Il primo avvenimento a Thanksgiving Avenue, Manitou, Illinois, fu la scoperta che c’erano due bagni. Questo mi fece capire che avevo fatto un grande passo avanti. Non si parla spesso di traspirazione e sporcizia, ma anche loro hanno importanza. Lo zio e la zia avevano un bagno per loro, mentre io avrei usato il bagno degli ospiti. C’era una vasca enorme, magnifica, e stavo per saltarci dentro quando la zia Hattie irruppe di corsa per dirmi che in nessun caso potevo fare il bagno in quello stato. Questo aumentò la mia sensazione di umiliazione e malessere.
Immagino che la prima cosa che fece la zia Hattie fu di andare al telefono, probabilmente per chiamare la signora Weissenkorn. Se non avessi ascoltato per quattro anni le telefonate tra la zia e la signora Weissenkorn ignorerei a quali profondità l’umana conversazione può giungere. Avevano già progettato e stabilito ogni cosa prima ancora che arrivassi: Trudy Weissenkorn e io saremmo state migliori amiche. Ma Trudy, una piccoletta pallida e grassoccia con gli occhi color ostrica, era più giovane di me di parecchi mesi e non era ancora sviluppata. Questo costituì un ostacolo a quella premeditata intimità, perché mamma Weissenkorn si stava ancora lambiccando il cervello su come svelare a Trudy la Cosa Terribile e non volevano che lo venisse a sapere da me. Durante quella tregua, in cui io e Trudy eravamo ancora tenute a una certa distanza – come se potesse mai passarmi per la testa di parlare di cose intime con quella scema – potei legare con Molly Scharf.
Un’altra cosa che mi colpì molto fu la presenza di un telefono in casa. A Griscom Street, con papà, sarebbe stato impensabile. Lui sosteneva di non poterselo permettere, ma la realtà era che non voleva essere svegliato durante il suo sonno diurno. Inoltre, non ci serviva. I negozi erano dietro l’angolo di Frankford Avenue e la maggior parte dei nostri amici abitava a pochi isolati da noi. Ma dato che da ragazzi si è particolarmente sensibili a ogni differenza, soffrivo di un complesso d’inferiorità per via del telefono e perché la nostra casa aveva solo due piani. Passare a una grande casa a tre piani, con due bagni e addirittura il telefono fu un’esperienza elettrizzante.
Non so proprio come avrei superato quei primi orribili giorni a Manitou se non fosse stato per la casa delle bambole di carta. Mentre preparavo la valigia, in un primo momento, avevo pensato di lasciarmi alle spalle una simile bambinata, ma poi all’ultimo, disperato momento, l’avevo presa. Suppongo che tutte le bambine facciano lo stesso gioco. Dalle pubblicità delle riviste illustrate si ritagliano i mobili, i tappeti e le decorazioni per ciascuna stanza di una lussuosa casa immaginaria; questi ritagli vengono incollati con grande cura su un album, dopodiché si portano le bambole di carta a visitare queste meraviglie dell’arredamento. Gli unici limiti a queste case da sogno erano la bravura con le forbici e la possibilità di accedere alle riviste giuste. Probabilmente le mie ricordavano un po’ troppo la Curtis Publishing Company, visto che il Saturday Evening Post e il Ladies’ Home Journal erano le riviste più facili da trovare in casa nostra, ma ogni tanto riuscivo a mettere le mani su qualche rivista di architettura o di arredamento, e lo Spanish Breakfast Grotto at Grosse Pointe della signora Lewisohn entrava subito nel mio palazzo. Era uno spasso trascorrere un pomeriggio piovoso con un’altra bambina, esaminando senza fretta i particolari di una casa da sogno altrui e facendo indossare alle bambole di carta abiti adeguati a quei fastosi intrattenimenti. Avevo pensato che la mia sopraggiunta maturità avrebbe spazzato via questo genere di cose, ma avendo portato con me l’album dei ritagli e la vecchia scatola di caramelle Fanny Farmer con la famiglia delle bambole, passai il tempo con loro in quei primi giorni solitari a Manitou. Pastafrolla mi fu di grande conforto, perché potevo spiegargli ogni particolare senza aver paura di essere presa in giro. La primadonna della mia compagnia di bambole si chiamava Nancy Wynne, nome che avevo preso dalla rubrica mondana del Public Ledger.
