Uno dei due sceneggiatori, Thomas, ha ammesso che «il Ted del futuro è un narratore poco credibile visto che sta cercando di ricordare una storia a distanza di vent’anni dalla stessa, quindi tende a raccontare gli eventi passati in maniera errata e/o distorta, a volte anche mentendo»[225]. E a maggior ragione lo ritengo un narratore perfetto: l’espediente narrativo dell’incespicamento è stato un punto chiave per molti episodi della serie, creando dinamicità nel fatto narrato.
Nel primissimo episodio già citato, Una Lunga Storia, il Ted del futuro comunica ai figli che sta per raccontare la storia incredibile di come ha conosciuto la madre e, alla domanda della figlia se ci volesse molto tempo, il padre risponde categoricamente di sì. Nel secondo episodio, La giraffa viola, riprendendo la narrazione lì dove si era conclusa, il figlio ci tiene a sottolineare, con sarcasmo, quanto il padre sia molto attento ai dettagli. Sono i famosi minutenes of detail di Poe utili perché un racconto breve sia intenso e vero al contempo.Non c’è bisogno di scomodare Proust per sottolineare quanto questo allenamento continuo al salto all’indietro della memoria sia tipica di molte narrazioni, basti qui far notare gli atteggiamenti degli anziani di gettarsi, insicuri, avvolti da banchi di dubbio, nel passato. In un modello noto della serialità animata, nonno Abraham de I Simspons, questi atteggiamenti possiamo trovarli parodiati ed esacerbati.
In Ted Mosby, l’incespicare del narrato, dimenticanze ed errori, fanno invece parte del suo scatolone di escamotage, attraverso cui i dettagli non fungono solo da decoro narrativo ma gli diventano necessari, se usati con precisione o volutamente elusi, per spostare significati e sovrapporre simbolismi: come nel caso del quinto episodio della terza stagione, Conoscenze vecchie e nuove, che inizia con un riferimento cronologico ben preciso ed un dettaglio, apparentemente più importante, che non riesce proprio a ricordare: «Figlioli, nell’autunno del 2007 uscivo con una ragazza che si chiamava… cavolo come si chiamava? Sono passati ventitré anni. Come faccio a ricordarmi?»
Cos’è che vuole portarci di utile in questo racconto? Perché insiste a specificare che non ricorda come si chiamasse la ragazza? Nell’episodio, quest’ultima, chiamata per comodità narrativa Blabla, racconta di aver conosciuto Ted in un improbabile corso di cucina fusion francese: «Tutti avevano un compagno. Allora ho alzato lo sguardo e in quella stanza affollata ho visto Ted. È stato un momento magico». Mettendo momentaneamente da parte la particolare struttura a matrioska di narrazioni simili, in cui il narratore principale lascia momentaneamente la parola ad uno dei suoi personaggi, nello specifico, Blabla è una pessima narratrice perché – è lo stesso Ted del futuro a dircelo – mente spudoratamente. In realtà, i due si sono conosciuti su di una chat di incontri ma Blabla non lo ritiene un incontro romantico, non all’altezza dell’immagine che vuole dare di sé e perciò inventa, col benestare di Ted, seguendo il retorico topos del colpo di fulmine.
Da notare, tra le altre cose, la particolare contrapposizione dei due Ted: se il personaggio (per intenderci quello del 2005), supporta la falsa narrazione per compiacere colei che spera possa essere quella definitiva («È stato proprio… magico», conferma non senza una pausa rivelatrice), il narratore del futuro entra subito a rimettere le cose a posto con un perentorio: «Ma non era vero» e, riavvolgendo il nastro del racconto ad un’ora prima dell’incontro, rivolgendosi ai suoi amici, ci narra la realtà dei fatti.
Il motivo per cui la ragazza – che scopriamo soffrire di manie di persecuzione ed ha una spiccata attenzione per le apparenze – insiste in questa falsa storia è la gelosia per come Ted ha conosciuto il resto del gruppo.
