. Odierno Guadalquivir. Dava il nome a quella regione chiamata ai tempi di Plutarco Hispania Baetica (corrispondente alle attuali Andalusia ed Estremadura). Si pensa che il luogo di approdo di Sertorio fosse il punto della costa vicino all’odierna Huelva.

62. Descritte già da SALLUSTIO (Historiae I 100 M.), sono identificate ora con le Canarie, ora con Madeira e la vicina Porto Santo, ora con le Azzorre.

63. Si allude ad Odissea IV 563-564. Il collegamento con Omero è anche in SALLUSTIO (Historiae I 101 M.).

64. Forse uno dei signorotti locali detronizzato da non meglio identificati avversari, filosillano, come si deduce dal § 5.

65. Identificato comunemente con tal Vibius Paciaecus, il cui cognomen è attestato in iscrizioni iberiche. Cfr. anche Crasso 4, 2 (dove la tradizione manoscritta presenta le medesime varianti del Sertorio: vd. la Nota critica).

66. Capitale della Mauritiania Tingitana, odierna Tangeri.

67. La tradizione sulla tomba di Anteo (il gigante figlio della Terra e di Poseidone), presente, oltre che in Plutarco, anche in STRABONE (XVII 3, 8), risaliva probabilmente a Tanusio Gemino, citato da Strabone. Strabone indica come sede del sepolcro la città di Lynx (per la confusione tra Lynx e Tinx, ibid., 3, 2).

68. Tingis fu fondata da Anteo stesso, secondo PLINIO, Naturalis historia V 2 e SOLINO 24, 1.

69. Le tradizioni locali sulla discendenza di Anteo sono varie. Secondo PINDARO (Pitiche 9, 182-187) Anteo sarebbe stato padre di una bellissima fanciulla; più vicina alla nostra versione (certo mauritana) quella di Ferecide, che attribuisce alla moglie di Anteo il nome di Ifinoe e al figlio nato dalla sua unione con Eracle quello di Palemone (FGrHist 3F 76). Non solo del figlio di Eracle ma anche dei suoi discendenti riferisce una variante che fa capo ad autori giudei (Cleodemo Malco apud ALESSANDRO POLIISTORE:FGrHist 273F 102): dopo l’uccisione di Anteo, Eracle avrebbe sposato la figlia dell’amico Afran, figlio di Abraham, e dalla loro unione sarebbe nato Diodoro il quale generò Sofon.

70. Si tratta evidentemente di Greci: secondo altre tradizioni (SALLUSTIO, De bello lugurthino 18, 4; STRABONE, XVII 3, 7; PLINIO, Naturalis historia V 46) erano, invece, persiani, armeni ο indiani.

71. Giuba II a cinque anni fu portato a Roma e adottato dalla gens lulia con il nome di C. Iulius luba (Cesare 55, 3; APPIANO, Guerre civili II 101, 418). Nel 25 a. C. Augusto

72. I Lusitani abitavano il territorio compreso tra il Duero e il Tago, nell’odierno Portogallo (STRABONE III 3, 3). Sottomessi tra il 139 e il 136 da D. Giunio Bruto Callaico (LIVIO, Periochae 55-56 e APPIANO, Storia Iberica 71-73), causarono sempre problemi ai Romani per il loro carattere fiero e la loro abilità di guerriglieri.

73. Si veda 25, 6.

74. L᾽episodio della cerva è ben attestato in versioni molto simili, che probabilmente attingono da un᾽unica fonte: APPIANO, Guerre civili I 110, 514; GEULLIO XV 22, 3-9; POLIENO VIII 22; cenni in VALERIO MASSIMO I 2, 4; PLINIO, Naturalis historia, VIII 117 e FRONTINO, Strategemata I 11, 13.

75. Città iberica non lontana da Gibilterra: POMPONIO MELA II 96.

76. Nell᾽8o. Discussa l᾽identità di Cotta. KONRAD (Sertorius, p. 128) fa osservare che difficilmente può trattarsi di un Aurelio Cotta: Plutarco, quando fa cenno agli Aurclii, aggiunge sempre al cognomen il prenome o altro dettaglio tale da permetterne l᾽individuazione. Si tratterebbe in questo caso di un Aumnculeius Cotta: il gentilizio è attestato in tre iscrizioni di Cartagena.

