Vincere cento battaglie non è l’apice dell’arte della guerra. Sconfiggere il nemico senza entrare in combattimento è il vero apice.
Sun Tzu
Questo capitolo è dedicato alle tecniche che vi aiuteranno a raggiungere i vostri obiettivi nelle negoziazioni dure. Il loro utilizzo contribuisce al potenziamento della “massa muscolare” di una negoziazione, accresce la sicurezza del negoziatore e, di conseguenza, comporta un’ottimizzazione del proprio “stile” all’interno del processo.
Vi ricordo che soltanto il “leader” è in grado di usare coscientemente questi metodi nella lotta per i propri interessi.
Cosa sono le tecniche di negoziazione e fino a che punto dobbiamo conoscerle?
Questa è la domanda che mi viene posta di solito nei corsi di formazione e negli incontri di consulenza. Non c’è una risposta semplice.
Le competizioni di judo tra due atleti inesperti sono molto interessanti da vedere. Entrambi tentano costantemente di afferrare l’avversario, sfoggiando movimenti goffi e cimentandosi in ogni sorta di tecnica. Invece, se si è in cerca di azione, i combattimenti tra judoisti esperti sono indubbiamente di minore interesse: i minuti passano e non succede niente, gli avversari prendono le misure muovendosi lentamente sul tatami, finché all’improvviso uno afferra l’altro, fa una mossa e la gara finisce.
Con le trattative avviene qualcosa di analogo. Uno può conoscere benissimo solo un paio di tattiche e servirsene usandole alla perfezione. Ovviamente è molto meglio disporre di un ampio arsenale, perché ricorrere sempre alla solita strategia fa sì che un negoziatore possa essere conosciuto per il proprio “stile” e che diventi quindi prevedibile. In tal caso la controparte può studiarci e prepararsi al meglio per la negoziazione, trovando così il modo di parare tutti i nostri colpi. Se non ampliamo il nostro arsenale di tecniche, faciliteremo il lavoro dell’interlocutore.
Un giovanotto affabile era molto bravo a lusingare direttori di negozi e acquirenti, conquistandone in breve tempo la fiducia. Si presentava alla riunione, tesseva qualche lode, raccontava una storiella simpatica e poi passava agilmente a parlare della vendita. Una volta arrivò a una riunione con la direttrice di un negozio senza ricordare di averla già incontrata altre due volte, così cominciò la conversazione adulandola con lo stesso complimento che aveva usato nell’occasione precedente… La direttrice sorridendo gli chiese: «Che succede? Non ti sono rimasti altri complimenti?».
In questo capitolo analizzeremo le cinque tecniche principali a cui poter ricorrere durante la lotta per i propri interessi.
Lo sguardo è un’arma estremamente potente, che ci permette di attenuare la tensione al tavolo di trattativa, ma anche di fare infuriare la controparte.
Il primo sguardo è molto importante. A cosa deve essere diretto? Agli occhi dell’interlocutore, per quanto sia difficile. Spesso ci confrontiamo con negoziatori più forti di noi, ma bisogna sempre tenere a mente la definizione di Von Clausewitz: «Un combattimento è il confronto di forze spirituali». E sono proprio queste ultime a misurarsi nelle negoziazioni. Se distogliamo lo sguardo, mostriamo di essere più deboli. È ovvio che a partire da quel momento la controparte si metterà a farci pressione aggrappandosi tenacemente alla propria posizione. Ed è molto probabile che riesca a ottenere ciò che vuole.
Il primo sguardo è molto importante, perché con esso comunichiamo all’avversario la nostra forza emotiva. Non è garanzia di vittoria, certo, ma può fare in modo che la vostra opinione venga ascoltata e tenuta in considerazione. Non si tratta di sostenere lo sguardo troppo a lungo, come in un gioco tra bambini. È sufficiente guardare dritto negli occhi la controparte per mezzo secondo e poi distogliere lo sguardo.
C’è anche un’altra tecnica che si rivela molto utile nel processo di trattativa. Quando qualcuno fa pressione su di voi e vi grida contro, il vostro sguardo deve esprimere: «Sono consapevole di quello che stai facendo e so perché lo fai». Poi però conviene distogliere subito lo sguardo, evitando così di sfidarlo e di dare adito a un diverbio emotivo. Spesso capita anche che il negoziatore adotti la posizione dell’Under Dog, il “cane di sotto”.
Everett Shostrom ha spiegato questo termine nel suo libro Man, the Manipulator (“L’uomo, il manipolatore”). A suo avviso in ogni persona convivono due cani: uno che sta sopra e un altro che sta sotto. Il cane che sta sopra fa pressione e minaccia, mentre quello di sotto chiede, mostra la propria debolezza, cerca di ottenere il favore degli altri. Si tratta di trucchi molto particolari a cui poter attingere. Sempre secondo Shostrom, nella maggior parte dei casi è proprio il cane di sotto ad avere la meglio, poiché suscita compassione.
Conoscerete già la frase di cui si servono di solito gli agenti immobiliari: «Su, per favore… Se non chiudiamo l’affare questo mese, mi cacceranno dal lavoro per non aver portato a termine gli obiettivi…».
Questo è il genere di frasi di cui si serve un manipolatore. Quando vi rapportate a persone di questo tipo, la tecnica “sguardo dritto negli occhi” si rivela molto efficace: di fronte a uno sguardo chiaro e penetrante capiscono subito che questi giochetti con voi non attaccano. Bisogna tuttavia tenere presente che quando guardiamo negli occhi la controparte corriamo il rischio di accendere gli animi. Uno sguardo dritto negli occhi può infatti essere letto come una provocazione e di conseguenza suscitare reazioni negative, spostando la negoziazione sul piano emotivo. Per questo nel corso di una negoziazione non conviene abusare di questa tecnica, ma bisogna limitarsi a usarla in caso di effettiva necessità.
