Seppi altre cose di Mark durante quel caldo pomeriggio in cui facemmo una passeggiata per Riverside. Lo invitai nel mio appartamento a bere qualcosa, e gli offrii di andarsi a lavare le mani in bagno mentre trituravo i cubetti di ghiaccio. Entrai anch’io in bagno, dopo, a ravviarmi i capelli, e notai che non aveva usato l’asciugamano ricamato per gli ospiti che avevo tirato fuori. Naturalmente non dissi nulla, ma dopo aver bevuto un drink confessò: «Credo d’aver fatto un faux pas; avevo intenzione di gualcire uno di quegli asciugamani preparati per gli ospiti, tanto per educazione».
«Pensiero gentile» risposi «ma perché, poi?».
«Non ho potuto fare a meno di usare uno dei suoi, era così dolcemente profumato di lei».
Fu molto grazioso il modo in cui lo disse. Ne fui imbarazzata, e me ne vergognai anche un po’, perché in un certo senso non mi piaceva l’idea di quelle grandi gote bluastre di barba più o meno rasata proprio sull’asciugamano che usavo per il viso. Ci sono epidermidi molto diverse, non c’è niente da fare. C’est une question de peau, dice Delphine. Con lei ho imparato il francese quasi da poterlo parlare quando non c’è nessun francese ad ascoltarmi.
Tutto questo mi fece pensare che è molto bello per una donna essere amata, o comunque ammirata, anche solo per il suo odore, e riaccese una piccola scintilla nel fondo della mia anima, là dove da tanto tempo non c’era più alcun luccichio. Povero Mark, mi ammira in modo tanto complicato, un po’ perché sono così ariana, come dice lui, e lo affascinerebbe conquistare una gentile, e un po’ perché è fiero del mio lavoro nel settore della bellezza.
Ma si può sposare un uomo solo perché il suo lavoro ci interessa tanto? Credo che sia qualcosa di più delle “quattro gambe in un letto” di cui parlava il povero papà. Ma forse ci si sposa perché si prova piacere a usare lo stesso asciugamano. Non sapevo a quale si riferisse Mark, così li misi tutti a lavare.
È così fiero del mio prestigioso lavoro che con ogni probabilità sarebbe incantato se io non lo lasciassi. Un momento, però. Anch’io ne sono fiera, me lo sono forgiato a colpi di martello fin dai tempi della mia cameretta nella pensione femminile e della Scuola delle mogli; ma spesso mi accorgo che, se anche tutte le epidermidi di Park Avenue invecchiassero contemporaneamente, non me ne importerebbe niente. L’unica pelle che amo vedere fresca e colorita è quella dei bambini dell’ospedale. So di dovere molto, certo, a Delphine, che mi ha guidato lungo questa strada così lunga. Con i bonus arrivo a 3.000 dollari all’anno, e ora vuole che diventi azionista della società. Ma credo di averle dato anch’io molto: nove anni in cui ho dato tutto di me, nove interi anni quaccheri.
Naturalmente so bene perché l’uscita di Mark sull’asciugamano mi turbò tanto. È per via di Pocono. Wyn non voleva asciugarsi se non con l’asciugamano che avevo usato io. Diceva di sentirmi più vicina. Chissà se ha ancora la cicatrice sulla spalla, dove gli diedi quel morso.
Molte cose restano chiuse ermeticamente dentro di noi, tanto che è impossibile farle uscire, neppure quando lo si desidera. Molly è venuta a N.Y. ultimamente, sempre per i suoi mobili, e io ho potuto mostrarle il mio appartamento. Avevo aspettato tanto quel giorno, di farla girare nel circondario e spiegarle tutto ciò che mi fa sentire a casa mia. Desideravo farle vedere come a poco a poco quel quartiere fosse diventato il mio quartiere. La catena di negozi in cui lo scozzese dal labbro leporino prende le mie ordinazioni per la spesa, e dove bisogna andare di persona perché al telefono non si capisce mai se dica broccoli o cioccolato. E la lavanderia francese, il drugstore di Broadway dove vado a bere caffè bollente dopo essermi congelata in un cinema, e il mio candidato per l’anno 2000. Poi c’è la vista che si gode dalla mia finestra, il viale alberato sul Riverside Drive e il tramonto sull’Hudson, e la gente alla fermata dell’autobus seduta tutta impettita sullo sfondo della luce del tramonto. Volevo che Molly conoscesse tutte queste cose, che le portasse con sé in Michigan Avenue, così come io posso ancora vedere il Wrigley Building, bianco come una torta nuziale nella notte, e sentire l’odore del Congress Hotel. Ma dovevo essere stanca dopo una giornata di lavoro, o forse eravamo entrambe stanche, e mi accorsi che non riuscivo a dire nulla. Accade spesso che una di noi due sia stanca, o preoccupata per qualcosa, o costretta a calcolare il tempo disponibile, che è la cosa più antipatica del mondo.