77. Palese errore di Plutarco per indicare la Spagna Ulteriore, che, all᾽epoca di Plutarco, costituiva la provincia Betica: vd. 8, 1 e nota 61.

78. È generalmente identificato con l᾽amico di Silla che, a detta delle fonti, gli suggerì la pubblicazione delle liste di proscrizione: Siila 31, 4; FLORO IT 9, 25; OROSIO V 21, 3 (che, insieme al nomen — Fursidius —, tramanda anche il prenome Lucius e la qualifica di primipilans). La vittoria è dell᾽8o (su di essa SALLUSTIO, Hislonae I 108 M.).

79. Cfr. nota 61.

80. Il celeberrimo L. Irtuleio, braccio destro di Sertorio (fonti in BROUGHTON II, pp. 83; 87; 94; 98), il cui nome sorprendentemente qui è taciuto, forse per non togliere meriti aì protagonista. Per la data della sua questura si veda, recentemente, F. X. RYAN, The Quaestorship ofllirlukius and M. Fonteius, «Hermes» 124, 1996, pp. 250-253.

81. Per il cognomen (erroneo) si veda la Nota critica.è identificato generalmente con M. Domizio Calvino, citato dal frammento sallustiano di Vienna (PVindob. L 117 verso, in B. BISCHOFF-H. BLOCH,Das Wiener Fragment der «Histonae» des Sallust [P. Vindoh. L 117], «Wiener Studien» 13, 1979, ρ. 122). La sconfitta — dell᾽80 — avvenne presso il fiume Anas (Guadiana): FLORO II 10, 6-7. Domizio fu ucciso: PVindob. L 117 verso (p. 122 Bischoff-Bloch) ed EUTROPIO VI 1, 2.

82. Anche FLORO II 10, 6-7: fu vinto nel 79 sul fiume Anas. È da identificarsi forse con L. Torio Balbo, il raffinato epicureo lanuvino di cui parla CICERONE (De fimbus II 63).

83. Q. Cecilio Metello Pio neh᾽80 divenne console con Siila (BROUGHTON II, p.79) e governò la Ulteriore dal 79 al 71 (ibid., pp. 83; 86; 93; 98; 104; 117; 123).

84. Si confronti il cap. 13.

85. Pretore nella Gallia Transalpina: BROUGHTON II, p. 87.

86. Si veda oltre, cap. 18.

87. Molto simile Pompeo 17,2.

88. TEOFRASTO fr. 140 Wimmer, riecheggiato anche nella comparano tra Lisandro e Siila 4, 5: evidentemente si trattava di detto assai noto e diffuso.

89. La città è stata recentemente identificata con la Langobnga (o Lacobnga) situata a sud del Durius (Duero), l᾽odierna Villanova de Gaia, nel cuore della Lusitania: cfr. POMPONIO MELA III 7 e PLINIO, Naturalis bistoria III26. L᾽assedio può risalire agli anni 79-77.

90. Aquino probabilmente apparteneva ad una famiglia di commercianti di Cartagena: KONRAD, Sertorius, p. 139.

91. FRONTINO (Strategemata II 5, 31) attesta la presenza di coorti armate alla romana nell᾽esercito di Sertorio durante l᾽assedio di Lauro (cfr. cap. 18). Quanto alle tesserne (contrassegni di riconoscimento usati specialmente dai soldati) si confrontino POLIBIO VI 34, 8-11; GIUSTINO III 5, 10.

92. Odierna Huesca. La fondazione della scuola è da collocarsi probabilmente nell᾽estate del 77 nell᾽imminenza dell᾽arrivo di Pompeo.

93. Le bullae erano una sorta di ornamento-amuleto che i giovani Romani portavano al collo: Moralin 287F e 288B; FESTO p. 32 L., s. v. Bulla aurea.

94. L᾽usanza relativa ai soldurtt, dei quali qui si tratta, era celtico-iberica: CESARE, Debello Gallitco III 22; SALLUSTIO, Histoiae I 125 M. in contesto analogo; STRABONE III 4, 18; VALERIO MASSIMO II 6, 11; CASSIO DIONE LUI 20, 2.