Usate la tecnica “sguardo dritto negli occhi” nei seguenti casi:
Esiste un intero metodo dedicato a tale scopo, ed è descritto nel dettaglio nei libri di Jim Camp. Il bisogno è di solito la forza motrice di molti negoziatori, sebbene ovviamente in senso negativo. Lo è anche la paura in quanto sensazione di rimotivazione.Ricorderete senz’altro la Scuola di negoziazione del Cremlino che ho descritto nel primo capitolo. Questa si basa proprio sulla presenza della paura: paura di perdere un cliente e di uscire a mani vuote da una negoziazione. La rimotivazione.
Immaginiamo una bilancia che ha su uno dei piatti il bisogno di ricevere una risposta affermativa alla propria proposta e sull’altro la ricezione di una risposta negativa. Quando il piatto pende dalla parte del “sì” e il negoziatore non è disposto a sentirsi dire “no”, allora ci troviamo davanti una persona che non ha alternative, perché non vuole ricevere un rifiuto e non lo prende nemmeno in considerazione. Chiunque si trovi in questa situazione è molto debole: lo si può manovrare a proprio piacimento.
Il negoziatore è forte quando la sua bilancia interna è in equilibro.
Un esempio meraviglioso di ciò è un episodio che ha cambiato radicalmente la storia dell’umanità.
Nel luglio del 1945, Unione Sovietica, Stati Uniti e Regno Unito erano ancora alleati. La sanguinaria guerra contro il Giappone nell’Estremo Oriente non era ancora finita e il presidente Truman voleva sapere se Stalin avrebbe mantenuto la parola sul proprio intervento. Il 17 luglio, a Potsdam, ebbe inizio la conferenza tra i tre paesi, durante la quale si sarebbe dovuto stabilire il regime della Germania del dopoguerra. In linea con la raccomandazione del primo ministro inglese Winston Churchill, il presidente Harry Truman, che aveva appena ricevuto un telegramma segreto in cui gli veniva comunicato l’esito del collaudo della bomba atomica, informò Stalin del fatto che gli Stati Uniti avevano messo a punto un’arma dall’enorme forza distruttiva. I leader massimi di Stati Uniti e Regno Unito volevano verificare la reazione del dittatore del Cremlino a tale annuncio.
Tuttavia la reazione di Stalin fu estremamente trattenuta. Ringraziò Truman per l’informazione e si astenne dal fare alcun commento. Il suo comportamento fu così inaspettato che Truman e Churchill pensarono che non avesse capito di cosa stessero parlando di preciso. Il loro tentativo di esercitare pressione tramite quell’informazione sul leader sovietico, così da renderlo più docile, non era andato a buon fine.
Nel frattempo, in realtà, secondo quanto riferito da alcuni testimoni, Stalin aveva capito tutto alla perfezione. Dopo la conversazione con i leader occidentali telefonò a Mosca, all’ingegnere Kurcˇatov1, e lo sollecitò ad accelerare i lavori per la creazione dell’arma atomica sovietica.
Tutti probabilmente conoscono la sensazione di rimotivazione. Non è la prima volta che in questo libro utilizzo questo termine così inusuale, ed è arrivato il momento di spiegarlo.
La rimotivazione è il sentimento che ha luogo quando non siamo capaci di concepire la nostra vita senza l’obiettivo che ci siamo prefissati. Un sentimento che può essere tanto di bisogno quanto di paura.
Immaginiamo che un uomo passi davanti a una concessionaria di automobili, veda in vetrina una bella macchina e in quell’istante nasca in lui un sentimento che gli impedisce di vivere normalmente. Non riesce a pensare ad altro, non dorme, non si rallegra più per una bella giornata né per il sorriso dei suoi cari: ha bisogno di quella macchina. È semplice immaginare che cosa farà dopo. Passerà le giornate a pensare a dove trovare il denaro per comprare quell’oggetto, divenuto ai suoi occhi di importanza vitale. Alla fine si indebiterà per comprarlo. E poi? Il suo bisogno lo ha portato a compiere un’azione avventata e ovviamente comincerà a cercare scuse per il proprio comportamento.
Vi è familiare questo sentimento? Si tratta della rimotivazione. Che cosa avrebbe fatto quell’uomo se semplicemente avesse voluto comprare l’automobile, molto motivato all’acquisto ma senza averne bisogno? Probabilmente avrebbe confrontato il suo desiderio con le sue reali possibilità, avrebbe valutato quali sforzi razionali fare per ottenere il veicolo e di certo alla fine ci sarebbe riuscito. Il tutto, attenzione!, senza compiere azioni avventate. Nel mondo in cui viviamo non c’è regola più valida di quella che dice che ciò che sogniamo di più è quello di cui abbiamo meno bisogno.
Finiamo per cadere nella situazione di bisogno quando ci hanno dipinto (o lo abbiamo fatto noi stessi) un’immagine del futuro troppo felice. Allora cominciamo a fantasticare, a sognarlo, a provare emozioni come se già vivessimo in tale futuro immaginario. E ben presto non vogliamo nemmeno sentire parlare di un futuro diverso. È così che nasce lo stato di rimotivazione, di bisogno: quando sentiamo un’estrema mancanza di qualcosa. Questa situazione ci impedisce di ottenere molte cose, tra le quali proprio il futuro cui aneliamo.