Allora salimmo nell’appartamento, ci lasciammo cadere sul divano e prendemmo una tazza di caffè, e quando abbandonammo l’idea di dire tante cose queste si affacciarono da sole. Molly notò come fosse bello vedere ancora la vecchia tempesta di neve, la sfera di vetro con dentro la fanciulla sulla slitta.
«Quella ragazzina sulla slitta» dissi io. «Ha passato qualche brutto momento, ma continua ad andare».
Molly capovolse la palla e la neve prese a roteare intorno alla fanciulla.
«Non è cambiata affatto, vero?» osservò. «Gli oggetti non sono leali».
«Che cosa intendi?».
«Che non cambiano come cambiamo noi. Che memoria che hanno, come riportano indietro nel tempo! È per questo che amo l’arredamento moderno, con i suoi mobili scarni e semplici, senza anticaglie sentimentali. Quelle almeno non ti ricordano continuamente il passato».
«Forse a me piace ricordare».
È vero, mi piace sul serio, purché si tratti di cose già lontane. Portai Molly a colazione in quel locale nei pressi di Rockefeller Plaza, dove la fontana fa uno scroscio simile a quello di una cascata, che insieme alle betulle mi faceva pensare a Pocono, ma senza dolore. Molly era più tipo da lamentarsi, e il suono dell’acqua corrente la metteva a disagio. Alla nostra Scuola delle mogli era impossibile farsi una doccia senza che Molly avesse la necessità di andare in bagno. Molly era brava quasi quanto Wyn nel ritrovarsi in situazioni divertenti. Stavamo scendendo nella metropolitana per andare alla Fiera Mondiale quando una frotta di ragazzetti in uniforme militare fece irruzione, ognuno con un berretto con su scritto “Harrisburg Patriot”. Un uomo seduto nel nostro vagone gridò: «E questa cos’è, una conquista?». Sapevo, essendo stata a Harrisburg, che il Patriot è un giornale. Probabilmente erano i suoi sostenitori, e il giornale si era preso un giorno di vacanza.
Raccontai a Molly che Harrisburg era il primo posto in cui Wyn e io eravamo stati insieme. Si prova una strana tristezza quando ci si accorge che certe cose non fanno più male. Io sono molto attaccata a Molly perché, pur essendoci delle cose che non le dico, sono lo stesso molte quelle che posso dirle. Mi capisce. Ogni tanto mi parla di Fedor e dei suoi progressi nelle cure a onde corte. Sarebbe buffo se entrambe sposassimo un medico. Mark dice che devo assolutamente sposare un dottore, perché il serpente del mio anello è il simbolo della medicina, ma io gli rispondo che si tratta di una pura coincidenza. Naturalmente, è molto curioso a questo proposito, così com’è curioso di tutto. In realtà, Wyn mi disse che il serpente che si morde la coda è un simbolo di eternità.
Oh, tesoro mio, sono forse stata indegna di te? Forse avrei dovuto dirtelo, che ti avevo aspettato, quel giorno alla West 40th. Avrei dovuto tenerti tutto per me e portarti via alle bambole di carta? Come si impara a diventare degna dell’amore, a essere abbastanza forte e paziente? Avremmo potuto imparare, provare insieme. Ma credo che tu stia facendo solo ciò che eri destinato a fare. Wyn, sei contento?
Volevo che tu avessi la bellezza, non che tu fossi solo soddisfatto, divertito, e così squisitamente educato.
