1. L’URGENZA DI UN RISVEGLIO DELLA COSCIENZA COLLETTIVA
In queste pagine vorrei presentare il profilo della Scuola per l’economia trasformativa (S.E.T.), un organismo nato nel settembre 2019 ad Ancona per iniziativa dell’Università per la Pace delle Marche 1, ma forte della partecipazione di tante persone da tutta Italia [2]
In effetti si tratta di una Scuola di portata nazionale e dotata di respiro internazionale.
In tale prospettiva il primo passo che propongo è quello di precisare l’opportunità di una simile iniziativa nel contesto della storia presente. Si potrebbe obiettare infatti: il mondo va a rotoli e proprio quando più sarebbe urgente impegnarsi nell’azione politica diretta, voi buttate energie per mettere in piedi una scuola? Mi pare che un’obiezione del genere ignori il dato centrale della nostra situazione attuale e cioè che i mali del mondo oggi vengono anzitutto dall’ignoranza antropologica (gli esseri umani misconoscono la loro stessa dignità), dall’ignoranza ecologica (di conseguenza calpestano la dignità e gli equilibri della natura) e dalla stupidità (intesa come insensibilità etica unita ad assenza di riflessione critica). [3]
A queste cause di degrado della vita collettiva si aggiunge poi la disperazione diffusa, ossia l’implosione dell’orientamento emotivo e affettivo delle persone sotto il peso di una realtà che sembra non lasciare spiragli di luce. E, come aveva capito Albert Camus, “l’abitudine alla disperazione è peggiore della disperazione” 4. Tale abitudine genera a sua volta sentimenti oscuri. La stagione storica in cui ci troviamo infatti è segnata dal contagio di sentimenti come il rancore contro chi è percepito come straniero o nemico, lo sgomento per il disordine mondiale che si riflette nel quotidiano di tutti e la nostalgia per i tempi passati, ritenuti migliori. In un clima sociale del genere le aspirazioni e i progetti di trasformazione radicale trovano un contesto ostile, tutto in salita e controtendenza. Il che non vuol dire affatto che è più prudente rimandarla, ma solo che chi li persegue deve elevarsi a forme di coscienza più lucide e perspicaci.
Nella tradizione migliore delle fedi e delle sapienze del mondo ricorre l’idea per cui la coscienza umana si dilata, maturando nella sua capacità di comprensione, quando scopre dimensioni nuove e più essenziali della realtà, riuscendo a ispirare l’esistenza dei singoli e la vita collettiva. Ponendosi a distanza critica dalla mitologia della crescita economica e del cosiddetto “sviluppo”, ormai da tempo ribattezzato ideologicamente “sviluppo sostenibile”, a noi serve un autentico progresso 5 in umanità, coscienza e conoscenza. Già agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso Pier Paolo Pasolini criticava “lo sviluppo identificato con tutto il nostro futuro” 6 e denunciava la trappola di “uno sviluppo senza progresso” 7. Nel cogliere il cataclisma antropologico indotto dal produttivismo e dal consumismo, egli vi individuava un vero e proprio “genocidio culturale” 8, cioè la distruzione delle coscienze e dei valori fondanti della società.
La sottomissione degli individui alla logica della società di mercato e la diffusa interiorizzazione dei dogmi liberisti hanno causato un contagio di istupidimento, per cui sono stati inibiti il pensiero critico, la rivelatività dell’arte, la vita interiore delle persone, la progettualità ampia dei movimenti sociali, la capacità di speranza e di responsabilità sociale delle religioni, per non dire della totale desertificazione cognitiva subita dai partiti e dai sindacati. Sono i sintomi attuali di quella sindrome più generale che è la stupidità indotta dal potere quando diventa l’unica logica presa sul serio da una collettività e dalle sue istituzioni.
Per questo il compito di rigenerare le coscienze indica il primo processo necessario per risollevare l’umanità contemporanea e in particolare l’Europa e l’Italia. Il nostro Paese appare come una nazione prigioniera di vizi antichi (il cinismo, l’irresponsabilità, il culto per l’uomo forte, la solita inestirpabile simpatia per il fascismo) e nuove mode (l’odio sui “social”, l’espansione del razzismo, la rivendicazione del diritto ai comportamenti iniqui, la derisione di quelli onesti e solidali). Siamo una delle nazioni più indebitate al mondo, i giovani emigrano, scuola e università sono alla deriva, il lavoro diminuisce, l’assetto ambientale e idrogeologico è disastroso, i servizi pubblici vengono disarticolati, il diritto di manifestare il dissenso è minacciato, la nostra politica (con poche eccezioni) è un esempio di degrado sistemico, metà dell’elettorato non va a votare e buona parte dell’altra metà si sbaglia facilmente.