Al racconto di Ted e Blabla si unisce e si interseca quella delle tre diverse versioni del famoso incontro, avvenuto anni prima al college, tra Lily e Marshal: tutti, Ted compreso, hanno un propria versione dei fatti e, anche qui, bugie, falsi ricordi e scambi di persone generano un susseguirsi di inganni narrativi, ricondotti alla verità dalla voce narrante. Il tema di questo episodio, in definitiva, pare essere quello delle narrazioni possibili solo sotto il riflettore della verità. Come a dire: le bugie hanno le gambe corte, ed è inutile riempirle di retorica, orpelli e ruffianerie volte ad accattivarsi il consenso di chi ascolta: le Blabla verranno sempre scoperte.
Ted personaggio fa quasi sempre la cosa sbagliata e, come nel caso del sesto episodio della quarta stagione, E vissero felici e contenti, la cosa sbagliata si rivela il punto di partenza per tutta una serie di azioni, conseguenze, considerazioni e lezioni da imparare. Abbandonato all’altare da Stella, (interpretata da Sarah Chalke, già famosa per aver interpretato il ruolo di Elliot Reid in Scrubs), che decide di tornare dall’ex marito, il giovane architetto non riesce a liberarsi dal peso delle parole non dette, della rabbia repressa accumulatasi all’indomani dell’abbandono. Durante una cena in un ristorante scelto perché fosse il più possibile lontano dai luoghi abitualmente frequentati da Stella, la comitiva è costretta da Ted a nascondersi sotto al tavolo per l’arrivo inaspettato proprio della suddetta. I commensali, così riuniti, dopo aver accusato Ted di eccessiva immaturità, di essere incapace di combattere coi propri fantasmi e soprattutto di non sfogare la rabbia repressa, indotti dallo stesso Ted, a loro volta narratori, raccontando le proprie esperienze, riconoscono di avere anche loro dei traumi che difficilmente sarebbero disposti ad affrontare con coraggio. Ma è dopo il racconto di Robin – ancora lei deus ex machina! – e del suo rapporto frustrante col padre che Ted prende la piena consapevolezza di dover affrontare la donna che lo ha fatto soffrire. Il gruppo si mette così ad inseguirla a bordo di un Taxi, replicando, in tal modo, una scena della prima stagione: Ted e i suoi amici che, nella macchina gialla, si recano sotto casa di Robin per baciarla. Anche in questo caso gli amici avevano stimolato Ted a fare l’azione giusta. Dopo il loro primo appuntamento, nonostante i tanti segnali lanciatigli da Robin, Ted non aveva capito – o nella finta incomprensione crogiolava una qualche mancanza di coraggio – che avrebbe dovuto baciarla.
Nella riproposizione dell’inseguimento di una donna, a bordo di un Taxi, in una isotopia narrativa riconoscibile ai fan della Serie, abituati al reiterato ripetersi di Ted, arrivati sotto casa di Stella, il narratore ci propone due finali possibili, o meglio, prima ci mostra ciò che avrebbe voluto fare e, poi, ciò che realmente fa. Incalzato dagli amici, infatti, Ted immagina di riuscire a sfogarsi con Stella e di dirle finalmente ciò che non era stato ancora capace di buttare fuori. Tuttavia, a pochi metri da lei, al di fuori dell’immaginazione, si trova di fronte a ciò che definisce «il finale perfetto per una storia perfetta, soltanto che non era la mia». Dopo aver visto Stella abbracciata all’ex marito e alla figlia, nel tipico quadretto familiare felice a cui tanto ambisce, Ted abbandona ogni proposito e capisce, così, che bisogna rassegnarsi e che il finale di quel racconto non era giusto per lui. Come in Hang the Dj, è come seStella e Ted sono stati, l’uno per l’altro, un allenamento all’amore e alle relazioni di coppia, per poi affrontare il resto della propria vita diversamente.
In questo episodio, che qui si è voluto porre a braccetto con quellodi Robin, pare che Ted narratore abbia voluto dimostrarci che, a fronte dei consigli più o meno validi, ma sempre a fin di bene, degli amici, il giusto di ogni storia, se non di ognuno, debba passare benjaniamente,attraversol’esperienza personale. D’altronde, il narratore è o non è «la figura in cui il giusto incontra se stesso»[226]?
