Pertanto, anche nella famiglia Bach regnava una solida mediocrità. Solo pochi di loro hanno raggiunto qualcosa in piú dell’ordinario …L’insolita concentrazione di talenti musicali in uno spazio talmente circoscritto (nella famiglia e nella geografia), con Johann Sebastian come punto culminante di una marea di talento sempre in crescita e poi improvvisamente in riflusso, rimane un fenomeno unico.
CHRISTOPH WOLFF1.
In Italia, gli Scarlatti; in Francia, i Couperin; in Boemia, i Benda. Ma fu in Turingia – il cuore provinciale della Germania – che si sviluppò la piú vasta rete di musicisti nella storia della musica occidentale: i Bach. Una tale coincidenza di dinastie musicali parallele in tutto il tardo XVII secolo è inusuale; e forse non è piú che una coincidenza. Nello stesso periodo, infatti, non si registrano stirpi letterarie o artistiche che si siano estese per piú di un paio di generazioni. Per valutare se fu a causa dell’instabilità politica endemica e della precarietà dell’esistenza che si incentivò la trasmissione, quasi segreta e corporativistica, di abilità professionali da padre in figlio dopo la guerra dei Trent’anni, si dovrebbero tracciare le discendenze in linea diretta di artigiani nelle arti e nei commerci affini. Fino al XVIII secolo, questo era il primo canale di apprendimento per la maggior parte dei musicisti all’interno di queste dinastie, consapevoli di proseguire l’onorato mestiere di famiglia, mentre aspiravano sempre piú alla rispettabilità derivante dallo status di «artisti». Ciò che contava, soprattutto, era avere un lavoro e sopravvivere. Anche a costo dello sradicamento, come nel caso del tessitore boemo Jan Jiří Benda, il quale, nel 1742, traslocò armi e bagagli a Potsdam, con la moglie e i suoi talentuosissimi bambini. Due dei suoi figli violinisti e compositori, Franz e Johann (Jan Jiří junior), già suonavano nell’orchestra di corte di Federico il Grande e avrebbero avuto una carriera soddisfacente. Ora altri due, Georg e Josef, stavano per iscriversi, mentre la sorella piú giovane, Anna Fransizka, studiava come Kammersängerin. A tempo debito, i ragazzi Benda si sarebbero distinti nel campo musicale: Franz e, in misura minore, Jan Jiří come violinisti, insegnanti e compositori; Georg come Capellmeister e compositore di melodrammi tedeschi. Con dodici elementi della successiva generazione entrati nella professione musicale, i Benda durarono piú a lungo dei Bach, e diventarono la piú longeva dinastia di musicisti professionisti mai documentata. Dopo essersi trasferiti in Brasile alla metà del XX secolo, sono sopravvissuti fino al nostro.
Gli Scarlatti ottennero notorietà e fama, ma durarono solo un paio di generazioni. Pietro Scarlatti, siciliano, morto probabilmente nel 1678, scorse il talento musicale in cinque dei suoi otto figli. Con lungimiranza, e senza dubbio affinché sfuggissero alla carestia e all’instabilità politica di Palermo, mandò due di loro a studiare a Napoli. Nel 1672, il dodicenne Alessandro, insieme con le sorelle Melchiorra e Anna Maria, fu mandato a Roma. Le ragazze studiarono ed ebbero un certo successo come cantanti liriche, ma i loro comportamenti disinvolti – il matrimonio segreto con un prete, gli affaires con funzionari di corte – causarono imbarazzo per la famiglia, impedendo che alcune porte si aprissero per il loro fratello minore, brillante e talentuoso. Ben presto costretti a lasciarsi alle spalle i ricchi guadagni dei facoltosi mecenati romani, Alessandro e le sue sorelle si diressero a Napoli, dove, come amante del segretario del viceré, Melchiorra ottenne la nomina di suo fratello a maestro di cappella nel 1684. Non appena il viceré venne a conoscenza del fatto, licenziò il suo segretario e gli altri due funzionari che avevano avuto relazioni con quelle che lui chiamava puttane commedianti. I quarant’anni di fama come prolifico compositore di opere, serenate, oratori e cantate Alessandro li trascorse facendo la spola tra Napoli e Roma (con brevi, meno produttive, incursioni a Firenze e Venezia), cercando di soddisfare mecenati aristocratici per evitare la rovina finanziaria e mantenere i suoi dieci figli. Dei tre che divennero musicisti, fu Domenico, il piú giovane, nonché contemporaneo di Bach, a mostrare maggior talento. Alessandro si riferiva a lui come «questo figlio ch’è un’Aquila, cui son cresciute l’Ali, non deve star’oziosa nel nido, ed io non devo impedirle il volo». Ma di fatto interferí, con la sollecitudine del patriarca siciliano, al punto che Domenico, a trentadue anni, fu costretto a ricorrere alla legge per garantirsi la sua indipendenza. Per sfuggire alla soffocante figura paterna si dimise dai suoi incarichi a Roma, abbandonò l’opera, fuggí prima a Lisbona e poi a Madrid. La rottura, sebbene brutale, si rivelò catartica: libero ora di sperimentare con ciò che egli modestamente definiva «lo scherzo ingegnoso dell’Arte», si dedicò alla creazione di quel corpus di oltre cinquecento abbaglianti sonate per tastiera che sin da allora gli hanno assicurato un posto nella letteratura per lo strumento. In virtú del loro carattere eccezionale, le sonate non solo erano molto lontane dalla concezione barocca di sviluppo sequenziale, ma anche dalla possibilità di critica paterna.
I Couperin furono attivi a Parigi, Versailles e dintorni, come organisti, clavicembalisti, compositori e insegnanti per piú di due secoli (ca. 1640-1860); nel loro tipico modo gallico, furono la piú esemplare, e quella che ottenne piú successo, di queste dinastie barocche. Il loro viaggio verso la fama iniziò con la rapida transizione da contadini ad agricoltori-proprietari nella parrocchia di Chaumes, a un giorno di viaggio a sud-est di Parigi. Il fortuito patrocinio di un dignitario locale facilitò la promozione di Louis Couperin, nel 1653, al posto di organista a Saint-Gervais, a Parigi, un impiego che prevedeva alloggio gratuito e il diritto per i successori a ereditare la posizione e l’alloggio, un prerequisito raramente replicato nel caso della famiglia Bach in Turingia. Ciò costituí il trampolino di lancio per i membri della generazione successiva, a cominciare da François Couperin (noto come le Grand), i quali si assicurarono posizioni di prestigio nella cappella reale e a corte, ottennero il prezioso privilegio reale di stampare e vendere musicaa, e accettarono addirittura l’offerta di Luigi XIV di acquisire il titolo nobiliare, un onore riservato a coloro che svolgevano professioni rispettabili e in grado di pagare per il privilegio (un primo esempio di acquisto di titoli nobiliari). I Couperin si sposarono con donne del bel mondo, con pedigree giuridici o economici, nonché cospicuo talento musicale. Almeno sei dei membri femminili della famiglia ebbero pubblici riconoscimenti, ricoprendo incarichi a Parigi o a corte, come, ad esempio, ordinaire de la musique de la chambre du roi pour le clavecin. Riuscirono anche a formare una sorta di società di famiglia nel secolo precedente alla Rivoluzione francese, per garantire che le molteplici funzioni di organista, insegnante di tastiera e canto nei concerti in chiesa fossero appannaggio dei loro componentib.
Si potrebbe, senza indugio, dire lo stesso della famiglia Bach? L’incipit del Nekrolog afferma: «Johann Sebastian Bach appartiene a una famiglia in cui l’amore e il talento per la musica sembrano per cosí dire essere stati assegnati dalla natura come bene comune a ciascuno dei suoi membri» [il corsivo è mio]. Se ciò fosse vero, come mai ciascuno dei cinquantatre «Bach musicali» elencati da Johann Sebastian nelle note genealogiche compilate nel 1735 è un maschio? Madri, mogli e figlie non sono contemplate, nonostante sua madre Maria Elisabetta Lämmerhirt provenisse da una famiglia benestante di Erfurt con collegamenti coniugali ad almeno tre compositori; che sia la prima sia la sua seconda moglie fossero cantanti di formazione; e che vi fossero anche figlie musiciste tra la sua prole, e lui stesso affermasse che i suoi figli «sono tutti musici nati». (La Germania luterana era evidentemente piú incline a una forma di sciovinismo maschile, ancor piú della Francia dell’ancien régime, nonostante la fondazione, da parte di Luigi XIV, di un convitto per le ragazze nel 1684, su suggerimento di Madame de Maintenon, avesse segnato un significativo cambiamento nell’atteggiamento sociale verso le donne). Mentre selezionavano partner femminili con pedigree musicali comprovati (con una tecnica simile a quella usata dagli allevatori), i Bach per le loro donne non erano disposti a tollerare null’altro al di fuori dei ruoli biologici e domestici. Indipendentemente dagli eventuali cromosomi musicali trasmessi dalle varie mogli Bach ai loro figli, e lasciando da parte il sostegno, l’incoraggiamento, la ripartizione dei compiti e perfino l’ispirazione che possono aver dato ai mariti, la divisione del lavoro, egualitaria e cooperativa caratteristica di Armand-Louis Couperin sarebbe stata impensabile all’interno della famiglia Bach.
La verità è che qualsiasi tentativo di ricostruire le origini e lo sviluppo della dinastia Bach non può sottrarsi a questa prevenzione maschilista, condivisa e cristallizzata dallo stesso Sebastian, il quale, all’età di cinquant’anni, ebbe l’idea di preparare e annotare la prima bozza dell’Ursprung der musicalisch- Bachischen Familie («Origine della Famiglia di musicisti Bach»). Corretto e arricchito da Emanuel e Johann Lorenz Bach nel 1770, questo documento è ancora la migliore fonte di cui disponiamo sulla storia della famiglia, a sua volta il prodotto di una narrazione (maschile) famigliare e irrobustita da notizie non sempre confermabili, cosí come di frammenti di fatti documentati, e il motivo principale per cui nei libri di storia i Bach continuano a eclissare tutte le altre dinastie musicali2. In seguito, gli studiosi hanno cercato materiali e fonti piú attendibili, ma con scarso successo. Di conseguenza sembra impossibile eludere il senso del progresso inesorabile lungo oltre sei generazioni in duecento anni, in una successione quasi apostolica, culminante con la nascita di J. S. Bach e dei suoi figli, per poi declinare rapidamente con la generazione dei nipoti. Fino a quel punto, ogni maschio del clan Bach era praticamente predestinato a diventare un musicista di professione, con la chiesa (o, in alcuni casi, la corte) e la municipalità come sfere principali di attività. Verbali del consiglio municipale di Erfurt, nel 1716, fanno riferimento al «privilegiato gruppo di musicisti cittadini, i cosiddetti Bach»3. Fin dall’inizio la famiglia reputò fondamentali la maestria professionale e l’indipendenza. Inevitabilmente, nel modo in cui fecero musica è facile rinvenire una convinzione e un sostrato di tipo religioso.
Il libro di educazione musicale piú importante per Sebastian Bach fu un innario – Neues vollständiges Eisenachisches Gesangbuch («Il Nuovo Libro dei Canti di Eisenach»), compilato da Johann Günther Rörer nel 1673. Nell’età compresa tra i quattro e i dieci anni il giovane Bach cantò probabilmente ogni giorno brani tratti da quel volume, in chiesa o a scuola. All’interno delle mille pagine dell’affascinante compendio si trovano molti dei brani corali che sarebbero poi riaffiorati nella cantate sacre di Bach. Le sue prime esperienze con la musica, dunque, furono indivisibili dal ruolo che essa ricopriva nelle funzioni del culto: gli inni che cantò e ascoltò – a cappella, accompagnati dall’organo o concertati con altri strumenti, come sancito da Lutero – riflettevano il mutare delle stagioni e si disponevano ordinatamente nelle celebrazioni liturgiche della fine dell’anno. Dodici incisioni su rame aggiunte da Johann David Herlicius all’innario servivano a rafforzare i collegamenti tra la musica e le Scritture e a evocare il paesaggio nel quale Bach trascorse l’infanzia. La città di Eisenach è rappresentata sul frontespizio; e una soprascritta biblica mostra il re Salomone inginocchiato davanti all’altare, mentre «tutti i leviti cantori, cioè Asaf, Eman, Iedutún e i loro figli e fratelli, vestiti di bisso, con cimbali, arpe e cetre stavano in piedi a oriente dell’altare e mentre presso di loro centoventi sacerdoti suonavano le trombe», 2 Cronache 5,12 (figg. 2a e 2b). Qualcuno gli fece notare la somiglianza con la sua famiglia allargata di musicisti versatili che partecipano all’accompagnamento musicale della liturgia? In quell’immagine Bach visualizzò il suo ruolo futuro come musicista di chiesa. In essa, inoltre, c’erano i germi di quell’ossessione, piú tarda, per gli archivi musicali e gli alberi genealogici, il suo orgoglio per la famiglia e l’aspirazione «a una legittimità fondatrice, ad antenati che gli conferiscano potere», attitudine che, come George Steiner ci dice, ispira cosí tanto il pensiero e la politica tedeschic 4.