Non essere cattivo con le bambole di carta. Wyn, mio povero caro, hai dimenticato tutto il resto? Lo spero. Hai una buona vita, sana e solida. Anche se dovesse venire la rivoluzione, ci sarà sempre una Main Line nel mondo, come il nostro piccolo serpente è un simbolo d’eternità. Forse l’eternità non è altro che la cessazione di ogni pensiero.
Raccontai a Molly un sogno che avevo fatto, probabilmente perché avevo letto sui giornali di tutte quelle conferenze stampa alla Casa Bianca, o perché avrei dovuto fare un intervento a quella convention di cosmetologi, o forse era legato a tutti quei discorsi che facevo con Molly sull’istituire un sindacato per le donne in carriera. Fatto sta che sognai di essere a un incontro di giornalisti alla Casa Bianca, ma non essendo accreditata non c’era spazio per me, la sala era affollata e mi ritrovavo seduta sul pavimento sotto a un pianoforte con accanto il presidente Roosevelt in persona. Lo ammiravo molto per via di quello che aveva fatto per la paralisi e considerando dove era riuscito ad arrivare nonostante le sue condizioni, avendo dovuto frequentare scuole come Groton e Harvard. Nel bel mezzo del suo discorso si interrompeva, si piegava per guardare sotto il pianoforte e diceva: «Kitty, tutto bene lì sotto?». Questo provocava l’ilarità dei giornalisti, che hanno notoriamente la risata facile. Non è facile che un pezzo grosso si abbassi a guardare nella polvere sotto i mobili per sincerarsi che chi sta lì sotto stia bene. Tuttavia quella risata equina dei giornalisti, che dimostrava tutto il loro quoziente intellettivo, mi aveva fatto sentire triste. Avevo messo il nuovo rossetto di Delphine, Azalea, e mi sentivo una donna di gran classe, così non esitai un istante a uscire da lì e a iniziare a dire loro dove potevano andarsene. Mi dimenticai del presidente degli Stati Uniti e di tutto il resto, sentivo solamente che era la mia irripetibile occasione di spiegare ad alcuni di loro come la pensano le donne in carriera e in quale terribile caos vivono. Mi sentivo in cima al mondo, i pensieri si trasformavano in parole in modo perfetto, comiche ma insieme vere e pungenti. Il grande pianoforte dietro di me funzionava come un amplificatore, e potevo sentire la mia voce far vibrare un’eco tra le corde, e dentro di me pensavo “Santo cielo, li sto mettendo tutti in riga, non dimenticheranno mai queste parole”. Poi mi venne quella frustrazione tipica dei sogni, di quando si deve fare qualcosa di terribilmente urgente ma si è trattenuti da un impedimento. Fui colta da una sorta di paralisi e stordimento, e cercavo di pronunciare le parole “donna in carriera” senza riuscirci. Provai ancora ma non riuscii ad articolare parola, e i giornalisti iniziarono a prendermi in giro. A quel punto mi ero svegliata in preda al panico, piangendo.
«Vedi» dissi a Molly «volevo davvero dire qualcosa sulle donne in carriera, le povere mezzadre nelle tempeste di polvere del mercato. Le vedo, in metropolitana e sugli autobus, che portano avanti le loro battaglie nei loro graziosi vestiti, e reprimono le loro ansie. C’è qualcosa di così coraggioso, in loro, che mi deprime a morte».
«Sì» disse Molly. «Un Winnie the Pooh sul cuscino non è abbastanza. E se provano a cavarsela sposando un buon partito, c’è il rischio che sia un idiota o che non parli la loro lingua. E se invece sposano un uomo intelligente, potrebbe essere più interessato al suo lavoro che a loro. Come possono trovare un uomo che sia stupido e dolce nella giusta misura?».
«Credo che sia chiedere troppo» dissi io.
«Ci sono molte cose peggiori dell’essere sole» disse Molly.
«Lavoriamo come muli per tenere insieme l’anima e il corpo, ed è questa la risposta a tutti gli interrogativi che ci poniamo sulla vita?».
«Forse è un errore volerli tenere insieme» suggerì Molly. «Sono diversi e hanno bisogno di cose diverse. Forse potremmo tenere anima e corpo un pochino separati».