E a proposito di narrazioni esagerate oltre l’inverosimile, l’episodio dieci della quarta stagione, intitolato La Rissa, in cui Ted e Barney approfittano di un qui pro quo per vantarsi di aver partecipato ad una scazzotta dalla quale sarebbero usciti vincitori, è un ulteriore esempio di come, anche nella vita quotidiana, si è portatori di narrazioni – vere o bugiarde che siano – che, se ben analizzate, sono a loro volta portatrici di significato, oltre che di una morale. L’episodio, difatti, inizia con Ted narratore che si domanda: «Perché facciamo a botte? Cos’è che, nel profondo dell’anima, ci spinge a risolvere le controversie incrociando i pugni? Di qualsiasi cosa si tratti è dentro di noi dalla nascita». Ed è su questo tema che si sviluppa, di fatto, la narratio di tutto il capitolo.
Quello di Ted sembra quasi un racconto epistolare, in cui aneddoto e confessione si mescolano, in cui l’analisi di ogni atteggiamento culturale, sociale ed antropologico va di pari passo con la novellizzazione delle sue esperienze. Una necessità, quella di voler scrivere, raccontare e riportare il suo punto di vista che, proprio in La Rissa, viene fuori con chiarezza. Quando Marshal, che è un avvocato, fa credere a Barney e Ted che avrebbero rischiato il carcere per la denuncia per aggressione a loro giunta, quest’ultimo ammette: «Io non posso finire in carcere… anche se così potrei darmi finalmente alla lettura, scrivere i miei racconti».
Ovviamente, nessuno dei due rischia la galera, né Ted crede che andarci significhi ozio e tempo libero, tuttavia quello che risulta un divertente sketch comico, tra serio e faceto, gli offre la possibilità di una confessione profetica.
L’idea di un narratore bugiardo, non sempre perfetto, rende facili alcuni meccanismi che si rivelano felici per l’evoluzione stessa del fatto narrato. Tenendo sotto la nostra lente d’ingrandimento ancora un altro po’ la scena dell’inseguimento di Stella, si noti come immaginazione e realtà vengano dapprima momentaneamente confusi di proposito, poi invertiti l’uno con l’altro, per poi scoprire il trucco e mostrare la verità solo con lo scioglimento dell’episodio. Nel caso specifico, prima ci mostra ciò che immagina, facendoci credere che davvero sia andato ad affrontare Stella poi, soltanto dopo che si è puntata nuovamente la camera da presa all’interno del Taxi, scopriamo che si era trattato soltanto di un sogno, o meglio di quello che avrebbe voluto fare ma che non è stato possibile concretizzare.
Nel capitolo Piantati all’altare della quinta stagione, il tema è quello del bagaglio come raccoglitore di un passato-zavorra capace di influenzare qualsiasi tipo di relazione futura. Dando una mera e semplificata accezione negativa ai bagagli, Ted è convinto che la nuova ragazza che sta frequentando, con la quale tutto procede a gonfie vele, possa prima o poi mostrargli il suo. È un tipico episodio di formazione, questo, in cui peripezie, nuove esperienze e risoluzioni permettono la crescita emotiva dell’eroe. Al cinema con lei, Ted scopre che il film che stanno vedendo, The Wedding Bride, realizzato da TonyGrafanallo–l’uomo per cui lo ha lasciato Stella –parla di lui e, in particolare, proprio di com’è stato piantato all’altare da lei. La storia di Grafanello è speculare, nel senso che, della realtà, riflette un’immagine simile ma alla rovescia: Jed Mosley è un architetto famoso, ricco e corrotto, un alter ago in negativo di Ted. In questo Sottosopra, particolari oggetti magici (nell’accezione che si è voluto dare al termine, per la magica capacità di tenere unite parti distanti tra loro)sono i suoi famosi stivali rossi da cowboy, per cui viene spesso preso in giro dagli amici e che in Wedding Bride fungono da collante tra reale e finzione per un film che racconta ogni cosa al contrario: «È lui il cattivo ed il buono è un ragazzo che si chiama Ted Mosby» dice Lily.
