La struttura narrativa: cornice e finale

Se è vero quanto scrive De Cristofaro, a chiusura di un breve ed efficace excursus sulle peripezie della cornice, ovvero

quando, lungo le rivoluzioni inavvertite del libro, la prosa del mondo e lo spazio letterario si identificheranno progressivamente, la cornice si farà mangiare dal quadro, ovvero tenderà a identificarsi con il punto dove un autore parla ai suoi lettori, ricordandosi del tempo in cui elargiva consigli, rifletteva sulla vita, si interrogava attraverso il racconto sul suo stesso statuto e sul suo stare al mondo[216].

Ciò che accade in HIMYM, tenendo sempre sotto mano il nostro Benjamin, è un’esaltazione del racconto volto al consiglio e alla riflessione esistenziale, all’interno di una cornice.

Sklovskij, nel 1925, in Teoria della prosa, distingue due tipi di cornici: l’incorniciamento, e cioè l’organizzazione di storie dentro un racconto quadro, e l’infilzamento, e cioè una narrazione in cui a raccontare è un personaggio centrale. Se in quest’ultimo caso i racconti sono condotti da più personaggi, nel primo, il motivo scatenante della narrazione dei racconti è o il tentativo di ritardare un pericolo di morte o istruire un allievo.

Boris Ejchenbaum, attraverso Otto Ludwig, sottolinea la distinzione tra racconto in quanto tale e racconto scenico:

Nel primo caso l’autore stesso oppure uno speciale narratore rivolge il discorso agli ascoltatori: il raccontare è uno degli elementi costruttivi della forma, a volte il più importante; nel secondo caso emerge in primo piano il dialogo tra i personaggi, mentre la parte narrativa si riduce ad un commento che lo inquadra e chiarisce, ha, cioè, in sostanza, funzione didascalica[217].

Sklovskij ed Ejchenabum ci vengono in soccorso per sintetizzare, attraverso poche parole, quanto accade, narrativamente, in HIMYM, che potremmo definire racconto in quanto tale, in cui i singoli episodi fungono da novelle incorniciate dalla voce di Ted Mosby (in un solo caso particolare, in uno degli episodi più strazianti della Serie, è sostituito da Robin) che ha, come scopo, per motivi che poi affronteremo più avanti, quello di ritardare la conclusione delle storie.

In che modo gli episodi fungono da novelle? In Teoria della prosa, Ejchenabum scrive:

La novella è una forma fondamentale, elementare […] La novella deve essere costruita in base a una qualche contraddizione, mancanza di coincidenza, errore, contrasto ecc. Ma non basta. Per la sua stessa essenza, la novella, come pure l’aneddoto, accumula tutto il suo peso verso la fine[218].

Ovviamente, a rigor di precisione, il termine novella è giusto un pretesto per dare l’idea della composizione multidimensionale del racconto di Ted, ché, stando ancora ad Ejchenbaum, «la novella, invece, inclina proprio al finale più inatteso»[219]. Ciò non accade nella comedy in questione dove, anzi, ogni singolo episodio, a parte casi specifici di racconti più lunghi e divisi in un massimo di due o tre episodi, è un racconto a se stante. Oltre la cornice e quindi il movente (scoprire come il protagonista arriva ad incontrare la mamma dei figli), è il progredire stesso di alcuni rapporti, attraversando fiumi di flash back e look forward, a collegarli. A volte si ha la sensazione che le storie non siano disposte in un ordine cronologico preciso e che, piuttosto, sia il puro piacere di raccontare a muoverle.

Ted palesa un gusto per il racconto tale che Benjamin – e qui rischio di essere tanto presuntuoso, lo so – avrebbe potuto portarlo ad esempio per le sue abilità di narratore. È questo ancestrale piacere di raccontare a rendere particolare il parlare di Ted.

