Non posso sopportare l’idea che qualcuno sia ridicolo quanto me. O forse mi piace pensare che lo siano tutti quanti. «Allora, come andiamo?». Proprio ora, guardando questo maledetto aggeggio, mi viene in mente che non gli ho mai telefonato. Non dovevo fare altro che alzare la cornetta e farmi passare il numero dalla telefonista. L’ho alzato, e ho sussurrato Old St. Davids 31, solo per sentire che suono aveva. Old St. Davids 31. Ma la mia mano destra – credo che sia quella più dotata di senso pratico –, ha tenuto abbassato il gancio, in modo da non aprire la comunicazione.
Calma, Kitty, stai calma.
È un bene che non ci si ricordino le cose brutte come quelle belle. Quando ripenso al divertimento, all’amore, alla felicità, mi sento forte, come se fossi tutta stampata a lettere maiuscole. La tristezza non fa che spingermi in un piccolo groviglio spaventoso. Fa sentire piccoli. Dev’essere per questo che non la si ricorda mai troppo bene.
Non guarderei di nuovo quella rivista, nemmeno di sfuggita, per nulla al mondo. Ho avvolto quei quattro numeri nella carta velina ed è lì che resteranno. Quando Wyn e io tornammo da Harrisburg il primo numero era sul tavolo, e noi lo guardammo come se fosse un cadavere. E infatti lo era. Il padre di Wyn telefonò per annunciarci che la Borsa era definitivamente precipitata e che non era più il caso di scherzare.
Credo di non aver avuto abbastanza forza per affrontare la cosa. Anche Myrtle notò i cerchi neri che avevo sotto gli occhi. Credo che sui neri sia impossibile vederli. Mi chiesi se non fossi semplicemente una ragazza facile, una sgualdrina, o magari semplicemente una povera scema, a fare qualcosa che non mi ero mai neanche sognata di fare e non ricavarne altro che infelicità.
Tutti quelli che ci avevano detto che la rivista era un’idea straordinaria, ora ci tenevano a dirci che ovviamente Philadelphia non era la città adatta per quel genere di cose. Alcuni inserzionisti sciolsero i contratti, altri provarono a insistere che uscissimo con tutti i numeri programmati. Wyn volle che partecipassi a una riunione a cui erano presenti Parry, Bill e un avvocato della banca. Annunciò che erano giunti a un compromesso. Sono io a essermi compromessa, pensai, e non mi sembrava affatto divertente. Poi notai che Wyn aveva un’aria infelice, e mi stupii quando mi accorsi che mi preoccupavo più di lui che di me. Capivo quanto fosse amareggiato perché si era preso il disturbo d’indossare un gessato blu da uomo d’affari, che indicava la fine della sua carriera di patrono delle arti e un rapido ritorno in banca. Parry e Bill sembravano una coppia di grossi cani che fossero appena stati frustati, ma entrambi indossavano le loro cravatte del Racquet Club, e questo mi fece capire che avrebbero superato la cosa. Bill annunciò di aver acquistato un nuovo cappotto di pelo per seguire gli allenamenti di calcio universitario per la rivista; poteva metterlo in conto spese? L’avvocato chiese chi fossero quei bohémiens seduti sulle scale che aveva dovuto scavalcare per entrare in redazione. Gli spiegammo che erano artisti che volevano venderci i loro disegni. Parry disse che a Detroit stava per uscire una rivista ispirata al New Yorker, e che forse avremmo potuto venderle un po’ del materiale che avevamo comprato per noi. «Basterà cambiare qualche nome, mettere Grosse Pointe invece di Bryn Mawr e Radnor, e gli elegantoni di Detroit non noteranno la differenza».
«Non sapevo che ci fossero degli elegantoni anche là» disse Bill.
Wyn alla fine si spazientì. «Su, ragazzi» disse «andate a pranzare al Ritz. Io e Kitty restiamo qui a mettere tutto a posto».
Mi dettò parecchie lettere e lavorammo sodo, ma entrambi pensavamo ad altro. Povero ragazzo, credevo che si sentisse obbligato a comportarsi bene nei miei confronti. O, perlomeno, ero convinta che fosse quello che avrebbe provato un qualsiasi uomo. Grazie a Dio, in seguito seppi che non era affatto così.