Furono proprio le bambole di carta – ognuna di loro aveva il nome di qualche esponente dell’alta società di Philadelphia menzionato dai giornali – che diedero il via alla mia amicizia con Molly Scharf. Era un pomeriggio molto caldo e io avevo trascinato i miei giochi sul portico. Zio Elmer mi aveva dato un catalogo di Sears Roebuck, che aveva una gran quantità di materiale per i miei ritagli. Ero assorta nell’analisi di ogni genere di aggiunta alla mia casa dei sogni, e mi stavo chiedendo come inserirle nel mio album già pieno. Un improvviso refolo di vento ruppe la calma stagnante, e le bambole e i ritagli volarono sul prato. Corsi per acchiapparli, vergognandomi che mi si vedesse con quelle cose, e una ragazza che passava in quel momento mi aiutò a raccoglierle. Mi imbarazzai molto, ma lei con mia sorpresa disse: «Anche a me piace ritagliare».
Così venne sotto il portico a vedere la mia collezione, e per quando la zia Hattie scoprì che eravamo là e ci portò un po’ di root beer5 eravamo già grandi amiche. Anche Molly aveva una casa dei suoi sogni, e io fui molto impressionata dalla sua trovata di tenerla sciolta in una specie di schedario anziché incollarne le varie parti in un album. Questa idea rendeva i cambiamenti e le aggiunte molto più facili. Lei invece fu colpita dai miei nomi aristocratici, cosa che le parve molto elegante. Volle anche lei “qualche buon nome di Philadelphia” per la sua famiglia di carta, e la signora Rittenhouse o la signora Cynwyd Lloyd sarebbero rimaste molto sorprese se avessero saputo di condurre un’esistenza parallela nell’Illinois.
Ora mi rendo conto che il mio rispetto per la società di Philadelphia è nato durante le lunghe mattinate di quiete col giornale domenicale tra le mani, mentre mio padre dormiva. Ma considerando quello che accadde dopo, è divertente notare come quei nomi occuparono la mia immaginazione durante l’infanzia. Quei nomi sedussero anche Molly, che scambiò un nastro per capelli scozzese col privilegio di battezzare una delle sue bambole “Cadwalader Shippen”.
Molly e io eravamo segretamente imbarazzate da questa faccenda delle bambole di carta anche se non avremmo dovuto, perché questo gioco si sarebbe trasformato in un autentico interesse per gli abiti e i mobili, e non è certo un caso che lei oggi abbia un magnifico impiego come decoratrice d’interni da Palmer, a Chicago. Suo padre aveva un grande negozio di cartoleria e giornali in Main Street, così che per lei era facile procurarsi delle riviste ricercate per i nostri ritagli. Entrambe rimanevamo sulla difensiva; stavamo per entrare alle scuole superiori, e questo coincide con un periodo in cui una ragazza è più che mai attenta a non rivelare i propri sentimenti in nessun modo, e convive con l’ansia atroce di commettere errori. Proprio quando ogni specie di stranezza vi si agita dentro, ecco che vi buttano addosso lavori scolastici a palate. La Manitou High School aveva già un’ottima reputazione e quell’anno veniva inaugurato un nuovo edificio per cui i contribuenti avevano dovuto sudare più del solito. Era un palazzo magnifico con tutti i ritrovati più moderni: lavagne verdi, una mensa, illuminazione teatrale e fontanelle a getto, a cui non sono mai riuscita a bere senza bagnarmi la camicetta. Credo che la direzione della scuola si fosse data così tanto al lusso per dare manforte al vecchio Prairie College, un istituto privato che tirava avanti senza grande movimento dai tempi dei dibattiti Lincoln-Douglas. Il nuovo liceo era adiacente al campo sportivo del Prairie e sovrastava i palazzi che formavano l’università. Ciononostante, noi guardavamo con invidia e con segreta ammirazione i ragazzi e le ragazze dell’università, imitavamo il loro stile sofisticato e ci chiedevamo che sensazione si provasse a sapere tante cose. Fu un gran colpo alla nostra venerazione quando la squadra di calcio della nostra scuola batté gli universitari.
In tutta la grande eccitazione per l’inaugurazione del nuovo edificio, quell’anno, le matricole passarono quasi inosservate. In quel periodo ero ipersensibile: un comico senso di superiorità per la mia provenienza dal sacro Est si mischiava in me alla naturale ritrosia della forestiera. In breve mi guadagnai il soprannome “Philly” o “Filly”, perché il professore di storia chiamava sempre me ogni volta che c’era una domanda sulla Rivoluzione Americana. «Kitty» diceva «raccontaci che cosa accadde nell’Independence Hall nel 1787». Ed era inutile insistere che, come mi era stato insegnato dalle mie parti, i veri filadelfiani non parlavano mai di Independence Hall ma sempre di State House.