Nel celebrare il suo cinquantesimo anno d’età come anno sabbatico, Sebastian Bach stava seguendo una prescrizione biblica (Levitico 25,10-13) e cementando i parallelismi tra la sua famiglia e quella dei leviti, musicisti per decreto divino, che prestarono servizio sotto Davide e Salomone, guidati da Asaf come Capellmeister reale. I valori patriarcali erano ritenuti dai Bach essenziali per la loro sopravvivenza. Cosí gli autori del Nekrolog raccontarono il rispetto della famiglia nei confronti delle loro radici, umane e geografiche: «Ci sarebbe da stupirsi che persone tanto meritevoli siano cosí poco conosciute fuori dei confini della terra natale se non si riflettesse che questi probi turingi erano cosí appagati della loro patria e della loro condizione da non voler mai cercare fortuna in terra straniera»5. Un simile atteggiamento, vedremo in seguito, costituisce un elemento di forte differenza tra Sebastian Bach e i suoi colleghi (in particolare Händel), i quali tendevano a misurare il loro status sulla base degli incarichi di prestigio ottenuti all’estero. Al contrario, il marcato senso delle sue radici e l’idea di appartenenza a un gruppo distinto (composto sia dalla famiglia sia da piú ampi elementi culturali), che «hanno in comune un’impalpabile Gestalt»6, sembra anticipare le teorie di Herder di circa quarant’anni.
È alla luce di un simile contesto che la scelta, nell’Ursprung, di Veit (o Vitus) Bach come il patriarca della famiglia acquista il suo significato peculiare. Non che questo mugnaio e panettiere di Wechmar (patrono san Vito) fosse l’unico candidato, o l’unico a mostrare talento musicale; né era il piú antico dei Bach rintracciabili. I registri parrocchiali rivelano una prolifica colonia di Bach diffusa in Turingia, a cominciare da un Günther Bache menzionato nel 1372, molti con il diffuso nome cristiano Johannes, o i suoi diminutivi Hans e Johann, e spuntando frequentemente durante il XV e XVI secolo. Fu loro negato l’onore di essere i primi della linea apostolica perché si trattava perlopiú di contadini o minatori? E poi, esattamente di quale Veit stiamo parlando? Vito era il santo patrono di Wechmar in una zona in cui erano concentrati molti dei rami della famiglia. Un Veit Bach è documentato nel 1519 come abitante nei dintorni di Presswitz; un secondo (1535-1610) lasciò la Turingia in direzione di Francoforte e, piú tardi, di Berlino; un terzo era nato a Oberkatz nel 1579; un quarto sposò Margareta Volstein nel 1600, e nello stesso anno un altro Vitus Bach partí per Mellrichstadt; un sesto (non se ne conosce la professione, e per un lungo periodo fu ritenuto l’originale Veit Bach dell’Ursprung) morí a Wechmar nel 1619. Nessuno di questi, però, assomiglia all’uomo descritto nella Ursprung:
Vitus Bach, fornaio di pan bianco in Ungheria, fu costretto nel XVI secolo a fuggire dall’Ungheria a causa della sua fede luterana. Dopo aver venduto, per quanto gli fu possibile, la sua proprietà, andò in Germania, e in Turingia trovò sicurezza sufficiente per la sua fede luterana; si stabilí a Wechmar, nelle vicinanze di Gotha, e lí continuò la sua professione di fornaio. Ciò che gli procurava maggiore gioia era la sua piccola cetra [Cithrinchen]d, che soleva portare con sé, per suonarla mentre il mulino macinava. Che piacevole rumore devono aver fatto quei due strumenti insieme! Apprese ad andare a tempo. A quanto pare, fu cosí che la musica entrò per la prima volta nella nostra famiglia7.
Questo Veit, innanzitutto, si distingue (come il padre di Albrecht Dürer) per essere un rifugiato religioso durante la violenta reazione controriformista che portò all’espulsione di luterani e anabattisti dal Sacro Romano Impero intorno alla metà del XVI secolo. In secondo luogo, decide di trasferirsi in Turingia – la terra dei Bach per eccellenza – anche se (come sembra probabile) è da lí che è partito, e stava semplicemente tornando nella sua patria con la famiglia come un Herkomling. In terzo luogo, anche se non è ancora una professione a tempo pieno, la passione di Veit è sotto gli occhi di tutti. Per Sebastian Bach, nel loro complesso, queste erano ragioni convincenti affinché nominasse il suo lontano parente fondatore della dinastia e lo indicasse come esemplare patriarca della famiglia.
Dopo Veit vengono tre Johann, tutti piú colloquialmente chiamati Hans. Il maggiore, forse fratello o cugino di Veit, si sa che prestò servizio come guardiano della città in Wechmar nel 1561; un altro, forse un nipote, inizia come carpentiere e poi, a Würtemberg, diventa Spielmann (un menestrello-violinista) e giullare di corte di una certa rispettabilità (a giudicare dai suoi due ritratti piuttosto imponenti, un’acquaforte e un’incisione su rame); mentre il terzo – il figlio di Veit – inizia come fornaio, ma è attratto dalla musica e diventa anch’egli uno Spielmann. Il primo dei Bach a ricevere un’educazione musicale di base parte dal gradino piú basso della scala professionale: come Stadtpfeifer (musico municipale, o trombetta cittadina) è molto richiesto dagli altri musicisti di città in tutta la Turingia, prima di essere obbligato a rilevare la gestione del mulino paterno negli ultimi sette anni della sua vita. Sia Hans che l’altro figlio di Veit – Lips, un tessitore di tappeti – vivono in case di proprietà, secondo il registro Wechmar, nel 1577, dopo la morte del padre. Il primo Bach ad avere una formazione di musicista a tempo pieno è Caspar (nato circa nel 1578), probabilmente un nipote di Veit. È uno dei tre Stadtpfeifer, e vive come Türmer, «guardiano della torre», nel palazzo municipale, prima a Gotha e poi, due anni dopo lo scoppio della guerra dei Trent’Anni, ad Arnstadt, pronto a «battere le ore, osservare e riferire giorno e notte sui movimenti nelle strade che conducevano alla città, se vi giungessero piú di due persone a cavallo, e vegliare se si manifestasse il fumo di un incendio»8. Considerata la piú antica città della Turingia, Arnstadt è il luogo dove la famiglia Bach sarebbe stata piú attiva nei successivi ottant’anni.
Segue poi la prima generazione segnata dalle difficoltà della guerra. Caspar junior, il figlio musicalmente dotato di Caspar, viene mandato a studiare all’estero dal conte Schwarzburg di Arnstadt, per poi sparire dai documenti ufficiali. Dei suoi quattro fratelli, tre sono musicisti a tempo pieno e il quarto è non vedente. Tutti muoiono negli anni Trenta del Seicento. Ora arriviamo a un punto di snodo, un periodo in cui tutti e tre i nipoti di Veit – Johann, Christoph e Heinrich – cercano di sopravvivere al trauma degli anni di guerra. Ognuno fonderà un importante ramo dinastico. Entro la metà del secolo, tutti sono diventati musicisti professionisti a tempo pieno, sopravvivendo a stipendi da fame: Heinrich come organista, Johann e Christoph dirigendo piccoli ensemble municipali. Per la storia della famiglia questa è una generazione critica, è quella che mostra grinta, frugalità e la capacità di adattamento nell’assorbire le pressioni della guerra, la peste e la povertà. Eccezionalmente determinati, capaci di trovare modi ingegnosi per incassare i compensi a loro dovuti da privati cittadini per integrare i loro magri stipendi, sono invece diversi per capacità individuale di soffocare la voglia di lamentarsi. Anche il paziente Heinrich è costretto ad appellarsi al conte di Schwarzburg (tre anni dopo la sua nomina a organista), perché non ha ricevuto nessun compenso per un intero anno, «mendicando quasi con le lagrime agli occhi»9. Solo dopo aver prestato servizio ad Arnstadt per trentuno anni si decide a chiedere l’assegnazione annuale di frumento. Viene in mente il cri de cœur di un compositore precedente, Michael Praetorius: «È deplorevole quanto siano bassi i salari che perfino alcune illustri città pagano ai loro magistrali organisti. Questi uomini debbono accontentarsi di una vita miserabile, e talvolta giungono a maledire la loro nobile arte, pensando che avrebbero dovuto fare i vaccari, o un’altra qualsiasi attività di umile artigiano, piuttosto che essere organisti»10. Infatti, questa generazione di Bach fa entrambe le cose. Come piccoli agricoltori coltivano il necessario per la propria sussistenza (anche se non ancora le patate, come abbiamo visto nel cap. II), e come artigiani imparano a costruire gli strumenti che suonano. La scelta delle mogli, poi, è astuta: Heinrich e Johann sposano le due figlie del musico municipale di Suhl. Sei figli di Heinrich e tutti e tre i figli di Johann vivono fino all’età adulta, mentre non è chiaro chi, tra la prole di Cristoph, sopravviva oltre al «trio dei fratelli Bach: George, Johann Christoph e Ambrosius», tutti musicisti versatili.
La famiglia aveva ormai superato i momenti piú difficili che si possono immaginare. Per loro, la musica non era mai stata un’occupazione secondaria: si aggrapparono a essa per la sopravvivenzae. Uniti nella loro dedizione alla musica come a una vocazione, sentivano che era il momento di consolidare la loro posizione, grazie alla versatilità e alla tenacia. Un modello piú variegato, sia in termini di carattere e temperamento che di traiettorie professionali, inizia a emergere con i componenti della quarta generazione, tutti nati verso la fine della guerra, negli anni Quaranta del Seicento. Di questi, per i tre figli di Johann le cose non andarono a finir bene. Musici municipali a Erfurt, il piú anziano e il piú giovane furono uccisi dalla peste nel 1682, mentre il figlio di mezzo, Johann Aegidius, eclettico come suo padre Johann, trovò impiego come organista e musico nell’orchestra municipale. Morí, a settantuno anni, nel 1716. Consolidamento, quindi, per la famiglia, alla ricerca di uno status piú prestigioso, ma nessuna espansione, in una zona dove c’erano probabilmente piú organisti per chilometro quadrato rispetto a qualsiasi altro luogo in Europa.
I tre figli di Christoph sopravvissero alla guerra, ma faticarono per rimanere a galla, in un’esistenza lunga come quella del loro padre (morto all’età di quarantotto anni, quando erano adolescenti). Georg si manteneva come insegnante, prima di diventare Cantor – un significativo salto in avanti nella scala sociale – nella lontana Franconia. I due gemelli, Ambrosius e Christoph, avevano sedici anni quando entrambi i genitori morirono. L’accorata lettera indirizzata al conte Schwarzburg, con la richiesta di poter disporre dello stipendio del padre almeno per il trimestre corrente, affinché potessero mantenere se stessi e la sorella handicappata, è il punto di partenza per un ritratto dei fratelli gemelli. Il Conte acconsentí, ma ciò non bastò per tenerli ad Arnstadt. Accolti dallo zio, a Erfurt, i ragazzi entrarono nell’orchestra cittadina, la stessa in cui aveva suonato il loro padre. Sebbene fossero molto uniti e assolutamente identici (la leggenda famigliare vuole che neanche le mogli riuscissero a distinguerli con certezza), le loro strade si divisero presto: Christoph tornò ad Arnstadt (principalmente, a quanto pare, come violinista di corte e musico municipale), Ambrosius invece si trasferí a Eisenach come capo dell’orchestra cittadina e trombettiere di corte.