A fronte di questo disastro, i temi di attualità da noi, oltre al calcio, sono la persecuzione dei migranti e di chi li aiuta, la libertà di sparare ai ladri, le tattiche per le prossime elezioni e quello che dicono personaggi del rango ad esempio di Salvini, Meloni, Grillo, Di Maio e Renzi. Lo spazio politico in particolare risulta impraticabile. Privi di radici e riferimenti ideali, senza progetti né speranze per il bene di tutti, impauriti, rassegnati e depistati, molti oggi, se e quando votano, decidono sulla base di pregiudizi che li portano fuori dalla realtà; altri per il calcolo del proprio interesse, altri per odio verso tutto ciò che sia riferibile alla “sinistra”. Su tutti pesa il condizionamento esercitato non solo dai social, dai canali televisivi e da gran parte dei giornali, ma anzitutto da un’angoscia fuori controllo. Si può pure essere delle brave persone, ma se si ha il cuore e la mente incapsulati in questo scenario di menzogne, di paure coltivate in laboratorio, di stereotipi neoliberisti, razzisti, maschilisti e fascisti, il risultato è che la coscienza personale e collettiva va distrutta. Perciò abbiamo estremo bisogno di educatori coraggiosi, di guide umili e democratiche, di testimoni profetici, di onesti coltivatori della democrazia, di laboriosi promotori di un altro modo di essere comunità umana e civile. E c’è anche bisogno di scuole che sappiano promuovere, nelle coscienze e nell’azione collettiva, la nascita di nuove forme di economia, di organizzazione istituzionale, di socialità. In questo spirito e con questa consapevolezza la S.E.T. è sorta per dare un contributo che, elevando la coscienza e la conoscenza collettiva, possa ispirare l’azione di molti 9.
2. CHE COS’È L’ECONOMIA TRASFORMATIVA
Il secondo passo essenziale da compiere è uscire da un atteggiamento confuso e approssimativo, precisando che cosa significhi propriamente l’idea di un’economia trasformativa. Più la formula si diffonde e più si ha l’impressione che venga usata in maniera sfocata, dando per sottintesa la conoscenza dei suoi significati. Ricordo allora, per necessaria chiarezza, che può essere definitiva “trasformativa” quella impostazione che in ogni versante dell’economia introduce i criteri della giustizia verso i diritti umani e della natura, della sostenibilità integrale, della promozione di una forma di società dove l’economia stessa sia al servizio all’umanità, rispettosa del mondo naturale e non sia in alcun modo oppressiva.
Il concetto di trasformazione indica il radicamento nella realtà sociale attuale e nel contempo l’impegno a far valere criteri davvero alternativi sviluppandoli con paziente gradualità e con attenzione alla loro efficacia nel dare risposte alle sfide del nostro tempo e ai bisogni umani 10.
È trasformativa quell’impostazione che promuove il mutamento di forma dell’economia, ossia del suo principio fondante, della sua logica di fondo e della sua immagine riassuntiva.
La formula che sto delineando non riduce l’economia a oggetto passivo dell’azione trasformatrice, né la imbriglia in un modello rigido, ma la considera, una volta che sia risanata, come una forza propulsiva per un più ampio mutamento della forma della società. Infatti nella ricerca di un’altra economia c’è sempre in gioco la trasformazione della società intera, le due cose sono indissolubili. Perciò in questa idea si riuniscono le nozioni di economia trasformata e di economia trasformante, il senso passivo e il senso attivo dell’espressione. Il che indica come, man mano che viene mutata la forma delle attività economiche e della loro logica, l’economia stessa riesce a promuovere mutamenti negli ambiti sociali che le sono legati (il diritto, la politica, la cultura, l’educazione, la tecnologia, l’informazione).
Quindi, in sintesi, l’economia trasformativa è quel modo di svolgere tutte le attività economiche per cui la dignità umana e la dignità della natura vengono rispettate generando la nascita di una nuova forma di società. A dire il vero dovrebbe bastarci il risanamento del concetto di economia, senza aggettivi. Infatti nella sua etimologia è custodito il rapporto tra due significati fondamentali e vincolanti: oikos indica la casa comune, nomos indica a sua volta la legge che viene dalla giustizia, non una norma qualsiasi. Quindi il significato essenziale evidenzia l’economia come ordinamento in cui la giustizia presiede all’organizzazione della casa comune.