95. SALLUSTIO, Historiae I 126 M. La differenza fondamentale fra il passo sallustiano e quello plutarcheo consiste nel diverso inquadramento dell᾽episodio, per Sallustio un qualsiasi momento della guerra sertoriana, per Plutarco l᾽esempio della dedizione assoluta dei soldurn al loro generale.

96. M. Perperna Veienlo (Corpus Inscrip. Latin. VI nr. 38700), pretore sotto Mario nell᾽82 in Sicilia (BROUGHTON II, pp. 67-68), proscritto (VELI.EIO II 30, 1), nel 78 era diventato legato di M. Emilio Lepido (APPIANO, Guerre civili I 108, 508); alla sua morte ne portò le legioni in Spagna.

97. Cfr. anche VKLLEIO II 30, 1 gentis clarioris quam animi.

98. Gli interpreti sono concordi nell᾽affermare che la cifra fornita da Plutarco sia esagerata.

99. Cfr. FRONTINO, Strategemata I 10, 2.

100. È probabile che l’episodio debba collocarsi quando l’unione degli eserciti di Metello e di Pompeo era già avvenuta, come sembrerebbe indicare l’espressione di Frontino, Strategemata I ίο, i (= IV 7, 6) imparem se universo Romanorum exercitui. Cfr. anche Valerio Massimo VII 3, 6; Plinio, Epistulae III 9, 11.

101. Poiché non vengono menzionati né Perperna né Pompeo, è probabile che l’episodio sia anteriore all’arrivo di entrambi. L’unico dato cronologico certo è la stagione estiva, dato che si parla di scioglimento delle nevi. Carac(c)a (odierna Alcalá de Henares) si trova tra il fiume Tago ed il Tajuña (il Tagonio di Plutarco, non altrimenti noto). Sulle sue rive, vicino a Taracena, vi sono caverne molto simili a quelle descritte da Plutarco, alcune delle quali contengono reperti archeologici di età repubblicana (García Mora, 1991, p. 155).

102. Vento di est-nord est (Aristotele, Metereologica II б, 363B). Per Konrad (Sertorius, pp. 154-155) esso, nella fattispecie, deve essere identificato con il ciercius о circius o mistral, violento vento del nord-nord ovest, il che ben si conviene alla posizione delle grotte. Tale vento, citato anche da Plinio, Naturalis historia II 121 e Gellio II 22, 20 e 28-29, è stato da Plutarco confuso con il caecias a lui maggiormente noto.

103. Cenni a questi primi insuccessi di Pompeo sembrano essere anche in Sallustio, Historiae II 98, 5 M. e Livio, Periochae 91.

104. In Africa, dove vinse l’esercito mariano, le truppe lo avrebbero acclamato Magnus, ma il riconoscimento ufficiale del titolo lo ebbe da Siila al suo ritorno in Italia (Pompeo 13, 8-9; anche Moralia 203E; 804F). Sempre secondo il Pompeo, egli iniziò ad usare il titolo di Magno quando fu inviato in Spagna (13, 9).

105. Trionfò il 12 marzo (Cranio Liciniano XXXVI 2 Criniti) di un anno che oscilla tra l’8i e il 79: giovanissimo, dunque, essendo nato nel 106.

106. La presenza di una collina vicino alla città, la vicinanza di un bosco e di dirupi (dettagli di Frontino, Strategemata II 5, 31) nonché la precisazione di Orosio V 23, 6 apud Palantiam (la città di Palencia ovvero un fiume che bagna la piana di Valencia) indurrebbero a identificare questa città con E1 Puig de Santa Maria nella piana di Valencia: vd. Konrad, Sertorius, pp. 156-159.

107. Cfr. anche Appiano (Guerre civili I 109, 510-511: l’assedio sarebbe il primo episodio bellico della spedizione di Pompeo); Orosio V 23, 7.

108. Il fiume (odierno Jucar) sfocia nel Mediterraneo a sud di Valencia. Ma esisteva anche una città con lo stesso nome. Appiano (Guerre civili I no, 512) menziona solo la città, citata anche da Strabone III 4, 6; Plinto, Naturalis historia III 20 fa riferimento sia al fiume sia alla città.