E il film, come a volergli infilare lame affilate nella cicatrice aperta, ripercorre ogni singolo particolare della sua storia con Stella: il tatuaggio a forma di farfalla che, in una notte di baldorie, si fece disegnare sul didietro, e la cui rimozione è stata l’occasione che lo ha fatto incontrare con la dermatologa Stella Zinman; il loro primo appuntamento; la proposta di matrimonio. Tutto serve, in questo suggestivo gioco pirandelliano di film nel film, per essere minuziosamente piegato e sistemato bene bene, per fare capire al vero Ted, in definitiva, che «tutti hanno un bagaglio appresso» compreso lui.
Allo stesso tempo, lungo l’episodio, in uno squarcio della storia di Ted, si apre un’altra scrittura sul tema del bagaglio: il confronto tra Marshal e Robin, tra chi porta in valigia fin troppa gentilezza e chi ne ha poca, al punto da ostentare la necessità di essere continuamente diffidente verso il prossimo, e serve a creare ulteriori parallelismi interni, palindromi di metafore in cui entrambi i personaggi colgono l’importanza del vissuto e del peso del proprio percorso.
In questa angolazione, il nostro narratore, solitamente onnisciente, seppur non sempre preciso, si fa parzialmente da parte e accoglie, nel suo racconto, ciò che gli è stato riferito. Difatti, in molte delle storie raccontate, come nel caso della disputa tra Marshal e Robin, non è stato diretto testimone e l’unica cosa che può fare è aggiungere, alla sua memoria, il ricordo di ciò che gli è stato raccontato, dimostrando, in tal senso, non solo di essere un buon ascoltatore ma di indossare gli abiti del perfetto narratore benjiaminiano: memoria e oralità, si ricorderà, sono principi ecumenici della tradizione di ogni narrazione.
Ricordiamolo: «l’esperienza che passa di bocca in bocca è la fonte a cui hanno attinto tutti i narratori»[227].
In altri casi ancora, invece, il narratore si fa addirittura da parte, per lasciar posto alla voce diretta di uno dei protagonisti, come nel caso del secondo episodio della settima stagione, in cui è Robin a parlare, in una specie di finto spin off interno alla serie stessa.
Ted è narratore perfetto perché, tra mancanze e pregi, dimenticanze e pedanterie, ci offre tutte le angolazioni possibili del racconto; e poi, è giusto siaper la sincerità con cui ammette di poter aver dimenticato qualche dettaglio, sia per mostrarsi con tutti i difetti, senza filtri. Di fatto, è più impreciso che bugiardo e quando mente lo fa con innocenza e sarcasmo, come il caso della sostituzione spinello/sandwich, ripetuta ogni volta che è costretto dalla narrazione a farne menzione, o nel particolare episodio in cui, solo nel finale, tra distrazioni e oblii della memoria, ammette di aver fumato sigarette da giovane; ci dà conforto di fronte alle increspature dell’esistenza, insegnando ad essere determinati se si vuole qualcosa a tutti i costi, pur consapevoli che, alle scelte di ognuno, saranno sempre le coincidenze a dare una spinta; ci mostra l’utile di vivere a pieno ogni tipo di esperienza possibile e lo fa attraverso storie che sono, soprattutto, solide e irripetibili.
E sono utili, solidi e irripetibili perché nei suoi racconti ci sono: anima di chi ha desiderio di condivisione di una storia d’amore lunga e frastagliata, di mettere in piazza gli antefatti della sua vita, affrontando con coraggio tutto il dolore che ne deriva; occhio per gli innumerevoli dettagli che affollano la sua voglia di raccontare, a volte ai limiti della pedanteria, affettuosamente e ironicamente criticata dagli amici; e mano dell’artigiano a cui importa far capire che ci sa fare, che sa bene cosa sta facendo: d’altronde è un architetto Ted e ha la manualità dei progettisti.
Ted, col suo realismo fantasioso, per il modo con cui spesso arrangia ingenuamente un aneddoto incredibile (nel senso di poco credibile), ci lascia entrare nel suo vissuto, lo rende carnale, ci fa dimenticare che quelli seduti al McLaren sono solo semplici attori e che, finito tutto, calato il sipario, spente le telecamere, torneranno alla loro vita di tutti i giorni.