La situazione di Christoph junior ad Arnstadt era tutt’altro che stabile: in primo luogo, il suo stipendio annuale, addirittura inferiore a quello del padre, ammontava ad appena trenta fiorini, piú una certa quantità di grano e legna da ardere. Poi si promise alla ragazza «sbagliata», e dovette invocare il tribunale superiore del concistoro di Weimar per potersi liberare dal fidanzamento. Il suo nome, inoltre, è associato anche al primo caso documentato di sentimento antibachiano. Il piú anziano tra i musici municipali, Heinrich Gräser, diede il via a un’aspra campagna contro Christoph, esasperato da ciò che a suo avviso era uno smaccato favoritismo del Conte verso di lui e l’intera famiglia Bach, quando c’era bisogno di altri musicisti per circostanze speciali. Non gli andava proprio giú che il Conte convocasse altri Bach da Erfurt, quando ad Arnstadt c’erano musicisti capaci e a portata di mano. Gli attacchi di Gräser col tempo divennero piú calunniosi e personali, prendendo di mira l’arroganza di Christoph, il suo «rimpinzarsi di tabacco» e lo stile violinistico, appariscente e superficiale (come per «acchiappare le mosche»); a quel punto, tutti i Bach di Arnstadt serrarono i ranghi con i cugini di Erfurt, e chiesero che Gräser fosse costretto a pubbliche scuse. Alla fine, il vecchio Conte licenziò sia Gräser sia Christoph Bach, nel 1681; quest’ultimo, però, un anno dopo fu assunto di nuovo, dal figlio del Conte, mentre Gräser restò a mani vuote11. L’episodio non fece altro che accrescere il risentimento di molti musicisti della regione, alle prese con ogni sorta di problemi, nei confronti del nepotismo dei Bach. Un cittadino di Erfurt, Tobias Sebelisky, fu minacciato di una multa di cinque talleri se avesse deciso di ingaggiare, per il matrimonio di sua figlia, musicisti che non appartenevano all’orchestra municipale, perché «a nessuno che non fossero i Bach era accordato il privilegio di suonare»12.
I gemelli avevano bisogno di tatto e abilità nel gestire i rapporti con gli altri. Ma, guardando il ritratto a olio di Ambrosius, non è quella la prima qualità che colpisce. Avvolto in una specie di mantello orientale, la sua espressione sembra quella di un prospero suonatore di strumenti a fiato: guance rotonde, naso importante, sguardo pigro, testardo ed evidentemente buon bevitore. Ma, come spesso accade con la famiglia Bach, la sua personalità aveva due facce, come la proverbiale medaglia. Parrebbe che Ambrosius avesse l’abilità di individuare gli amici quando e dove contava di piú: uno fu il duca Johann Georg I di Eisenach, che lo affiliò alla cappella di corte. Questi, inoltre, si assicurò anche che i consiglieri comunali che lo avevano nominato Hausmann (capo dei musici municipali) nell’ottobre 1671 concedessero a lui e alla sua famiglia piena cittadinanza, una volta che avesse raccolto il denaro necessario per comprarsi una casa, nell’aprile 1674. Non erano, evidentemente, abbagliati dal suo estro creativo (non era noto per essere un compositore), quanto dal suo virtuosismo come esecutore, e sapevano di poter fare affidamento su un musicista dalle molte risorse. «Egli dimostra nella sua professione qualità straordinarie che gli consentono di prodursi sia vocaliter che instrumentaliter, sia in chiesa che in importanti riunioni profane, in un modo che non ricordiamo sia stato mai raggiunto in questa città prima di lui»13. Rimasero colpiti anche dalla sua modestia, la maniera in cui «si sta comportando, in un modo tranquillo e cristiano che è gradito da tutti». Un tratto, quest’ultimo, che non trasmise al figlio piú giovane.
Ancora una volta è impossibile sfuggire all’esclusività maschile in materia di tradizione famigliare e di interazione sociale. Non piú di un anno dopo essere stato assunto nella compagnie di musicisti di Erfurt, nel 1667, Ambrosius Bach aveva sposato Elisabetta Lämmerhirt, la figlia di un consigliere municipale della cittadina. Per la delusione dei biografi dell’inizio del XX secolo, alla ricerca di un potente miscuglio di sangue plebeo e patrizio nei piú immediati antenati di Sebastian Bach per spiegarne il talento sorprendente, i Lämmerhirt erano dei parvenus, pellicciai di recente fortuna a Erfurt – anche se erano di discendenza turingia, come i Bach, con i quali le loro fortune erano ormai intrecciate. Come i Bach, migrarono durante le guerre di religione del XVI secolo, nel loro caso in Slesia, tornando a Erfurt al deflagrare della guerra dei Trent’anni. La sorellastra maggiore di Elisabetta, Hedwig, aveva sposato Johann Bach (prozio di Sebastian, da parte di padre, e primo compositore degno di nota della famiglia), e suo fratello Tobias e la moglie erano in procinto di lasciare una significativa eredità al nipote Sebastian. Eppure, nonostante i legami coniugali e parentali con i Bach e altri musicisti professionisti, i Lämmerhirt non avevano generato musicisti in precedenza, eccezion fatta per il celebre compositore e teorico Johann Gottfried Walther (1684-1748), che condivise un nonno materno con Sebastian e di cui sarebbe poi diventato collega quando entrambi lavorarono a Weimarf.
Dal momento in cui si trasferí a Eisenach, Ambrosius dimostrò di essere eccezionalmente capace di vivere con quello che guadagnava, ovvero uno stipendio annuale di quaranta fiorini, piú alloggio gratuito per i primi tre anni della sua permanenza. Ciononostante, in piú di ventiquattro anni a Eisenach, lui e sua moglie riuscirono non solo a stipare la loro casa con otto dei loro figli, suocera, sorella ritardata e, per un paio d’anni, un ragazzino di undici anni, cugino di secondo grado, ma anche a provvedere al sostentamento di due apprendisti e due assistenti. Che Ambrosius non fosse un tipo malleabile risulta dalla petizione che indirizzò al consiglio di Eisenach nel 1684, l’anno prima che nascesse Sebastian, il suo figlio piú giovane, in cui elencava la sua scontentezza. Probabilmente, aveva soddisfatto cosí bene i suoi datori di lavoro al punto che, quando chiese loro il permesso di poter tornare a Erfurt, dopo tredici anni di specchiato lavoro, glielo rifiutarono. (Data l’estrema facilità con cui a Erfurt si scatenavano epidemie di peste, forse fu meglio cosí). Un miglioramento della sua situazione presso la corte di Eisenach si ebbe quando in città ricomparve Daniel Eberlin per assumere la direzione dell’orchestra del Principe, e quest’ultimo annullò la riduzione di stipendio imposta ad Ambrosius dal suo predecessore. Inoltre, ebbe la soddisfazione di vedere il suo primo figlio, Johann Christoph, andare a Erfurt per studiare con il famoso maestro Johann Pachelbel (1653-1706), e dirigere (o almeno esserne testimone) i primi passi nel mondo della musica del suo figlio minore, Johann Sebastian.
La versatilità musicale di Ambrosius, il suo attaccamento incondizionato alla sua arte, e l’assidua ricerca di perfezionamento tecnico sembrano essere stati un tratto tipico della generazione del dopoguerra di fratelli e cugini Bach, uniti da una lealtà indefettibile nei confronti del clan e dalla volontà di tutelare il loro privilegio a esercitare la professione musicale ovunque lo ritenessero opportuno. I loro talenti creativi si manifestano nell’Alt-Bachisches Archiv, una raccolta di composizioni vocali, scritte da diversi membri della famiglia (non sempre chiaramente differenziate o attribuibili)g. Esso non solo ci fornisce un tesoro inestimabile di musica composta dai Bach, e circolante all’interno della famiglia nella seconda metà del XVII secolo, ma ci apre anche allettanti finestre sulla loro vita sociale. Ad esempio, nell’Archivio è compresa una cantata scritta dal fratello maggiore, Georg, in occasione della visita di Christoph e Ambrosius a Schweinfurt, nel 1689, per festeggiare il suo quarantaseiesimo compleanno. Il frontespizio ritrae non soltanto la concordia che esisteva fra i tre fratelli, ma anche i suoi attributi: florens (fiorente), nella forma di un trifoglio; firma (ferma), raffigurata come un lucchetto che unisce tre catene; e suavis (dolce), illustrato da un triangolo con tre anelli. In un processo non dissimile dalla sovrapposizione di triangoli di Euclide, il triplice simbolismo viene portato avanti, sistematicamente, nel modo in cui la musica è composta. (fig. 6). Scritta per tre voci (due tenori e un basso) e tre viole da gamba, la cantata ha tre temi ingegnosamente sviluppati, ciascun soggetto entra tre volte e cosí via: se non fosse per la pesante minuziosità del meccanismo, e la sua insistenza, si tratta di un brano affascinante.
Rispetto ad Ambrosius e ai suoi due fratelli, nessuno di loro compositore, in maniera nettamente diversa si comportarono i loro cugini di primo grado: Michael (1648-1694), Christoph (1642-1703) e Günther (1653-1683). Tutti e tre i ragazzi erano stati addestrati dal padre, Heinrich, di per sé «un buon compositore e uomo dal vivace temperamento», secondo C. P. E. Bach. Mentre Günther, il piú giovane, «era un buon musicista e abile costruttore di vari strumenti musicali di nuova invenzione», i due figli maggiori si sarebbero distinti come compositori di eccellente levatura. Michael fu considerato ein habiler Componist («un abile compositore») dal suo futuro genero, Sebastian, un giudizio confermato dai mottetti concertati e dai dialoghi conservati nell’Alt-Bachisches Archiv. Essi ne testimoniano la solida padronanza tecnica, la naturale abilità e un’eufonia e fluidità di chiara derivazione italiana; i suoi corali organistici, perlomeno quelli che gli possono essere attribuiti nella Collezione Neumeister, mostrano una certa somiglianza con quelli di Sebastian (BWV 1090-1120). Eppure, per la qualità di scrittura e l’individualità di ispirazione, le composizioni vocali di Christoph Bach si staccano dal resto della musica presente nell’Archiv come appartenessero a una categoria completamente diversah. A impressionare sono il senso visionario che la musica esprime, cosí come la sua abilità nell’abbinare vivide immagini verbali a un tipo di seducente sonorità che pochi altri compositori del tempo avevano osato esplorare. Non è certo una sorpresa, quindi, che Sebastian gli dedicasse una menzione speciale: fu ein profonder Componist («un compositore profondo»). A ciò, Emanuel aggiunse: «Questo è un grande ed espressivo compositore»14. Grazie alle composizioni raccolte nell’Alt-Bachisches Archiv abbiamo finalmente qualcosa con cui misurare i risultati creativi raggiunti dalle prime tre generazioni di Bach, e un modello di riferimento al quale confrontare l’emergere creativo e musicale di Sebastian. Come conclude lo studioso principale dell’Alt-Bachisches Archiv: «per lui quelle composizioni rappresentavano ben piú che semplici ricordi di famiglia: contribuirono a definire la sua posizione storica e artistica. Rispetto a quelle, misurò le sue capacità»15.
Dopo aver conosciuto il compositore piú brillante e celebrato della famiglia Bach, almeno finora, verrebbe voglia di tuffarsi trionfalmente sull’impatto che la sua musica potrebbe aver avuto su Sebastian a scapito di tutte le altre influenze plausibili. Una serie di illustri biografi, iniziata con Forkel e Spitta, ha usato il lignaggio di Bach per concludere come, innanzitutto, egli fosse il prodotto della sua genealogia; la questione, però, non è cosí semplice. Nato nella famiglia musicalmente piú importante della regione, e in una società in cui la musica permeava tanti aspetti della vita – a casa, a scuola, nei rituali di gioco e di culto –, a prima vista Bach rappresenta un caso in cui ambiente e genetica vanno d’amore e d’accordo, tanto è ovvio. Eppure, purtroppo per i suoi biografi, Sebastian, il genio musicale riconosciuto della famiglia, non ha nel suo corredo genetico il Dna del ramo piú creativo, di Christoph in particolare (al contrario dei suoi primi due figli, Wilhelm Friedemann e Carl Philipp Emanuel, la cui madre era la figlia di Johann Michael Bach). L’emergere del talento di Sebastian è avvolto in una scarsità di segni e testimonianze, mentre assai numerosi sono i dubbi e i dettagli riguardanti il suo sviluppo e la relativa tempistica. Non possiamo nemmeno essere sicuri del ruolo esatto che ebbero i genitori nelle sue prime esperienze musicali: è difficile determinare se il primo suono che ascoltò fu la voce della mamma che cantava per lui, o fino a che punto il padre, o il grande organista e compositore Christoph, modellarono la sua prima educazione musicale.