109. Vd. cap. 21. Entrambe le battaglie sono riconducibili, secondo l’ipotesi più accreditata, al 76.

110. Che la battaglia avvenne di sera è confermato da Pompeo ig, 2. Anche il vespera di Sallustio, Historiae II 60 M. potrebbe riferirsi alla medesima circostanza.

111. Lucio Afranio, legato di Pompeo nella guerra sertoriana (Broughton II, pp. 90; n.9; 133), nel 72 pose fine alla guerra espugnando Calaorra (Orosio V 23, 14).

112. Forse Perperna: Appiano, Guerre civili I 1 то, 513.

113. Per la dinamica della battaglia, cfr. anche Pompeo 19 (dove, tuttavia, Afranio non viene nominato, forse per non oscurare la gloria di Pompeo) ed, inoltre, Livio, Periochae 92; Appiano, Guerre civili I rio, 512-513.

114. Plutarco, Pompeo 19,4-5; Appiano, Guerre civili I no, 513 (Pompeo fu ferito al femore).

115. Anche Sallustio, Historiae II 63 M. e Plutarco, Pompeo 19, 5.

116. Secondo Appiano, Guerre civili I no, 5Г3 fu Metello e non Afranio l’artefice della vittoria.

117. Cfr. Pompeo 18, 1 (in riferimento ad un contesto storico precedente, cioè l’arrivo di Pompeo in Spagna).

118. II, 3-8.

119. GELLIO (XV 22, 6) aggiunge un dettaglio geografico (in palude proxima), ma è difficile individuare con esattezza il luogo.

120. Per le altre testimonianze sull’episodio della cerva, vd. la nota 74.

121. KONRAD (Segovia and Segontia, «Historia» 43, 1994, pp. 440-453) identifica la città con Segontia Lanka (odierna Langa de Duero) posta sul fiume Durium. Da molte fonti la battaglia sarebbe indicata proprio citando il fiume: cfr. CICERONE, Pro Balbo 5 acerrimis illis proeliis et maximis, Sucronensi et Duriensi; Sallustio Wistoriae II 98, 6 M. castra hostium apud Sucronem capta et proelium apud flumen Durium (a torto, pertanto, alcuni editori emendano il passo ciceroniano, congetturando Turiensi sulle orme di ís. Vossius e leggono, nel frammento sallustiano, luriam con Ursinus, mostrando, così, di confondere tale battaglia con quella di Valentia, menzionata poco oltre nel medesimo passo sallustiano: et dux hostiam C. Herennius сит urbe Valentia et exercitu deleti satis clara vobis sunt: cfr. anche Pompeo r8, 5). Per la battaglia di Segonzia cfr. anche APPIANO,Guerre civili I 110, 515-516.

122. LAPENNA, p. 38 ritiene che Sallustio, Historiae II 102 M. (neque subsidiis, uti soluerat, compositis) si riferisca a questa circostanza.

123. C. Memmio, marito della sorella di Pompeo (Pompeo 11, 2;OROSIO V 23, 12), fu suo questore (CICERONE, Pro Balbo 5; Orosio ibid.).

124. Sul ferimento di Metello anche SALLUSTIO,Historiae II 67 M.

125. Generalmente identificata con Clunia sulla base di Livio, Periochae 92 obsessus deinde Cluniae Sertorius adsidnis eruptionibus non leviora damna obsidentibus intulit. Alia medesima fuga potrebbe riferirsi anche Sallustio, Historiae III 47 M. Sertorii per montis fuga. La identificazione di Clunia, citata da CASSIO DIONE XXXIX 54, 2 in altro contesto (assedio di Metello Nepote nel 55), è problematica.

126. LIVIO (Periochae 91, 22 W.M.) fa cenno ad una forza navale alleata di Sertorio nel periodo dell’assedio di Contrehia (77/76). Cfr. anche l’allusione di SALLUSTIO,Historiae II 90 M. (ad hoc pauca piratica, actuaria navigia) il cui contesto storico, tuttavia, non è definibile.

127. Maurenbrecher, sulla scorta di SALLUSTIO,Historiae II 93 (tum Romanus exercitus frumenti gratia remotus in Vascones est) pensa che Plutarco abbia confuso i Vasconi con i Vaccei. Si tenga presente, tuttavia, che nella sua epistola (SALLUSTIO,Historiae II 98, 5 M.) Pompeo allude a saevissimi hostes., tra tutte le popolazioni iberiche, i Vaccei, abitanti nel corso medio del Duero, erano le più feroci.