Dopo un po’ si fermò e ci guardammo dritti negli occhi, per la prima volta dopo parecchi giorni. Non mi piaceva con quell’abito scuro, anche i suoi occhi erano più scuri e la sua cravatta faceva irrimediabilmente pensare al quartiere degli affari e alla Borsa.
«Kitty, quand’ero studente mi diedero una stupida parte in uno spettacolo di Shakespeare, Come vi piace. Dovevo fare un vecchio idiota con una grande barba bianca, e la mia battuta importante era: “Perché mai feci uso, in gioventù, di liquori che bruciano lo stomaco e fanno il sangue focoso e ribelle”. Dovresti ricordarmelo ogni tanto. Mettilo in archivio».
Avrei voluto rispondergli: «Avrò ancora la possibilità di ricordarti qualcosa?». Il fatto è che “Starter” e “Acceleratore” erano entrambi all’opera. Dovetti voltarmi, perché non volevo che mi vedesse piangere. L’albero in cortile sembrava un mulino a vento immerso nella nebbia.
«Che cosa guardi?» mi chiese.
«Una ragazza che debba scrivere quello che detti tu, ha bisogno di avere il fazzoletto sempre a portata di mano» risposi, e corsi al cassetto della mia scrivania dove lo avevo lasciato.
Sapevo che avevo torto marcio e che stavo rovinando tutto. Tentai in tutti i modi di fare dietrofront. «Ecco una cosa che non insegnano a scuola di stenografia» dissi. «Niente dettati se non si è equipaggiate di tutto punto».
Lui non disse nulla; mi fissò e poi afferrò lo schedario che avevamo messo dietro la porta. Lo staccò dal muro. Non doveva essere troppo pesante, l’avevamo usato così poco!
«Diavolo!» disse. «Chi l’ha messo qui? È il tuo angolo, questo, dietro la porta. Ora mettiti lì e io ti bacerò come ho già fatto una volta».
Dopo un istante riprese: «Quel vecchione del dramma shakespeariano, quello che non beveva alcolici, diceva anche di essere freddo ma buono. Il che mi fa pensare a certi mint julep ghiacciati. Scommetto che nessuno ne ha mai bevuto uno a novembre. Ora andremo a fare la spesa, compreremo un po’ di menta, e ce lo faremo preparare da Duval».
Mint julep era solo un nome per me, ma lasciai che Wyn andasse a fare la spesa mentre io battevo a macchina le ultime lettere, e lui mi telefonò dal bar quando fu tutto pronto. «Il gelo ricopre le zucche e il foraggio è nei fienili30» disse, e io non capii che cosa intendesse finché non vidi i bicchieri. «Salta su un taxi».
Quattro parole deliziose: “Salta su un taxi”. Per me sono tutto Wyn, che chiama da chissà dove con qualche idea folle in mente.
Era metà pomeriggio, e la sala sul retro di Duval era vuota. Credo che Wyn ne avesse già bevuto uno, perché sembrava stare meglio. Mi ero già preparata a dirgli di non prendersela troppo per il fallimento della rivista e che, forse, il crollo della Borsa ci aveva fornito un alibi per qualcosa che sarebbe successo comunque. Mentre stavo pensando alle parole più adatte per dirglielo se ne uscì con la stessa idea, e così non dissi proprio nulla, non gli dissi mai che avevo pensato la stessa cosa. È un bene per Wyn che non sempre gli si dica che qualcuno ha avuto un’idea prima di lui. Tuttavia immagino che, quando tento di tenermi qualcosa dentro, qualcosa affiori lo stesso sul mio volto, perché Wyn disse: «Questo non è giusto».
«Cosa, non è giusto?».
«Che tu abbia degli occhioni così grandi».
«È quel mint julep. È buono quasi quanto una Coca-Cola al cioccolato». Verso la fine di quel cocktail – forse venne su attraverso la cannuccia – Wyn ebbe l’idea di fare una gita a Pocono.
