Forse l’educazione dovrebbe consistere nell’imparare le cose finché si è abbastanza giovani perché possano ancora esserci utili. Scommetto che Delphine avesse un’ottima educazione. Ho maturato la convinzione che i francesi prendano qui e là tutto ciò che permette loro di essere francesi. Forse una di queste cose è il non preoccuparsi troppo di ciò che sanno tutti. Wyn diceva che essere francesi rende la vita difficile ai propri reni, ma io sono convinta che non abbiano niente di peggio di tutta la nostra panna montata e del nostro tonno. Delphine rideva a crepapelle quando vedeva, nelle riviste, le fotografie dei pranzi del famoso ristorante Milady. «Questa non è un’insalata, questa è spazzatura» diceva. Immagino che in Francia non abbiano bisogno di secchi della spazzatura molto grandi. Quando sono andata a far visita ai Detaille, ho potuto constatare con i miei occhi come la loro domestica riuscisse a trasformare degli avanzi in una cena da ristorante di lusso. Hanno fatto la stessa cosa anche con me, e con Pfui. È stato adottato quando era così piccolo che quando l’ho rivisto sembrava straniero anche lui. Nessuno avrebbe mai indovinato che si trattava di un banalissimo cane dell’Illinois.
Quell’autunno, Delphine iniziò ad andare in centro e il lavoro aumentò. I nostri introiti invernali erano in rialzo come l’Empire State Building, le crociere ai Caraibi iniziavano a diventare popolari ed eravamo in testa con il nostro kit caraibico. Delphine mi stava preparando a diventare qualcosa di più di una stenografa, e avevo l’impressione che avesse un disperato bisogno di aiuto con la promozione. Rapida com’era, bisognava controllare che non facesse danni terribili, come quella volta che stava per mandare in stampa il volantino di un nuovo rossetto. Il suo slogan For sheeny lips35 ci avrebbe fatti affondare. Fermai la tipografia appena in tempo, e questo mi valse il mio primo aumento a 25 dollari. Altre volte venimmo aiutati dal caso, come con quell’errore di stampa, eyelush36. Lo usammo per una crema per il contorno occhi, e funzionò. Pearl Velour era formidabile con gli slogan. Saltava sul treno e guardava le donne truccarsi nei momenti di noia, immaginava i loro pensieri e quanto i loro occhi dovessero sentirsi affaticati dal paesaggio e dalla polvere e dal non essere guardate. Allora buttava giù qualcosa che vi avrebbe fatto sentire le vostre vecchie orbite pesanti come due mattoni finché non le aveste spalmate con qualche lozione di Delphine. Mi faceva venire le occhiaie il solo leggere dei nervi giovanili e dei capillari nelle orbite oculari. Per quanto riguarda Delphine, verso le cinque del pomeriggio, quando non si sentiva osservata, sembrava una donna di cent’anni. Allora diceva: «Keety, proviamo la nostra medicina», e pochi minuti dopo tornava con i nostri impacchi Day Dream. Io e lei ci mettevamo al lavoro sulle lettere di Pearl, e setacciavamo le sue idee così accuratamente che avrebbero potuto passare attraverso le maglie finissime di un indumento di seta. Quando la cara vecchia Miss Elliman, a Manitou, mi diceva che ero brava nei componimenti, non riuscivo mai a capire come mi sarebbe potuto tornare utile nel lavoro. Di certo non lo avrebbe fatto la Donna del lago. Una volta dissi qualcosa in proposito a Delphine, e lei assunse la sua aria meditabonda. C’era qualcosa, lo sentiva. «Perché non lo usiamo per un sapone da bagno» proposi io. «“Donna del lago, il sapone delle Highlands, soffice come acqua di montagna. Renderebbe liscia perfino una pelle scozzese”». Alla fine Delphine decise di non prendermi sul serio. «Meglio di no, Keety» mi disse «gli scozzesi non vanno bene per le pubblicità dei cosmetici».
È comico pensare a quanto lavorassimo, in quell’ufficetto così buio, su come trarre profitti dal sole. «Keety, dobbiamo chiarire che ci sono due tipi di sole: quello che abbronza, noi lo approviamo; quello che arrossa, noi lo evitiamo. Dobbiamo spiegare che la nostra crema ammansisce il sole, lo divide in due, incoraggia la doratura e previene l’arrossamento. Deve chiedere a Monsieur cosa possiamo dire della protezione dai raggi nocivi. Mi venda la lozione caraibica in dieci parole per le crociere Cunard».
