Tirato in ballo già parecchie volte, Luigi Pirandello viene qui trascinato più che altro per un gioco di parole anche se, in senso stretto, è questo un titolo che può tornare utile per tentare di oggettivare la particolare partecipazione del fruitore nel fatto artistico.
Siamo in quell’angolo della critica in cui vanno a chiudersi i disperati cantori della morte del narratore:
sappiamo bene che dagli anni Sessanta una vasta letteratura che va da Paul De Man a Roland Barthes ha ampiamente celebrato la morte dell’autore[132].
Lo stesso Benjamin, come abbiamo già scritto, nel ’36 dello scorso secolo, ne aveva il terrore anche se, nei due diversi saggi, Il Narratore e L’opera d’arte, ha voluto raccontarne sintomi e fiducie di guarigione.
La situazione non è infatti così drammatica e
ancora negli anni Novanta, uno scrittore e saggista di grandissimo prestigio come David Foster Wallace poteva opporre alle argomentazioni di chi si proponeva di eseguire l’autopsia dell’autore, un postulato di William Gass in base al quale “i critici possono cercare di eliminare o iperdefinire l’autore fino all’anonimia, per ogni genere di ragioni, tecniche, politiche o filosofiche”[133], e “quest’anonimia può voler dire molte cose, ma di certo non che quel testo non l’ha scritto nessuno”[134].
Lo scenario è ovviamente nuovo e
gli “autori” delle serie televisive, intesi come coloro che le scrivono, inventandone i personaggi, i conflitti, i dialoghi e i loro sviluppi, non sono affatto anonimi. Tutt’altro. I loro nomi sono ampiamente accreditati e possono godere di forte reputazione e credibilità nel mondo degli addetti ai lavori e del pubblico più affezionato[135],
scrivono Cappi e Manzoli, aggiungendo, alla loro argomentazione, un elenco di autori e scrittori largamente riconosciuti nel panorama letterario internazionale, prestati alla realizzazione di serie TV: David Benioff e Daniel B. Weiss, che hanno riscritto, in maniera creativa, Game of Thrones, saga di George R. R. Martin, sono i primi due esempi suggeriti. La 25° ora di Benioff, ad esempio, è diventato in poco tempo un best seller, mentre Weiss è accortissimo scrittore oltre che insignito di un master in filosofia al Trinity College e di una laurea in letteratura al Weslyan College.
A dimostrazione che l’autore non è per niente morto e, anzi, è vivo, vegeto e consapevole.
Piuttosto, è tendenza particolare quella che si sta registrando negli ultimi anni, ben riassunta da Cappi e Manzoli, e che vede gli stessi autori qualificarsi non più come scrittori bensì come executive, executive producer, runner, co-runner, creator, editor, co-protagonisti nella realizzazione di un testo a cui, spesso, collaborano anche «gli attori protagonisti che – alla fine – dovranno concretamente incarnare la sceneggiatura nelle proprie parole, gesti ed espressioni»[136]. L’allargamento del processo creativo a più figure non è altro che la conseguenza di ciò che Benjamin, ne L’opera d’arte, aveva già ampiamente predetto.
«A colpire è soprattutto lo spirito con cui questi scrittori interpretano il proprio lavoro nel team della serie»[137] e, per esempio, Sara Colleton ed Elisabeth Meriwether ricordano come sia necessario ragionare con l’occhio della serie: «Meriwhether sostiene che dovrebbe esserci una perfetta omologia fra autori e spettatori nella creazione in un sistema oblativo»[138]. Non dovrebbe essere questo il luogo di un giudizio personale e bisognerebbe essere professionalmente imparziali, per una più lucida e attenta analisi, tuttavia, un’affermazione come quella espressa dalla giovane autrice di New Girl, «il nostro desiderio di autori non è altro che il desiderio degli spettatori» – rivelando quasi un atteggiamento esageratamente prono ai presunti gusti del pubblico – farebbe accapponare la pelle ai più tolleranti dei critici.