E se arriviamo a una trattativa immersi in questo stato, una controparte esperta non si lascerà sfuggire l’occasione di approfittarsi della situazione e di “spremerci come un limone”. A seguire presento una situazione forse un po’ eccessiva, ma che mostra chiaramente le conseguenze della rimotivazione.
«Devo consegnarvi tutta questa merce entro la fine del mese! Ne ho bisogno!»
«E…?»
«Sono disposto a cedere su alcuni punti…»
«Quali?»
«Se vuole le faccio uno sconto! Che ne pensa?»
«A quanto si riferisce di preciso?»
«Al 5%.»
«Non è granché.»
«Posso arrivare al 10%.»
«Va già meglio, ma ci pensi ancora un po’ e torni domani.»
Cosa c’è alla base del comportamento del venditore? Il bisogno. Non ha pensato né alle necessità del cliente né al profitto dell’azienda. Gli interessavano soltanto i bonus per le vendite: aveva bisogno di superare il proprio obiettivo di vendita a qualunque costo. Nella sua testa già si affacciava l’idea di un’automobile nuova, di un viaggio, di qualsiasi cosa fuorché il vero obiettivo della negoziazione.
L’acquirente ha di certo percepito tale bisogno, ha fatto leva su di esso ed è riuscito a ottenere gli sconti più alti possibile.
I negoziatori esperti, proprio come gli squali che accorrono quando sentono l’odore del sangue, percepiscono distintamente il bisogno. E non appena lo individuano, si avventano sulla preda. Il bisogno ci rende subito vulnerabili.
Un altro metodo di cui si servono gli squali delle trattative per costringere in un attimo le proprie vittime in una condizione di bisogno consiste nel dire loro un rapido “sì” al principio della negoziazione.
All’inizio degli anni Duemila uno dei rappresentanti che lavorava per me partecipò a una trattativa con un cliente abbastanza grande. Tornò dalla riunione raggiante e si avvicinò con aria tronfia alla mia scrivania senza nemmeno togliersi il cappotto.
«Abbiamo il contratto… Entriamo nella loro catena di negozi, ci comprano dodici marchi, le condizioni sono supervantaggiose.»
«Molto bene. Fai i conti e poi li rivediamo insieme.»
Dopo una decina di minuti torna al mio tavolo tutto contento e mi dice: «Guardi qui! Il volume delle vendite è di 12.000.000 di rubli al mese… Abbiamo una produzione sufficiente per coprire questa domanda? Devo calcolare di quanto posso ancora aumentare il volume…»
Aveva la voce squillante di gioia. Considerate che 12.000.000 era più del doppio del suo piano mensile di vendite.
Mi stavo già rendendo conto della piega che stava prendendo la questione, ma si sa che si impara solo dai propri errori, quindi gli dissi: «Ottimo, continua la trattativa…».
Il giorno seguente il nostro eroe arrivò in ufficio con un aspetto così diverso da sembrare un altro. Si immaginava già in uno stato sociale differente e aveva calcolato in cosa avrebbe speso gli incentivi che avrebbe ricevuto. Il suo sorriso soddisfatto era l’immagine pura del vincitore. Ovviamente teneva sotto il braccio il catalogo di una nota marca di automobili. Tutto il reparto lo osservò con invidia. Dopo essersi pavoneggiato un po’, raccontando a tutti i suoi progetti di viaggio e descrivendo per filo e per segno la macchina che si sarebbe comprato, si avviò a proseguire la trattativa.
Al suo rientro, con fare da Napoleone, mi gettò sul tavolo il testo dell’accordo. Naturalmente accompagnato da un allegato con i prezzi. Lessi con attenzione l’accordo e l’allegato, nel quale erano indicati sconti del 20% e altre condizioni che rendevano l’operazione infattibile, quindi presi la penna. Il nostro eroe si era proteso per riuscire a leggere il mio verdetto, che scrissi molto lentamente: «Non sono d’accordo con le condizioni dell’affare, pertanto rinuncio».
Quello che è successo dopo è difficile da descrivere a parole. L’ufficio fu scosso da grida e parole che non solo violavano il rispetto che mi doveva in quanto sottoposto, ma anche le più elementari regole di convivenza. Quando la tempesta emotiva si placò a causa della stanchezza, fui io a prendere la parola: «Capisco bene i tuoi sentimenti, Dimitri, e probabilmente al tuo posto mi sarei comportato in modo simile, ma… Esaminiamo nel dettaglio il documento che mi hai portato». Mi avvicinai alla lavagna e continuai: «Stando a quanto leggo, il volume delle vendite è di 12.000.000 al mese, giusto?».
«Sì!» esclamò lui, visibilmente alterato, dando un’occhiata al resto dei presenti in cerca di appoggio.
«Lo sconto è del 20%, quindi ammonta a 2.400.000. Corretto?»
«Sì, però ci staremmo accaparrando un cliente enorme, è un affare importantissimo per noi» disse Dimitri tornando a cercare sostegno nei presenti.
Continuai imperturbabile: «In base al punto dell’accordo che fa riferimento alle azioni di marketing, la spesa mensile in proposito sarebbe pari al 5% del volume di acquisto, ossia a 480.000 rubli (il prezzo d’acquisto al netto dello sconto è di 9.600.000)».
«Sì, ma è risaputo che senza azioni di promozione il prodotto non vende.»
«Perfetto! Adesso dimmi: quanto prende l’azienda che si occupa della logistica?»