«Una crema oceanica» risposi io, e ci ridemmo su; Delphine si dimenticò del suo francese e tornò a dettare. Le venivano sempre delle buone idee sotto i nostri impacchi. La Sonata al chiaro di luna, una crema per il corpo, fu una di queste.
Era molto divertente. Delphine voleva che diventassi una venditrice esperta; a volte, nel pomeriggio, mi esaminava con lo sguardo, poi spruzzava un po’ di Cinq-à-Sept nella stanza, mi chiedeva di contare fino a dieci e mi diceva di camminarci in mezzo. Diceva che era un profumo troppo forte, che non bisognava mai applicarselo direttamente ma che bisognava passare attraverso il suo fantasma. «Altrimenti, persino l’Abbé Constantin le piomberebbe addosso» mi disse. «Sa cosa ha fatto la fortuna di una stazione termale francese, Royat? Uno scrittore inglese ha scritto che l’aria, lì, è così tonificante che farebbe venir voglia a un vescovo di mordicchiare una cameriera sul collo. Il Cinq-à-Sept è proprio così. È quella che gli inglesi chiamano “ora del tè”, ma indica anche il momento dei cocktail illegittimi. A Parigi, è l’ora in cui i gentiluomini si tengono liberi per le loro fidanzate. È sottinteso. Ora, Keety, come possiamo comunicare ai clienti che la nostra crema rimpicciolisce i pori così che questi scompaiono alla vista senza per questo far smettere la pelle di respirare?».
Se riteneva che quel giorno fossi presentabile, allora mi portava con sé nei negozi migliori e nei saloni di bellezza, solo per sondare un po’ la situazione e incontrare i compratori. In quei giorni, finito il nostro giro, dovevo tornare in ufficio e sbrigare i miei lavori di trascrizione durante la notte. A volte mi svegliavo nella mia stanza mormorando qualche frase su qualche sapone per le mani e sui filtri solari. Non potevo battere a macchina, lì, perché la mia vicina iniziava a picchiare sul muro appena sentiva segni di vita dopo le dieci di sera. Non che usualmente ce ne fossero, di solito per quell’ora ero stanchissima.
Una volta io e Molly discutemmo a proposito delle donne in carriera: ce ne sono a milioni, guadagnano dai 15 ai 30 dollari a settimana, devono vestirsi di tutto punto, ovviamente hanno la smania per i divertimenti mondani, vogliono essere delle donne complete con tutte le soddisfazioni del caso e sentono anche il bisogno di esprimere la propria creatività. Gli uomini della loro età possono fare ben poco per loro, perché queste donne crescono in modo rapidissimo, imparando dalle persone più anziane per cui lavorano. La loro vita privata diventa una corsa a perdifiato. Santo Dio, ho letto qualcosa del coraggio delle donne pioniere, delle donne delle Dust Bowl37, le divinità dei carri coperti. Ma chi si occupa della donna che copre la macchina da scrivere? Cosa le resta, poverina, quando lascia l’ufficio? Io e Molly avevamo molte interruzioni, ma ricordo quando a Molly passò l’entusiasmo iniziale e mi disse: «Sai cosa siamo, io e Pat? Siamo dei mezzadri. Lavoriamo come negri nei campi di cotone e nello stesso tempo regaliamo a Palmer molta più attività mentale del necessario, e cosa ne ricaviamo? Otto ore di sonno, l’unica cosa che riusciamo a fare».
Credo che nessuno si preoccupi più di tanto di essere un mezzadro se è assolutamente certo che il raccolto sarà soddisfacente, ma dev’essere piacevole sentire che un po’ della terra su cui si lavora duramente vi appartiene.
Nei mesi successivi, le mie lettere a Molly si diradarono: naturalmente lei capiva quanto avessi da lavorare. Fu un bene poter avere quell’alibi, perché non me la sarei proprio sentita di scrivere ciò che mi succedeva. E non è divertente neanche da ricordare. La mente tira avanti non pensando a certe cose, fatta eccezione per certi momenti nel bel mezzo della notte; io preferivo di gran lunga le notti senza alcun intermezzo.