Sentendoli raccontare di un’attività che il più delle volte è definita “eccitante”, si ha la sensazione che queste persone non arrivino mai davvero ad una pratica di scrittura ma che costruiscano lo sviluppo narrativo complessivo, i singoli episodi e l’intera messa in scena attraverso una continua chiacchierata o discussione, letteralmente una “chat”[139].
Ora, di questa metodologia creativa se ne può mettere in dubbio il risultato e la genesi stessa, da un punto di vista squisitamente qualitativo se non intellettualmente etico, ma è evidente, come affermano gli autori del saggio Lo scrittore collettivo, che non si possa non affermare che l’autore c’è, esiste, sebbene non in una eccezione tradizionale.
«Scrivere non è più operazione intima e appartata che caratterizza persone timide e fuori dal mondo», ora la scrittura è «appannaggio di un vero e proprio “performer”, un virtuoso sia della parola, sia, soprattutto, della costruzione di universi narrativi per combinazioni […]»[140].
È questa l’era del telespettauttore, per citare ancora Cappi e Manzoli, un essere multiforme, spettatore, autore e attore del fatto artistico, costantemente tenuto in considerazione dagli autori della writers’ room per realizzare, in serie, a mo’ di catena di montaggio, ciò che Lui vuole, scalfendo, senza pietà, il mito romantico dello scrittore-genio e
non sembrano frustati dal lavoro standardizzato e collettivo come accadeva agli scrittori prestati a Hollywood nell’America degli anni Trenta, da Ben Hecht a Francis Scott Fitgerald[141].
E detta così, pare che il telespettauttore sia la reincarnazione del narratore 2.0; tuttavia, è opinione personale – ma, stando a quanto assorbito da Benjamin, l’opinione si fa convinzione – che gruppi di lavoro di questo tipo non siano ancora capaci di garantire al racconto quegli elementi necessari di utilità, solidità e irripetibilità.
Tuttavia, sebbene si è qui convinti che il narratore non sia per niente morto e che sia semplicemente impegnato in una lunga metamorfosi, di certo, nella lunga evoluzione della specie umana, alfabetizzata, resa democraticamente partecipe al gioco della narrazione, con tutte le implicazioni positive e negative che la democrazia comporta e inficia, il Narratore, quello con la enne maiuscola, e non uno dei tanti possibili, per essere utile, solido e irripetibile, a differenza del genio romantico solitario sopravvissuto sino a fine Ottocento, necessita, se non del semplice e arrendevole confronto col fruitore, lettore, ascoltatore o spettatore che sia, quanto meno di un analisi specifica della sua ormai palese influenza sulle narrazioni.
Nello specifico, nell’era dei Social Network, della piena partecipazione del fruitore nei meccanismi della narrazione, il passaggio della serialità dall’analogico al seriale porta con sé numerose implicazioni tecniche.
Ciò che ancora non si è sottolineato di questa mediamorfosi è l’evoluzione, oltre che il cambiamento, del supporto tramite cui partecipare al racconto seriale: determinante, infatti, per il cambiamento non solo dei contenuti ma, nello specifico, delle forme della narrazione, è l’ingresso nel mercato industriale televisivo di nuove piattaforme, accanto a quelle tradizionali:
nello specifico, l’affermazione delle piattaforme over-the-top (OTT) non sarebbe cruciale solo dal punto di vista degli assetti economici del sistema dell’entertainmet televisivo a base U.S.A., ma starebbe conducendo significative modificazioni anche a livelli meno immediatamente misurabili, come la struttura e la messa in forma dei contenuti stessi delle serie televisive. Il modello di distribuzione e il rapporto tra servizio e consumatore rappresentato da soggetti come Netflix starebbe cioè gradualmente influenzando elementi estetico-stilistici che riguardano la sfera creativa della produzione seriale[142].
Ma andiamo con calma.
Chiedendosi, innanzitutto, cosa si intenda per seriale, Giovanna Zaganelli e Marino Toni ritengono che il seriale non sia una caratteristica solamente testuale ma
è il modo di leggere una o più caratteristiche testuali, cioè è un processo cognitivo, un atteggiamento mentale o un modo di ragionare, che presenta come processi di base, o prevalente, l’associazione sequenziale tra parti di un insieme o elementi di insieme diversi[143].