«Il 12%» risponde lui in tono quasi commovente.
Scrissi sulla lavagna la cifra 1.152.000 e calcolai il totale: 4.032.000.
All’improvviso uno dei rappresentanti lì presenti esclamò: «Questo sì che è vendere con delle perdite!».
«Ah, quindi… Quindi l’affare non si conclude… Non ci sarà alcun accordo…» si lamentò Dimitri.
«Come no? Adesso si riparte da capo e si ricomincia la trattativa da zero.»
Vediamo ora che cosa ha confuso il nostro negoziatore esperto. Perché non ha cercato da subito di sviscerare le condizioni dell’accordo e di chiarirne i dettagli con l’acquirente? In previsione della trattativa, Dimitri si era preparato ad “abbattere” il muro della riluttanza dell’acquirente, però quello squalo esperto, nel sentire odore di sangue, lo aveva attaccato con una semplice arma: un rapido “sì”. Non aveva rifiutato niente, anzi gli aveva detto fin dall’inizio che avrebbero potuto avviare la collaborazione senza problemi. In questo modo aveva cominciato a creare nella mente del mio sottoposto l’immagine di un futuro radioso. E in quel preciso istante erano nati il sentimento di bisogno, la paura di perdere il cliente e così via.
Ogni rapido “sì” è seguito da un “PERÒ…”.
Bisogna comunque riconoscere che Dimitri si è rivelato un ottimo allievo. Quando ci siamo allenati insieme nella tecnica per liberarsi del bisogno, è riuscito a dominarla alla perfezione. E continua a lavorare come rappresentante per soddisfare i propri desideri e quelli della sua famiglia. Ma di questo parleremo in seguito.
Tutti abbiamo desideri e progetti che ci arrivano dall’alto, oltre a famiglie e a obiettivi ambiziosi. Ecco perché è impossibile disfarsi completamente del bisogno. Ma è senz’altro possibile tenerlo a bada! Una sana motivazione è sempre una cosa molto buona. È importante desiderare molto le cose, perché così procediamo meglio in direzione degli obiettivi che ci siamo prefissati.
Analizziamo insieme i comportamenti che denotano la presenza di un bisogno:
1. Quando si entra in trattativa, è molto importante conoscere la risposta a due domande: «Cosa farò in caso di risposta positiva?» e «Cosa farò in caso di decisione negativa?». In altre parole: «Cosa farò se mi rispondono “sì”» e «Cosa farò se mi rispondono “no”?». A Dimitri sono mancate le risposte a queste due domande. Se ce le avesse avute, avrebbe saputo come reagire a quel malizioso “sì” ricevuto tanto rapidamente. La risposta a queste due domande ci offre un quadro verosimile di quanto accade. E dobbiamo essere disposti ad accettare qualsiasi scenario emerga da esse. Non appena avrete risposto, la vostra bilancia interiore si collocherà in equilibrio e il “sì” smetterà di farla inclinare.
Se malgrado ciò la controparte è riuscita a far vacillare la vostra bilancia interiore e a distogliervi da uno stato di motivazione sana, allora è fondamentale che riconosciate onestamente di trovarvi in una posizione di bisogno.
2. Controllate il vostro modo di parlare. Quando compare il bisogno, si tende a parlare più di fretta e il tono di voce diventa più alto.
3. Concentratevi soltanto su ciò che potete gestire, che controllate: la voce, la capacità di eloquio, il fascino, le competenze. Conducete il processo di trattativa senza perdere di vista il risultato, ma facendo in modo che questo pensiero non diventi un chiodo fisso. Nel corso di una trattativa gli interessi possono e devono cambiare. Perseguire un contratto a qualunque prezzo può finire per costare molto caro.
4. Fate delle pause: sono un’arma molto potente nell’arsenale del negoziatore. Quando parleremo delle “emozioni delle trattative” avremo occasione di approfondire anche il tema della forza delle pause.
La maggior parte dei contratti poco vantaggiosi e di accordi che generano perdite vengono firmati per uno di questi due motivi:
Esistono molte definizioni di ciò che è una trattativa, ma per la maggior parte sono astratte o meramente descrittive. Vediamo quella di Jim Camp. Quando anni fa la lessi per la prima volta, la mia visione delle negoziazioni cambiò radicalmente.
Le trattative sono il processo per arrivare a un accordo fra due o più persone che in qualsiasi momento possono dire di no.
Dovete imparare a dire e a sentirvi dire “NO”.
I bambini piccoli non hanno paura della parola “NO”. Quando non vogliono qualcosa, lo affermano apertamente e coraggiosamente. A mano a mano che cresciamo, però, la società ci inculca un enorme timore di sentire la parola “no” e perfino di dirla.
I negoziatori esperti approfittano abilmente di questa tendenza, obbligandoci a fare concessioni. Ecco una situazione molto diffusa:
«Vitja, mi presti 10.000 rubli?»
«Perché?»
«È che voglio cambiare telefono e non ho abbastanza soldi.»
«Adesso non li ho…»
«Be’, me li darai domani.»
«Vedi, a dire la verità non ho 10.000 rubli da darti.»
«Allora prestami quello che hai!».