128. L’editto può datarsi al 75, dopo Segonzia, quando, in seguito alle ripetute sconfitte, molti sertoriani erano disposti a tradire il loro comandante.

129. Poiché le ricompense qui indicate sono esorbitanti, si può desumere, in base all’epistola di Pompeo (SALLUSTIO,Historiae II 98, 9 М.: Gallia superiore anno Metelli exercitum stipendio frumen toque aluit) che Metello, presumibilmente tra la fine del 76 e l’inizio del 75, avesse ottenuto aiuti consistenti. Alla medesima pecunia secondo KONRAD («Gerión» 1988, pp. 259-260) si riferirebbe SALLUSTIO, Historiae II 34 M. quae pecunia ad Hispaniense bellum Metello facta erat.

130. L’episodio è da inquadrare nell’inverno del 75/74 quando Metello svernò a Corduba, come indica il passo analogo di SALLUSTIO,Historiae II 70 M. La vittoria che rese tanto arrogante Metello dovrebbe essere quella di Segonzia.

131. Sul «lusso» di Metello si veda l’Introduzione, p. 731.

132. Il senato fu istituito da Sertorio presumibilmente con l’arrivo di Perperna che portò in Iberia un buon numero di senatori lepidani. Spregiativo nei suoi confronti AP piano, Guerre civili I 108, 507; Stona Iberica 101, 439; Stona Mitridatica 68, 286.

133. La morte della madre risale probabilmente all’80, quando Sertorio, che era in Africa, fu chiamato in Lusitania (10, 1).

134. La prima guerra mitridatica si era conclusa con la pace di Dardano nell’85: Mitridate fu costretto da Siila a cedere tutti i territori conquistati (Bitinia, Cappadocia, Frigia, Galazia, Paflagonia, Asia), parte della sua flotta ed a pagare una multa (cui fa cenno solo MEMNONE,FGrHist 434 F 1, 25, 2): Livio, Periochae83; VELLEIO II 23, 6; PLUTARCO,Siila 22 e 24; CRANIO LICINIANO XXXV 74-77 Criniti e APPIANO,Storia Mitridatica 53, 2Г5-55, 223. Mitridate invase nuovamente l’Asia negli anni 83-81.

135. L. Fannio e L. Magio (APPIANO,Storia Mitridatica 68, 287), due mariani che nell’86 avevano seguito in Asia L. Valerio Fiacco (console di quell’anno) e C. Flavio Fimbria (vd. nota 137). Dopo la vittoria di Siila su Fimbria e la morte di costui, si erano rifugiati presso Mitridate, che in seguito tradirono a favore dei Romani (CASSIO DIONE XXXVI 8, 2; OROSIO VI 2, 12; PSEUDO ASCONIO, p. 244 Stangl).

136. I Romani l’avevano ottenuta in eredità alla morte di Attalo III, re di Pergamo, nel 133: Tiberio Gracco 14, 1-2.

137. C. Flavio Fimbria, mariano, nell’86 seguì come praefectus equitum il console L. Valerio Fiacco in Grecia ed in Asia contro Mitridate. Per diverbi insorti, lo assassinò a Nicomedia e nell’85 con successo combattè da solo contro Mitridate e occupò parte della provincia: Livio, Periochae 83; Plutarco, Lucullo 3, 5-8; Memnone, FGrHist 434 F 1, 24, 4: Appiano, Storia Mitridatica 52-53; OROSIO VI 2, ίο-n. Dopo la pace di Dardano, Fimbria fu abbandonato dalle truppe e si suicidò: Siila 25, 1-3; Appiano, Storia Mitridatica 60, 245-247; OROSIO VI 2, 11.

138. La missione ed il conseguente trattato sarebbero da ascrivere ad un periodo compreso tra l’estate del 76 e la primavera del 74. SALLUSTIO (Historiae II 79 M.) aggiunge che la missione si esaurì in tre mesi. Sull’alleanza cfr. CICERONE, De imperio Cn. Pompei 9; Pro Murena 32; APPIANO, Storia Mitridatica 68; OROSIO VI 2, 12; Pseudo Asconio, p. 244 Stangl; Seholia Gronoviana, p. 317 Stangl.