Certo, una ragazza non può continuare a illudersi all’infinito quando le cose vanno male, soprattutto se da troppo tempo si consulta un certo calendario privato, tipicamente femminile, che è solo un gigantesco sistema d’allarme. Ma io volevo ancora sperare, dicendomi che forse la colpa era dell’eccessiva tensione nervosa del mio lavoro in ufficio, di un’infreddatura presa o di altre sciocchezze del genere. Alla fine, una sera che ero rimasta fino a tardi in ufficio a lavorare con Delphine, mi resi conto di stare malissimo. Fermiamoci un istante per prendere una boccata d’aria, disse lei. Quella pausa si trasformò, per me, in uno svenimento. Non me ne accorsi fino a quando ripresi conoscenza grazie all’acqua di Colonia, e vidi che Delphine mi guardava con un’espressione bizzarra. Forse aveva già capito tutto, prima ancora di me. Fu molto generosa, mi portò a casa in taxi e mi disse di prendermi un giorno di riposo e di farmi visitare da un medico.
Ero molto nervosa quando andai dal dottore, e dissi una frase a cui non avevo più pensato dai tempi di Manitou: «Sono due mesi che non cado dal tetto». Credo fosse perché tanta gente si buttava dalla finestra, in quei giorni, ma il dottore non ebbe l’aria di capire la mia frase, o forse è un’espressione tipica solo del Midwest. Comunque non mi fu di grande aiuto, quel medico, si limitò a prescrivermi delle pillole e altre cose del genere. Oggi, a quanto dice Mark, si ricorre a degli utilissimi topi: mi pare che si inietti dell’urina nella femmina d’un topo e la reazione rivela qualcosa. Siamo a posto, ho risposto a Mark, se ci vogliono dei topi per tenere in piedi la civiltà.
Il medico mi chiamò “Signora Foyle” quando me ne andai. Ci rimasi male, ma capii che significava che non aveva più il minimo dubbio. E neppure io.
È buffa quella sensazione “Ma cose simili a me non possono capitare!”. Mi sembrava di essermi trasformata in una di quelle povere sciocche che scrivono lettere disperate alla posta del cuore dei giornali serali. Oh, conosco quella paura, quel tormento, quella disperazione che induce tante povere ragazze a sporgersi troppo quando aprono la finestra. Giravo intorno a quel monumento di Verdi che si trova nei pressi di casa mia, e mi chiesi se l’Ansonia fosse alto a sufficienza per buttarsi da lì. Non c’è un vero motivo, è solo perché ci si sente esauste e sole. Mi accorsi d’invidiare i vagabondi seduti sulle panchine, con nessun altro pensiero al mondo se non quello di trovare una tazza di caffè. C’è una figura femminile sul monumento di Verdi, la musa dell’organetto, forse, la quale mostra il suo rispetto per la musica lasciandosi scivolare di dosso le vesti. Resta vestita, ragazza mia, le dissi, o ti troverai nei guai.
Andai a prendere un cognac in uno spaccio dalle parti di Amsterdam Avenue, e all’improvviso vidi la situazione dal lato giusto. Ero fiera di quello che era successo; avrebbe risolto tutto. Avrei scritto a Wyn che conservavo, nel vero senso della parola, il suo amore nel mio corpo. Come ne sarebbe stato felice! Io mi sarei rifugiata lontano, avrei badato al piccolo, che sarebbe stato realmente Wyn Strafford VII, e non sarei più stata sola. Stavo creando anch’io qualcosa, ero parte del mondo. Me ne sarei andata al Sud, Wyn me lo avrebbe permesso e ne sarebbe stato orgoglioso, e di tanto in tanto sarebbe anche venuto a trovarmi. Al diavolo i cosmetici. Santo Dio, questo era lo scopo per cui ero venuta al mondo, e chiunque valesse qualcosa avrebbe capito e ne sarebbe anche stato fiero. Se c’erano due creature che potevano mettere al mondo un bel bambino non potevamo che essere io e Wyn. Ero già pronta a dirgli: “Se ha il tuo fisico e il mio cervello, e se lo terremo lontano dalla Main Line, farà strada nel mondo”. Non avrei dovuto aspettare molto per dirglielo: sarebbe arrivato venerdì. Avevo già deciso di mettere il colletto di pizzo irlandese che mi aveva regalato dicendomi di essere orgoglioso della sua ragazza “colletto-bianco”. Mi ero già tolta lo smalto, perché sapevo che non gli piacevo con le unghie laccate. Mark vuole sempre che me lo metta. Dice che sono praticamente nuda senza.
A Wyn piacevo praticamente nuda.
Calma, Kitty, calma. Non devo pensare a cose come queste nei dettagli.
Non credo che fosse grave mentire a Delphine, ed era solo per qualche giorno. E poi, lei aveva già capito tutto. Non credo che sia possibile mentire ai francesi, almeno riguardo tutto ciò che si trova al di sotto della cintura. Appena io e Wyn avessimo pianificato le prossime mosse l’avrei informata di tutto. Avrei potuto lavorare almeno fino a Pasqua. Era una stagione bellissima, quella, per andare nel Sud. Immaginavo una versione caraibica di me alle Bermuda. È davvero buffo pensare a quanto è stato diverso andarci realmente.
