«È impossibile pulire il giardino» sbuffava lo zio Elmer mentre affrontava il prato, cercando di raccogliere ogni singola foglia caduta e ogni rametto e tutta la robaccia sparsa in giro. La zia Hattie diceva che spulciava letteralmente il prato. Lo zio aveva un callo permanente su un dito a causa delle forbici che usava per pareggiare le punte dei fili d’erba sull’orlo del marciapiede. Il risultato era così ordinato da somigliare a un taglio di capelli militare.
A meno che non abbiate frequentato una scuola superiore del Midwest, non potete immaginare a quali picchi di ordine e pulizia possa giungere il mondo. Se le cose dovessero prendere una certa piega, gli abitanti della prateria sarebbero dei nazisti perfetti. Si abboffano di barbecue e di sfilate di massa con bande, bandiere varie e discorsetti rassicuranti.
Quella del 1928 fu la prima classe a fare tutti e quattro gli anni nel nuovo edificio, e il nostro diploma fu superlativo. Forse bisognerebbe scrivere la storia di tutti i nuovi licei costruiti in quel periodo negli Stati Uniti: sarebbe un libro interessante. Era un momento in cui il Consiglio dei Lavori Pubblici credeva che l’unico problema serio fosse in che modo tutti gli abitanti di Thanksgiving Avenue potessero avere un garage per due automobili senza dover rendere la strada più stretta. Da Pasqua in poi, noi ragazzi fummo travolti da una marea di avvenimenti. Non mi sorprende che per le persone sia un bene sentirsi importanti; eravamo a tutti gli effetti dei piccoli fascisti. Molly, Peg Ramsauer e io venimmo accolte nel Gammagam, una società segreta che si proponeva solennemente di elevare la componente femminile della scuola. Fedor era il direttore dell’Harvest, l’annuario degli anziani, e ci faceva lavorare come bestie. Battevamo a tappeto tutta la città in cerca di pubblicità per il giornale. Fu una grande emozione quando Molly e io entrammo alla Moda Parigina e vendemmo loro un’intera pagina di pubblicità promettendo che avremmo comprato da loro i vestiti per il giorno del diploma. Alcune ragazze che avevano le gambe grasse cercarono di promuovere un movimento in favore di gonne più lunghe, ma non conclusero nulla perché non avrebbero mai ammesso ciò che le affliggeva.
Parte dell’impegno con il Gammagam consisteva nel confessare, prima di essere iniziate, qualsiasi azione commessa in passato che potesse recare danni alla morale della scuola. Stupida com’ero presi la cosa molto sul serio, e quando il comitato nascosto dietro il paravento mi fece la domanda di rito ammisi che, alla gara sportiva di Princeton, Freddie Unruh mi aveva baciato dietro il palco. Sentii dei versi che indicavano scandalo e riprovazione. Alla fine, non riuscendo più a trattenere le risate, si chiesero: «Dobbiamo dirglielo?». Il fatto era che quasi tutte le ragazze del Gammagam erano state baciate da Freddie, di solito al Clubfoot Lake, che era il suo posto speciale. Credo che nessuno a est degli Allegani sappia quanti baci innocenti ci si possono scambiare in un campo di granturco, indipendentemente dal solletico della seta di mais nelle orecchie. Eravamo cadute tutte nella rete di Freddie, che era la nostra triplice minaccia: a football, a baseball e in un’automobile chiusa. Durante lo studio non era un gran pericolo: indossava sempre gli occhiali neri perché diceva che la luce gli dava fastidio agli occhi, ma in realtà lo faceva per dormicchiare durante le lezioni di latino. Nel taschino del panciotto aveva sempre un pettine, e si capiva quando era sveglio perché se lo passava tra i capelli. Il professor Sheldon una volta gli disse: «Freddie, se ti occupassi del latino con la stessa attenzione che hai per i tuoi capelli, potrei darti dei voti migliori». Freddie non se ne curava, era tra i mediani migliori e aveva già avuto un’offerta per una borsa di studio da un’università statale.
Questo mi fa venire in mente come dovessi spiegare di continuo a Wyn che Princeton e il New Jersey erano due cose diverse. Senza contare che c’era una sola Princeton nell’Illinois. Quelli di Princeton erano i nostri grandi rivali nei dibattiti, nel football e nel baseball. Quando la banda della scuola superiore di Princeton si presentò in uniforme, credemmo d’impazzire fin quando non ne ottenemmo una anche noi. Avemmo un tamburo maggiore in shorts di seta prima di chiunque altro: l’idea fu di Jess Cornish, il suo unico contributo alla causa. Ci fu, però, chi disse che una cosa del genere era già stata fatta nel Minnesota, da una di quelle svedesi lattee e gigantesche. Ma Jess sapeva ruotare quel suo famoso bacino come una zangola per il burro, ed era proprio un bello spettacolo vederla avanzare a passo cadenzato, mentre gli studenti urlavano:
Hiliga hoop, hiliga hoop
Princeton, Princeton, sei nei guai!