Alla festa di inaugurazione, tutta la scuola e i genitori degli allievi si riunirono nel grande auditorium, i vari insegnanti fecero molti discorsi e la banda dell’istituto indossò le uniformi nuove. Venne issata una bandiera nazionale di seta con le frange d’oro e poi recitammo il saluto alla bandiera; la banda suonò My Country, ’Tis of Thee. Avevo il cuore in gola per la commozione, e credo di poter dire con certezza che quella fu la prima sensazione di reale patriottismo della mia vita. Bisognava allontanarsi dalle grandi città dell’Est per riuscire a sentirlo. Nell’Est si è così occupati a essere filadelfiani, newyorkesi, bostoniani eccetera, che il concetto generale di essere americani non riesce a far presa. Le grandi città, diceva Wyn, hanno superato il patriottismo. Per quanto riguarda Philly, invece, questa ha inventato gli Stati Uniti, dopodiché ha passato l’idea agli altri ed è ritornata alle sue faccende – l’Assembly6, la Sinfonia, il Cricket e il fish house punch7. Ogni volta che ci ripenso, sono grata della possibilità che mi venne offerta di vivere per un periodo nel Midwest. Quegli spazi immensi, che durante il giorno sono pieni di grano e la notte di stelle! Sembrava che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, e infatti non mi pare che la gente fosse granché preoccupata in quel periodo, durante quella che Wyn chiamava la “piccola età dell’oro”, tra il 1924 e il 1929. E se proprio non si aveva idea di cosa fare, si poteva sempre accendere la radio.
Ecco un’altra cosa che non c’era a Griscom Street. Papà diceva che voleva leggere il suo giornale in pace, senza che qualcuno gli parlasse dal Nulla. Invece, quando arrivai a Manitou, lo zio Elmer l’aveva appena scoperta; diceva che se Sears Roebuck l’aveva inclusa nel suo catalogo doveva essere qualcosa d’importante, nonostante la zia Hattie fosse ancora convinta della sua pericolosità durante i temporali. Io faccio parte della prima generazione che ha imparato a fare le faccende domestiche con la radio accesa. Le persone più anziane ci hanno preso in giro parecchio su questo, ma io sono convinta che, in qualche modo, la radio ci abbia insegnato a cogliere la tendenza generale del momento, il multiforme chiacchiericcio della vita, senza prestare troppa attenzione ai dettagli. Avete mai incontrato una donna che creda davvero alle cose di cui si parla tanto sui giornali? A me non è mai successo. Le donne sono molto più intelligenti di quanto non facciano credere. Conoscono delle mode che gli uomini non immaginano nemmeno. Esistono mode nel dire le cose proprio come esistono mode negli abiti. Si tende a indossare quello che portano tutti non tanto per essere seducenti, ma perché così si è meno evidenti, e sotto ai vestiti si può continuare a essere se stessi senza essere notati (tranne, ovviamente, dalle persone da cui volete essere notati).
Ma sto mescolando troppo le carte. Sto pensando a quei lunghi pomeriggi della prateria in cui io e Molly ce ne stavamo sedute in salotto con la radio accesa, a fare i compiti per il giorno dopo. Questa situazione durava finché lo zio Elmer non tornava a casa dallo stabilimento agricolo e cambiava stazione su qualche bollettino sull’andamento del mercato dei cereali a Chicago. Lo zio Elmer era favorevole alla radio perché era convinto che limitasse il tempo che la zia passava al telefono. Andava quasi fuori di testa, quando lei era al telefono; qualunque cosa dicesse, lui le urlava suggerimenti o correzioni; a quel punto la zia si innervosiva e parlava velocemente, e di qualunque chiamata si trattasse era costretta a ripeterla pochi minuti dopo per chiarire cosa aveva detto. Povera cara, quando arrivò il suo turno di segretaria del Circolo Femminile gliene fece vedere delle belle! Da anni tentavano di far venire Vachel Lindsay a recitare. Quando arrivò, la zia riuscì non so in quale modo a fargli promettere che sarebbe andato a pranzo in tre case diverse contemporaneamente. Alla fine lui si divertì talmente tanto con i ragazzi del liceo che dimenticò ogni impegno e restò con noi nella mensa della scuola. Era la prima volta che vedevamo un vero poeta vivente, e sembrava una persona qualsiasi. Quando disse che la cosa più romantica di Manitou erano i cantieri C.B.&Q. e la collinetta su cui venivano deviati i treni merci, noi non riuscimmo a capire che cosa volesse dire, e tutta la sezione letteraria, che stava sgobbando sulla Donna del lago, ne fu interdetta.