Questa situazione vi sembra familiare? Probabilmente sì. Cosa è successo in questa conversazione? Vitja, lasciandosi coinvolgere nel dialogo (ossia interessandosi al motivo della necessità del denaro) ha dato al suo interlocutore la speranza di ottenere ciò che aveva chiesto. In realtà Vitja teme la parola “no” come il fuoco. Il suo amico, che ne è cosciente, comincia a “fare pressione” mettendolo sempre più in difficoltà e spingendolo a giustificarsi. E si giustifica perché sa molto bene ciò che accadrà in seguito: se rifiuta, il suo interlocutore avrà il pieno diritto di offendersi (e senz’altro lo eserciterà), perché aveva ricevuto l’illusione di ricevere il denaro e aveva perfino spiegato come lo avrebbe speso. Ma le cose potrebbero anche andare in modo diverso: prestate dei soldi a un amico, questo tarda a restituirveli e voi vi vergognate a richiederglieli…
Pensate a cosa sarebbe successo se il dialogo si fosse svolto nel seguente modo:
«Vitja, prestami 10.000 rubli».
«Non posso, Slava. Non presto denaro a nessuno».
Slava si sarebbe offeso? Credo di no. E se lo avesse fatto, gli sarebbe passata presto. Perché nessuno gli aveva dato false speranze, né gli era stato chiesto a cosa gli sarebbe servito il denaro o quando lo avrebbe restituito. Nessuno aveva discusso con lui i termini del prestito. Perché quindi avrebbe dovuto offendersi?
Siamo fatti così: prendiamo tutte le decisioni sull’onda delle emozioni e solo in un secondo momento colleghiamo il cervello e cominciamo a cercare giustificazioni per i nostri comportamenti.
Dite “NO” e vedrete come vi aiuterà a evitare spese ingiuste e ingiustificate. Non offenderete nessuno e non darete modo all’altro di risentirsi.
1. Di fronte a una proposta o a una richiesta, ponetevi le seguenti domande:
Cosa vogliono davvero da me per farmi una proposta così allettante o per chiedermi questo servizio?
Non va contro i miei interessi? Ci guadagno qualcosa? È conveniente accettare queste condizioni?
«Che proroga dei termini di pagamento mi offre?»
«Quarantacinque giorni.»
«Non è accettabile. Noi lavoriamo con grandi volumi e vogliamo una proroga di almeno novanta giorni.»
«Secondo le regole della nostra azienda, a clienti della vostra regione non concediamo più di quarantacinque giorni.»
«Se non ci date novanta giorni non firmiamo il contratto.»
Dopo esserci posti e avere risposto alla domanda sulla convenienza, potremo agire da una posizione di forza. Se la risposta è “sì’”, valutiamo i dettagli e ci muoviamo nella direzione scelta. Se invece la risposta è “no”, passiamo al secondo punto.
2. Se ciò che vi offrono o che vi chiedono non è vantaggioso per voi, dite “NO”. Deve essere e suonare come un “no” definitivo e incontrovertibile, che escluda la possibilità di ulteriori informazioni.
«Signore, mi darebbe un rublo?»
«Sono occupato, lasciami in pace.»
«E quando sarà libero me lo darà?»
«Lasciami in pace.»
Questa contrattazione potrebbe continuare in eterno. Se invece la risposta fosse stata: «No, non faccio l’elemosina, quindi non perdere tempo con me», difficilmente l’interlocutore avrebbe continuato a insistere. Non date false speranze. Se non volete fare qualcosa, dite semplicemente “no”. Non vi interessa un prodotto, ma ne chiedete comunque il prezzo: in questo modo state fomentando la controparte a continuare a offrirvelo. Se chiedete qual è il giorno di lavoro volontario in ufficio, in qualche modo state dando il vostro consenso a partecipare. Se chiedete per quanto tempo dovreste stare con vostro nipote, siete a un passo da fare da baby-sitter. Solo un categorico “no” vi trarrà d’impaccio evitandovi di ficcarvi in situazioni che potreste risparmiarvi.
Una volta, alla vigilia di un viaggio in Italia, mi telefonò un mio conoscente per chiedermi di comprargli un telefono e di portarglielo al mio ritorno. Ovviamente ero in difficoltà a dirgli di no, così gli risposi: «Temo che non potrò farlo, ma se avrò tempo te lo compro…». A essere sincero mi dimenticai della sua richiesta e una volta tornato mi resi conto che lui non aveva preso il mio “no” approssimativo come un “no” definitivo e che quindi stava aspettando il suo telefono con ansia. Così, quando seppe che non glielo avevo comprato, si arrabbiò molto con me e si offese. Se la mia risposta fosse stata «NO, non andrò in un negozio di telefoni, né avrò tempo di ordinarlo tramite Internet», non avrei urtato i suoi sentimenti.
Nella nostra cultura (e con “nostra” intendo quella di chi parla russo) è molto importante motivare un rifiuto. Ma la motivazione deve essere univoca e precisa, senza dare adito a discussioni.
Non cercate perciò di risultare più compiacenti di quanto effettivamente siate. Non cercate di essere buoni con tutti: imparate a rispondere di no e date agli altri il diritto di fare altrettanto. Quando siamo disposti a ricevere un “no” come risposta ci poniamo allo stesso livello della controparte, evitando così di cadere nel “ruolo dipendente”.
È importante ricordare che le trattative non si vincono né si perdono. Potrete soltanto individuare la fase in cui vi trovate, capire che cosa sta succedendo e qual è il prossimo passo da fare. Un “no” non è la fine di una relazione, bensì un motivo per fare il punto e compiere il passo successivo.