G-u-a-i, g-u-a-i, guai, guai, guai!
A raccontarla così potrebbe sembrare divertente, ma ci ho dato davvero dentro con lo studio. In qualche modo, ero una ragazzina molto riservata: sia a Frankford con papà, sia a Manitou, avevo sempre la sensazione di restare ai margini di quello che facevano gli altri, un po’ come stare in disparte a guardare il gioco: quello che Mark Eisen chiamerebbe un kibitzer16. Ma ero interessata allo studio, ed ebbi più dei quindici punti necessari per il passaggio al Prairie College. Lo zio e la zia si offrirono di mantenermi all’università, e il caro vecchio papà ne fu straordinariamente lusingato. La cosa davvero comica è che mi consideravano dotata di tendenze letterarie, cosa che mi procurò non poche seccature. Ogni studente del corso doveva avere, sotto la propria foto pubblicata sull’Harvest, una frase o una citazione adatta a lui. Mi feci aiutare da Molly, che conosceva meglio di me i nostri compagni di scuola, e la cara vecchia Miss Elliman ci salvò la vita mettendoci a disposizione un dizionario di detti e massime letterarie. Ce lo portammo a casa dalla biblioteca della scuola e raccogliemmo circa duecento cartellini, uno per ogni studente del nostro corso. Poi ricopiammo un’elegante citazione su ogni cartellino e ci lambiccammo il cervello a formare gli abbinamenti. Molly voleva che sotto la mia foto ci fosse scritto “Non c’è nave che possa come un libro”17, verso che Miss Elliman citava sempre, ma io non ero d’accordo. Volevamo entrambe “Il sangue puro ed eloquente parlava nelle sue guance”18, ma alla fine Molly me la cedette, vista la mia tendenza ad arrossire. C’era un’ultima frase rimasta che non sapevamo a chi dare e se la prese Molly: “Quando dolore e angoscia fanno corrugare la fronte, tu sei un angelo tutelare”19. Era facilissimo ferire i sentimenti di qualcuno facendo quelle assegnazioni, ma noi riuscimmo a cavarcela. Il flop maggiore lo evitammo all’ultimo momento. Volevamo così bene a Fedor Vassily, e lo ammiravamo così tanto, che avevamo pensato che il detto migliore per lui fosse:
Venite, venite tutti, questa roccia volerà dalla sua solida base quando lo farò io20.
Ma poi ci ricordammo dell’incidente della roccia magnetica e, con le bozze già pronte, pensammo che avrebbe potuto sembrare un’allusione alla gamba del povero Fedor. Dovemmo cambiare in fretta e furia, e così, presa una delle citazioni femminili, non ricordo più quale, cambiammo “lei” in “lui” e il problema fu risolto.
Poi ci fu il ballo di fine anno per gli anziani della scuola, con i suoi terribili problemi. Fedor mi mise in imbarazzo chiedendomi di andarci con lui, cosa che ovviamente non potevo fare perché si supponeva che la sua accompagnatrice fosse Molly. La ragazza di Fedor aveva sempre la possibilità di divertirsi e di ballare moltissimo, perché lui non ballava e tutti i migliori ballerini facevano a gara a invitare la sua dama. Freddie Unruh mi invitò e io fui tentata di accettare perché sapevo che questo avrebbe fatto crepare d’invidia alcune delle modaiole, ma visto che avevo avuto quegli aggiornamenti dal Gammagam ci andai con Mason, detto “Idrante”, che era il fratello gemello di Lyddie. «Ma non siamo più gemelli» diceva «ora che mia sorella ha la cicatrice dell’appendicite». «Certo» osservava Lyddie «a voler prendere le cose così alla lettera non lo siamo mai stati».
Il vero problema fu trovare un cavaliere per Trudy Weissenkorn. Nessuno voleva accollarsela, aveva i piedi pesanti ed era legata nei movimenti. Ma bisognava trovare comunque una soluzione e così Peg, Molly e io un giorno ci riunimmo nel laboratorio di fisica all’ora di pranzo. Convocammo anche Freddie, Fedor e l’Idrante e li minacciammo di piantarli e di andarcene tutte e tre al cinema anziché al ballo con loro se non avessero trovato un compagno disposto a fare da cavaliere a Trudy. C’erano del mercurio e del petrolio in una provetta di vetro per non so quale esperimento, e Freddie rispose che la maggior parte dei ragazzi avrebbe preferito bere quell’intruglio piuttosto che prendersi Trudy. Allora io mi arrabbiai: a che accidenti serviva leggere tutta quella Donna del lago e tutto quel Walter Scott se poi non erano capaci di un po’ di cavalleria? Molly forse si era montata la testa con tutte le citazioni letterarie che avevamo dovuto affrontare perché, afferrata la provetta, disse che ne avrebbe bevuto il contenuto se non si fossero comportati da gentiluomini.