In How I Met Your Mother, in altre parole, si custodisce e si celebra uno stupendo ideale umano creduto al suo tramonto, quello della “vita erratica”, un ideale che innerva la fantasia poetica dell’Occidente dal romanzo alessandrino ai poemi cavallereschi del Rinascimento fino al Meister di Goethe.
Queste parole sono in realtà di Emanuele Trevi e il corsivo mi ha permesso di manometterle a nostro favore. L’autore faceva riferimento all’opera fantastica di Collodi, Le Avventure di Pinocchio[228] che qui si vuole affiancare ad How I Met Your Mother, convinto possa renderci più familiare l’itinerario di Ted.
Le Avventure di Ted Mosby si muovono in una New York che è un po’ il Paese dei Balocchi per la sua infinita skyline, magica e distraente, capace di inghiottire le ambizioni del dreamer man americano. Come nella favola di Collodi, gli ostacoli non sono posti da un antagonista specifico: è la vita stessa, infatti, con i suoi sali e scendi quotidiani, a mettere continuamente Ted e Pinocchio a dover scegliere tra giusto e sbagliato.
E, tra metodo ed errore, come Pinocchio, anche Ted sceglie quest’ultimo, per arrivare più velocemente alla conoscenza: «La ragion d’essere del suo itinerario risiede in questa scelta a favore della notte, dello smarrimento, delle grandi gioie e dei grandi terrori»[229].
E a proposito del buio e dei suoi inganni, è proprio il narratore della Serie Tv a dirci che, stando almeno agli insegnamenti di sua madre, «dopo le due di notte non succede mai nulla di buono», eppure, come Pinocchio, non ci pensa due a volte a trasgredire alle regole.
Lo dice anche a conclusione del ventesimo episodio della prima stagione, quando annulla un appuntamento perché ancora innamorato di Robin: «l’esperienza è il nome che diamo ai nostri errori. Ogni esperienza ha il suo valore», per dirla con Oscar Wilde.
Se il Ted personaggio, infatti, vorrebbe essere intransigente, soprattutto verso se stesso, eppure viola le sue stesse regole, Ted narratore, maturo e consapevole, certamente carico di bagagli, pur consigliando e mostrando ciò che, dal suo punto di vista, è giusto oppure no, dimostra che i veri insegnamenti arrivano spesso dalla disubbidienza e, ovviamente, dalle conseguenze. Non si erge a Grillo Parlante, non si vuole qui far passare l’idea che quella del Ted del futuro sia una voce autoritaria ed inflessibile, tutt’altro, piuttosto lo si vuole qui porre per un’allettante, se pur parziale e rischiosa, similitudine con Geppetto. Facendo notare che il mestiere dell’architetto è quello che più possa ricordare quello del falegname, soprattutto per una certa predisposizione creativa e all’invenzione, tra i due c’è una certa disposizione a reiterare i propri errori, a fin di bene, è chiaro, ma soprattutto per amore; però entrambi, nonostante i difetti, hanno buon senso e conoscono bene cosa sia in grado di offrire la vita.
Quando Pinocchio si rende conto che il babbo ha ragione e che non bisogna scartare torsoli e bucce delle pere se si ha fame, in quella di Geppetto, quasi riecheggia la voce di Ted e del suo innamorato approccio alla casualità dell’esistenza: «Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti…»[230].