Se potessi tornare a scuola adesso, forse ne trarrei maggior profitto. O almeno credo. No, probabilmente non accadrebbe se mi ritrovassi nel banco accanto un altro piccolo demonio come Lydia Mason, sempre intenta a trasformare tutto in un cabaret. C’è anche da dire che le letture del corso preparatorio all’università confondono i ragazzi. Agli occhi di un gruppo di giovani di una cittadina di campagna, La ballata del vecchio marinaio, il Sogno di una notte di mezza estate e La donna del lago sembrano piuttosto tetri e irreali, e tendono a caricarli di dinamite sotto forma di risate incontrollabili. Io andavo un po’ più d’accordo con La donna del lago, perché nel mobile in salotto lo zio Elmer ne aveva una bella copia antica, tutta illustrata. Le illustrazioni mi aiutavano a farmi un’idea. Sentivo che quel poema era mio, in un certo senso, per via del lago Loch Katrine, il nome scozzese di Kitty. Non riesco a immaginare che cosa vi trovasse il resto della classe. Di sicuro nessuno di noi aveva mai visto una montagna in vita sua, né un castello, né un capo dell’Highland in kilt. La cara vecchia Miss Elliman, la nostra professoressa di letteratura, amava quella roba e faceva degli sforzi sovrumani per farcela entrare in testa, ma la cosa che ricordo meglio restano gli assurdi appunti che Lydia scribacchiava sui margini del libro per poi spingermelo sotto il naso. L’eroe di Miss Elliman era Roderick Dhu, ma noi preferivamo H.B. Warner. Nel punto in cui il poema diceva che Roderick “mirava le gonne di Benvenuta”, Lydia annotò: “Probabilmente era un pomicione”. Nel Vecchio marinaio, che a noi sembrava sproporzionato e goffo, c’era un verso su una donna dalle labbra rosse, gli sguardi arditi e i ricci biondi come l’oro. Noi ci scrivemmo accanto: “Jess Cornish!!!”. Jess Cornish, dell’ultimo anno, era la femme fatale della scuola. Per noi matricole il solo incrociarla nei corridoi era emozionante: l’intera scuola ci appariva più importante e sofisticata solo perché si diceva che Jess fosse così perversa. Giravano storie misteriose, che fosse andata a Quincy con dei ragazzi e avessero fumato dei sigari e fossero rimasti fuori fino al mattino. Eravamo convinti che nemmeno gli studenti dell’università accanto conoscessero la vita bene come Jess Cornish. Probabilmente avevamo ragione, perché poi venimmo a sapere che fu espulsa al secondo anno di college.
Non ricordo di preciso quando avvenne, ma fu abbastanza duro quando studiammo Sogno di una notte di mezza estate. Miss Elliman aveva recitato in una rappresentazione del Sogno in qualche spettacolo all’aperto, e ci diede una prospettiva lacrimosa sul Re e la Regina delle fate e sulla “commedia gentile” di Bottom. Era terribile la quantità di passaggi incomprensibili che trovavamo in quei dialoghi; singhiozzavamo nei nostri attacchi di ridarella, e la povera Miss Elliman era sempre più disorientata e depressa. Non ho mai capito bene di che parlasse quella commedia, ma in qualche modo i ragazzi riescono comunque a cogliere qualcosa, nonostante siano troppo ottusi per esprimerlo e sfacciati per ammetterlo. Ma ora capisco, e il mio Dio lo sa, alcune delle cose che quegli scrittori stavano cercando di dire.
Tutte quelle scemenze, immagino, erano solo un rozzo tentativo di avvicinarci a quelle cose così strane, così che potessimo capirle e ci sembrassero reali. Mi sono ripromessa spesso di riprendere quei vecchi libri per leggere che cosa c’è dentro. Quando Lydia mi lasciava un po’ in pace, io riuscivo perfino a provare un’ombra di emozione, e mi accorgevo che quelle parole risvegliavano delle immagini nella mia fantasia. Lydia si ammalò di appendicite e cambiò sezione, e questo fu un bene per la letteratura. Potei così vedere Sir Launfal cavalcare nella sua lucente armatura e gettare una moneta al mendicante. Un’altra cosa che Miss Elliman ci spiegò bene fu l’Elegia scritta in un cimitero campestre, e ci disse che cose del genere erano state fatte nella nostra regione, sullo Spoon River, anche se non esattamente un’elegia. La sua classe andava sempre a fare un picnic laggiù per farsi un’idea più chiara. Durante quelle gite letterarie, la poesia veniva criticata terribilmente e Miss Elliman rientrava scoraggiata dall’irriverenza dei suoi allievi; ma l’anno successivo dimenticava tutto e riprendeva a sperare. In ogni caso, ricevemmo un bel carico sentimentale di Anne Rutledge, e riflettemmo in segreto sulla bellezza degli amori infelici e sulle cose che sarebbero sbocciate per sempre dalla polvere dei nostri piccoli petti8.