Intrattenendo i figli e, in un certo senso, rievocando il passato, percorrendo passo dopo passo, gag, sfide, risate, fallimenti, pianti, ogni briciolo importante di medeleine, cerca di assopire un grande dolore. Obiettivo della Serie, dopo «false fini, conclusioni, che creano una prospettiva o informano il lettore della Nachgeschichte dei personaggi»[220], comportandosi ovvero con un andamento tipico del romanzo, è giungere al fatidico epilogo: alla fine arriva mamma e si chiama Tracy McConnell, interpretata da Cristin Milioti, protagonista anche del già citato primo episodio della quarta stagione di Black Mirror.

Durante l’incedersi delle stagioni, non sappiamo perché Ted voglia, a tutti i costi, raccontare dell’incontro. Se abbiamo presupposto un’utilità e quindi un consiglio per cui tendere attentamente l’orecchio, è necessario un leitmotiv. Lo scopriamo, o per meglio dire, lo intuiamo, soltanto alla fine, quando, dopo averci presentato finalmente l’anima gemella, ci dice che muore in seguito ad una grave malattia.

Essendo cinici, c’è una medaglia dai due lati diversamente interpretabili:

 

da un lato, la voglia di allontanare la morte. Se «il cinema è la forma d’arte che corrisponde al pericolo sempre maggiore di perdere la vita»[221], rievocando la fatica sì, ma anche le gioie che ha dovuto vivere per incontrare la donna con cui finalmente condividere sogni, passioni, percorsi e costruire una famiglia, Ted addolcisce a se stesso e ai figli il triste epilogo. Come nelle più maestose narrazioni, da Le mille e una notte al Decamerone, fuggire dalla morte, fisica o memoriale, è deus ex machina di HIMYM. Ciò che fa Ted, in una certa misura, è ricostruire il suo “Museo delle Innocenze”, rimettere al proprio posto, nel monumento dedicato alla memoria, tutto ciò che ha a che fare con Tracy, una recherche del tempo vissuto, rendendo la loro storia unica e irripetibile, così come Pamuk con romanzo e museo (e d’altronde, Ted è un accumulatore seriale di tutti i regali delle sue ex, giusto per mettere in risalto il forte legame, perfino feticista, che ha il protagonista col passato);

 

dall’altro, a ben vedere, la narratio sarebbe incentivata da un motivo che qualcuno potrebbe ritenere meno edificante. Ted ha amato e ancora ama la sua Tracy ma, nel modo in cui gli autori hanno concluso la Serie, è sembrato che il protagonista avesse tessuto storie e ricucito ricordi solo per esporre ai figli ciò che è successo prima di incontrare la loro madre e chiedere loro il consenso per riprovare a unire il filo interrottosi, anni addietro, con Zia Robin.

 

Ciò sarebbe confermato, a meno di un refuso degli autori, dall’episodio ventidue della quarta stagione, intitolato Al posto giusto nel momento giusto. Il narratore del narratore, riferendosi ai figli, per introdurre un discorso sull’importanza dei piccoli gesti, si lascia scappare un «Vi ho già raccontato di come ho conosciuto vostra madre». Se i figli già conoscono alla perfezione la storia di come si sono conosciuti i genitori, perché raccontarla nuovamente se non per chiedere la loro approvazione per riprovarci ancora con zia Robin?

E d’altronde, il finale ha fatto insorgere molti fan della serie: nove stagioni, una strada lunga e difficile per arrivare a colei che è stato il soggetto sottinteso di tutta la storia e non poter godere in eterno del classico topoi “e vissero per sempre felici e contenti”.

E non solo: il ritorno di fiamma per Robin è stato tanto criticato al punto che gli sceneggiatori sono stati costretti a realizzare un finale alternativo, restaurando la felicità raggiunta con la scena del matrimonio tra Ted e Tracy.

(Facendo, a mio modesto avviso, più danni che altro: e lascio questa personale considerazione tra parentesi per non interrompere il filo dell’argomentazione).

Qui, infatti, l’estrema partecipazione del pubblico al fatto narrativo ha fatto perdere la bussola agli sceneggiatori che, per accontentarlo, alla maniera del caso citato di Dickens, sono usciti fuori dal solco prefissatosi in partenza.

