Pastafrolla non era il solo a invecchiare. Si poteva dire la stessa cosa di papà, visto il modo in cui brontolava per i cambiamenti di Philly. Le scale della metropolitana erano un’impresa troppo ardua per lui, ma ogni tanto salivamo su un tram e facevamo un lungo giro in centro per visitare i suoi vecchi posti. Ora vorrei aver prestato più attenzione a ciò che mi diceva, avrei potuto imparare un mucchio di cose sulla Philadelphia dei tempi andati. Nei suoi giorni del cricket aveva socializzato moltissimo con i ricchi e aveva frequentato i migliori ristoranti, come Bookbinder e Boothby, e amava ricordare qualche fish house punch che li aveva particolarmente messi in riga; e dove andare a mangiare l’alosa del Delaware e la trippa piccante22 e quei piccoli granchi rosa da ostrica o lo scrapple del Reading Terminal Market. Ma come tutte le ragazze, io avevo il cervello troppo occupato a pensare a me stessa. Molly Scharf e io intrattenevamo una serrata corrispondenza sui nostri progetti per l’università in autunno.
Il Ponte di Camden era una novità di quei giorni, e a papà ricordava sempre il ferryboat. Su quel traghetto gli erano successi due fatti molto importanti. «Una volta ci vidi uno strambo vecchietto con una grande barba svolazzante al vento. Kitty, se credi che io abbia i baffi avresti dovuto vedere i suoi. Parlava da solo e tutti i ragazzi ridevano di lui, lo credevano uno svitato. Aveva la camicia aperta sul petto e quando il vento gli sollevava la barba si vedeva che, sotto, il collo era tutto sporco; una grande spilla da balia sostituiva un bottone mancante. Ridacchiavamo tutti come zoticoni quando un signore molto distinto si avvicinò al vecchio e gli disse: “Mi permettete, signor Whitman, di allacciarvi le scarpe?”. E così fece, sissignore, si inginocchiò davanti al vecchio e gli legò le stringhe delle scarpe. Non mi sorprenderebbe se lo avesse fatto per dare una lezione a noi ragazzi. C’è qualcosa del genere nella Bibbia, sull’allacciare le scarpe a qualcuno. Forse è un insegnamento a non ridere troppo delle persone. Il ferryboat di Camden mi ha portato sempre fortuna: ci andai con tua madre, a fare un giro a bordo di uno dei nuovi battelli, il Wenonah mi pare. Era la stagione dell’inscatolamento, e il profumo dei pomodori era così dolce e penetrante che le chiesi di sposarmi. Non hai mai notato che la mamma a volte mi strizzava l’occhio quando avevamo per cena la zuppa di pomodoro? Santo Dio, dev’essere stato più di quarant’anni fa. Tu, carina, sei troppo giovane per sapere di cosa parlo. Per esempio il vecchio Jolly Post, a Frankford, battezzato così da George Washington per una festa che gli improvvisarono lì quando non poté attraversare il Frankford Creek, ebbene, quello fu demolito proprio l’anno in cui sei nata tu. È quasi un peccato essere così giovane, no?».
Io, molto probabilmente, pensavo a quanto fossero noiose quelle chiacchiere, e una volta scesa dal tram le avevo già dimenticate. Mentre lo aiutavo a scendere aggiunse: «No, non devono averla demolita. Vieni, Kitty, andiamo a dare un’occhiata alla vecchia stazione B.&O., non l’hanno ancora buttata giù. È da lì che io e tua madre partimmo per Washington durante il viaggio di nozze. Credo che resisterà ancora un po’, la vecchia B.&O.; non cade a pezzi come la Pennsylvania Station».
Ma quell’estate papà non andò molto in giro. Mac ormai si era sposato e viveva a Tioga; aveva trovato un buon posto in una fabbrica di apparecchi radio. Era per questo che avevamo avuto una buona radio con lo sconto commerciale: l’avevamo messa in cucina e papà si sedeva ad ascoltarla per ore. Però non imparò mai a fare qualche altra cosa contemporaneamente, e quando voleva guardare le sue fotografie di cricket o leggere il Ledger, noi dovevamo spegnere la radio. Inoltre, diceva che non riusciva a sentire Myrtle che cantava. «Non sempre si accorge che la ascolto. Myrtle, com’era quella canzone, “Attenti, figlioli, attenti alla mia vaccinazione”?».
Sapevo che quando indugiava nel whisky gli veniva un leggero tremore. Alla fine mostrò perfino un certo sentimento religioso: iniziò a frequentare la Friends’ Meeting House. «Ho frequentato un mucchio di vicoli ai miei tempi, ma è bello tornare in Orthodox Street». Era molto ferrato sul Centocinquantenario, che era stato un vero e proprio flop. Gli era piaciuto solo perché lo faceva pensare al Centenario.
«Senti, bambina» mi disse Mac «il vecchio sta diventando tenero, sai? Si è perfino espresso positivamente su John Wanamaker».