In questa prospettiva ha comunque ragione Serge Latouche a proporre di uscire dall’“economia” se si intende come tale il sistema della crescita. Inoltre ha una ragione ancora più profonda se si intende, con quell’espressione, la libertà dall’economia come sfera che ingloba tutte le nostre energie e la vita intera. Ciò non toglie che al tempo stesso sia necessario scoprire l’economia vera, per così dire entrarci per la prima volta, perché mai abbiamo avuto un sistema economico che si traducesse in giustizia. Bisogna coniugare la libertà dall’economia e la libertà nell’economia, dunque il primato delle persone, della natura, delle relazioni, della vita e dei suoi valori intrinseci (irriducibili al valore d’uso e soprattutto al valore di scambio), con la libertà nell’economia, che implica giustizia, rispetto, cura, responsabilità sociale ed ecologica in tutte le attività economiche.
Il richiamo all’economia trasformativa pertanto indica anzitutto la transizione e la riconversione dalla solita economia di dominio - che in realtà è un’antieconomia, un’economia rovesciata e perversa - all’economia in senso proprio. Se non si ha chiaro questo concetto, si ottiene l’effetto per cui nel dibattito pubblico si continuano a cercare aggettivi (sostenibile, circolare, verde, solidale, sociale e così via) senza riuscire a chiarire né il rapporto tra loro, né il vero senso dell’economia. Nel nostro caso l’autenticità della trasformazione è data da queste caratteristiche: si tratta di un’economia liberatrice, solidale, equa, ecologica, nonviolenta, cooperativa, sostenibile, di servizio e democratica.
• È liberatrice perché solleva chi prima era oppresso e gli restituisce tutti i suoi diritti.
• È solidale perché non abbandona nessuno, punta al bene comune e a soluzioni condivisibili da chiunque si riconosca in uno spazio costituzionale democratico.
• È equa perché assume la giustizia risanatrice, orientata alla dignità e distributiva come metodo del suo agire.
• È ecologica perché promuove la giustizia anche verso la natura e ne rispetta gli equilibri.
• È nonviolenta perché non crede nell’imposizione, nella distruzione e nel potere, ma cerca modalità di produzione, di distribuzione e di consumo rispettose verso i viventi.
• È cooperativa perché si contraddistingue per la logica della cura e della cooperazione, lasciandosi alle spalle l’abitudine di fondare l’economia sulla competizione.
• È sostenibile non solo nel senso passivo per cui è integrabile nella vita della natura e della società senza compromettere né l’una né l’altra, ma anche nel senso attivo per cui essa sostiene materialmente la vita delle persone e dei popoli. In ogni caso si tratta di un’economia che abbandona la mitologia della crescita, nonché la coazione all’accumulazione e al consumo, scegliendo invece la saggezza dell’armonia, della risposta ai bisogni, della salvaguardia degli equilibri vitali.
• È di servizio in quanto non si pone più come sistema egemone, bensì si presta volentieri a servire, obbedendo al criterio antropologico della dignità umana, al criterio cosmologico della dignità della natura e all’etica del bene comune. Rispetto all’attuale sequenza gerarchizzata di mercato, stato e società civile (compreso il volontariato), nell’economia trasformativa la sequenza diventa società civile e natura, istituzioni, economia: in tal modo è l’economia a diventare il terzo settore, giacché essa deve smettere di essere il primo e di fatto quasi l’unico.
• È democratica in quanto percorre una strada alternativa a qualsiasi logica di potere, sia essa globalista o sovranista. La sua indole democratica si riconosce dal fatto che assume la dignità dell’umanità e della natura come determinante; dal fatto che tende sempre a riconvertire il potere in responsabilità, cura, servizio, governo consensuale dei problemi invece che governo sulle persone; dal fatto che è alternativa a qualsiasi forma di fascismo o di totalitarismo; dal fatto che accoglie le differenze (di genere, di generazione, di cultura, di condizione esistenziale) senza discriminare o escludere. Perciò si avvale in particolare dell’apporto specifico dei movimenti e delle teorie femministe, traendone la lezione che insegna l’armonia delle differenze in ogni forma di relazione ascoltando l’esperienza delle donne nel mondo. In merito non ricorro alla formula di “economia femminista” solo perché sarebbe impropria e avrebbe l’effetto di irrigidire sia l’apporto femminista che l’idea di economia in un modello rigido e univoco.
