In Scimmie e banane (S:5; E:19), l’episodio è introdotto dalla voce narrante di Ted che, per quanto scritto finora sul racconto e sulle sue capacità di narratore, si rivelano parole al miele: «Vi chiederete quante di queste storie che vi racconto siano vere. Domanda lecita. Dopotutto il confine tra una buona storia e una bugia è labile».
E se Ted, nonostante imprecisioni e difetti, mostra di essere un abile acrobata, sempre sospeso tra finzione e realtà, «nessuno sa oltrepassare quel confine come Zio Barney. È un campione». E d’altronde, non a caso, per Barney è proprio dopo le due di notte che accadono cose leggendarie.
E non è semplicemente ciò che viene raccontato, ma il modo, come dimostra Paolo Corbera di Salina che confessa di non aver mai dubitato, per quel suo parlare a voce bassa, del racconto del senatore Rosario la Ciura sul suo incontro con una sirena[237].
Nelle più classiche novelle, e qui voglio insistere sul parallelismo finora usato, l’unità di azione fa da sostegno alla
brevità del genere, caratteristica sottolineata dalle novelle di Boccaccio, che consistono per lo più in un solo paio di mosse narrative: desiderio e appagamento, offesa e accettazione oppure vendetta, crimine e punizione, prova e superamento[238].
La narrazione in How I Met Your Mother, se in orizzontale può verosimilmente muoversi come il romanzo, in cui l’unità d’azione è garantita dalla ripetitività e dai continui richiami interni, verticalmente è l’evento straordinario, l’inusuale, a spingere il lettore a stupirsi e ad addentrarsi, sentendosi coinvolto, nella storia.
Barney, in tal senso, è campione perfetto di un meccanismo che vede, nella sua stessa visione del mondo, la personificazione dei principi primi della novella stessa: qui «la separazione tra l’individuo e il mondo che lo circonda […] risulta dal conflitto tra il protagonista (o i protagonisti) e l’ambiente sociale»[239].
Da subito, Stinson si fa riconoscere proprio per la sua incapacità di inserirsi nelle logiche del buon senso quotidiano. In realtà, tra la prima e la seconda stagione della Serie si avverte una sua repentina crescita. Se nella prima, infatti, pare un donnaiolo incapace e inetto, nella seconda, diventa un infallibile Don Giovanni, capace di sedurre anche gli stessi telespettatori. E d’altronde, come nei gli esempi raccolti dalla Pisanty, anche Barney, inizialmente personaggio secondario, si rivela, dapprima una spalla perfetta per numerose gag comiche, poi viene innalzato a co-protagonista insieme agli altri membri della comitiva.
Il suo è un mondo alternativo, una prospettiva deviata che, di volta in volta, si rivela fantastica sì, ma pura finzione.
Il capitolo qui preso in esame è, in pratica, interamente dedicato al tema delle bugie. Marshal, dopo aver raccontato di aver subito una rapina, per evitare che Lily si preoccupasse e mettesse in pratica l’idea di acquistare una pistola per sentirsi più al sicuro, riscrive la storia e racconta di essere stato derubato da una scimmia allo Zoo, suscitando, ovviamente, l’ilarità della comitiva.
Da annotare che, durante il racconto della prima versione della rapina, Barney appunta su un taccuino le parole di Marshal, con lo scopo di riusarle per intenerire e abbindolare qualche donna da portare a letto.
Alla domanda di Ted: «Perché senti il bisogno di dire bugie ogni volta?», Barney risponde: «Ma io non dico bugie».
E c’è da credergli in certi momenti: il personaggio è costruito in modo da produrre sovrapposizioni di simboli e significati, ambiguità e ribaltamenti di senso così paradossali e impensabili che, quasi quasi, gli si crede davvero.