Sembrò che la conversazione dovesse interrompersi, perché per un istante credemmo di doverci rivestire per andare a prendere le sigarette, ma per fortuna trovai un pacchetto di scorta che avevo nascosto per le emergenze. Un uomo può sempre usare la pipa quando finisce le sigarette, ma una donna invece?
«Si può essere delle tali esperte di solitudine se almeno una volta si è stati in due. Lasciamo stare, sto parlando come parlo sempre quando sono sola, e dico cose senza senso. È questo il bello dell’essere soli: le cose non hanno bisogno di avere un significato».
«Se dovessi sposarmi» disse Molly «credo che farei bene a sposare un idiota, così idiota da essere sempre gentile con me. Fedor non è stupido, ecco qual è il suo problema».
«Ecco qual è il problema del mio gentile amico».
«I ragazzi intelligenti non ce la fanno proprio».
«Solo perché sanno quello che devono fare e quello che non devono fare».
«La cosa interessante, a proposito di Fedor, è che proprio quel particolare che mi ossessionava tanto, intendo la gamba finta, è quello che oggi me lo fa amare di più. È così orgoglioso, e non chiede nessuna indulgenza per quella gamba».
Non mi piaceva esprimerlo a parole, ma questo mi fece pensare che la sensibilità di Mark in materia razziale è un po’ come la gamba di Fedor, qualcosa che è accaduto e al quale bisogna rassegnarsi. Ma quanto di me potevo realmente dargli? La sensazione che avevo provato a proposito dell’asciugamano mi spaventava.
Mi aveva fatto così piacere sentire quelle cose su Fedor che non volli parlargliene per non spaventarla. Avrei tanto voluto averle detto le parole di Fedor a proposito del suo ciuffo ribelle, tanto tempo prima. Se a lui mancava una gamba, quelle di lei erano talmente adorabili da bastare per entrambi.
Era stata una bella Milkman’s Matinee, conclusasi nel migliore dei modi con uova strapazzate, toast e marmellata. Molly non volle mangiare la marmellata perché diceva che quelle arance di Siviglia venivano dalla Spagna fascista e le uniche arance amare politicamente oneste erano quelle ebraiche che venivano dalla Palestina. Ovviamente questo mi faceva pensare ad alcune questioni personali, ma ero ben decisa a non portare le questioni politiche o religiose in tavola, così le diedi un bel bicchiere di latte.
«Beviamo un bicchierino alla salute della moglie del lattaio!».
«Mi chiedo cosa faccia mentre lui è in giro a fare le sue consegne».
«Alla salute! Forse ha molti problemi irrisolti».
«Domani è domenica. Possiamo restare a casa a leggere le pubblicità».
«Hai visto il nuovo cappello pillbox di Suzy?».
«Non intendevo quel genere di pubblicità. Intendevo quelle matrimoniali, quando un matrimonio è stato organizzato e sta per avere luogo. Il signore e la signora Tumulo stanno per sposarsi a Funeral City».
«Non ci avevo mai pensato. Effettivamente ognuno di quegli annunci è davvero una pubblicità allo status quo. E perché no, in fondo? Hanno pur diritto a farsi vedere».
Quando Molly viene a trovarmi io naturalmente le cedo il mio letto e dormo sul divano, in salotto. Ma teniamo la porta aperta, perché non si sa mai quello che si può aver voglia di dire prima di addormentarsi.
«Credo di essere, a modo mio, snob quanto ognuno di loro, Dio mi protegga» dissi a Molly.
La sua voce si fece aspettare un po’, prima di dire con tono assonnato: «Tu sei il gatto Mehitabel41, ricordi?».
«Molly, sei terribile».
È bello avere qualcuno che richiami l’attenzione su qualcosa a cui si è talmente abituati da averla quasi dimenticata. Penso alla tormenta nella palla di vetro. Molly è tornata a Chicago, e io prendo la palla di vetro e la faccio roteare. Nonostante la tempesta di neve che la circonda, la ragazza sulla slitta scende per il fianco della montagna serena e quieta. È comprensibile che dopo aver provocato una tempesta ci si dica: finché infuria non voglio pensare, aspetterò che si plachi per vedere che cosa penserò in quel momento.