Abbiamo già parlato dell’importanza di questo ruolo nelle trattative. Quando non siamo noi a esserci spostati, ma sono gli altri a essere venuti da noi (meglio ancora se da lontano), e riceviamo la controparte comodamente seduti nel nostro ufficio, sulla nostra confortevole poltrona, abbiamo di sicuro un vantaggio. Siamo gli anfitrioni. Non a caso c’è un proverbio russo che dice che la casa e le sue mura sono sempre buoni alleati. Qualunque sportivo vi dirà che è più facile vincere in casa. Per questo nel calcio la regola vuole che una vittoria in campo avversario valga più di una vittoria in casa.
Tuttavia molto spesso siamo costretti a condurre trattative in campo altrui e lì la controparte fa in modo di metterci in condizioni non troppo comode. Si comincia con una lunga attesa in sala d’aspetto, per poi assistere, quando siamo ormai passati in ufficio, a infinite conversazioni telefoniche, mentre aspettiamo di nuovo che l’anfitrione ci presti attenzione. Poi cominciano gli interrogatori. E tutto ciò con l’unico scopo di rafforzare il proprio ruolo di “anfitrione”.
L’“anfitrione” pone le domande e l’“ospite” non può esimersi dal rispondere. L’“ospite” offre e l’“anfitrione” sceglie. Provate a pensare a come si siede una persona che agisce da “anfitrione”. Lo fa con disinvoltura, appoggiandosi interamente allo schienale, con i piedi ben piantati a terra o addirittura a gambe accavallate; i suoi movimenti sono leggeri e risoluti. L’“ospite” invece è come paralizzato, sta seduto in punta di sedia come uno scolaro immobile e insicuro in attesa che lo chiamino alla lavagna.
È estremamente importante che, ovunque vi troviate (nel vostro ufficio, in quello di un alto funzionario, di un acquirente o di un medico), adottiate una posizione comoda. Non è necessario sentirsi perfettamente a proprio agio, l’importante è essere comodi. Inoltre nel corso della trattativa bisogna muoversi e non stare immobili come una mummia.
Alla base di questa tecnica c’è lo stratagemma chiamato “Passare dal ruolo di ospite a quello di anfitrione”, perfettamente descritto dalla fiaba russa della volpe e della lepre. La lepre aveva una capanna fatta di vimini e la volpe una fatta di ghiaccio. Con l’arrivo della primavera la capanna della volpe si sciolse e la lepre accolse quest’ultima a vivere a casa sua. In seguito la volpe buttò la lepre fuori di casa.
Per sottrarre il ruolo di “anfitrione” alla controparte durante una trattativa c’è un metodo, che consiste nel prendersi tutto il tempo prima di rispondere, soprattutto quando non si è capito a pieno il senso di una domanda. Se qualcosa vi è poco chiaro, fate delle controdomande e chiedete ragguagli.
Sun Tzu ci offre un consiglio molto utile a riguardo: «Avvicinati al cervo e non sbaglierai il colpo». Quando si accorcia la distanza dall’obiettivo, si compensa la mancanza di abilità nello sparare. Tutto ciò che sia facile da verificare verificatelo voi stessi. Se l’acquirente vi dice che la concorrenza gli sta offrendo prezzi migliori, non dovete credergli sulla parola: avvicinatevi e verificatelo personalmente.
A mio avviso l’esempio migliore di come “avvicinarsi al cervo” è avvenuto in seguito alla legge della Federazione Russa sulle borse valori e sul commercio di borsa, pubblicata l’11 marzo 1992, che proibiva alle borse di occuparsi del commercio di immobili. Tutte le borse che si occupavano di questo segmento di mercato si videro costrette a interrompere la propria attività. Soltanto i proprietari della borsa centrale immobiliare di Mosca (MCBN) si misero a studiare attentamente il testo della legge e scoprirono che regolamentava l’attività delle borse, ma non quella di altri tipi di organizzazioni commerciali nel campo degli immobili. Così diedero vita a una società limitata, chiamata “Bursa” centrale immobiliare di Mosca. La legge non proibiva gli affari nel campo immobiliare attraverso delle burse e, come fece notare un articolo del quotidiano “Kommersant’” alla fine del 1993 (sul recupero da parte del MCBN del nome precedente), il termine “borsa” in questa accezione deriva dal nome della piazza Van der Bourse nella città di Bruges, in Belgio, dove nel medioevo i commercianti facevano affari. Quindi gli agenti immobiliari della bursa potevano lavorare come facevano in precedenza nella borsa. Fu così che i “tiratori” della MCBN, attenti al testo della legge (“il cervo”), la “abbatterono” con facilità.
In Russia c’era una campagna pubblicitaria statale che metteva in guardia i cittadini affinché leggessero attentamente i contratti che firmavano. Se qualcuno vi sventola sotto il naso un ordine affermando che da oggi in poi vi sarà proibito fare una determinata cosa, prendetelo e leggetelo con cura. Perché può darsi che nel vostro caso non vi proibisca niente. Magari non vi consiglia di fare qualcosa, ma non ve lo proibisce.
È semplice avvicinarsi al cervo: basta fare domande che vi avvicineranno all’obiettivo passo dopo passo. Nel porle vi starete conquistando il ruolo di “anfitrione” nella trattativa e passerete a condurne il processo.
Se invece non siamo in grado di avvicinarci al cervo, corriamo il rischio di cadere in situazioni alquanto scomode.
Nel libro di memorie di Andrej Andreevicˇ Gromyko si racconta un curioso episodio, tratto a sua volta da alcuni ricordi annotati da Che Guevara. Vediamo che cosa racconta questo comandante della rivoluzione cubana, un uomo che è divenuto leggenda.