Non mi divertii granché quell’estate, ma non la sprecai: lessi con molta attenzione il regolamento del Prairie College e mi occupai della casa. Di tanto in tanto un film o un gelato con qualche ragazza del vicinato. In molte, riesumati i nostri vecchi pattini a rotelle, prendemmo l’abitudine di andare a pattinare, nelle sere calde, sul marciapiede vicino alle scuole superiori. I dritti ridevano di noi dicendo che i pattini erano per i bambini delle elementari, ma dopo un po’ tutti iniziarono a fare lo stesso. Non mi stupirebbe sapere che la moda di pattinare sia nata a Frankford. Una delle cose belle di Philly è che la gente fa quello che si sente di fare, senza preoccuparsi di precedere o di seguire i tempi. Wyn diceva: se restate un po’ indietro nel seguire un corteo, finirete col trovarvi in testa al successivo, perché tutti i cortei e le processioni si muovono in cerchio. Allora io gli rispondevo che doveva esserci una qualche processione su cui era molto in anticipo.
Mi piaceva potare le piante nel nostro cortiletto; papà era ormai troppo debole per farlo. C’era un angolino tutto caldo, laggiù, dietro la malvarosa – credo di essere stata una gran sognatrice –, dove mi piaceva andare per sentirmi sola. In casa dovevo combattere in continuazione con papà o con Myrtle, e c’era sempre qualcosa da fare. A volte si ha bisogno di sentirsi soli. Quando ci riuscivo, non mi sentivo poi tanto contenta di tornare a Manitou; forse avrei fatto meglio a restarmene a casa mia, a occuparmi del vecchio. Ma papà ormai si era affezionato all’idea che avessi un’istruzione universitaria.
Mac pensava che non dovessi rinunciare a quell’occasione. Era in gran forma quell’anno. Ora che ci penso, aveva la stessa età che ho io ora, e il 1928 dev’essere stato un buon anno per avere quell’età. Aveva sposato una ragazza bella e assennata. Martha piaceva anche a papà. «È una ragazza con la testa sulle spalle e qualcosa sotto la camicetta. Ci sono troppe ragazze al giorno d’oggi che sono esattamente il contrario». Mac aveva dimenticato la sgualdrinella di Torresdale, e noi non la nominavamo mai. Promise che sarebbe venuto regolarmente con Martha a vedere se papà stesse bene, e poi c’era Myrtle. Non mi piaceva l’idea che papà rimanesse in casa da solo la notte, ma Mac disse che poteva permettersi di far mettere un telefono in casa. Era convinto che tutti i problemi economici fossero risolti. La radio andava forte, e la loro era la Tin Lizzie23 della musica.
Poi ricevetti una lettera dalla preside della sezione femminile del Prairie College, con la quale mi si informava che le matricole avrebbero dovuto presentarsi il tale giorno alla tale ora per la settimana di iscrizione e orientamento.
Wyn si divertiva un mondo a sentirmi parlare dei miei studi universitari, perché quella settimana d’iscrizione e orientamento, insieme a un gagliardetto di feltro viola, fu tutto ciò che ebbi dall’università.
Molly venne a prendermi alla stazione di Manitou. Avevamo quella sensazione, che spesso abbiamo ancora, che anche se fossimo riuscite a parlare svelte come le francesi, non avremmo mai potuto esprimere tutto quello che ci passava per la testa. Molly aveva pianificato tutto per poter alloggiare insieme, lei e io, a Selfridge, nei dormitori alveare per studenti universitari, e compilato una specie di programma con tutto quello che dovevamo fare. Ci precipitavamo di qua e di là, dai moduli per l’iscrizione alle visite mediche, dalla scelta dei corsi a quei quiz idioti per valutare il Q.I. L’idea era di esibire le proprie attitudini scolastiche prima che l’università ci prendesse sotto la sua ala protettrice. Il grande atrio di Selfridge, ai piedi della scalinata, ci apparve come una vera e propria mischia, con tutte le ragazze che trascinavano le loro cose nelle stanze assegnate. Le matricole si portano sempre dietro l’impossibile in stupidaggini, convinte di non poterne fare a meno. Tutte noi avevamo ammonticchiato pile di libri preferiti, bambole kewpie, tendine per finestre, cuscini e album di fotografie. Proprio mentre Helga, la muscolosa responsabile della sezione alloggi, stava attraversando l’atrio, la catasta di roba che una ragazza reggeva tra le braccia si rovesciò, e Helga fu colpita da una copia di A Girl of the Limberlost piovuta dal terzo piano. Lei si limitò a scuotere la sua bella testa bionda e a dire che era stata una fortuna che non fosse stato un dizionario Webster edizione integrale.