Wyn, è un bene ripensare a Pocono? Tu probabilmente non lo fai mai, immagino che tu sia troppo occupato e che abbia troppo buon senso per farlo. La Main Line è troppo mondana. Non hai quei lunghi, rosei tramonti d’estate di Darby Mill; i grandi alberi forse li scuriscono. Ma, santo Dio, ci sono delle sere d’estate in cui K.F. lavora fino a tardi nell’ufficio di Delphine, e guarda le terrazze e gli attici, e tutta la città si illumina con un po’ di cipria di tramonto e un lieve riflesso rosa risplende sul petto inamidato di certe camicie maschili, soprattutto se sono state tirate un po’ troppo a lucido. Dalla mia scrivania, in ufficio, vedo davanti a me il tetto di un albergo. Le donne escono su quella grande terrazza e io le vedo soffermarsi un istante sulla soglia per sentirsi belle, sicure di sé, e per accertarsi che l’abito svolazzerà come si deve intorno al loro primo passo sul tetto. I loro cavalieri, proprio come potresti fare tu alle mie spalle, le seguono educatamente a breve distanza. Oh, mi hai trasformata in una snob, ragazzo mio! Mi viene voglia di strangolare Mark Eisen quando vedo i suoi vestiti, povero caro! Sono sempre troppo eleganti, troppo lucenti, come il cellophane.
* * *
Qualcosa, certo, lavorava per noi, nel caldo fascino di quel novembre. Le cose finiscono sempre col diventare ridicole, prima o poi. Ti ricordi? Era la prima volta in vita mia che vedevo delle montagne. Sapevo di essere una ragazza della Pennsylvania, non dell’Illinois. Il Midwest non può provocare certe sensazioni. È un bene per me ripensare a Pocono, perché non lo rivedrò mai più in vita mia. Non vorrei rivederlo neppure per una scommessa, sarebbe troppo doloroso. Ma tu invece sì. Tu ci andrai a pescare durante i weekend e tutte le volte che ne avrai voglia, e solo ogni tanto troverai una lievissima, curiosa asperità nel fondo della tua memoria, come quando si posa la lingua su un dente cariato.
Ero così eccitata quando arrivammo a Manunkachunk con la Buick; papà mi raccontava spesso di quando ci era andato in gita con la mamma, ma io avevo sempre creduto che fosse una parola inventata da lui o una specie di bestemmia. Tu mi dicesti che non avevo ancora visto nulla. C’era in continuazione qualcosa che dovevo ancora vedere. Quando mi entusiasmai davanti al Water Gap ti venne in mente che dovevo vedere il Wind Gap o le Buck Hill Falls, che noi chiamammo Buick Hill, o il Dingman’s Creek o Tobyhanna o Lackawaxen, e fare in macchina il tratto da Milford a Port Jervis. Non sapevo che il mondo fosse così. Come potevo saperlo?
E l’altro mondo, quello solo nostro, che scoprimmo, cominciavo a sospettare che fosse tutto il contrario rispetto a come me lo ero immaginato. Non avevamo bisogno di due laghetti gemelli per fare il bagno, come nel 1880. Ricordi come ridevamo, tanto che l’eco ci rispose dall’altra parte del lago? Io non avevo mai sentito un’eco in vita mia. Little Sir Echo31, al diavolo. Tu mi raccontasti delle colonie estive, e io mi chiesi cosa avesse spinto tanti quaccheri a venire da quelle parti. «È stata la comodità di far arrivare il carbone tramite il fiume Delaware» mi dicesti. E poi: «Questo paese diventerebbe invivibile per chissà quanti vecchi quaccheri, se solo sapessero quanto ci stiamo divertendo quassù».
Era più che un divertimento. Era la quintessenza della bellezza. Io dovevo essere una povera ingenua ma iniziavo a capire come gli esseri umani siano necessari gli uni agli altri, e come una donna abbia bisogno, per essere completa, di un uomo. Forse è un errore imparare delle cose che poi si mettono in pratica così poco.
Eravamo seduti in costume da bagno su quel gran tronco, al sole, proprio sull’orlo dell’acqua. Le foglie d’autunno aleggiavano sopra il laghetto e l’aria si fece un tantino pungente, appena il sole fu tramontato. Wyn disse che la zona di Pocono era famosa per i serpenti e che avremmo fatto bene a tenere una fiaschetta a portata di mano. È così che ricordo il Proibizionismo, il whisky sempre caldo per essere rimasto nella tasca posteriore dei pantaloni di qualcuno. Noi però non bevevamo molto, almeno dopo Harrisburg. «Non tornerei in quella città» diceva Wyn «neppure se mi nominassero governatore dello Stato. Ero così sbronzo quella notte che non ho neppure visto com’eri. E sei così bella!».