In definitiva, la responsabilità dell’educazione musicale di un bambino era nelle mani del Cantor locale. Era suo compito selezionare le migliori voci, insegnare ai ragazzi a cantare e prepararli per i servizi domenicali nelle tre chiese principali della città. Nelle tre città dove Bach apprese i rudimenti della sua formazione musicale – Eisenach, Ohrdruf e Lüneburg – incontrò quattro Cantor. Il primo, Andreas Christian Dedekind, era anche il suo insegnante di forma in quarta, nella Scuola Latina di Eisenach. Sebastian avrebbe dovuto superare un provino alla presenza di Dedekind per diventare membro del chorus symphoniacus (fondato nel 1629 al fine di «promuovere la piú alta istruzione musicale degli alunni della Scuola Latina»)16. Gli statuti del coro della Georgenkirche di Eisenach prevedevano che gli alunni dovessero non solo «comprendere le chiavi, le indicazioni di tempo e le pause», ma essere in grado di cantare a prima vista «una fuga, un mottetto e un concerto». Piú tardi, a Ohrdruf, il suo Cantor fu il prepotente e famigerato Johann Heinrich Arnold (vedi cap. VI) e successivamente Elias Herda: questi, come ex corista, potrebbe aver facilitato il trasferimento di Bach a Lüneburg, nel 1700, dove il Cantor era August Braun, del quale si sa poco o nulla. Come membro del Mettenchor (il «Coro del Mattutino») di Braun, una formazione da camera d’élite, composta da quindici elementi, da lui ci si aspettava che fosse in grado di cantare fluentemente in canone, e di leggere a prima vista mottetti polifonici del Rinascimento, cosí come le piú complesse composizioni di autori piú recentii. Poco dopo il suo arrivo, però, Bach, appena quindicenne, si accorse che «la sua voce di soprano eccezionalmente bella» si sdoppiò all’ottava inferiore: «questo tipo di voce del tutto nuovo durò per una settimana, nel corso della quale egli poté cantare e parlare solo passando da un’ottava all’altra», prima di dover ammettere la sconfitta (a un’età che rientrava tranquillamente nella norma)17. Tutta la formazione vocale che aveva acquisito fino a quel momento – il controllo del respiro e l’agilità necessaria per i passaggi rapidi e i trilli, nonché le questioni tecniche legate al canto a piú voci – gli tornò immensamente utile quando, all’età di diciotto anni, gli fu assegnato il suo primo coro e iniziò a comporre della musica.
Eppure, dal puzzle musicale raffigurante la formazione giovanile di Bach mancano ancora parecchie tessere. In molti pensano che, oltre a cantare in chiesa, Sebastian, come Lutero, fosse un Currender, membro di quei cori di strada che a Eisenach, Ohrdruf e Lüneburg si esibivano raccogliendo degli oboli caritatevoli; cosa, dove e con chi esattamente cantasse, però, è difficile stabilirlo. Bach stesso vorrebbe farci credere che fu, a tutti gli effetti, un autodidatta. Questa fu la linea ufficialmente tenuta in famiglia e nel Nekrolog, in cui si fa riferimento alla sua maestria appresa «perlopiú solo attraverso lo studio di profondi compositori a quel tempo famosi, e grazie alla propria riflessione»18. Cosicché, per identificare i tre individui che potrebbero aver influenzato e plasmato il suo sviluppo musicale in generale, dobbiamo combattere contro un fuoco di sbarramento di smentite ufficiali: Johann Christoph di Eisenach (nessun riferimento ad alcun ruolo formale di insegnamento); Johann Christoph, suo fratello maggiore («formatosi come organista, e nulla piú»)19; e l’altro organista-compositore, Georg Böhm (dove le parole «il suo maestro» sono cancellate da C. P. E. Bach, forse ricordando un rimprovero paterno)20. Gli studiosi, ovviamente, si sono messi sulle loro tracce per un certo tempo, in particolare su quelle di Böhm, il piú facile da identificare come insegnante credibile, e compositore con solide affinità stilistiche con Bach. Finora, i tentativi per accreditare uno dei due Johann Christoph Bach come insegnante si sono dimostrati un po’ piú sfuggenti: il cugino piú anziano perché immerso in un ambiente artistico differente, il fratello a causa del suo presunto atteggiamento tirannico e autoritario in loco parentis. È giunto il momento di riesaminare i dati in nostro possesso.
Il sospetto è che, se il suo cognome non fosse stato Bach, o se il mondo non avesse mai sentito parlare di Johann Sebastian, la fama di Johann Christoph di Eisenach, oggi, sarebbe assicurata, e giudicheremmo la sua musica esclusivamente secondo il suo valore. Christoph si distinse in una famiglia di musicisti in cui «regnava una solida mediocrità»21. Non vi può essere dubbio che egli fosse il musicista piú eccitante e innovativo a muoversi nel panorama musicale della prima infanzia di Sebastian, e quello, assai probabilmente, al quale si devono le prime esperienze del ragazzo con la musica organistica. Forkel ci dice che «non suonasse mai l’organo e il clavicordo senza impiegare almeno cinque voci obbligate»22, il che, per un bambinetto di otto o nove anni, doveva equivalere a un vero e proprio prodigio musicalej. La fascinazione per la meccanica e il funzionamento degli organi da chiesa potrebbe essere nata nel ragazzo durante le ore che i due trascorsero insieme, potremmo immaginare, con Christoph a far uscire piccoli segni di vita dal vecchio organo a tre manuali della Georgenkirche mentre il suo giovane cugino osservava attento.
Fin dalla metà degli anni Sessanta del Seicento, dopo essersi trasferito da Arnstadt alla città di Eisenach per suonare e prendersi cura dell’organo della sua chiesa principale ed esibirsi al clavicembalo alla corte del Duca, Christoph Bach aveva avuto non pochi problemi finanziari e di salute. A differenza del piú ricco Ambrosius Bach, Christoph e la sua famiglia furono costantemente obbligati a cambiare appartamenti in affitto, alcuni dei quali ancora contaminati dalla peste, dal momento che la municipalità si rifiutava di concedere a sue spese un alloggio al suo fedele organista. Dopo venti anni come organista municipale, iniziò a cercare una via d’uscita da Eisenach, e quasi ne trovò una nel 1686, dopo un provino promettente per ricoprire la stessa posizione a Schweinfurt, ma fu superato da un collega di Eisenach (un fatto di per sé abbastanza irritante) e per il rifiuto del Duca di lasciarlo andare a causa dei suoi debiti. In seguito, la sua situazione sociale si deteriorò progressivamente e concluse i suoi trentotto anni passati a Eisenach disilluso e povero. La piú toccante delle sue lettere, scritta nel mese di ottobre 1694, fu indirizzata al Duca in persona: «Nella mia infelice, miserabile situazione, la mia casa è talmente piena di invalidi che sembra un ospedale da campo. Dio ha posto questa pesante croce sulle mie spalle, ma non sono in grado di procurare il cibo e le medicine necessarie per mia moglie, che è malata, e i miei figli. L’indigenza mi ha talmente sfiancato da non avere piú un soldo. E cosí mi trovo costretto nel mio stato miserabile a cercare la misericordia tra le braccia del mio salvatore … e mendicare dalle vostre gentilissime mani che a me, misero servo, sia dato un po’ di frumento per la mia povera moglie e i figli, e quant’altro vostra Altezza possa esser lieto di volermi concedere».
Dalla raffica di lamenti indirizzati a un consiglio municipale avaro e poco collaborativo che lo definí un querulant und halsstarriges Subjekt («un soggetto querulo e testardo»), l’impressione durevole che ne ricaviamo è di un individuo grintoso, combattivo, stizzoso e insicuro, padre di una famiglia sovraffollata, soggetta a costanti sconvolgimenti interni, malattie e miseria incipiente. Ma le sue lettere possono anche essere lette come la strategia calcolata di un musicista orgoglioso, pronto a entrare nella mischia e a lottare (e, in questo senso, ricorda molto quello che sappiamo di Monteverdi). Esse mostrano come intendesse piegare il sistema affinché funzionasse a suo vantaggio, e ci dicono che non aveva alcuna ritrosia nel dare ai suoi datori di lavoro dettagliati consigli pratici su come raddrizzare i loro torti, né a metterli l’uno contro l’altro. Le lamentele sulle sue miserrime condizioni domestiche devono essere bilanciate, però, con la disinteressata e altruista tenacia con la quale si batté, per molti anni, affinché fosse realizzato un nuovo organo, di miglior qualità, per la Georgenkirche (lo ottenne, postumo); il lavoro che si sobbarcò per redigere esaustive specifiche tecniche per la costruzione del medesimo; e, non ultima, la cura con cui si assicurò che al costruttore dell’organo, G. C. Stertzing, fosse corrisposto un acconto, sufficiente a garantire a lui e ai suoi operai di avere di che sfamarsi durante i lavori. Christoph fu, presumibilmente, il motore principale che spinse la sottoscrizione per la costruzione dello strumento a raccogliere una somma di oltre tremila talleri, di gran lunga superiori ai costi effettivi. L’impressione generale è quella di un musicista professionista, totalmente concentrato e preso dal suo strumento e dal mestiere di compositore. In seguito a cosí grandi difficoltà, è facile che una pronunciata autostima possa facilmente portare a sentimenti di persecuzione e, come sarebbe successo al suo giovane cugino Sebastian nei tempi a venire, all’impossibilità di comprendere l’atteggiamento ottuso delle grette autorità e la loro incapacità di fornire ricompense commisurate alla sua competenza e levatura artistica.
Messe da parte le lettere di lamentela, che siano manipolatrici o meno, e rivolgendoci alla sua musica, otteniamo il quadro, piú dettagliato e ricco di sfumature, di un uomo dai molti stati d’animo. Parte del suo caratteristico arsenale espressivo come compositore di musica vocale è la capacità che mostra nel replicare realistiche oscillazioni di umore all’interno dello stesso lavoro, rinunciando alla bellezza in favore della verità delle emozioni. Di volta in volta lo troviamo a elaborare ogni elemento disponibile – un graduale accumulo di voci o strumenti, bruschi cambiamenti di tessitura, armonia e processi ritmici – per ottenere delle variazioni dinamiche e andare verso apogei da cui poi ridiscendere in modo convincente e organico. La musica rivela un temperamento passionale: un uomo capace di allegria, dolcezza e misantropia, cosí come di molte sottili gradazioni intermedie. Se è vero che la maggior parte dei testi scelti sono omologhi, nei contenuti, alle sue lettere, scritte nello stile del momento, überschwemmt mit Sorgen («inondate di preoccupazioni»), la sua musica non si accontenta di adattare frasi come: «sono sopraffatto dalla miseria», «il mio corpo patisce e soffre», «i miei giorni sono passati, come un’ombra» e «io appassisco come un’erbaccia, e le mie forze sono fatte a pezzi». Christoph dà spazio al dramma e al pathos. Ma sa anche contrastare queste variazioni sul tema dei guai con riflessi sobri come ob’s oft geht hart, im Rosengart’ kann man nicht Allzeit sitzen (in sostanza, «L’esistenza spesso è dura, ma la vita non è un letto di rose»). Infatti, la sua potrebbe essere stata una vita di fatica e di miseria (mein Leid ist aus, es ist Vollbracht – «la mia sofferenza è alla fine; è finita»), ma è anche una vita «che mi ha dato tanta bontà», e che conduce a un futuro paradiso. Ecco un uomo che evidentemente faticava a mantenere la sua fede ardente e le sue speranze vive, quando la disperazione doveva sembrargli piú facile, anzi l’opzione inevitabile.