I ragazzi si spaventarono e la cosa funzionò: ognuno di loro fece ballare Trudy e si prese cura di lei, e lei non seppe mai il vero motivo. O almeno spero che sia così, anche se mi sono chiesta spesso perché mi abbia regalato quella borsa di coccodrillo per il diploma nonostante ci fossimo messe d’accordo di non comprarci nulla.
L’animazione generata da un diploma di scuola superiore dell’Illinois sarebbe un eccellente allenamento per dei diplomatici internazionali. Mi chiedo se qualcuno, a Harvard o a Yale, prenda sul serio la cerimonia per la consegna dei diplomi come fanno gli studenti di Manitou. E come ci restammo male quando l’addetto del Consiglio direttivo si ammalò e ci portarono dei diplomi su cui non c’era scritto nulla! Erano dei semplici rotoli di carta legati con un nastro, consegnatici con la raccomandazione di non aprirli in pubblico. Naturalmente tutti i genitori vollero dare un’occhiata quando andammo a incontrarli al ricevimento, e noi ragazzi dovemmo inventare ogni specie di scuse. Il professor Sheldon, il nostro grande latinista, che era al corrente del trucco, mi fece l’occhiolino e mi disse: «Kitty, ricordati che il diploma è un semplice foglio in bianco; è l’insegnamento più prezioso di tutto il corso di studi». Allora non capii che cosa volesse dire, ma oggi lo capisco benissimo.
Le cose peggiori sono sempre le più inaspettate: lo zio Elmer faceva parte del Consiglio direttivo e aveva l’incarico di distribuire i premi, cosicché doveva indossare l’abito da sera. Questo comportava sempre una crisi perché lo zio, in casi come questo, aveva bisogno d’inzupparsi in una vasca d’acqua calda per almeno mezz’ora se voleva ammorbidirsi la barba in modo da poterla radere. Con la zia in un bagno e lo zio nell’altro, mi restava ben poco tempo per prepararmi. La zia alla fine perdeva la pazienza e andava a picchiare alla porta. «Chi è che deve diplomarsi, tu o Kitty?». Lo zio mugugnava tra sé, chiuso in bagno, perché doveva tenere un discorso alla cerimonia. Credo che fosse deluso perché non avevo vinto alcun premio. Ma ero tra quelle che dovevano alzarsi in piedi in quanto appartenenti al Gammagam per Elevata Moralità. Non mi ero mai vergognata tanto. Tutte le diplomate erano sedute su una specie di tribuna costruita sul palco. Nessuna di noi era abituata ai tacchi alti e quasi tutte le ragazze, nell’alzarsi al momento del proprio nome, furono lì lì per fare un tuffo. Il nostro sangue puro ed eloquente parlò molto chiaramente quella volta, e mi chiedo ancora se Freddie stesse sogghignando.
Anche il discorso dello zio fu un disastro. Era qualcosa sullo “Star ritti su piedi riluttanti”21.
Ma non ci furono piedi riluttanti quando il Consiglio direttivo ebbe finito con noi e il ricevimento dei genitori fu concluso. Andammo tutti al Clubfoot Lake, dove avevano preparato una piattaforma per ballare proprio sull’orlo dell’acqua, e il Gammagam non era più responsabile degli ideali della comunità. Era strano sentirsi tutt’a un tratto così adulte nella testa e così leggere nei piedi. Quegli abiti ampi e fruscianti facevano sentire indipendenti le nostre gambe. Ma in realtà fu una festicciola molto tranquilla e disciplinata e, in un certo senso, sentivamo che il mondo non era poi così cambiato come invece ci eravamo immaginati. C’era un ragazzo di Peoria che aveva portato una caraffa di rum di contrabbando e noi tutte ne mettemmo un goccio nella Coca-Cola, per ravvivarci un po’. I liceali, a quanto mi è sembrato, sono parecchio decorosi, tranne quando qualche vecchio caprone del Consiglio cercava di risolvere velocemente le questioni. Le gonne corte che indossavamo tutte a quei tempi li disturbavano. Ma tutto ciò che desiderava un ragazzo come Freddie Unruh era un piccolo rossetto. Dicevano sempre che sapeva di lampone, ed era l’unica cosa che ottenevano se si dimostravano troppo insistenti.