Per Barney, ad esempio, il buono del film Karate Kid è Johnny Lawrance e non Daniel Larusso che, addirittura, considera il vero antagonista del film. È come se gli occhi di Barney gli mostrassero davvero un mondo ribaltato e, per fare un altro esempio, quando vede per la prima volta Wedding Bride, nonostante la sua vicinanza agli eventi, lo ritiene un film fedele ai fatti realmente accaduti.
Non credo sia un caso che il personaggio di Tony, che in Wedding Bride è il buono, sia proprio un maestro di arti marziali. Gli sceneggiatori, al pari del loro Ted, sono abili architetti e disegnano di continuo perfetti parallelismi.
E se «raccontare straordinarie menzogne è lo scopo dell’arte» secondo l’opinione di Oscar Wilde, allora Barney fa della sua vita un vero e proprio spettacolo. Showman completo, comico, seduttore, ballerino, cantante e mago, i registi permettono all’attore Neil Patrick Harris di mettere in pratica tutto ciò di cui è capace, per dare vitalità ad un personaggio così particolare, intenzionato a fare della sua vita una leggenda. Vengono in mente le bugie di Barry Lyndon,nel romanzo omonimo scritto da William M. Thackeray nel 1844. Anche qui il protagonista, pur di giungere al suo scopo, tesse bugie su bugie. E, d’altronde, ad allontanarli, è solo poco più di un secolo di distanza: nemmeno i nomi di battesimo sono poi tanto differenti.
L’episodio della rapina propone una serie di botta e risposta a cui Barney replica quasi sempre alla stessa maniera: «Le persone vogliono le bugie»; e quando Ted lo rimprovera dicendogli «Barney, non puoi inventarti un finale diverso perché non sei soddisfatto della realtà», lui, altrettanto convinto, ribadisce, incalzandolo, che tutti, perfino lui, prima o poi, arriverà a raccontare la storia così come lo fa lui: cambiando la realtà.
E in parte Barney è profetico. Ted inventa, modifica e a volte esagera, come quando – e Neil Patrick Harris lo ribadisce in più di un’intervista – racconta di come siano arrivati quasi ad autodistruggersi, al punto di ingrassare fino all’inverosimile, durante il loro primo tentativo di stare insieme, Robin e Barney. È vero, Ted ingigantisce probabilmente gli eventi, ma l’iperbole serve a mostrare, forse non senza un sadico compiacimento, come il programmatore-padrepadrone di USS Callister di Black Mirror, l’autolesionismo di una coppia incapace di lasciarsi.
Tornando a Scimmie e banane, il capitolo vede sovrapporsi tante verità del racconto sulla rapina quante sono le diverse reazioni dei protagonisti: a Lily non fa del bene e la spinge a voler comprare una pistola; Robin vuole proporre al telegiornale la versione della scimmia perché inaudita; Ted si offre come ospite alternativo a Marshal per parlare del modellino dell’Empire State Building commissionatogli per lavoro e dichiara, a manifestare ancora una volta le sue velleità di narratore, di essere in grado di raccontare «tante storie, centoventi per l’esattezza» tanti quanti i piani del grattacielo; Marshal, da un lato non vorrebbe far preoccupare Lily, dall’altro proprio non gli va di ripetere, in TV, la ridicola versione della scimmia. Si trova, così, al centro, profeticamente giudice di se stesso. Marshal, che supererà, infatti, l’esame di abilitazione per diventare Giudice di Corte, nel frattempo, va via dalla trasmissione e non conferma nessuna versione.
E Barney? In parallelo con Robin, con cui condivide una certa predisposizione alla bugia, al cinismo e alla mancata propensione ad un ideale familiare (in realtà, entrambi hanno avuto genitori non esemplari e, in un episodio, Barney convince invece la madre di avere una famiglia perfetta: ovviamente moglie e figlio – continuando ad escogitare bugie su bugie che siano, però, leggendarie, fuori dal comune – sono regolarmente affittati per realizzare la “reale” mise en scene), ha una predilezione per le storie fantastiche e incredibili e ammette che farà sua la storia della rapina della scimmia, rivisitandola a suo piacimento. Barney, quando racconta le sue storie, continuamente sul filo tra bugia e realtà, le conclude con la frase True story, una convalida, un timbro, come a voler a tutti i costi imporre la sua versione, e per questo, freudianamente, autoincriminante. Se una storia è vera, non ho nessuna necessità di specificarlo.