Vale la pena di chiarire ulteriormente questo legame indissolubile tra economia trasformativa e democrazia. Siamo infatti in un periodo nel quale anche molte persone impegnate per una società alternativa sono cadute (credo a causa dell’ostilità verso la sinistra tradizionale e anche a causa dell’insofferenza per la lunga frustrazione nelle loro aspettative di mutamento politico e sociale) nella ricerca di scorciatoie sciagurate. Parlo di quelli che danno credito, a seconda dei casi, alla democrazia digitale, ai movimenti “né di destra né di sinistra”, al sovranismo, al populismo di sinistra stile “Potere al popolo”, al cosiddetto “rossobrunismo” e persino alla politica brutale e totalitaria di Putin, come se fosse migliore del totalitarismo a stelle e strisce o della politica neoliberista dell’Unione Europea.
La qualità democratica del nostro modo d’essere e di agire, così come la qualità democratica delle istituzioni, sta nel superamento del sistema del potere, che struttura le relazioni vitali come rapporti di dominio dell’uomo sulla donna, dell’adulto sul bambino, del nativo sullo straniero, di chi ha su chi non ha, dei governanti sui governati. Perciò “trasformare” significa modificare il sistema delle relazioni, sostituendo al potere la corresponsabilità, la cura, il servizio. Per questo l’istanza femminista o ecofemminista è essenziale e, d’altronde, non va isolata, va coniugata con la dinamica della liberazione di tutte le categorie oppresse.
A chi matura la visione d’insieme appare chiaro che non ci sono scorciatoie sensate, per cui è stolto contrapporre a un tipo di potere un altro tipo di potere, giacché è il potere come tale a dover essere soppiantato. L’impegno in una scuola che promuove l’economia trasformativa presuppone una coscienza politica perspicace, resistente all’illusione delle scorciatoie, impermeabile al qualunquismo e soprattutto allergica al settarismo. Una volta chiarita la costellazione dei significati propria del concetto di economia trasformativa e precisato lo spirito che ispira chi lavora in questa direzione, vediamo adesso come e con quali compiti si potrebbe delineare la fisionomia operativa di una scuola come la S.E.T..
3. LA FISIONOMIA DELLA SCUOLA
La S.E.T. è un’istituzione aperta e un laboratorio permanente che le soggettività impegnate nel campo del risanamento dell’economia possono e devono realizzare. Uno scopo essenziale del progetto è quello di dare la forma più avanzata e rigorosa ai saperi che sono nati dalle esperienze di altra economia. In questi decenni si sono sviluppate molte discipline in grado di contribuire a una visione inedita, dalle scienze umane e sociali alle scienze naturali, dall’antropologia all’etica. Nel contempo, da almeno un secolo, sono fiorite esperienze e filosofie orientate a un’economia umanizzata. Occorre dunque elaborare le linee di un orizzonte complessivo che sappia raccogliere il meglio delle diverse esperienze e teorie.
Una nuova consapevolezza di sé è necessaria alla galassia dei soggetti dell’altra economia per capire come andare avanti nel miglior modo possibile. Il primo grande tentativo di dare vita a un’alternativa fu quello del socialismo marxista. Al di là dei suoi esiti disastrosi nei regimi del socialismo reale, con la loro degenerazione totalitaria, quell’esperienza storica prefigurava tre passaggi fondamentali: l’umanizzazione del lavoro per tutti; il superamento del regime della proprietà privata dei mezzi di produzione; la costruzione di una sintesi di governo per conseguire l’effettiva attuazione del nuovo ordinamento dell’economia.
Queste istanze trovarono poi varie espressioni nell’azione dei partiti comunisti e socialisti e nei sindacati più critici del sistema capitalista. Oggi questi soggetti o sono venuti meno, o si sono in gran parte adattati al sistema vigente. Credo che il principale punto debole della tradizione marxista stia nell’aver criticato il regime del capitale senza però procedere alla critica del potere come tale, poiché il capitale è solo una delle sue forme, magari la più aggressiva e diffusa ma non l’unica. Basta ricordare la contraddizione del colonialismo, quella del maschilismo e quella del dominio sulla natura per cogliere quanto sia necessaria la critica sistematica di tutti i rapporti di potere e non solo la critica del dominio sulla classe operaia.
Da parte loro i movimenti di economia alternativa in Italia e nel mondo che cosa hanno portato di nuovo rispetto a quella tradizione? Limitandoci a indicare alcuni principi essenziali, abbiamo: il principio del superamento della centralità dell’Occidente; il principio dell’auto-organizzazione delle comunità territoriali; il principio dell’armonia con la natura; il principio della tutela dei beni comuni; il principio della radicale trasformazione del mercato oppure della sua sostituzione con circuiti economici solidali; il principio dell’educazione delle persone alla solidarietà, alla condivisione e alla giustizia; il principio della liberazione delle donne dalla mentalità maschilista; il principio della democratizzazione dell’intero sistema delle relazioni sociali e con la natura.