Difatti, il primo finale, per quanto scioltosi troppo velocemente – probabilmente per motivi extra-narrativi, come la decisione della produzione di chiudere definitivamente la Serie – è perfettamente in linea con la filosofia che sottende ogni singolo episodio. Quello alternativo è troppo perfetto, troppo lineare, mentre la vita è piena di increspature, di incontri fortuiti e, se vogliamo, utilizzando una locuzione di una particolare geometria, impropri. Con geometria impropria, infatti, si definisce quel luogo in cui, ad esempio, due rette parallele destinate a fare lo stesso percorso all’infinito, si incontreranno nel loro punto, per l’appunto, improprio. È quello che accade a Ted e Robin, e a Ted e Tracy.

In un gioco di costruzione a parallelismi (questa volta di tipo narrativo), così come lo ha già abilmente riassunto Viktor Sklovskij in La Struttura della novella e del Romanzo, in cui elementi o azioni si ripetono per evidenziare contrasti o similitudini, creando spostamenti e ricollocamenti semantici, le due relazioni dimostrano come nella vita, in particolar modo nelle relazioni sentimentali, ci si possa impropriamente incontrare all’infinito, viversi nel momento sbagliato o non incontrarsi mai, e ritrovarsi, a distanza di tempo, in condizioni nuove, migliori.

Tutta intenzionata a volersi realizzare professionalmente, Robin non prova gli stessi desideri di vita matrimoniale di Ted. Più volte proveranno a rincontrarsi, più volte si arrenderanno all’evidente impossibile incastro dei loro destini. Mentre con Tracy, l’incontro è allontanato dalle architetture della città, dal caso che li avvicina, quasi incrocia le loro vite, ma non li fa incontrare mai. Una metafora ben realizzata, come si è già accennato, nell’episodio di Black Mirror, Hanger Dj. Un sistema di analisi delle esperienze e delle personalità volta all’individuazione dell’anima gemella, che decide, in base a queste, addirittura quanto debba durare una relazione, prima dispone di farli incontrare per una manciata di ore, il tempo giusto perché si innamorino, poi sceglie, ad insaputa, in questo caso, dei nostri protagonisti, quante altre esperienze debbano fare prima che il sistema decida di farli rincontrare. Il meccanismo è sadico, ma il finale, in un certo senso, dimostra come certe vite siano destinate a stare insieme solo se si realizzano particolari condizioni psicologiche ed ambientali. Più o meno è il senso ultimo di How I met Your Mother, espresso con chiarezza dal monologo di Ted proprio a conclusione – paradossalmente – dell’epilogo alternativo:

Zia Lily aveva ragione a metà. È stata una strada lunga. Si potrebbe dire che è stata davvero, davvero, davvero, davvero lunga. Ma difficile? No. È la vita. Succedono cose nella vita. Le cose cadono a pezzi… Poi vengono rimesse insieme. Quando penso a quanto sia fortunato a svegliarmi ogni mattina di fianco a vostra madre… non posso fare a meno di sorprendermi per quanto sia stato facile. Tutto ciò che ho dovuto fare è stato uscire dall’appartamento per un paio d’ore, così che zio Marshal potesse chiedere a zia Lily di sposarlo. Andare al bar, incontrare vostra zia Robin, convincere zia Robin ad innamorarsi di me. Rompere con zia Robin. Cercare di riprendermi. Fare un tatuaggio per riprendermi. Andare a far rimuovere il tatuaggio. Incontrare Stella. Convincere Stella ad innamorarsi di me. Fidanzarmi. Essere lasciato all’altare. Essere licenziato. Essere picchiato da una capra. Ottenere un lavoro come professore. Insegnare alla classe sbagliata. Uscire con la ragazza sbagliata. Uscire di nuovo con la ragazza sbagliata. Uscire con la ragazza sbagliata un po’ di volte, a dire il vero. Lasciare innamorare zio Barney di zia Robin. Lasciare innamorare zia Robin di zio Barney. Programmare il matrimonio. Andare al matrimonio. Assicurarmi che il matrimonio venisse celebrato. Andarmene un po’ prima. Essere al posto giusto al momento giusto e in qualche modo tirare fuori le palle per fare la cosa più stupida ed impossibile al mondo. Andare da quella bellissima ragazza con l’ombrello giallo ed iniziare a parlare.