Tra parentesi, la frase è diventata subito tormentone del personaggio, meme molto virale in rete.
Nell’episodio dodici della quinta stagione, Girls versus suits, tradotto in italiano con Lei odia giacca e cravatta, per conquistare una ragazza che, come sintetizza già il titolo, non ha molta simpatia per gli uomini in completo, Barney decide di riporlo nell’armadio, sostituendolo con outift più casual. Ma la bugia durerà poco e ben presto esploderà in un incredibile musical per le strade di New York a difesa e ad elogio dell’uomo in giacca e cravatta: il racconto di Barney Stinson ha bisogno di esprimersi attraverso un esempio di opera d’arte totale, con musica, canto e danza; a differenza di Ted, a cui basta un divano ed un pubblico paziente, disposto ad ascoltarlo. Per Barney tutto è gioco e crea, di volta in volta, il suo Paese dei Balocchi attraverso rituali che non sono altro che manifestazioni simboliche in cui è rivelata la sua condizione di escluso:
L’uomo agisce come-se egli fosse “altro” da se stesso come-se potesse fondare una realtà altra all’attuale. Da tale presupposto proviene al gioco il suo carattere di “altro” dall’ordinario ed irrazionale[240].
Ciò che non riesce a Barney è di essere, nella bugia, nel trucco, naturale e convincente:
Il sapiente è infatti, anche mago e astrologo, è colui che può cogliere i processi nascosti secondo cui opera la natura e riprodurli o intervenire su di essi; egli può compiere opere meravigliose giudicate dal profano come miracoli ma, in realtà, basate su principi naturali. Sono queste le premesse della magia naturale considerata come una forma di conoscenza del modo di esplicarsi delle forze insiste negli esseri della natura e determinanti i fenomeni ordinari e normali[241];
ma vive una realtà tutta sua, Barney, fatta di apparenza, in cui tutto deve essere rigorosamente leggendario, memorabile, irripetibile ma quando la leggenda tracima ed è esagerata, viziata e così inevitabilmente falsa, questa si fa rivelatrice di tutte le debolezze del narratore.
Abbiamo detto che anche Ted ha a che fare con la bugia, ma è inserita in fenomeni ordinari e normali e serve più che altro come modellante narrativo: è l’invenzione dentro cui inserire l’incredibile (ma vera) storia di come ha conosciuto Tracy. Entrambi praticano il magico gioco delle tre carte, mescolando finzione e realtà, ma chi lascia incautamente scoprire il trucco e svela la bugia dietro cui è cucito il racconto, risultando perciò falso, è proprio Barney che perde la misura del «giusto, il senso di un uso onesto del linguaggio»[242].
Come Ted, anche Barney mostra velleità narrative importanti: è infatti autore di un blog in cui racconta le sue storie leggendarie – quello di cui si è già menzionato quando si è parlato dei tie-in –, di un PlayBook in cui raccoglie tutti gli stratagemmi e quindi le falsità (per i quali sono previste maschere e costumi) che ha architettato per corteggiare le donne e di un Codice dell’amicizia, le cui regole, fantasiose ed inverosimili, vengono spesso manomesse a suo piacimento. E di fatto, Carter Bays e Craig Thomas, gran parte dei numerosi tie-in sparsi nella serie li hanno in particolar modo legati a Barney, quasi come se avessero voluto a tutti i costi creare per lui un ponte diretto tra realtà e finzione, per renderlo, al telespettatore, il più verosimile possibile.