Sgobbammo per portare la nostra paccottiglia al terzo piano. Molly disse che il nome originario dell’istituto doveva essere Università della Prateria per il Lavoro Manuale, e che dovevamo essere tornati a quei tempi. Ci sistemammo nelle stanze e lo zio e la zia rimasero giù a guardarsi intorno, mentre gran parte delle ragazze erano ancora in attesa che Helga dicesse loro dove andare. Molly era una decoratrice nata, e seppe dare alla nostra camera un aspetto delizioso, con i nostri pupazzi portafortuna sui letti. Il suo era un Winnie the Pooh decisamente stupendo, che Molly aveva comprato a Chicago e che non era ancora arrivato nei negozi di Manitou.
Avevo studiato il regolamento con una tale attenzione che, quando la preside Bascom fece la sua lezione d’apertura sull’etica delle studentesse universitarie, mi sembrò una cosa vista e rivista. Ci fu una specie di scandalo a questo proposito, qualche tempo dopo, perché due studenti del secondo anno che avevano fatto una scommessa vennero a lezione travestiti da donna. Naturalmente, tutti quei consigli della Bascom sull’igiene personale, sulla purezza e sugli appuntamenti al buio, sarebbero dovuti essere di natura più confidenziale.
Fu un bel discorso. Mi sembra ancora di sentirla mentre ci diceva che cosa avremmo dovuto imparare all’università. Parlò di controllo dei propri impulsi e di rapporti democratici col prossimo, di un bilancio privato tutto voci e cifre, di non esagerare col rossetto e del comportamento da tenere con le associazioni femminili. Aveva tutte le risposte dietro quel libro. Ciò che ebbe un sapore particolarmente educativo fu quello che chiamò “carico extracurriculare”. Molly mi sussurrò: «Si riferisce al dover trasportare i bagagli su al terzo piano».
Era un momento molto interessante per iniziare gli studi universitari al Prairie. L’istituto aveva organizzato la cultura in unità semplificate, ed era una specie di climatizzatore. Il concetto di base era: rispetto per la tradizione con uno sguardo in avanti. Lo sguardo in avanti comprendeva la nuova biblioteca appena ultimata. Andammo a visitarla con profondo rispetto, pensando a tutti i magnifici libri che vi avremmo letto. Il rispetto per la tradizione era il salotto originario dei fondatori, conservato esattamente come quando Lincoln vi si era seduto, su una sedia a dondolo, per prepararsi a un dibattito che stava per fare. Avevo l’impressione che ogniqualvolta che Lincoln dovesse tenere un discorso da quelle parti ci fosse sempre qualcuno pronto a contraddirlo. È un grande paese, questo, per le discussioni. In ogni modo, lo storico salotto aveva conservato anche l’odore del 1850, e faceva pensare a una certa insufficienza d’igiene personale. Non credo che dei vecchi veterani come Lincoln e Douglas avessero molte occasioni per lavarsi i vestiti, ma Molly andava pazza per il periodo degli accessori di crine di cavallo. Era prevista una sfilata in costume con protagonisti Lincoln e Douglas, cosicché la cosa che ricordo meglio dei miei dieci giorni di università sono i preparativi di una crinolina che non feci mai in tempo a indossare e un paio di lezioni sulla letteratura americana prima del 1870. Wyn una volta mi disse: «Mi pare che tu sappia tutto quello che c’è da sapere sulla letteratura americana fino a Cotton Mather». Tutto ciò che ricordo di Cotton Mather era che scrisse qualcosa sulla magnolia.
Avevamo pagato la retta, acquistato libri e taccuini, e tutte noi entrammo a tirare una boccata di sigaretta nella sala fumatori appena aperta per le studentesse. Il giorno dopo ci sarebbe stata la sfilata, con parecchie centinaia di alunni in costume, e la compagnia ferroviaria aveva persino promesso di scaricare un po’ meno fuliggine sul nostro campo per quel pomeriggio. Io e Molly eravamo nella nostra stanza, con le nostre vestaglie nuove e la piacevole sensazione di essere due bohémiennes sfrenatamente libere. Da fuori si sentì un rombo terribile, e un pezzo di cavolo crudo entrò sibilando dalla finestra aperta mentre una poltiglia di carote andate a male si spiaccicava sul davanzale. Alcuni studenti si erano divertiti a caricare il vecchio cannone della Guerra Civile, che se ne stava sul prato antistante con la bocca puntata verso Selfridge Hall. Lo avevano ingozzato di verdure marce e di una grossa carica di polvere da sparo e l’avevano azionato. La facciata dell’edificio si trasformò in un’insalata russa, i vetri di moltissime finestre andarono in frantumi, e naturalmente a noi sembrò uno scherzo oltremodo coraggioso e divertente. Mentre le ragazze correvano qua e là in un impeto di sdegno e la Bascom faceva il diavolo a quattro al telefono con il preside della sezione maschile, arrivò un telegramma per me. Era di Mac. Papà aveva avuto un ictus e io avrei fatto bene a partire subito.