Sono seduta da Giono, in attesa che Wyn compaia. È appena passato il mio compleanno, ma Wyn poteva saperlo. Non ha mai saputo in che giorno sono nata. Ne sono contenta perché, povero caro, avrebbe potuto essere per lui un giorno doloroso. Non ho mai voluto dirglielo, e lui si vendicava dicendo, ogni volta che mi vedeva, che quel giorno era il mio compleanno.
Era in ritardo, e io stavo pensando al modo migliore di dargli la notizia. Giono venne a chiedermi se volevo ordinare uno Strega offerto dalla casa mentre aspettavo, ma non mi sentivo in vena di bere, e soprattutto uno Strega. Ordinai un ginger ale perché sapevo che Wyn se ne sarebbe stupito. “Sai, non voglio che diventi un alcolizzato” avrei detto io, e allora lui avrebbe chiesto: “Chi non deve diventare un alcolizzato?”. Allora gliel’avrei detto.
Giono aveva lasciato un giornale sul tavolo. Di fronte a me c’era una bottiglia, e quando ebbi finito di pensare me ne accorsi… Poche righe di stampa, ingigantite e oblique attraverso la bottiglia piena d’acqua. Lentamente ne afferrai il senso:
…di Welshwold, imparentato col re di Prussia, annuncia il fidanzamento di Miss Veronica Gladwyn con Wynnewood Strafford VI.
Per un istante fui dispiaciuta di avere di fronte solo un ginger ale. Ronnie Gladwyn e i grandi stabilimenti di Conshohocken. Santo Dio, una magnifica testa di cervo per la sala dei trofei di Darby Mill. Mio povero caro, come avevano fatto a infinocchiarlo così bene? Oh, senza dubbio a Bailey’s Beach, Rhode Island. Ecco perché non scriveva mai molto quando era lì. Ed era partito per venirmi a raccontare tutta la storia. Bene, probabilmente è anche una bella figliola; Dio solo sa quante volte il Ledger l’ha proclamato: “Miss Veronica Gladwyn, con la sua bellezza di bambola quasi perduta nella candida vaporosità del tulle bianco e di una solitaria camelia, sbocciata nelle serre di Welshwold”. O era un corsetto d’oro e un mazzo di camelie, che il Ledger le aveva fatto portare all’Assembly? Sarà meglio che ordini un bicchierino, per bere alla salute di questa fata quando arriverà Wyn…
Ma, santo Dio, non dovrà mai sapere nulla. Se lo venisse a sapere perderebbe la testa. La perderebbe abbastanza da buttare all’aria il fidanzamento. Ne resterebbe amareggiato per tutto il resto della sua vita. Povero caro, si sentirebbe colpevole.
Non potevo starmene seduta a sentirlo mentre me lo diceva. Non potevo, la Main Line avrebbe preso il sopravvento su di lui e lui si sarebbe comportato così da gentleman, così coscienziosamente. Non lo volevo a quelle condizioni. Presto, Kitty, rifletti più in fretta che puoi. Bisognava che me ne andassi, Cristo, poteva arrivare da un momento all’altro. Parla con calma, ora, e pronuncia quello che sei riuscita a pensare.
«Jonny, mi spiace ma devo andarmene. Ho un appuntamento a cui non posso mancare. Non dica al signor Strafford che sono stata qui, gli dica solo che ho telefonato. Gli dica che sono dovuta partire per affari e che oggi non posso vederlo. Gli dia un bel drink, Jonny, così non se la prenderà troppo. Uno bello grosso. Lo trattenga al banco, dove possa parlare con la gente. Gli dica che sto bene, benissimo, ma che ho un appuntamento d’affari molto importante».
Riuscii a parlare lentamente, ma mi ci volle tutto il mio sangue irlandese per farlo. Naturalmente Giono capì che era successo qualcosa, ma dovette pensare a una lite tra innamorati, cosa che è praticamente un’invenzione italiana. A ogni modo, dovetti affidarmi a lui. Gli diedi un dollaro per il ginger ale e non attesi il resto. Era una sera buia, e uscii da lì come una strega su un manico di scopa. Ero arrivata alla Sixth Avenue quando vidi un taxi giallo sbucare da sotto la sopraelevata. Avrei giurato che era lei, la splendente auto dorata.