Al contrario, gli oggetti legati a Ted sono per lo più connettori narrativi, elementi magici, come ho già scritto, per tenere uniti personaggi e spazi. Ted, difatti, non ha bisogno dei tie-in di Barney, perché, come si è già detto, è sincero nella sua narrazione, anche quando è impreciso.
Barney è un illusionista nella vita e nella parola, e per questo vive in un mondo di cui cerca di farsi beffa ma ne è a sua volta ingabbiato. Tutta la sua esistenza è un lungo tentativo di rompere le sbarre della prigione, impilando bugie su bugie: prima di diventare un playboy incallito, Barney era un hippy trasandato ed ingenuo, fino a quando la sua storica fidanzata non lo tradisce con un cinico uomo d’affari. Allora decide di vendicarsi, cambia stile di vita, diventa anch’egli spietato e corruttibile pur di farsi assumere dall’azienda dell’uomo d’affari di cui sopra e, dopo anni, tradirlo a sua volta, spifferando all’FBI tutti gli intrighi della società. Nessuno degli amici conosce davvero cosa faccia Barney per guadagnarsi da vivere e solo alla fine della Serie, in una carrellata di chiusure di capitoli ancora incompiuti, svela gli antefatti.
Ma anche l’errore, considerato di per sé, non è che un’ulteriore maschera del mondo. Non è lì che veramente può terminare la strada della conoscenza. Nel più riposto centro dell’errore esiste infatti la dimora della verità, il luogo alchemico della pienezza dei significati, della ricongiunzione tra l’esperienza e le sue leggi arcane[243]:
Barney, che pure ha avuto una grande evoluzione caratteriale, per il suo esasperare tutto ciò che fa, resta confinato per eterno nel limbo del Paese dei Balocchi e ne rivela l’anima, ad ogni modo, fragile.
Accettando di appropriarsi del ritrovamento del medaglione di Robin, nonostante tante promesse, rischia di far iniziare il loro matrimonio con l’ennesima bugia: «Mentire è talmente naturale per Barney. Ogni cosa è leggendaria. Sai cosa vuol dire leggendario? Non reale» dirà Robin, nel ventiduesimo capitolo della nona stagione, intitolato Finalmente all’altare. Bugie per lo più bianche, puri escamotage per fare della sua vita un’apparente leggenda continua ché se «il mito una storia in cui si crede […] la legenda è creduta, senza che ci comporti alcuna conseguenza»[244].
Se per Ted i dettagli servono per dare tocchi di verosimiglianza della storia che narra, Barney, in un gioco di riscrittura creativa ripetuto all’infinito, li usa per spingere ben oltre il possibile il patto finzionale con il suo pubblico.
Barney, se anche sembra fin troppo inserito in una coreografia a cui ha tenuto fede per troppo tempo per cambiarne i passi, ama Robin, davvero prova a cambiare per lei e tanto ha fatto pur di conquistarla; e, alla fine dell’episodio Finalmente all’altare, riesce pure a dirle la verità sul medaglione. Ed è proprio in virtù di questo cambiamento che il loro matrimonio è destinato a finire. Le ha promesso che sarebbe stato sempre onesto con lei, niente più bugie, e dopo tre anni, a fronte delle troppe distanze tra loro, non può non confessarle che non riesce più a starle accanto. Inciso: Barney, dopo il matrimonio, segue Robin nella sua attività di giornalismo, in giro per il mondo, continuando a scrivere il suo Blog.Barney Stinson sopravvive solo all’interno delle sue bugie.
Sullo sfondo il racconto inizia così a dileguarsi, ogni personaggio inizia a prendere la propria strada e, negli ultimi due episodi della Serie ancora riecheggiano le parole che Marshal pronuncia a Lily in merito alle loro promesse di matrimonio: «Lily, le nostre promesse forse erano un po’ troppo perfette. La vita reale è più incasinata. Adesso noi siamo diversi rispetto al duemilasette».