E di fatto, nell’episodio già citato, Al posto giusto nel momento giusto, facendo riferimento al famoso effetto farfalla secondo cui, un battito d’ali in un luogo può provocare pioggia in un’altra parte del mondo, Ted del futuro ci spiega il suo mondo, la sua prospettiva, l’azione in cui è convinto si muova la sua storia:

L’universo ha un piano e quel piano ha una rivoluzione [...] Ogni ingranaggio di questa macchina è in costante movimento per fare in modo che siamo esattamente dove dovremmo essere in quell’istante. Al posto giusto nel momento giusto.

Nell’episodio, Ted unisce eventi diversi, tre narrazioni intrecciate, che corrispondono ad altrettanti destini che si allacciano a vicenda, generando coincidenze e casi fortuiti senza i quali «voi ragazzi non sareste mai nati». Il destino, a cui Ted dimostra di essere continuamente grato, lo porta al momento giusto anche quando al telespettatore non è ancora chiara tutta la vicenda.

Ma indizi, nella serie, che le due love stories camminino in parallelo, gli autori ce li offrono già nel primo episodio quando, a conclusione del primo della primissima stagione, intitolato emblematicamente Una lunga storia, dopo aver raccontato della proposta di matrimonio di Marshal a Lily, di come ha conosciuto Barney e Robin e del suo primo appuntamento con lei, Ted ammette che, in un ambiguo sotterfugio narrativo che sovrappone, disfa e rimescola, «questa è la storia di come ho conosciuto zia Robin».

L’inganno, o meglio, la magia, è aver fatto passare “la storia di come ha conosciuto zia Robin” come tema solo del primo episodio, proprio alla sua conclusione, ma in un’antitesi perfetta e parallela con la premessa di inizio capitolo tale da darle un ruolo chiave e rivelatore.

Come ogni racconto magico anche qui ci sono oggetti fantastici in grado di tenere insieme i personaggi, di legarli indissolubilmente all’incanto. Escamotage narrativi fondamentali, se nelle favole facilitano la realizzazione di racconti inauditi e all’eroe permettono di superare prove ed impedimenti altrimenti insuperabili, in HIMYM tengono unite Robin e Tracy al protagonista, attraverso isotopie, flashback e look forward. Ci si riferisce qui a due oggetti emblematici, divenuti subito cari ai fan della serie: un corno francese blu e un ombrello giallo. Il primo, rubato in un ristorante, durante il primo appuntamento tra Ted e Robin, ricompare nell’ultima stagione come a chiudere il cerchio del racconto; appartenuto a Ted, perso in un locale, arrivato tra le mani di Tracy, l’ombrello, invece, illumina e anticipa, senza mai rivelare, l’avvicinarsi della mamma alla storia. E si noti che gli oggetti magici presenti nelle fiabe d’ogni tempo hanno il potere di ritornare sempre tra le mani di chi li aveva persi, anche quando fa di tutto per disfarsene, proprio per aiutarlo a sciogliere lietamente l’intreccio.

 

L’ombrello giallo e il corno blu, citando Remo Bodei, «con una specie di sineddoche (par pro toto) […] si caricano allora di significato erotico onnicomprensivo, di un’eccedenza di senso, o di significati culturali e religiosi in genere[222]».

Per Bodei, sulla scia di Benjamin, l’oggetto, a differenza della cosa, inteso come contrazione del latino causa, «è privo di aura, della percezione dell’apparire in una forma unica di una lontananza, per quanto possa essere vicina[223]».

 

Gli oggetti in How I Met Your Mother, con l’essere elementi costitutivi, se non addirittura di avviamento delle trame, si fanno cose e cioè vengono «investite dai raggi della mia attenzione, che non soltanto le vede con gli occhi del corpo, ma le comprende, grazie al linguaggio, con gli occhi della mente[224]».