Che periodo magnifico per vivere è questo. Santo Dio, Molly e tutte noi ragazze siamo già passate attraverso un’intera rivoluzione, e anche se è stata dura, perlomeno ci siamo accorte che stava succedendo qualcosa. Ma c’è gente che non si è accorta di nulla. Credo di aver avuto torto quando mi dicevo di essermela vista brutta. Certo, la storia dev’essere sempre stata piuttosto imprevedibile. Ma la gente l’ha pur vissuta, no? E così faremo noi, alcune di noi, anche se il mondo dovesse andare a rotoli. Se anche tutto il sistema monetario del dollaro dovesse fallire, noi potremo sempre ricorrere al baratto, o scavare, o tessere o coltivare dei vegetali. In questo la Main Line si troverebbe benissimo. Scommetto che un cavallo da caccia può anche servire a coltivare patate. Non mi stupirebbe sapere che ho acquistato finalmente un po’ di buon senso; Molly ha ragione, sono più falsa di quanto loro saranno mai, con il mio Cinq-à-Sept e tutto il resto. Immagino che quell’odore di cavallo fosse il loro modo di tenere sempre a mente ciò che è reale. Ora che sono cresciuta, mi piacerebbe parlare con Rosey Rittenhouse.
Ognuno ha un suo modo di arrivarci, ed è un grave errore credere di essere le sole. Scommetto che tutti hanno la stessa sensazione. Sono sopravvissuta, ed è qualcosa di grandioso.
Non ci si preoccupi di pensare a tutto ciò quando si è soli. Nessuno si vergogna quando è solo. Chissà se riuscirò a insegnare a Mark a non dirmi più di quanto non possa ascoltare!
Mark dice che sono terribilmente cauta. Credo che la parola esatta che ha usato sia “sospettosa”. Io, sospettosa! Non voglio affatto essere così. Una donna ama di più laddove dà di più. Ama perché le è concesso di dare. Una persona vuole dare tutto. Sarebbe terribile se Mark agisse per gratitudine.
Vorrei che nessuno sapesse che c’è una specie di significato sociale nel mio modo di amare.
Ma non posso continuare a tergiversare. Non è giusto.
Ho sempre desiderato di avere intorno a me molta bellezza. Una persona, da sola, può fare ben poco, tranne forse per i bambini.
Mark ha detto che mi avrebbe telefonato oggi perché vuole sapere cosa penso del suo articolo sulla “medicina socializzata”. Lui sa benissimo, anche se molti tra i suoi colleghi non lo sanno ancora, che i medici e tutto ciò che è importante dovrà essere pubblico, prima o poi. Ma era solo una scusa per potermi telefonare. Quello che vuole realmente sapere è un’altra cosa, qualcosa che non può essere pubblico, che è K. Foyle stessa e il modo in cui sente le cose che la circondano.
Ho avuto un’idea terribile, ovvero che sarebbe bello se una persona potesse invecchiare un po’ prima. Sembra che a volte ci sia troppo da attendere per quel cambiamento di cui si sente tanto parlare. Ma questi non sono sentimenti adeguati a una donna che ragiona. Questo dimostra quali danni possa produrre un prolungato colloquio con se stessi. Senti, tempesta di neve, non farmi mai più una cosa simile.
Forse dovrei andare a trovare Delphine. Lei e il signor Detaille sono sempre in casa, la domenica. C’è quel memorandum per l’Associazione Articoli da Bagno da rivedere. E poi è sempre divertente vedere Pfui che tenta di scavare con le unghie quel pavimento lucidissimo.
Mark ha detto che avrebbe telefonato, ma se uscissi prima che lo faccia? Ci resta sempre male quando non gli rispondo dicendo “caro”. «Non mi dice più caro?» protesta. «Abbiamo litigato?».
Bene, posso dirgli caro senza impegnarmi. Caro è una pura forma di cortesia, al giorno d’oggi. Tesoro, invece, non potrei dirglielo se non per errore.
Scommetto che è lui, ora. Santo Dio, come devo rispondergli?
«Ciao, caro».