“Nell’autunno del 1959, quando ci eravamo ormai liberati di tutti i resti della polizia di Batista, Fidel Castro riunì i suoi compagni d’armi più importanti per discutere la questione della distribuzione delle cariche governative. Quando giunse il momento di stabilire chi si sarebbe occupato del campo economico, Fidel chiese: «C’è qualche economista presente?».
Io avevo capito che stesse chiedendo se c’era qualche comunista, così senza pensarci risposi: «Io».
Al che Fidel disse: «Allora tu ti occuperai di economia»”.
Fu così che Che Guevara divenne il presidente della Banca Nazionale di Cuba.
Torniamo adesso all’esempio descritto nel paragrafo “Come difendersi dal bisogno e dalla paura”. Ricordate? C’era Dimitri, il mio sottoposto, che raccontava con entusiasmo le proprie trattative con una catena di negozi.
Dimitri mi raccontò nei dettagli le trattative, il che ci permise di rilevare che la somma di 12.000.000 rubli non era scritta da nessuna parte ed era stata solo menzionata dall’acquirente in un momento della conversazione. Decidemmo di “avvicinarci al cervo”. I nostri legali predisposero una lettera di intenti in cui era indicato che il volume di fornitura avrebbe raggiunto un minimo di 12.000.000 rubli. Quindi affrontai con Dimitri i suoi problemi con il tema del bisogno e nel giro di alcuni giorni il nostro eroe tornò a riprendere le trattative accompagnato da uno stagista. Nei panni dello stagista c’ero io.
È importante che facciate vostro il consiglio che sto per darvi: se il responsabile dell’affare e chi conduce una negoziazione è un vostro sottoposto, dovete farvi coinvolgere solo assumendo il ruolo di “stagista”. Il vostro compito sarà ascoltare in silenzio, dando al collega un tacito sostegno. Perché se decidete di intervenire nella trattativa, state sicuri che la controparte vi strapperà le migliori condizioni.
Vediamo come si è svolta la conversazione:
«Ehi, Dimitri! Come stai? Che piacere vederti!»
«Buongiorno, Vladimir!»
«Allora, il contratto? Lo avete firmato?»
«Sì, certo. C’è solo qualche problema con l’allegato.»
«Fammi un po’ vedere…»
L’acquirente lesse attentamente il documento e di colpo la sua espressione gentile scomparve.
«E questa che roba è?»
Dimitri, molto astuto, non dice niente e resta in attesa.
«È ovvio che volete fregarci obbligandoci a comprare questi volumi.»
«…»
«Vi rendete conto che abbiamo una fila di fornitori come voi che aspettano qui fuori?»
«Non abbiamo fatto altro che mettere su carta i nostri accordi verbali. Tutto quello che leggi qui è ciò di cui abbiamo parlato: prezzi, condizioni, volumi.»
«Sì, ma io mi riferivo a un volume massimo.»
Poi la controparte rivolse lo sguardo allo schermo del computer, mentre noi ci godevamo la pausa.
«Inoltre questa cifra corrisponde al volume totale di acquisti da tutti i nostri fornitori e voi vorreste farci comprare solo da voi» disse alla fine.
«Allora dimmi: quanto pensate di comprarci ogni mese?»
«Non lo so ancora, perché dipende da come si vende il prodotto. Non ho intenzione di parlare di volumi fissi per il momento.»
«Allora dimmi di quale metodo vi servite per stimare le vendite del prodotto…»
«Facciamo delle vendite di prova per un periodo di due mesi…»
«Perfetto! Che cosa ne dici allora se, anziché metterci a discutere adesso per i volumi, sottoponiamo i prodotti a queste vendite di prova? E poi, se la nostra merce soddisfa le vostre aspettative, possiamo tornare a trattare per valutare il resto dei dettagli…»
Il primo ordine che ci ha fatto questa catena di negozi è stato di 240.000 rubli, poi gradualmente le vendite sono arrivate a 800.000 rubli, e il tutto alle nostre condizioni. E per di più abbiamo acquisito una grande esperienza in materia di negoziazione. Dimitri si è davvero comportato da fuoriclasse: ha saputo superare il bisogno, passare al ruolo di “anfitrione” e condurre le trattative con successo.
Un orso sta passeggiando per il bosco quando all’improvviso appare un leone feroce.
«Bene, bene… E tu chi sei?»
«Un orso…»
«Me lo segno: un orso. Torna domani e ti mangerò. Hai qualche domanda?»
L’orso se ne va singhiozzando.
A quel punto passa un lupo. Il leone feroce gli va incontro e gli dice: «Bene, bene… E tu chi sei?»
«Un lupo…»
«Me lo segno: un lupo. Torna dopodomani e ti mangerò. Hai qualche domanda?»
Il lupo se ne va avvilito…
Arriva un riccio.
«Chi sei?»
«Un riccio…»
«Me lo segno: un riccio. Torna tra tre giorni e ti mangerò. Hai qualche domanda?»
«Sì, ce l’ho. C’è qualche problema se non vengo?»
«Certo che no! Ti cancello subito dalla lista…»
Azioni che aiutano a ricoprire il ruolo di “anfitrione”:
Ogni volta che Napoleone arrivava in un centro abitato doveva essere accolto con il rintocco delle campane. Una volta, però, mentre si avvicinava a un villaggio, non sentì alcun suono. Così mandò a chiamare il capo del villaggio e gli chiese: «Come mai le campane non hanno suonato?».
«Be’, innanzitutto non eravamo al corrente del suo arrivo. Inoltre si è ammalato il campanaro. E per concludere non abbiamo campane…»
Napoleone ordinò di giustiziare lo sventurato capo del villaggio.