139. Palese anacronismo: solo all’epoca di Plutarco gli imperatori risiedevano sul Palatino.

140. Senatore romano (APPIANO,Storia Mitridatica 77, 338, ove si afferma che Lucullo non voleva portare in trionfo un senatore romano: è evidente che Lucullo non poteva prendere in considerazione il «senato» sertoriano!), proscritto (OROSIO VI 2, 21), giunse in Spagna presumibilmente con Perperna, dal momento che tracce sicure di lui si hanno a partire dal 76; fu questore di Sertorio (LIVIO,Periochae 91). Giunto da Mitridate tra il 75 ed il 74, venne catturato e ucciso durante la guerra: PLUTARCO,Lucullo 12, 5; APPIANO,Stona Mitridatica 77, 338 (qui e altrove indicato come Οὐάρϰϰ); OROSIO VI 2, 21-22.

141. Tutte le fonti sono concordi nell’individuare in lui l’artefice della congiura; DIODORO XXXVII 22a gli pone a fianco Tarquizio (su di lui vd. l’Introduzione, p. 733 e nota 20).

142. 14, 3-4.

143. Non altrimenti conosciuto. Anche il suo nomen è incerto: Plutarco lo indica come «Mallio», gentilizio poco attestato; d’altra parte, egli usa frequentemente questa forma per «Manlio» о «Manilio» (Camillo 27, 4; Cicerone 14, 3; Fabio 9, 2).

144. Anche questo personaggio è sconosciuto.

145. Citato come Octavius Craecinus da FRONTINO,Strategemata II 5, 31 il quale afferma (la fonte è, a suo dire, Livio) che partecipò all’assedio di Lauro. È identificato spesso con il C. Octavius C.f. Graechinus lllhir di Corpus Inscrip. Latin. I2. 1, nr. 1492 dell’inizio del primo secolo proveniente da Tibur (KONRAD,Sertorius, p. 209).

146. M. Antonio probabilmente giunse in Spagna con Perperna. Solo da Plutarco è citato come unico esecutore materiale del delitto (DIODORO XXXVII 22а: con Tarquizio; LIVIO,Periochae 96: con Perperna ed altri); APPIANO,Guerre civili I 113, 528 e Storia Iberica 101, 441 attribuisce l’assassinio a Perperna.

147. Sertorio occupava il cosiddetto locus consularis (centrale), come è chiaro da DIODORO XXXVII 22а (era seduto tra Tarquizio ed Antonio). Diversa la disposizione descritta da SALLUSTIO,Historiae III 83 M. (tra Sertorio ed Antonio vi era Fabio), che renderebbe inattuabile il gesto che Plutarco attribuisce ad Antonio.

148. Cfr. anche VELLEIO II 30, I; PLUTARCO,Pompeo20, 3; AMMIANO XXVI 9, 9; OROSIO V 23, 13; ESUPERANZIO 55 Z. Da VALERIO MASSIMO VII 6 ext. 3 si potrebbe inferire che le ceneri di Sertorio fossero portate nella fedele Calaorra.

149. Più chiaro APPIANO,Guerre civili I 114, 529-530: sia l’esercito sia i barbari si ribellarono a Perperna; OROSIO afferma (V 23, 13) che solo una parte dell’esercito seguì Perperna.

150. Così anche LIVIO,Periochae 96; PLUTARCO,Pompeo 20, 3.

151. Sulla cattura di Perperna, Pompeo 20, 4-5 e, inoltre, SALLUSTIO,Historiae III 84 M.; FRONTINO,Strategemata II 5, 32; secondo APPIANO,Guerre civili I 115, 536 Perperna si sarebbe nascosto e solo in un secondo tempo sarebbe stato fatto prigioniero (ma in Storia Iberica 101, 441 afferma che Pompeo lo uccise in battaglia): così anche AMMIANO XXVI 9, 9.

152. Pompeo aveva trent’anni.

153. Anche Moralia 204A; Pompeo 20, 6-8; APPIANO,Guerre civili I 115, 536.