In questo senso, mi ricorda fortemente Heinrich Schütz. Nel momento in cui si iniziano a studiare le arie solistiche e i lamenti di Christoph23, e a essere affascinati dalla sua arte, non si può non notare come siano formulati in uno stile declamatorio altamente sofisticato, con le caratteristiche inflessioni mutuate dal ritmo del linguaggio parlato che Schütz aveva utilizzato, pionieristicamente, due generazioni prima, ma qui controllato con minore austerità e in un quadro armonico ancora piú audace. Oltre a ciò, Christoph mostra grande sicurezza nell’allestire il disegno complessivo, bilanciando i contrasti ottenuti nei mottetti e nelle arie, tra sezioni in tempo ternario e quelle in (altro tratto schütziano), omofonia e polifonia. Insomma, le caratteristiche inequivocabilmente schütziane, abbondanti e perfettamente udibili nella musica di Christoph, sono motivate da un collegamento, seppur non strettissimo: le lezioni prese in gioventú da Jonas de Fletin, il quale a sua volta aveva studiato con Schütz a Dresdak. Nella conclusione, assai commovente, del suo mottetto a cinque voci, Fürchte dich nicht, egli inverte la convenzione di assegnare la voce di Dio a un solo esecutore (o a due voci gemelle, come nell’oratorio sulla Resurrezione di Cristo di Schütz, del 1623): il messaggio confortante di Isaia prende la forma di un quartetto solista indirizzato al penitente (ancora in silenzio), quasi sul punto di spirarel. Termina con le parole du bist mein cantate in una intricatissima polifonia. Quando il soprano entra finalmente con O Jesu, du mein Hilf (da un inno funebre di Johann Rist), vi è il momentaneo intreccio delle due parole comuni du e mein – come se si verificasse un contatto esitante da un mondo all’altro. In concerto, può rivelarsi un momento davvero sorprendente, soprattutto se il suono del soprano raggiunge l’ascoltatore da una certa distanza (per esempio, dalla navata lontana di una chiesa), come se fosse già pronto per il suo ultimo viaggio.
È, dunque, Christoph uno dei pochi punti di contatto credibili tra l’antico maestro, Heinrich Schütz, e Sebastian, il suo cugino di primo grado? I musicologi tedeschi, intenti a stabilire una successione artistica germanica da un maestro all’altro, hanno lottato per decenni al fine di «provare» l’influenza di Schütz su Johann Sebastian. Il problema, però, è che la musica racconta una storia diversa: si può setacciare la musica di Bach senza trovare prove concrete che egli veramente conoscesse Schütz, per non parlare di una possibile emulazione, e le caratteristiche della musica di Christoph che sembrano riemergere in quella di Sebastian non appartengono alla sfera schütziana. Potrebbero, invece, esserci piú tenui collegamenti metafisici fra i tre: come Schütz prima di lui, e Sebastian dopo, Christoph sembra essere stato attratto dagli enigmi morali e da tutti i modi in cui il bene combatte il male. Tutti e tre i compositori, a quanto pare, erano disposti a sondare i recessi piú oscuri della mente umana e a porgere conforto attraverso la loro musica. Forse compositori della loro statura furono perplessi (esasperati, anche, come nel caso di entrambi i Bach) dalla necessità di spiegare qualcosa di cosí semplice e ovvio agli ascoltatori che si rifiutavano di vedere la verità che li guardava in faccia. Infatti, quella potrebbe essere una definizione del ruolo del compositore del tempo: spiegare ciò che va da sé e, attraverso la musica, liberare le emozioni turbolente che tormentano la vita delle persone anche (o soprattutto) quando tentano di sopprimerle o negarle. Con tutti e tre i compositori incontriamo istanze del modo in cui le loro personalità contrastanti filtrano attraverso le fessure della loro musica, che li umanizzano molto piú vividamente di quanto possano fare il pathos di lettere indignate o supplichevoli.
C’è una sola eccezione a tale autorivelazione in musica: la cantata in ventidue parti, composta da Christoph Bach, sulle parole dell’Apocalisse Es erhub sich ein Streit («C’era guerra nel cielo»). Elaborando un magnifico tableau sonoro, egli ritrae la grande battaglia escatologica in cui l’arcangelo Michele e il suo squadrone di angeli combatterono contro il drago spegnendo sul nascere l’ammutinamento guidato da Lucifero e le forze delle tenebre. Emanuel confidò a Forkel che «una volta che il mio defunto padre la eseguí in chiesa a Lipsia, tutti rimasero estasiati dall’effetto che produceva»24. Ma il giovane Sebastian ebbe modo di ascoltarla – o addirittura cantarla – da bambino? Dal momento che una delle sue cantate per il giorno di San Michele inizia con le stesse parole che descrivono la guerra dei mondi, abbiamo una delle rare possibilità di fare una comparazione diretta tra le musiche dei due Bach piú importanti, entrambe immense per concezione e realizzazione, ma capaci di suscitare esperienze molto diverse nell’ascoltatore. Espandendo su scala maggiore il trattamento drammatizzato di isolati eventi biblici che avrebbe potuto raccogliere da Schütz, Christoph Bach inventa analogie musicali superbamente visive per gli eventi che racconta, senza, come Emanuel commentò in seguito, «detrimento per la pura armonia». All’interno della famiglia, Christoph era ammirato «sia per l’invenzione di bei temi sia per l’espressività del canto»25, e questa ne è la ragione. L’alone di celestiali suoni degli archi nella sinfonia lenisce l’ascoltatore fino al momento in cui appaiono due bassi solisti e cantano: sono messaggeri dalla prima linea, o reporter di guerra che furtivamente registrano i loro commenti nel crescendo della battaglia? I loro scambi alternati diventano progressivamente piú ruvidi, e i due cominciano a ruggire come un paio di vagabondi alcolizzati. Poi, quasi impercettibilmente, inizia il rullo del tamburo. A uno a uno, quattro trombettieri da campo suonano i loro allarmi e le voci iniziano a sovrapporsi, mentre gli angeli prendono le misure del drago e pianificano l’attacco. Poi uno spazio si apre tra i due cori a cinque voci – due eserciti nemici pronti a darsi battaglia – e una colonna di suono, alta sei ottave, si è alzata. Molto al di sopra della mischia, l’arcangelo Michele, in quanto capo trombettiere, fa esplodere i suoi ordini di battaglia nel suo registro piú acuto. Fino a questo punto ci sono state sessanta battute apparentemente bloccate sul comunissimo accordo di Do maggiore – ennesimo segno della grande capacità di Christoph di fare uso inventivo di mezzi limitati (le sue fanfare essendo vincolate dalla serie a toni interi ottenibili sulle trombe naturali). Con la pressione dell’attesa per un vincitore (o che almeno cambi qualcosa) che arriva all’apice, l’armonia devia bruscamente verso il Si in corrispondenza della parola verführet (tentare): l’effetto è quello di comunicare a caratteri cubitali l’astuto «inganno» del Diavolo.
I festeggiamenti che seguono alla vittoria sono del tutto assenti dalla rappresentazione che Sebastian fa della stessa scena nella sua cantata di Lipsia del 1724 (BWV 19). Qui sono i cantanti a ergersi a principali contendenti. Come un vento che in pochi secondi diventa burrasca, essi conducono gli strumenti in raddoppio (archi e tre oboi) in battaglia con una feroce spavalderia e spingono le trombe a seguire la loro scia. È solo quando si fermano, per la prima volta in trentasette battute, che gli strumenti realmente segnano il passo (in un Nachspiel di quattro misure). Ma si scopre che ciò è solo la sezione A di una immensa struttura col da capo, che nessun appartenente alla generazione di Christoph avrebbe mai utilizzato. La sezione B inizia con il vantaggio ormai sbilanciato a favore del «serpente infuriato, il drago infernale», che si manifesta in diciassette battute di «furiosa vendetta» dominate dal coro. Poi, mentre i cantanti riprendono fiato, l’orchestra fa avanzare la storia. Il ritmo oscillante di un’eloquente emiola rivela come questo sia il punto di svolta nella battaglia. Torna il coro, da solo e in omofonia, per annunciare la vittoria di Michele, mentre il continuo ruggisce. Ma il brano non finisce qui. Nelle successive venticinque battute Bach scuote il suo caleidoscopio per darci un allegro resoconto dei momenti finali della battaglia – la resistenza all’ultimo attacco di Satana da parte della guardia di Michele, e un ritratto livido della crudeltà di Satana (un lenta, stridente discesa cromatica dei soprani) – prima che l’intera battaglia venga rivissuta nuovamente dall’inizio. Si intuisce come Bach sia stato spronato dall’audacia del cugino e infiammato dal suo senso del dramma. A stimolarlo ulteriormente, la disponibilità di un gruppo di trombettieri abilissimi, i Stadtpfeifer municipali di Lipsia sotto la guida del loro «capo» Gottfried Reiche – proprio come Berlioz, un secolo dopo, nella sua Symphonie fantastique quando furono disponibili le prime cornette militari a pistoni, o quando i primi flicorni uscirono dalla bottega di Adolphe Sax durante la composizione della sua opera epica Les Troyens. Bach utilizza gli ottoni acuti in modi fortemente contrastanti: a un estremo, nel coro di apertura, imponendo all’ascoltatore la portata e il significato di questi incontri apocalittici; dall’altro, nella tenera aria in Mi minore per tenore («Bleibt, ihr Engel»), evocando la vigile protezione offerta dagli angeli mentre ruotano nella stratosfera.
Attivo negli anni del morente Seicento – «età guerriera, varia e tragica»26 –, Christoph era piú miniaturista di Sebastian. Ma anche tenendo conto delle ovvie differenze generazionali di stile, si è colpiti dalla somiglianza di mentalità e temperamento dei due Bach: per la loro caratteristica predilezione per giustapposizioni vita/morte, insieme a quella sottile miscela di intensa soggettività e polifonica distanza, una forma di obiettività che sarà uno dei tratti distintivi dello stile di Sebastian. Non sappiamo esattamente quando Sebastian venne a conoscenza della musica di Christoph, ma è possibile che sia stato contagiato in tenera età dal desiderio ardente del cugino di comunicare attraverso la musica. Christoph potrebbe avergli mostrato come, anche su piccola scala, può essere un contenitore nel quale riversare tutte le angosce della vita, la propria fede e la propria passione (un tema al quale torneremo nel cap. V), e agire come un mezzo protoromantico di espressione di sé. Nei momenti in cui si è piú consapevoli dell’insufficienza del linguaggio come mezzo per convogliare l’ineffabile, entrambi i Bach possono stupire, ognuno a suo modo, con musica capace di rivelare indizi di intensa consapevolezza.
In netto contrasto con la straordinaria profondità di espressione e l’enfasi ricorrente sul disagio che la musica di Christoph evoca, arriva un lato sorprendentemente leggero. Con oltre seicento battute, e una durata che supera i venti minuti, il suo dialogo nuziale Meine Freundin, du bist schön («Diletta mia, come siete bella») è il suo lavoro piú significativo, che apre una finestra sulla famiglia Bach all’opera, rivelando la loro reciproca interdipendenza e interazione. Composto per la festa di matrimonio del suo omonimo e cugino di primo grado, il fratello gemello di Ambrosius, a Ohrdruf nel 1679, ci è giunto come un insieme di parti staccate copiate principalmente da Ambrosius stesso. Allegato alle parti, sempre vergato dalla mano di Ambrosius, vi è un lungo commento sul pezzo (Beschreibung dieses Stückes), comico nella sua stravaganza e per il modo in cui cerca di mettere in relazione il testo biblico agli avvenimenti di questa coppia nuziale. Sembra quasi un’immaginaria mise-en-scène (completa di dialoghi e didascalie). Christoph-lo-sposo stava per prendere in moglie, all’età di trentaquattro anni (insolitamente in ritardo per un Bach), una ragazza che aveva corteggiato per qualche tempo. Il ritardo era dovuto alle sue difficoltà nel districarsi da un fidanzamento anteriore e da una presunta promessa di matrimonio (vedi supra, cap. III). Questa potrebbe essere una ragione per il tono furtivo degli scambi in apertura tra lo sposo (basso) e la sposa (soprano), i loro cauti incontri, l’enfasi sulla segretezza e, non da ultimo, la scelta intelligente di versetti dal Cantico dei Cantici. La musica evocativa di Christoph-il-compositore suggerisce una serie ben piú sensuale di incontri di quanto il bacchettone, ma forse ironico, racconto di Ambrosius lascerebbe immaginare. In una lunga ciaccona, una serie di variazioni delicatamente adombrate di preliminari lascia il posto a un graduale accumulo di flagrante tensione sessuale. La baldoria diventa sempre piú esplicita – nei veloci gruppetti che Christoph chiede ai suoi cantanti di intonare nonostante lo stato di ebbrezza, nelle sestine gorgoglianti del violino solista e nei ripetuti, con pedale al basso, unisoni a corde vuote degli archi – e in quella fase, a giudicare dai singulti e dai singhiozzi scritti nelle loro linee vocali, sono proprio gli sposi quelli messi peggio. Qui la musica è molto piú che pittoresca: Christoph realizza sottili variazioni nel rapporto testo-musica, nell’interazione tra cantanti e attori, e un’escalation inarrestabile di dissolutezza rabelaisiana.