Ted, sia quando è lui stesso a riacciuffarlo mille volte (il corno), sia quando gli ritorna casualmente tra le mani (l’ombrello), col suo accumulare racconti e cose – citando Mozart, a proposito della sua musica, così come Bodei – trascrive ciò che era già stato composto intorno a lui. A Ted non basta che raccontare per mettere ordine nel caos della sua esistenza. Le cose, corno e ombrello, renderanno visibili gli estremi del suo girovagare.

Raccontare e recuperare dall’oblio, in Ted, così come in Kemal, hanno lo stesso significato. Significa prendersi cura e salvare, significa «comprendere meglio noi stessi e le vicende in cui siamo inserite». Il giallo e il blu, gli estremi minori dello spettro dei colori – rispettivamente i primi dopo la luce e il buio totale – giocano scenograficamente con la narrazione. Senza analizzare ogni singola scena, mi preme semplicemente consigliare al lettore-spettatore di notare come spesso giallo e blu si intreccino e sovrappongano, creando orditi, muovendo trame.

Nell’episodio ventidue preso in esame, l’azione da cui parte il tutto, quello capace di riaccendere la macchina ed il susseguirsi repentino degli eventi, quelli senza i quali addirittura non sarebbero nati i figli, si muove proprio a partire da Robin, che gli consiglia di andarsi a rilassare e di portare con sé un ombrello perché sapeva che avrebbe piovuto.

 

E l’ombrello, proprio quello giallo, viene perso, durante la festa di San Patrizio, giornata cromaticamente dominata dal verde, colore della soglia e della sovrapposizione, guarda caso, tra il blu ed il giallo.

I due incontri/racconti vivono così intersecati, strettamente uniti dalle emozioni, dalle esperienze, dai ricordi museali e preziosi di Ted.

Una particolarità di How I Met Your Mother, e di gran parte del mondo seriale, è quindi giocare, non solo con ogni singolo episodio, ma anche con lo spettatore, disseminando indizi, invitando a raccogliere tracce.

 

Breve considerazione: non è per insistere sulla marcata similitudine tra Novelle e Racconto Seriale, di cui si è già detto, ma perfino Netflix con la sua semplice schermata e la possibilità di usufruire potenzialmente all’infinito dei contenuti, ne ricorda le strutture: se per ogni episodio, ripartito nelle rispettive stagioni, c’è un titolo ed una sinossi che ne sintetizza contenuti e motivi, allora è facile l’associazione di idee: le stagioni diventano le giornate delle brigate, gli episodi novelle e, in definitiva, titoli e sinossi ricordano il cappello, tramite cui i novellieri introducevano i temi e riassumevano ciò che il lettore avrebbe trovato nel testo. Ovvio che questa sia una struttura standardizzata per tutte le serie TV contenute all’interno del suo catalogo ma, nel caso di HIMYM, le suggestioni aumentano: lungo le giornate dell’esistenza della combriccola newyorchese, a riparo del Pub McLaren, il nostro narratore snocciola temi, affronta luce e buio del quotidiano, addentrandosi, piano piano, nei luoghi più remoti della memoria. E all’interno di questo movimento a fisarmonica, ciò che dimostrano Thomas e Bays è che quel che può la magia del racconto è sì distrarre dal pensiero della morte ma, allo stesso tempo, camminandole di fianco, ricordare che così come è impossibile igienizzare la vita, nemmeno nel racconto, quello vero, saldo, utile, irripetibile e quindi benjaminiano, è ammesso.

E non lo dimostra solo il finale, ma anche il primo grande lutto della serie: la morte di Marvin, il padre di Marshal, il cui evento è cadenzato da un countdown nascosto durante l’episodio, è vicenda rara per una semplice sit-com e viene raccontata con la giusta importanza: c’è sì il dramma di aver perso un genitore e delle parole non dette quando ce ne sarebbe stato bisogno, e pure c’è la leggerezza stessa della vita, di un tentativo quotidiano di resistere e andare avanti, nonostante tutto.

Perché per un racconto che sia vero non si può escludere nessun colore dalla tavolozza.