Come quella nota fredda nell’aria, ricordare quella tristezza in un momento di felicità rendeva tutto più dolce. È bello ricordare le nostre chiacchierate, semplici e dolci. Ci avventurammo su una canoa e Wyn mi chiamò la “Donna del lago”.
«Che strano che tu mi dica così, è il mio poema preferito, ci stavo pensando proprio in questo momento».
«Eh, siamo strani noi. Ci capiamo al volo. Sarò il tuo cervo nella sera32». Dopo un attimo disse: «Ora sta ferma e guarda come mi tuffo. Non ti colpirò nemmeno con uno schizzo».
«Ma, Wyn, come farai a risalire?».
«Non risalirò. Ti rimorchierò fino a riva».
«Lascia che mi tuffi anch’io».
«No, è un tratto troppo lungo per te. E poi l’acqua è fredda, sai?».
Mi dà come un senso di pulizia, di chiarezza, ripensare a tutto ciò. Le sue labbra erano fredde dopo la nuotata, e allora Wyn accese un gran fuoco nella baita perché potessimo rivestirci al caldo. Quanto rise la prima volta che mi vide contorcermi in un corsetto!
«Ah, si fa così?» disse. «Me lo sono sempre chiesto».
«Ma Wyn, non hai mai visto una ragazza prima d’ora?».
«Sono andato in una casa d’appuntamenti una volta, con altri ragazzi dell’università, ma non mi piacque… Successe a Trenton. Ora che ci penso, credo proprio di non amare le capitali di Stato».
«Quando hai pensato a me la prima volta?».
«Lo sai benissimo».
«Dimmelo ancora».
«Era una bellissima giornata di primavera del 1929, e il signor Wynnewood Strafford stava parlando di cricket col signor Thomas Foyle. Una ragazza dai capelli neri entrò nella stanza con del tè ghiacciato, e io fui attratto dalla forma della sua camicetta. O devo dire le forme?».
«Perché fosti attratto dalla forma della sua camicetta?».
«Non te lo dico. Non voglio metterti in imbarazzo».
«Mi piace sentirmi in imbarazzo. Fa bene al mio sangue puro ed eloquente».
«La storia finisce qui» diceva «con la decisione del signor Strafford di non sposare nessuna donna a meno che non avesse i seni a punta».
«Ma Wyn, questo non è un motivo sufficiente».
«Anche la Pennsylvania li ha. Guarda quella carta geografica sulla parete. Vedi? Uno a Port Jervis e l’altro a Bordentown. Non ci avevo mai pensato prima, e Bordentown è proprio il nome adatto».
Era veramente pazzesca la quantità di geografia che si adattava al nostro linguaggio privato. Si sarebbe detto che Wyn avesse scelto quella regione di proposito. Ma forse è così dappertutto. Quello che vorrei sapere è se tutti gli innamorati parlano allo stesso modo quando sono tra loro. Credo che sia una cosa positiva. Ma, mi chiedo, accade una sola volta nella vita?
Bello quasi quanto le montagne, le cascate, la canoa, la luce del fuoco sulle travi della baita, fu che Wyn avesse pensato di portare una cassetta di Coca-Cola per me sapendo che i liquori non mi piacevano molto. Cercai di tenergli compagnia bevendo, ma mi venne subito sonno. Un sonno delizioso, sdraiata su un materasso davanti al fuoco, il corpo pieno di benessere per tutto quel movimento, beato di fredda acqua montana e d’amore, mentre la luce giocava sul volto di Wyn che mi leggeva un libretto di poesie. È buffo come non si possa ascoltare a occhi chiusi. Per quanto abbia tentato, non ci sono mai riuscita.
L’amore rende la donna tranquilla e l’uomo loquace. Wyn s’indignò quando gli dissi che mi aveva drogata d’amore e che poteva farmi delle vere e proprie orazioni. Era meraviglioso quando si animava. Cominciava a passeggiare su e giù mentre io me ne stavo sdraiata a guardare i suoi piedi che, racchiusi in un paio di mocassini, andavano e venivano nel bagliore del fuoco, e io potevo socchiudere gli occhi senza che lui se ne accorgesse. Parlava della rivista, e della possibilità che era stata per lui di sfuggire al lavoro in banca. La sua famiglia, disse, viveva a Philadelphia da sette generazioni. «Che umiliazione! Pensaci, Kitty, gente che per sette esistenze non ha mai avuto l’intraprendenza di fare fagotto e andarsene altrove. Solo perché è nata nei privilegi. Santo Dio» (aveva preso anche lui questo intercalare) «siamo rimasti così a lungo piantati nel fango che ormai puzziamo. Tuo padre ne vale tre di noi messi insieme. Il capostipite degli Strafford, in Inghilterra, fu decapitato, e dopo di lui nessuno ha più avuto una testa».