Forse il motivo per cui ci comportammo così castigatamente fu perché Jess Cornish era fuori al Clubfoot Pavilion. Era stato il suo accompagnatore a portare la damigiana di rum. Noi tutte adoravamo Jess, magnifica nella sua strafottenza, ma sapevamo anche, con quello strano istinto dei ragazzi, che era su una strada piena di guai. Venne al nostro tavolo, ci fece l’occhiolino con le sue grandi ciglia truccate con il mascara, e guardò i nostri ragazzi tutti agghindati nei loro pantaloni di tela stirati di fresco. «Non fateli esagerare» disse scherzando. «Se fanno troppo gli intraprendenti, chiedete loro perché non si sono rasati di fresco. Ne resteranno così lusingati che si dimenticheranno di qualsiasi altra cosa».
Naturalmente i ragazzi ci restarono male, perché erano stati tutti molto occupati a radersi quel po’ di peluria nascente sulla loro faccia e non pensavano che l’argomento potesse affiorare prima di una settimana almeno. Ma non poterono fare a meno di seguire Jess con lo sguardo mentre si allontanava ancheggiando con quel suo protettore di Peoria. Non avevamo ancora visto ballare nessuno guancia contro guancia, ma Fedor, che stava seduto e osservava, disse una cosa giusta: «Ora capisco perché si preoccupa tanto della rasatura».
Dopo quell’unica dimostrazione che si era accorta della nostra esistenza, Jess non si curò più di noi: sembrava occupatissima a vendere al suo compagno un genere di merce di natura più confidenziale. In qualche modo, comunque, rovinò l’atmosfera della festa, perché c’era qualcosa in lei che ci aveva turbato.
Credevamo di sapere tutto ciò che c’era da sapere; ma se sei furba, non alzi la mano in classe per chiedere di essere interrogata.
Probabilmente a qualcuna sarebbe piaciuto andare a fare una passeggiatina nel bosco, anche solo per la pace che vi regnava e per pensare a tante cose in due, ma Jess era sparita tra gli alberi con quella sua risata astuta e questo aveva privato il bosco di molto del suo fascino. Quanto male può fare una ragazzaccia a un gruppo di brave persone!
Non mi sembrò di notare la presenza di Jess. Tutto ciò che notai fu come fossero belle le ragazze, con i loro abiti bianchi svolazzanti sotto i lampioncini cinesi appesi ai travetti. La musica del padiglione proveniva da un grande grammofono Victrola, che di tanto in tanto si confondeva con la pianola meccanica della Capannina. Spesso restavo seduta con Fedor mentre Molly ballava, e gli dicevo che Molly era la più bella ragazza del nostro gruppo perché non aveva i capelli a caschetto come la maggior parte di noi. «Quello che mi piace» diceva lui «è il modo in cui se li pettina, con quella piccola curva in mezzo alla scriminatura. È un’acconciatura veramente abile». Non gli dissi che Molly aveva un ciuffo ribelle. Lo stesso Nicolai, il parrucchiere, non sarebbe riuscito a dividerglieli dritti. A me piace, è così caratteristico di lei e della sua impulsività. Come quelle fossette che ha sulle ginocchia e che farebbero perdere la testa agli uomini se questi avessero la perspicacia che credono di avere. Ma tutto ciò riguarda solo lei, non me, e neppure il povero Fedor a quanto mi risulta.
Dopo che Jess se ne fu andata ed ebbe smesso di divertirsi facendo la snob, il ballo andò liscio. Dobbiamo aver lasciato i solchi a terra in quella sala. Il ballo è un magnifico esercizio per le ragazze, ed è la prima occasione in cui si può immaginare cosa farà un uomo in seguito. Ci si accorge di star ridendo e si pensa: “Mi diverto molto”. Col cavaliere giusto, non c’è bisogno di “seguire”; si conosce già con perfetta sicurezza ogni mossa successiva. E prima ancora di lui.
Clubfoot è un lago per modo di dire, almeno secondo i canoni dell’Est, ma c’è una bella luna piena che si leva sopra la ghiacciaia e tinge l’acqua di una lunga striscia gialla. Freddie pensava che sarebbe stato bello fare una nuotata per andare a vedere da dove venisse realmente la luna, ma avevamo con noi Fedor e lui era sempre una buona scusa per qualunque cosa non ci sentissimo in vena di fare.
Inoltre, dissi: «Pastafrolla mi aspetta sveglio, e si sta facendo vecchio».