Per i Bach era abituale ritrovarsi una volta all’anno in una delle città della Turingia. Dopo essersi riuniti, iniziavano immancabilmente cantando un corale. «Da questo inizio pieno di devozione passavano a scherzi e frivolezze molte volte assai contrastanti con l’atmosfera pia di poco prima», secondo quanto riferisce Forkel27. Piú l’atmosfera si fa chiassosa, a quanto pare, maggiore è la possibilità di canti estemporanei, con tutti i fratelli, organisti, Cantor e musicisti della città a darsi battaglia nel rendere piccanti canzoni popolari trasformate in quodlibet con abbondanza di allusioni satiriche e sessuali. Lo stesso Sebastian ce ne ha lasciati solo due – uno come variazione finale delle sue Variazioni Goldberg (BWV 988), in cui combina le melodie di «Ich bin so lang nicht bei dir g’west» («Troppo son stato lontano da te») e «Kraut und Rüben haben mich vertrieben» («Cavoli e rape rosse mi hanno sviato»), e il frammento di un quodlibet nuziale (BWV 524), composto al tempo del suo primo matrimonio (1707), che inizia con la parola Steiß («culo»).
Ameremmo poter conoscere le reazioni di Sebastian quando s’imbatté per la prima volta nella cantata nuziale di Christoph, prima di aggiungervi una nuova copertina, «Tempore Nuptiarum. Dialogus ‘Cantic: a 4 Voci Concert… di J. C. Bach». Fu eseguito di nuovo quel brano per i matrimoni di famiglia (come quello di suo fratello maggiore, Johann Christoph, nel 1694)? E fu proprio lui a suonarlo? Anche se abbiamo brani burleschi di Sebastian nella forma delle Cantate del Caffè e dei Contadini (BWV 211 e 212), e una serie di cantate per matrimoni, per quanto ne sappiamo non compose mai un dialogo nuziale esteso come questo, in cui le citazioni dal Cantico dei Cantici sono trattate piú o meno letteralmente, o alla maniera di un concetto poetico.
Come vedremo parlando delle cantate e delle Passioni, il trattamento che riserva alle immagini evidentemente erotiche di quel testo è sempre allegorico, ben confinato nel servizio della chiesa. Esse appartengono a una tradizione che risale a Origene (III secolo d. C.), in cui la chiesa accettava l’amante maschio e femmina come simboli, rispettivamente, di Gesú e della singola anima cristiana. Cosí la sponsa, con il suo svenimento estatico, rappresenta l’anima nel suo desiderio urgente di unione mistica col Cristo. Il duetto soprano/basso («Mein Freund ist mein | und ich bin sein») dalla cantata BWV 140, Wachet auf, ruft uns die Stimme, è solo il piú noto tra quelli che trattano il tema dello sposo (Gesú) ansioso di ricevere la sua sposa (l’anima cristiana) in unione mistica come parte di una tradizione musicale che risale a Palestrina e Clemens non Papa e poi a Monteverdi, Grandi e Schützm. Il suo primo tentativo di ciaccona, su un diverso basso ostinato, arriva nel finale di quella che potrebbe essere stata la sua prima cantata di chiesa, BWV 150, Nach dir, Herr, verlanget mich. Sebbene commissionata dal sindaco di Mühlhausen, avrebbe potuto essere composta mentre era ancora ad Arnstadt (vedi infra, cap. VI), luogo di nascita di Christoph (grazie al quale, come vedremo tra breve, Sebastian potrebbe aver ricevuto il suo primo incarico professionale). Forse era un omaggio velato per il piú notevole di tutti i suoi parenti, la cui musica, quando la conobbe, forní a Bach esempi concreti di come bilanciare polifonia e armonia, come strutturare i paragrafi musicali e come raggiungere una sistemazione giudiziosa tra le parole e la musica e le loro priorità contrapposte. Sembra un esempio perfetto di natura e cultura che si uniscono per far nascere un talento immenso. Ma per questo si dovrà ancora aspettare.
Torniamo ora brevemente all’immagine di Johann Christoph Bach che lotta per riparare il vecchio organo della Georgenkirche in compagnia di Sebastian, il suo giovane cugino, ancora abbastanza piccolo da «strisciare dietro alla facciata dell’organo per osservare quello che vi succedeva all’interno; qui avrebbe visto canne di metallo e in legno, somieri, ventilabri, mantici e le altre componenti di un grande strumento meccanico la cui complessità era ineguagliata da qualsiasi altra macchina del XVII secolo»28. (Questa è una pura congettura, ma almeno dà una spiegazione plausibile dell’origine della «fascinazione che ebbe per tutta la vita verso la costruzione e la tecnologia» di ciò che Nicholas Brady chiamò la «macchina meravigliosa» della sua epoca). Improvvisamente la porta a ovest si spalanca e qualcuno grida la terribile notizia che la madre di Sebastian è appena morta. «C’è sempre un momento nell’infanzia in cui la porta si apre e lascia entrare il futuro», dice Graham Greene in Il potere e la gloria, e per Bach accadde quando aveva nove anni. La tragedia aveva colpito. Nel giro di pochi mesi perse prima la madre e poi il padre. La casa di famiglia fu distrutta. Non ne resta nessuna traccia, e la Bachhaus a Eisenach, visitata da innumerevoli pellegrini, è un falso, anche se dal 2000 è stata trasformata in un notevole museon. Insieme al fratello tredicenne, Jacob, fu mandato a vivere nella casa di Johann Christoph – non suo cugino l’organista, ma un suo fratello maggiore, con lo stesso nome, che conosceva appena – a Ohrdruf, trenta miglia a sud-est. Questo fu un delicato passaggio esistenziale. Qualunque fossero i suoi precedenti modelli di comportamento infantile – e, come vedremo, non possiamo essere certi se a quell’età fosse caratterialmente piú incline allo studio o a una ruspante esuberanza – lo shock fu brutale. Si trattò di un triplice lutto. «Dietro le piú complicate vicende del mondo, si ergono, per contro, le cose piú semplici: Dio è buono, l’uomo o la donna, diventati adulti, di tutte le domande conoscono la risposta; quella cosa che è chiamata la verità è una cosa reale; e la giustizia è misurata e precisa come un orologio»29. Da quel momento, la visione del mondo di Bach sarebbe stata piú cauta e circospetta.
Nel 1695 Ohrdruf era un’apatica città di provincia con 2500 abitanti e gravi problemi di salute pubblica. Non aveva una corte permanente, né musici municipali, niente quindi che potesse eguagliare la quotidiana attività che aveva segnato la casa di Eisenach come il fulcro di un business musicale completo. Il fratello maggiore di Bach era organista della Michaeliskirche da quando aveva diciannove anni, e sembrava aver deciso sin dall’inizio che fosse inutile sovraffaticarsi. Provando, per sua stessa ammissione «un forte amore piú per la musica che per lo studio»30, fece di tutto per sottrarsi alle responsabilità extramusicali che attengono a un organista municipale. Il rapporto tra i due fratelli – quattordici anni di differenza – fu probabilmente teso fin dall’inizio. Non avevano mai vissuto sotto lo stesso tetto e, se avesse potuto scegliere per il suo futuro, è probabile che Sebastian avrebbe preferito rimanere a Eisenach, a fare apprendistato presso il vecchio Johann Christoph, un modello famigliare assai piú carismaticoo. La prima volta che i fratelli si sono incontrati potrebbe anche essere stata al matrimonio del fratello maggiore a Ohrdruf, nel mese di ottobre 1694 – uno di quegli incontri leggendari del clan Bach che anche il grande Johann Pachelbel (col quale lo sposo aveva studiato per tre anni) frequentava. Appena un anno dopo il matrimonio, Johann Christoph e sua moglie Johanna stavano aspettando il loro primo figlio. Nessuno aveva anticipato le spese previste per alloggio, vitto e istruzione dei due giovani fratelli. L’usanza del tempo prevedeva che il fratello piú anziano li ospitasse come apprendisti-studenti fin quando avessero raggiunto il quindicesimo anno di età. Mentre Johann Jacob svicolò dagli oneri domestici tornando a Eisenach l’anno successivo, come apprendista del successore di suo padre, Sebastian avrebbe poi ripagato questo debito al fratello maggiore insegnando musica a due dei suoi figli adolescenti. In ogni caso, dopo aver compiuto dieci anni, iniziò i suoi studi di tastiera con il fratello maggiore, e si presume ci sia stato qualche attrito tra i due. La precocità e l’invidiabile scioltezza tecnica di Sebastian innervosivano il fratello, insieme a tutti gli altri irritanti tratti della personalità che possono agire come carta vetrata tra fratelli quando si è costretti in una difficile relazione insegnante-alunno. Ben prima che fossero trascorsi i suoi quattro anni e mezzo a Ohrdruf (cosí dice la storia, raccontata per la prima volta da Forkel), Sebastian sentí crescere la sete di tecnica e stimoli creativi ben oltre ciò che suo fratello poteva offrirgli.
Alcuni biografi hanno rilevato una sorta di repressivo autoritarismo in Christoph – consapevole che in loco parentis aveva bisogno di fare del suo meglio con il fratello di talento –, come si evince dal celebre aneddoto riportato per la prima volta nel Nekrolog. Parliamo della copia clandestina fatta dal giovane Bach al chiaro di luna di pezzi per tastiera di Froberger, Kerll e Pachelbel: venne sorpreso e sgridato e il frutto dei suoi dolorosi sforzi fu confiscato da uno scontroso fratello maggiore «senza pietà». Certo, sa un po’ di leggenda, di una storia fortemente abbellita nel ricordo e nelle numerose ripetizioni. Chiedete alla maggior parte delle persone che cosa ricordano di un incidente accaduto nella loro infanzia e, molto probabilmente, ne racconteranno una versione leggermente drammatizzata dalle molte volte in cui è stata riportata alla memoria – soprattutto, come sembra probabile nel caso di Bach, se si vuole che i propri figli sappiano quanto si è stati bravi nel superare tutti gli ostacoli incontrati sul proprio camminop. È come se, a soli tredici anni, avesse già capito che il percorso piú veloce per la competenza musicale fosse rappresentato dal copiare e studiare tutti gli esempi di grande musica su cui avrebbe potuto mettere le mani, con o senza permessoq. Diventare un abile compositore barocco non necessitava di inclinazione poetica o dell’attesa dell’ispirazione, ma si nutriva di duro lavoro. Come ha detto Johann Mattheson, «la creatività richiede fuoco e spirito, in essa la disposizione di ordine e proporzione; sangue freddo e calcolata riflessione»31. Allo stesso Bach si attribuisce questo pensiero: «Quello che ho ottenuto con lo studio e la pratica, potrebbe ottenerlo chiunque abbia sufficiente dono naturale e capacità»32. Possiamo naturalmente prendere queste parole come vere e accettare che fosse proprio cosí che Bach ricordava l’incidente e desiderava che i suoi figli sapessero come aveva acquisito perseveranza e resistenza. Inoltre, il tutto meglio si incastrerebbe nel piú ampio processo del lutto per i suoi genitori: lo sforzo energetico nella manovra di copiatura segreta (durata sei mesi) avrebbe potuto essere stato la sua difesa contro il dolore, lo shock di essere non soltanto punito da suo fratello (anche se i suoi genitori avrebbero sicuramente fatto lo stesso per il suo atto di «innocente inganno», oltre a preoccuparsi per i danni alla vista e la mancanza di sonno) e di essere privato dei frutti del suo lavoro, ma di essere sgridato senza nessuno che lo difendesser. In questo scenario romanzato, Bach imparò la necessità della segretezza e l’esigenza dell’essere totalmente autosufficienti da allora in poi. Ma perché dovremmo supporre che suo fratello non fosse propenso a rafforzare questo suo desiderio di dominare tutto quello che c’era da sapere sulla musica?