Se si guarda all’insieme di queste istanze si vede che i movimenti di altra economia stanno di fatto sviluppando la critica al principio del potere come tale e la ricerca di un ordine alternativo, veramente democratico, dove il potere stesso è riconvertito in cura, servizio, corresponsabilità, governo dei problemi e non sulle persone. Il principale punto debole di questi movimenti sta nella frammentazione che impedisce loro di elevarsi a movimento transnazionale popolare dotato di efficacia culturale e politica. In questa prospettiva non aiuta la scarsa consapevolezza del dovere di farsi carico delle giuste istanze della tradizione marxista. Per dirla con una battuta: se non basta rifarsi a Karl Marx ignorando Latouche, non si può neppure sostituire Latouche a Marx. Le diverse prospettive vanno integrate portandosi entro un orizzonte più avanzato, illuminato da molte altre esperienze e culture.
Da questi movimenti deve maturare un ampio progetto politico che riguardi non solo le pratiche svolte da piccoli gruppi o microimprese, ma anche l’intero comparto dell’agricoltura, quello dell’industria e quello dei servizi. Serve una grande campagna di valorizzazione del lavoro come diritto per tutti e come attività umanizzata, prospettando un ordinamento che rafforzi le forme democratiche, collettive e pubbliche di proprietà. Perciò occorre integrare le buone pratiche nei processi sociali e il riferimento ai territori con l’attenzione alla vita complessiva dell’Italia, dell’Europa e del mondo. I soggetti dell’altra economia dovranno sia trovare coesione tra di loro che realizzare una stretta collaborazione con tutti gli altri movimenti che lottano per la democratizzazione della società, compresa la parte più lucida del sindacato. Quando la coscienza collettiva si eleva, il mondo si rimette in cammino.
Un altro scopo non meno importante e strettamente correlato al primo, relativo alla ricerca e all’elaborazione culturale, è quello di offrire un luogo di formazione per i giovani e per chiunque sia attivo in un impegno del genere, includendo chi lavora in qualsiasi ruolo, i sindacati, le associazioni di categorie, gli amministratori pubblici, gli insegnanti. Ad esempio, dalla scuola pubblica, in ogni ordine e grado, sta venendo una grande richiesta di formazione per conoscere i principi dell’economia alternativa e per educarsi a una visione nuova. La S.E.T. risponderà, per quanto può, a questa esigenza. La stessa cosa accade nel rapporto con altri ambienti e con molti movimenti della società civile, il che conferma quanto sia essenziale poter alimentare questo processo di apprendimento sociale.
Uno scopo ulteriore, di pari importanza rispetto ai due precedenti, è quello di fornire una consulenza a tutte le imprese disposte a mettersi sulla via del metodo trasformativo.
L’idea è quella di creare una rete di imprese di economia trasformativa, sulla base della chiarificazione dei criteri che consentono di riconoscere come tali le più diverse attività economiche. È una dinamica fondamentale per rendere concreta e popolare questa proposta, evitando che sia relegata entro esperienze piccole e frammentate.
L’impostazione della Scuola è caratterizzata da questi criteri:
a. la ricerca è la base viva della formazione;
b. lo spirito della Scuola è quello pluralista e corale della condivisione di un orizzonte ampio nel senso della trasformazione dell’economia sin dai suoi principi costitutivi: così le diverse scuole di pensiero e di sperimentazione potranno integrare le loro intuizioni migliori verso un paradigma inedito;
c. la prima coordinata di tale paradigma è peraltro già chiarita nel concetto per cui il senso dell’economia sta nella cura verso bisogni, diritti, desideri e aspirazioni dell’umanità e verso gli equilibri del mondo vivente della natura;
d. una seconda coordinata è delineata nell’integrazione tra l’esigenza della libertà dall’economia (giacché quest’ultima non deve totalizzare la vita) e l’esigenza della libertà nell’economia, che implica la liberazione delle persone e della natura da ogni oppressione derivante da cause economiche;
e. il metodo è a orientamento inclusivo, per cui valgono l’interculturalità, l’interdisciplinarietà, l’intergenerazionalità, gli studi sulla differenza di genere e l’interdipendenza tra pensiero e prassi, andando al di là di specialismi autoreferenziali e logiche di potere;
f. la prospettiva della laicità, intesa criticamente (e non ideologicamente) come assunzione del dialogo quale elemento vitale della ricerca, consentirà di aprirsi al confronto con quanti sono sinceramente critici verso il modello vigente di economia.