Questa storia ci insegna che, non appena cominciamo a giustificarci nel tentativo di dimostrare qualcosa, agli occhi degli altri passiamo subito dalla parte del torto.
Non molto tempo fa sono stato costretto ad assistere a una trattativa estremamente interessante.
Il responsabile delle vendite di un’azienda alimentare era in affari con un acquirente. Il motivo della negoziazione era che nei magazzini dell’acquirente giaceva un gran numero di prodotti del fornitore ormai scaduti. E l’acquirente, fuori di sé, pretendeva che il fornitore si riprendesse tutta quella merce.
«La vostra merce non soddisfa i criteri di qualità! Ritiratela!»
«Vi abbiamo consegnato tutti questi prodotti perché ce li avete richiesti. E poi non è difettosa! Ha soltanto superato la data di scadenza. Inoltre, in fin dei conti, siamo collaboratori e ci dovete del denaro.»
«Se siamo collaboratori, come dice, comportatevi come tali e riprendetevi la vostra robaccia!»
L’acquirente si servì dell’argomentazione più debole fra tutte quelle portate dal fornitore e assestò il proprio colpo contro di lui. Ecco quindi un esempio delle conseguenze del desiderio di giustificarsi e di dimostrare qualcosa.
Vi ho già spiegato diverse volte che la sicurezza e la sensazione di avere ragione sono i vostri migliori alleati in una trattativa. Un negoziatore che non sia sicuro di essere nel giusto, come il capo del villaggio o il responsabile delle vendite degli esempi appena illustrati, ricorre a un sacco di argomentazioni che riverserà in tutta fretta sulla controparte non appena abbia inizio la negoziazione. È convinto che più giustificazioni adduce meglio è. Ma è davvero così?
Prima di rispondere a questa domanda, cerchiamo di stabilire una linea di confine fra argomentazione e dimostrazione per giustificarsi. È molto facile. Il negoziatore che voglia dimostrare qualcosa come giustificazione sembra supplicare la controparte di accettare le proprie ragioni e cerca sempre di apportare una marea di argomentazioni. Voler dimostrare qualcosa è sintomo di debolezza. Chi è sicuro della propria posizione, invece, espone ogni argomentazione tranquillamente. Non ha bisogno di dimostrare niente, perché è convinto di ogni parola che pronuncia. Se il capo del villaggio fosse stato certo di avere ragione, gli sarebbe bastata un’unica argomentazione: nessuno si è preoccupato di avvisare dell’arrivo dell’imperatore. Sarebbe stato comunque punito, certo, ma forse gli sarebbe stata risparmiata la vita.
Ovviamente è bene avere a disposizione varie argomentazioni, ma è importante essere convinti di trovarsi dalla parte della ragione e non affannarsi a esporle tutte insieme nel corso della trattativa. Con le argomentazioni bisogna essere un po’ avari. E bisogna sempre avere qualche asso nella manica da sfoderare in caso di necessità. Un buon esempio dell’uso di un’unica argomentazione schiacciante è il dialogo tra il professor Preobraženskij e la direttrice del kul’totdel Vjazèmskaja nell’opera Cuore di cane di Michail Bulgakov2.
DIRETTRICE: Vorrei proporle di acquistare qualche rivista a favore dei bambini francesi. Mezzo rublo l’una.
PROFESSORE: No, non le prendo.
DIRETTRICE: Perché mai rifiuta?
PROFESSORE: Non voglio.
DIRETTRICE: Non prova compassione per i bambini francesi?
PROFESSORE: Certo che sì.
DIRETTRICE: Le secca dare mezzo rublo?
PROFESSORE: No.
DIRETTRICE: E allora perché?
PROFESSORE: Non voglio.
Naturalmente si tratta di un testo letterario in cui è presente una certa artificiosità. Ma concorderete che quel “Non voglio” è una splendida argomentazione. Se il professore avesse cominciato a giustificarsi e cercare delle false motivazioni, avrebbe finito per abboccare e si sarebbe visto costretto a comprare quelle inutili riviste.
Quando vi preparate un’argomentazione, è importante che scegliate soltanto quegli argomenti in cui credete davvero. Durante la trattativa cercate di servirvene con parsimonia e mettete sul tavolo un nuovo argomento solo dopo avere esaminato il precedente in modo appropriato.
È fondamentale ricorrere alle argomentazioni solo se la negoziazione si svolge su di un piano razionale. Se invece nella discussione predominano le emozioni, qualsiasi argomentazione, perfino la più fondata, sembrerà una giustificazione. Tenete sempre a mente l’aforisma di Luciano: «Se ti arrabbi, Giove, significa che sei nel torto».
Solo dopo che avrete portato le trattative su di un piano razionale potrete passare all’argomentazione. Nel prossimo capitolo vedremo come ricondurre una trattativa dal piano emotivo a quello razionale.
1 - Igor Kurčatov (1903-1960), ingegnere e fisico, è stato il “padre” della bomba atomica sovietica. Mise a punto anche la prima bomba a idrogeno a oggi conosciuta. È uno dei grandi riferimenti della storia della scienza sovietica.
2 - Michail Bulgakov (1891-1940) fu uno dei maggiori scrittori russi dell’epoca sovietica, autore di Il maestro e Margherita e di altre opere fondamentali della letteratura russa. Il suo complesso rapporto con il potere sovietico lo fece oscillare tra la gloria e l’ostracismo. La sua opera rappresenta un riferimento fondamentale nell’immaginario collettivo russo.