Abbiamo visto all’inizio che nel caso di Bach molta ricerca biografica consiste nel passare al setaccio per trovare schegge di prova, ai piedi di una statua incompleta. Una svolta è arrivata nel 2005 grazie alla scoperta, a Weimar, di quattro fascicoli musicali catalogati in maniera improbabile come manoscritti teologici e, come tali, provvidenzialmente conservati nei sotterranei di una biblioteca che era stata pesantemente danneggiata da un incendio l’anno precedente33. Due di questi erano trascrizioni – in quella che è stata rapidamente confermata essere la scrittura dell’adolescente Bach – di opere di Dietrich Buxtehude e Johann Adam Reincken in intavolature tedesche per organo (figg. 5a e 5b). Scritta su un solo pezzo di carta danneggiata, la fantasia del corale di Buxtehude, Nun freut euch, lieben Christen, sembra essere stata copiata da Bach mentre era ancora sotto la tutela di suo fratello a Ohrdruf34. Il che rappresenterebbe una svolta netta nella questione «chiaro di luna». Demolisce infatti l’interpretazione tradizionale: che Christoph diede sí musica da studiare al fratellino operoso, negandogli però gelosamente l’accesso alle opere piú impegnative della sua collezione. Questa nuova prova, cioè la trascrizione di Buxtehude, tende invece a dare sostanza all’idea che fosse una copia autorizzata (di giorno, dunque) sotto l’attenta supervisione di Christoph, in cui la scrittura di Sebastian sembra addirittura simile a quella del fratello maggiore. Dato che il processo di trascrizione in intavolatura era solo la prima fase e precedeva lo studio vero e proprio del brano, ciò indica anche che, con tutta probabilità, sotto la tutela di suo fratello Bach aveva acquisito una padronanza virtuosistica della tastiera, a un livello molto piú alto di quanto avesse piú tardi voluto far credere ai suoi figlis. Oltre che degli impressionanti progressi compiuti mentre era a Ohrdruf, questa trascrizione dimostrò la sua determinazione a padroneggiare – ancora una volta con l’aiuto di suo fratello – uno dei pezzi piú complessi e ambiziosi della letteratura organistica contemporanea tedesca: un lavoro per fini intenditori, non adatto a essere suonato come parte della liturgia convenzionale. Siamo ora obbligati a riconsiderare il ruolo di Christoph Bach nello sviluppo musicale del piú giovane fratello. Improvvisamente, la stima di cui i locali lo onoravano, di optimus artifex – «un uomo di grande arte» – assume un’aria completamente diversa.
Dopo poco piú di quattro anni con il fratello, le cui responsabilità di custodia erano ormai state soddisfatte, l’improvvisa partenza di Bach da Ohrdruf venne ufficialmente registrata come ob defectum hospitiorum Luneburgum concessit. Gli studiosi hanno a lungo cercato il preciso significato di questa frase35, la quale, in sostanza, indica la revoca dell’ospitalità gratuita concessa a lui e ad altri da cittadini benestanti. Fino ad allora i costi del suo vitto e alloggio erano stati sostenuti da un fondo fiduciario istituito nel 1622 dal conte di Obergleichen (l’ultimo della sua casata), un incentivo a mantenere i migliori ragazzi del posto a scuola affinché poi potessero iscriversi all’Università di Jena; ma non sappiamo come mai il nome di Bach non sia in calce alla supplichevole lettera di protesta (firmata da quindici alunni, tra cui il suo amico e compagno di viaggio Georg Erdmann) inviata nel febbraio 1699 al nuovo elettore conte von Hohenlohe lamentando la fine del denarot. L’allontanamento di Bach da Ohrdruf aveva poco a che fare con il fatto che si fosse ritrovato senza stipendio, o con le condizioni sempre piú precarie nella casa del fratello a causa della sua famiglia in espansione, o col peggioramento della situazione economica dovuto all’accampamento di truppe in città; aveva molto piú a che fare col fatto che avesse altri piani36. Aveva quasi quindici anni, un’ottima qualifica accademica ed era tra i migliori della sua classe. Di fronte alla scelta di lasciare comunque la scuola, o di lasciare la «casa» e continuare gli studi superiori altrove, Sebastian sembra aver preso la decisione di seguire l’esempio di Elia Herda, il suo Cantor a Ohrdruf, e concorrere per una borsa di studio in canto corale nel Nord della Germania. I requisiti, per coloro che aspiravano a entrare alla Michaelisschule di Lüneburg, erano due: 1. devono essere figli di genitori poveri con nessun altro mezzo di sostentamento a loro disposizione; 2. devono avere buone voci in modo da poter cantare in coro e in chiesa37. Bach è assai qualificato su entrambi i fronti. Come sappiamo dal Nekrolog, a questa età ha una «voce di soprano eccezionalmente bella». La narrazione tradizionale collega l’andata di Bach a Lüneburg, con il presunto aiuto di Herda, al tradizionale serbatoio di voci bianche maschili della Turingia che rifornisce il Mettenchor alla Michaelisschule, e poi arriva a un brusco arresto, o piuttosto a un punto interrogativo, nel momento in cui la voce di Bach comincia a mutare. Oggi però sembra che le procedure per l’accettazione degli studenti di coro presso la Michaelisschule fossero molto piú complicate e tediose di quanto precedentemente ipotizzato: solo per il rilascio di un passaporto e le altre formalità necessarie al viaggio occorrevano mesi ed erano controllate piú dalla cancelleria ducale di Celle che dalle autorità della Michaelisschule38.
Il registro scolastico di Ohrdruf fa una distinzione curiosa, affermando che, mentre Georg Erdmann semplicemente «abbandonò» (abiit), Bach «si ritirò» (Luneburgum concessit) una settimana prima del suo quindicesimo compleanno. Lasciando Ohrdruf nel panico per una qualche epidemia, i due ragazzi iniziarono il loro viaggio di duecento miglia verso nord a piedi. Ci sono gocce di pioggia sul manoscritto della trascrizione di Buxtehude fatta da Bach, il che indica che l’abbia portato con sé nello zaino. Arrivando a Lüneburg in tempo per le trafficatissime Settimana santa e Pasqua del 1700, essi raggiunsero l’ex monastero benedettino e la trecentesca abbaziale Michaeliskirche facendosi strada attraverso la parete occidentale. Si iscrissero subito alla scuola di latino per l’inizio dell’anno scolastico. Già dal sabato prima della domenica delle Palme del 1700, i due ragazzi cantavano nel Mettenchor della Michaelisschule. La prova della presenza di Bach nella scuola di Lüneburg è limitata a due sole ricevute relative alla distribuzione dei guadagni per aver suonato in strada (Mettengeld) nel 1700, quindi soltanto per un paio di semestri39. Si è ipotizzato che Bach restò almeno fino al 1702 nella prima, ma non ci sono prove concrete per dimostrarlo, né che dopo la muta della voce fosse in grado di mantenere la sua borsa di studio corale. Ciò non esclude la possibilità che, come Cantor Braun prima di lui, potesse essergli stata offerta la posizione di Regalist o Positivschläger (un ruolo di tastierista a volte assegnato alle ex voci bianche, a quel tempo), e dunque sia passato ad accompagnare le esibizioni corali, mantenendo cosí il diritto a istruzione e vitto gratuiti, ma non ad alloggiare, alla Michaelisschule.
Visto il grado di cooperazione e le cordiali relazioni esistenti tra Sebastian e suo fratello maggiore durante il resto della loro vita, diventa plausibile l’idea che la partenza da Ohrdruf per Lüneburg all’età di quindici anni facesse parte di una strategia da loro congegnata uno o addirittura due anni prima. La borsa di studio corale era una misura temporanea, un diversivo. L’obiettivo principale era il celebre virtuoso d’organo e compositore Georg Böhm, turingio di nascitau e allora organista della Johanneskirche, dall’altra parte della città. In questa fase, Sebastian potrebbe aver già deciso di voler diventare un organista virtuoso, avendo dimostrato che era disposto a lavorare sodo per realizzare le sue ambizioni, mentre era sotto la tutela del fratello. Durante l’adolescenza, Christoph aveva studiato con Johann Pachelbel e riportato in famiglia la sua conoscenza della scuola organistica tedesca, insieme a esempi manoscritti del repertorio – quindi non ci sarebbe stato motivo di pagare di nuovo per lo stesso repertorio che Christoph, o piú probabilmente Ambrosius, aveva già acquistato. Se, alla stessa età, Sebastian si fosse trasferito a Lüneburg per studiare con Georg Böhm, la famiglia avrebbe potuto finalmente acquisire, oltre a un repertorio fresco e prezioso, la padronanza delle tecniche di composizione organistica dell’influente scuola tedesca settentrionale.
Con la scoperta, nel 2005, dei piú antichi manoscritti autografi conosciuti di Bach, il primo addirittura risalente a quando aveva tredici anni (come abbiamo visto), la nuvola di dubbio che aleggia intorno alla sua adolescenza e la nebbia della mitologia che si è raccolta sugli aneddoti riguardanti la sua permanenza a Ohrdruf e Lüneburg cominciano a diradarsi. Sembra ora abbastanza probabile che, da quando la sua voce mutò, Bach andò a vivere nella casa di Georg Böhm come suo allievo e forse come suo amanuense. La seconda trascrizione in intavolatura termina con un’iscrizione latina vergata da Böhm – Il Fine â Dom. George: Böhme descriptum ao. 1700 Lunaburgi (fig. 5b) (anche se alcuni potrebbero cavillare che questo, in sé, non comprova tutela né domicilio). Certamente stava copiando la musica dalla libreria di Böhm su carta olandese riservata esclusivamente al maestro, e la sua calligrafia, in quella fase, andava assomigliando sempre piú a quella di Böhm. Ce n’è abbastanza, insomma, per contraddire l’enigmatica cancellazione della parola cruciale – «il suo maestro Böhm [di Lüneburg]» – fatta da Emanuel nella sua lettera a Forkel (cui abbiamo già fatto riferimento), come segno di fedeltà del secondo figlio al padre nel ribadire che mai aveva avuto un insegnante regolare, e che doveva tutto al suo rigoroso apprendimento da autodidatta.
Sulla base delle nuove prove è ora plausibile ritenere che a soli quindici anni Sebastian Bach fosse in grado di eseguire i brani piú difficili della letteratura organistica del periodo, e che in Böhm avesse un potente sostenitore, uno in grado di presentarlo al suo maestro di Amburgo, Reincken (fig. 5b)v. Lo stile di Reincken era caratterizzato dall’esuberanza, dalla potenza drammatica, e da quei voli improvvisi e selvaggi di fantasia che distinguevano la tradizione artistica del Nord dallo stile di Pachelbel e della scuola organistica turingia che Bach aveva assorbito da suo fratello maggiore. L’influenza di Reincken si riversò sui primi pezzi di Bach, in cui austeri saggi di scrittura fugata si alternano a episodi di improvvisazione ricchi di fantasia e parti vivacizzate da dissonanze, estreme quasi quanto quelle nella musica vocale di Monteverdi e dei suoi imitatori tedeschi. Dal Nekrolog apprendiamo come venti anni dopo Bach tornò a suonare l’organo nella Catherinenkirche per due ore di fila, in presenza di Reincken, «allora quasi centenario» e che «lo ascoltò con particolare gradimento»40. Bach, «a richiesta dei presenti» scelse di improvvisare nientemeno che sulle variazioni del vecchio maestro su An Wasserflüssen Babylon – «a lungo – mezz’ora quasi – variazioni diverse», che senza dubbio includeva allusioni ai, e interpolazioni dai, lavori di Reincken. Per questo il vecchio compositore gli mostrò «molta cortesia». L’essersi sentito dire: «Credevo che quest’arte fosse estinta, ma vedo invece che vive ancora in Lei»41 deve aver toccato Bach molto profondamente.