Il realismo di How I Met Your Mother è un realismo concreto perché sporcato dalle bugie che caratterizzano l’esistenza e perché dimostra che è davvero possibile credere nel destino che dissemina coincidenze e incontri impropri, purché l’atto di leggendarizzarla non coincida con una sua plastificata falsificazione. Ad un Ted che lotta e crede fortemente che un racconto della propria vita sia possibile, corrisponde un Barney che, dietro al suo cercare di vivere una vita in maniera fin troppo fuori dal comune, conserva sempre un cinico, egoistico ed edonistico modo di vedere il mondo che fa arenare il suo racconto.
Eppure gli autori, all’ultimo giro di boa, ricordandosi che Barney è fondamentalmente un buono, un’anima fragile, e che nei suoi mondi alternativi cerca solo la sua isola felice, un’evasione dalla realtà, ci regalano uno dei momenti più belli della Serie. Barney Stinson, che da piccolo è stato abbandonato dal padre, fonte probabile di molte delle devianze del personaggio, diventa genitore e se, da un lato, per aver avuto questa figlia da un rapporto occasionale con una delle tante donne frequentate, gli resta l’onta del personaggio incapace di crescere, dall’altro, consapevole delle proprie responsabilità, recita, anzi esprime, parole bellissime e piene di sentimento: «Tu sei l’amore della mia vita. Tutto ciò che ho e tutto ciò che sono ti appartiene, per sempre».
Parole non a caso, già recitate – qui il verbo è perfetto – poco prima ad una sconosciuta qualsiasi, per dimostrare a Lily che è destinato a non poter essere mai come loro, che non potrà mai spogliarsi del suo ruolo di Don Giovanni, ma attraverso l’ennesimo gioco di parallelismi e rimandi interni continui, sovrapponendo e spostando segni e significati dandone di nuovi, gli sceneggiatori dimostrano di voler redimere, per l’ultima volta e quindi per sempre, il personaggio.
Risuonano qui le parole della fata a Pinocchio, disposta a perdonarlo dopo averlo visto piangere, con sincerità, sulla sua tomba:
Lo so: ed è per questo che ti ho perdonato. La sincerità del tuo dolore mi fece conoscere che tu avevi il cuore buono: e dai ragazzi buoni di cuore, anche se sono un po’ monelli e avvezzati male, c’è sempre da sperar qualcosa: ossia, c’è sempre da sperare che rientrino sulla vera strada[245].
La serie si conclude così per Ted, Robin, Marhsal, Lily e Barney con una semplice rassegna dei momenti più importanti della storia della loro amicizia, lasciando i personaggi ancora sulla scena.
E se nel finale alternativo impera il lieto fine, col primo, gli autori non ci dicono più nulla del proseguo, nessun “e vissero felici e contenti”, né su come andrà tra Ted e Robin, né quanto bravo sarà Barney come padre. Lasciano il pubblico intento a fantasticare su quel non detto carveriano, benjaminamente auspicato, sospeso nel racconto ma destinato così a far parte, per sempre, di quel gruppo di frequentatori del McLaren che ha assistito alla fantastica storia di come Ted ha conosciuto la madre dei suoi figli. Si ristabilisce l’aurea col suo singolare intreccio di spazio e tempo e il narratore ritrova la sua centralità nel racconto: è riuscito, finalmente, nell’alchimistico miracolo di trasformare in oro il piombo dell’esistenza: il narratore, quello mediamorfizzatosi, dotato di nuove possibilità tecniche, convintosi dell’audiovisibilità della sua parola, riesce nella realizzazione di un ponte tra verità e finzione, raggiungendo un luogo/non-luogo in cui realtà e Sottosopra sono fusi, un luogo/non-luogo in cui storie fantastiche sono possibili e tangibili, in cui la verità non è mera registrazione del vero ma il rendere credibile e vera la finzione.