Sulla riconoscibilità del seriale, in pratica, incide la successione cronologica degli eventi in base alle regole finzionali possibili nel mondo narrato a cui il lettore, tramite un processo induttivo o abduttivo, fa riferimento, accentandone e capendone, un episodio dopo l’altro, il quadro di regole generali:
Nel patto di cooperazione seriale analogica il lettore accetta e presuppone che l’ordine del racconto sia sempre di tipo sequenziale, sia nei casi di narrativa naturale, reale o artificiale, che in quelli di narrativa funzionale[144].
Nel digitale c’è un ribaltamento se non una rielaborazione dell’ordine sequenziale del fatto narrato, potendo far leva su più ripiani di scrittura e,
il concetto stesso di sequenzialità è inficiato dalla compresenza delle informazioni e, nel caso della struttura narrativa dei testi, viene sostituito dal concetto della simultaneità[145].
Nel digitale abbiamo a che fare con ipertesti capaci di far convivere e coincidere, in compresenza, reale e virtuale di determinati elementi di un corpo narrativo:
Le fasi di una qualunque narrazione possono sia essere compresenti o parzialmente compresenti sulla stessa pagina fruita dal lettore, sia essere disponibili per mezzo di operazioni rapide che trasportano il lettore da una fase all’altra del racconto attraverso link di collegamento[146].
Ad essere cambiato, in maniera particolare, è il supporto. Prima dell’avvento di internet e dei nuovi canali digitali, di una determinata serie l’utente era obbligato ad attendere la messa in onda settimanale dell’episodio per poter procedere nella narrazione. Con i nuovi sistemi di riproduzione, invece, l’intera stagione, se non l’intera serie, può essere visualizzata in qualsiasi momento, partendo da qualsiasi punto. Nulla di molto differente da ciò che è accaduto con i romanzi pubblicati in fascicoli e poi rilegati e pubblicati in un tutt’uno.
Episodi vecchi e nuovi, attraverso note esplicative e ad apparati paratestuali creati ad hoc, permettono allo spettatore di fruire della narrazione, non più soltanto in un ordine simultaneo ma, «decidendo i punti di acceso alle informazioni e il grado di approfondimenti delle stesse»[147]. Il lettore, disponendo della totalità dell’opera, può percorrere, una o quante volte vuole, e nelle direzioni che ritiene più vantaggiose[148], la storia narrata.
E se in un ambiente così fatto, il concetto di serialità analogica «viene alterato fino alla cancellazione»[149], la domanda che sorge spontanea è se il patto di cooperazione tra autore e fruitore sia, a questo punto, ancora rispettato, in luogo di una più mobile fruizione del singolo episodio a discapito della serialità stessa:
In questo caso l’ambiente digitale agirebbe come un meccanismo di azzeramento della serialità perché lascerebbe senza obiettivo i processi inferenziali orientati alla ricerca di una ragione delle serie, o meglio cancellerebbe la loro stessa attivazione, lasciando che la serialità diventi una mera caratteristica filologia del testo, un valore da attivare esclusivamente in ragione di uno studio sulla genesi dell’opera, ma inutile in un processo di fruizione per l’intrattenimento[150].
Chiaramente, la ricerca di una diversa fruibilità del racconto non coinvolge solo le serie TV ma piattaforme come Wattpad – che danno la possibilità a giovani scrittori di proporre le loro storie interagendo con i lettori, attraverso una continua cooperazione seriale, commentando trama, stile e proponendo ipotesi evolutive sulla trama – dimostrano come la serialità digitale coinvolga i mondi della creatività. D’altronde,
la crossmedialità [la capacità di una stessa forma comunicativa di attraversare, come corpo liquido, diversi contenitori, N.d.A.] è un fatto e la tendenza dei vecchi media analogici, ora approdati alla loro fase digitale, è quella di rimediare caratteristiche del web[151].