Ma, dei due, fu Böhm, in ultima analisi, il maestro e il compositore piú influente. I suoi bellissimi Geistreicher Lieder («Canti pieni di arguzia») furono pubblicati nel corso dell’anno in cui Bach iniziò i suoi studi, e molti dei suoi corali riapparvero nelle antologie che Sebastian e suo fratello maggiore avrebbero di lí a poco collazionato. Possiamo, senza alcun dubbio, ritenere che Bach «amò e studiò l’opera di Böhm», secondo quanto C. P. E. Bach scrisse a Forkel, pezzi come le variazioni del corale, ornate ed emotivamente potenti, su Vater unser im Himmelreich42. Qui, sotto la guida di Böhm, Sebastian ebbe contezza, per la prima volta, del «gusto francese» in musica, di cui Böhm era un esperto, e che avrebbe giocato un ruolo assai fertile nel suo universo musicale. Piú tardi, lo stile esecutivo di Bach all’organo fu caratterizzato dall’uso, affatto peculiare, dei registri («in un modo tutto suo», scrisse Emanuel, «che sorprende gli altri organisti»), derivato forse dall’approccio francese, che dà molta importanza ai timbri, che Böhm poteva avergli insegnato. Si può rinvenire l’influenza di Böhm nei successivi corali per organo di Bach, BWV 718, 1102 e 1114, e, in una forma piú tangibile, nelle partite corali BWV 766, 767, 768 e 770, se si dà credito alla testimonianza secondo cui «furono probabilmente composte a Lüneburg sotto l’occhio vigile di Böhm»43. Fu senza dubbio grazie a Böhm che Bach poté ascoltare dal vivo un’orchestra di stile francese ogni volta che il duca di Celle visitava Lüneburg. Dopo la partenza di Bach dalla casa del maestro, i due rimasero in stretto contatto per molto tempo.
Per Bach la fine del percorso d’istruzione fu un momento fondamentale, non avendo il sostegno dei genitori o il denaro sufficiente per iscriversi all’università o continuare le sue lezioni con Böhm. In precedenza aveva preso la coraggiosa decisione di allontanarsi da casa per due anni di intenso studio. Ora, all’età di diciassette anni, era arrivato il momento delle scelte cruciali: prendere l’affascinante strada (rischiosa, ma di solito redditizia) della richiesta di assunzione presso la compagnia d’opera di Amburgo, usandola, come fece Händel, come trampolino di lancio verso la fama all’estero e una assai maggiore varietà e ampiezza di esperienze; o impegnarsi in un percorso professionale per il quale era ormai completamente addestrato, ovvero come organista e musico di chiesa. Böhm era perfettamente in grado di consigliarlo, avendo regolarmente suonato il basso continuo nell’orchestra dell’opera di Amburgo fino al 1698, e da quel momento in poi occasionalmente. Quando gli fu chiesto da Forkel cosa fosse accaduto a suo padre da Lüneburg a Weimar (nel 1702), Emanuel rispose semplicemente Nescio, non lo so44. Noi, invece, sappiamo che nel luglio 1702 Bach fece domanda, con successo, per il ruolo di organista a Sangerhausen, ma il duca di Weissenfels annullò la decisione delle autorità ecclesiastiche per favorire un candidato piú esperto. Per Natale, o poco dopo, era a Weimar, impiegato lacchè (esiste la registrazione di pagamenti dovuti a «Dem Lacquey Baache») presso il giovane duca Johann Ernst. Non era certo quello il lavoro che sognava, e dunque aveva ancora bisogno di una guidaw. Bach stesso descrisse in seguito la sua posizione come quella di HoffMusicus («musicista di corte») e, piú grandiosamente, come Fürstlich Sächsischer HoffOrganiste zu Weimar («organista di corte presso il principe di Sassonia, a Weimar»)45. La migliore fonte di consigli l’avrebbe trovata proprio dove tutto era iniziato, a Eisenach, nella persona del cugino di suo padre, Johann Christoph, il quale aveva appena compiuto sessant’anni ed era il capo non ufficiale del clan Bach. Non sappiamo con certezza se Bach tornò alle sue radici in Turingia, ma c’erano forti motivi per farlo.
Certo ricevette la notizia che Christoph, dopo anni di duri sacrifici per provvedere alla moglie malata e ai sette figli, versava ormai in pessime condizioni di salute. Dopo l’emozione del suo primo percorso formativo a Lüneburg e le visite agli organi di Amburgo, per Sebastian sarebbe stata sicuramente una grande gioia poter mostrare le sue nuove capacità, la sua forza improvvisativa e forse anche un paio di suoi brani, che un «geniale compositore» come Cristoph avrebbe saputo certamente valutarex 46. Non c’era nulla di strano nel consultare Christoph, andando nel cuore della dinastia, sulle sue prospettive di carriera, e per assicurarsi che la sua candidatura per qualsiasi posizione futura non confliggesse con le aspirazioni dei fratelli o dei cugini (aveva frequentato la scuola di Eisenach insieme ai due figli piú giovani di Christoph) o addirittura con quelle di uno dei membri piú anziani della famiglia. Rincontrando questo ex bambino, ormai quasi un uomo adulto, Christoph si inorgoglí per il suo abbagliante talento e fu lieto di consigliarlo.
Nessuno, infatti, piú di Christoph Bach era qualificato per valutare le abilità di Sebastian o piú esperto per pianificare il suo futuro immediato. Convenientemente, il cognato di Christoph, il borgomastro di Arnstadt Martin Feldhaus, era incaricato di sovrintendere al lavoro di J. F. Wender per la costruzione del nuovo organo alla Neukirche di Arnstadt, che avrebbe avuto ben presto bisogno di una valutazione professionale. Avendo ammirato il virtuosismo esecutivo del Sebastian organista, e in seguito la sua competenza tecnica nel valutare l’incompleto organo Stertzing a Eisenach (e capendo come reggeva il confronto con i magnifici strumenti Schnitger che aveva da poco sentito, e forse suonato, nel Nord della Germania), Christoph fu perfettamente in buona fede nel consigliare Sebastian per entrambe le posizioni: «perito» per l’organo Wender, e, dato che il posto era divenuto vacante, organista della Neukirche. Oltre a Sebastian, c’erano probabilmente altri dieci Bach qualificati per occupare tali posizioni, tra i quali quattro figli di Christoph, con il fratello di Sebastian ed ex insegnante d’organo, Christoph di Ohrdruf, probabilmente il piú bravo ed esperto tra i candidatiy. Sebastian aveva molte buone ragioni, quindi, per andare da Eisenach a Ohrdruf, durante l’estate del 1702. Suo fratello maggiore mise probabilmente subito in chiaro che stava bene lí a Ohrdruf e non avrebbe opposto resistenza qualora a Sebastian fosse prospettata la possibilità di valutare lo strumento nuovo alla Neukirche o di diventarne organista a tempo pienoz. Sebastian passò al fratello manoscritti con preziosi brani per tastiera, comprendenti undici opere del suo maestro Georg Böhm, insieme ad alcune del suo predecessore, Christian Flor, e un buon numero di composizioni di importanti autori francesi dell’epoca, il tutto per sdebitarsi nei confronti del fratello per la sua prima formazione e per l’acquiescenza di Christoph rispetto al trasferimento a Lüneburg. Questo fu solo il primo di molti futuri scambi di materiale manoscritto per due nuove antologie di musica contemporanea cui i fratelli avrebbero collaborato negli anni successivi47.
Quindi nulla ostava a che Sebastian accettasse l’invito di Martin Feldhaus, il borgomastro di Arnstadt, a esaminare e valutare il nuovo organo della chiesa. Un giorno, nel giugno 1703 una carrozza privata si avvicinò alle porte del castello di Weimar per trasportare il lacchè del Duca venticinque miglia a sud-ovest in direzione Arnstadt. Feldhaus si era accollato i suoi rischi nell’assumere il cugino diciottenne della moglie per giudicare se gli ottocento fiorini stanziati dal fondo comunale per la costruzione di un nuovo organo fossero una cifra congrua e garantisser un buon rapporto qualità-prezzo. In ultima analisi, però, l’approvazione definitiva per qualunque decisione relativa a fatti musicali ad Arnstadt spettava al conte Anthon Günther II di Schwarzburg. Questi aveva sempre chiesto un Bach, cosí ora avrebbe potuto averne uno, il migliore a disposizione, arrivato sulla scia di un grande consenso, e a un costo molto ragionevole. Al suo arrivo Bach subito si mise al lavoro, e per un paio di giorni dovette fare affidamento sulle proprie conoscenze: la misurazione della pressione dell’aria e lo spessore delle canne (controllando, ad esempio, se Wender prendesse la solita scorciatoia: sostituire lo stagno con il piombo per i tubi nascosti); valutare la sonorità delle ance e soprattutto i tre grandi registri da sedici piedi, la qualità del tocco e il tempo di reazione dei tasti. Sappiamo da Emanuel che la prima cosa che faceva suo padre per testare un organo era vedere se avesse «buoni polmoni»: «per capirlo, selezionava tutti i registri e suonava nella polifonia piú piena e ricca possibile. Quando lo faceva, i costruttori di organi di solito impallidivano per la paura»48. Alla fine, espresse la propria soddisfazione per il nuovo strumento e quindici giorni dopo, tornato a Weimar, Bach ricevette l’intero compenso per il lavoro svolto e un rimborso – l’importo era stato prelevato dall’introito delle tasse sulla birra – seguito dall’offerta del posto di organista presso la Neukirche: il contratto fu redatto il 9 agosto e firmato dal Conte. Non è chiaro come Bach riuscí a svincolarsi dall’impiego alle dipendenze del duca Johann Ernst a Weimar, ma il 14 agosto presentò la sua accettazione al concistoro di Arnstadt e assunse le sue funzioni presso la Neukirche.
All’inizio di quell’anno, poco dopo il suo diciottesimo compleanno, la famiglia aveva perso, in rapida successione, prima Maria Elisabetta, moglie di Christoph di Eisenach, e due settimane dopo il grande Christoph stesso. E quindi la figura piú rilevante della dinastia pre-Sebastian non visse abbastanza per vedere il suo amato progetto di organo completato, né per assistere allo spettacolare sviluppo creativo del suo giovane cugino, nemmeno gli insicuri primi passi di una carriera che egli avrebbe potuto grandemente contribuire a guidare. Con la morte del cugino, Sebastian Bach dimostrò oltre ogni dubbio di avere ormai le doti musicali per essere preso seriamente all’interno di questa famiglia musicale (e l’assunzione ad Arnstadt ne era, in un certo senso, la prova). Finora aveva mostrato non solo una grande predisposizione naturale, ma anche una perseveranza umana che gli aveva permesso di affrontare le avversità. Vi è una credenza popolare secondo cui il talento si basa su una capacità innata che rende chi la possiede certamente un vincente; ma la storia della giovinezza di Bach indica invece quanto il nutrimento del suo talento fosse dipeso dal caso e dalla pianificazione. Senza la presenza ispiratrice del vecchio Christoph, nell’educazione musicale di Sebastian sarebbe potuta mancare quella scintilla iniziale essenziale che l’avrebbe resa molto piú banale. Se non fosse stato apprendista di suo fratello maggiore, alla morte dei suoi genitori, la sua capacità tastieristica sarebbe potuta restare latente per un certo numero di anni e lui non sarebbe stato tecnicamente evoluto o abbastanza sicuro per allontanarsi dalla sua patria e studiare con il terzo dei suoi mentori, Georg Böhm. Senza Böhm, il suo ingresso nella ricca e cosmopolita vita musicale di Amburgo, con il suo nuovo Teatro dell’opera e i suoi numerosi bellissimi organi da chiesa avrebbe potuto rivelarsi molto piú difficile. Senza la possibilità di osservare da vicino il grande costruttore di organi Arp Schnitger, e sentire il maestro di Böhm, Johann Adam Reincken, suonare quei preziosi strumenti, non ci sarebbe stato nessun consolidamento del suo talento e nessuna qualifica, in cosí giovane età, tale da essere preso seriamente in considerazione per l’impiego ad Arnstadt. Questi sono solo i primi di una serie di collegamenti che si possono plausibilmente effettuare tra gli eventi ormai certi della vita di Bach, le circostanze verificabili della sua infanzia e del processo didattico, le opere da lui studiate e imitate, e la musica che presto avrebbe iniziato a comporre. Essendo abituato a contare sulle proprie risorse interiori per gran parte della sua adolescenza, come conseguenza dell’essere orfano, e spinto da un’ambizione palpabile a diventare qualcuno e da una curiosità musicale vorace, a diciotto anni Johann Sebastian Bach era pronto a reggere il confronto con i suoi coetanei, quel gruppo di compositori-musicisti di eccezionale talento nati nel 1685 o poco prima.