Avevo aperto la bocca per dire: «Ma tu non puzzi». Cercai di pronunciare quelle parole ma ero già addormentata.
Ogni tanto mi svegliavo tra le sue braccia, e ogni volta la luce del fuoco era sempre più debole.
«Kitty, sei proprio tu?».
«Chi altri posso essere?».
«Non voglio dire se sei tu o un’altra persona, ma se sei proprio la parte più vera di te».
Credo che fosse proprio così. Se c’è qualcuno che è più me di così, non l’ho mai trovato.
Restammo là tre giorni e tre notti. Provavo una specie di lieve dolore al cervello, di tanto in tanto, al pensiero di aver mentito a papà e a Myrtle. Se volete vivere la vostra vita senza ferire troppo gli altri dovete mentire, qualche volta. Ogni giorno andavamo in macchina al paese per telefonare e sentire se fosse tutto a posto, e per prendere il latte e il ghiaccio. Andavo pazza per la guida, e Wyn mi diede qualche lezione. Fu una fortuna, perché l’ultima notte si intossicò con della carne sotto sale che avevamo mangiato. Voleva occuparsi lui di ogni cosa in cucina; so che se avessi annusato quella carne avrei capito subito che era andata a male, ma lui mescolò tutto con del ketchup e delle uova che volevamo finire e ne fece una specie di zuppa. La mangiò quasi tutta, e a metà della notte vomitava ed era in preda a crampi terribili. Io, spaventatissima, dissi che sarei andata di corsa in città a chiamare un medico, benché non credessi di essere in grado di trovare la strada fra tutte quelle stradine e quei boschi e avessi una scarsa conoscenza della guida. Wyn bevve una mezza bottiglia di whisky, che vomitò quasi subito. Lo arrotolai in una coperta e riuscii a farlo salire sulla Buick. Aveva dolori atroci ma trovò la forza di indicarmi la strada e io riuscii a raggiungere il paese. A un certo punto una delle ruote affondò nell’orlo sabbioso di un ripido dirupo, e io mi vidi spacciata, ma alla fine superammo anche quello. Wyn amava così tanto quella Buick che avrebbe potuto essere geloso di me. Verso le tre del mattino trovammo il dottore. Naturalmente conosceva benissimo Wyn e deve essersi chiesto chi mai fossi io, vestita con un paio di jeans che Wyn aveva portato per me, e con una fiaschetta d’argento piena di whisky in tasca. Non perse tempo con le domande e gli fece subito una lavanda gastrica. Fu uno strano modo di concludere quello che si sarebbe potuto chiamare un viaggio di nozze.
Wyn era ancora piuttosto scosso quando tornammo a casa il lunedì mattina. Depositai la valigia alla stazione del Reading Terminal, e mi sentii improvvisamente parte di una menzogna. Mi chiesi se qualcuno avesse mai fatto prima di allora qualcosa di disonesto al Reading Terminal, che ha sempre un’aria così ben educata. Quelli che non vogliono vivere sulla Main Line per timore di essere trattati con snobismo, se ne vanno a Oak Lane e a Elkins Park. Non ci s’immagina quanto possa essere complicata la vita in società finché non si conoscono le periferie di Philadelphia. È davvero divertente. Wyn aveva una sua teoria su come un certo genere di persone non osi spingersi più lontano dalla Main Line di Merion.
Penso che sia straordinariamente ragionevole, da parte di quelli della Main Line, avere così tanta cura di sé; se non l’hanno loro chi diavolo dovrebbe averla?
Wyn si sentiva così a terra che dovette andare al Mill a riposarsi un po’, e io gli assicurai che mi sarei occupata personalmente dell’ufficio. «Se hai bisogno di me» mi disse «telefonami all’Old St. Davids, 31». Quella fu la prima volta che sentii il suo numero di telefono.