Tutto può servire al Pinocchio di ogni secolo: bucce, torsoli, dolori, sofferenze e ricordi. La mente di Ted è davvero un museo capace di rievocare ogni traccia possibile della sua storia con Tracy; come Kemal, nel Museo dell’innocenza, ricostruisce i dettagli dell’appartamento con cui ha convissuto prima con Mashal, poi con Lily e Marshal, infine con Robin; ogni singolo centimetro del McLaren è servito per riportare aneddoti, gag, scommesse vinte e perse, sogni, ambizioni e scazzottate. E pure Ted non si limita a seguire passivamente la strada scritta per lui dal caso. Tante volte, cerca di sovvertire la storia e di mettere insieme, uno accanto all’altro, mondi completamente differenti tra loro. E d’altronde, è proprio lui a permettere, per ben due volte, che la sua Robin e Barney si sposino, prima accompagnandola all’appuntamento dove l’amico le farà la proposta di matrimonio, la seconda volta dandogli il medaglione che Robin aveva perso e che lui aveva ritrovato con tanta determinazione. Il gesto di consegnarlo all’amico e rivale in amore servirà per dare una definitiva sterzata alla storia del triangolo amoroso. D’altronde, è proprio durante il loro matrimonio, organizzato da lui stesso, che Ted incontrerà la ragazza con l’ombrello giallo.
Altri tentativi di deviazioni della storia, architettati dagli sceneggiatori, possono essere considerati gli intervention: quando uno degli amici reitera tutta una serie di errori o esaspera determinati atteggiamenti viziosi, il gruppo si riunisce per obbligare l’amico ad affrontare la verità, determinando, in questo modo, un cambiamento nella sua storia.
Perché, come si è detto, Ted è caro al destino per il modo in cui gli ha permesso di raggiungere ciò per cui ha tanto combattuto eppure non lo ha mai subito passivamente, anzi: se nei racconti folklorici e spesso legati alla fantasia
il destino in genere è inteso come un’entità mitica, sovrumana, con la quale è bene non avere alcun contatto e che fissa, una volta per tutte, la sorte degli individui, al momento della loro nascita[231],
Ted sembra volerci ancora dire che è nella realtà che è possibile tramutarsi, attraverso errori e saggezza, in un bambino vero. D’altronde, anche in HIMYM, come Pinocchio, ci sono due tipi di finali:
In Pinocchio esistono, dunque almeno due libri: quello che terminava con il cap. XV (quando Pinocchio viene impiccato da due malviventi. N.d.a.) e quello ricominciato a pubblicare sul Giornale per i bambini, a partire dal febbraio del 1882[232].
Con l’unica differenza che, se in Pinocchio è la seconda parte del libro a ridare l’avvio ad una «complessa strategia pedagogica»[233], è il primo finale ad insegnare davvero qualcosa, nel realismo magico e cinico di Ted Mosby, al telespettatore. In entrambi i casi, la morte è l’evento che dà un colpo secco all’equilibrio del racconto, rimescolando gli intrecci: se nel Decameron, mette a soqquadro la città e le sue norme sociali, dando però l’avvio alla cornice e a relativi nuovi ordini, per Ted e Pinocchio, se non si tratta di rinascita, la morte dà certamente l’avvio ad un nuovo percorso, a nuovi racconti.
E se i casi son tanti, nella letteratura comparata tutto in realtà pare intrecciato come se ci fosse davvero un architetto, o un falegname, a unire i fili agli arti di legno di un burattino.
Mi riferisco qui alla linea rossa tracciata da Emanuele Trevi tra l’opera di Collodi e quella proprio di Leskov, Il viaggiatore incantato, preso in esame da Benjamin e di cui si è parlato nel primo capitolo:
Nell’eroe di Leskov come nel burattino di Collodi, infatti, la conoscenza si configura come ambiguo dono del “caso”[il corsivo è mio, N.d.A.], mentre ogni forma di “metodo” svapora per lasciare il posto a un atteggiamento perennemente disponibile dell’imprevedibile[234].
E se la proprietà transitiva non è un’opinione; se tutto è stato detto e ci si fida di Pinocchio, fattosi bambino vero; se Ted e Leskov hanno davvero tanto in comune, allora, la linea rossa tracciata da Trevi non è altro che un cerchio che chiude così il nostro percorso.
Ted racconta e lo fa bene perché lo fa dall’alto di una saggezza raggiunta:
Il consiglio, incorporato nel tessuto della vita vissuta, è saggezza. L’arte di narrare volge al tramonto perché vien meno il lato epico della verità, la saggezza[235],
ha scritto Benjamin. Ascoltare, ricordare e trasmettere: l’Abc del buon narratore[236].