Capitolo 4
Come condurre negoziazioni dure

Non cedere allo stato d’animo di chi ti offende e non seguire il cammino sul quale vorrebbe condurti.

Marco Aurelio

Esistono varie strade che possono essere intraprese in una negoziazione. Le principali sono:

  1. la strada emotiva;
  2. la strada razionale.

Immagino che ricorderete la matrice dei modelli nella lotta per i propri interessi descritta nel primo capitolo. Ebbene, i negoziatori “carro armato” sono i più propensi a spostare le trattative sulla strada emotiva. Il loro costante obiettivo è quello di condurre la controparte verso questo modo di negoziare per destabilizzarla emotivamente. A che scopo? Il “carro armato” individua in tale movimento una garanzia di successo, perché quando sarà riuscito a portarci sul piano emotivo noi cominceremo a commettere inavvertitamente tutta una serie di errori fatali.

Vi riporto di nuovo le parole pronunciate dallo psicoterapeuta Buddy Rydell (interpretato da Jack Nicholson) nel film di Peter Segal Terapia d’urto: «Chi è irascibile spalanca la bocca e chiude gli occhi».

Se prendiamo in considerazione tutto ciò che già sapete, possiamo approfondire tale situazione affermando quanto segue: quando il bilancio di una trattativa inizia a essere eccessivo, un negoziatore può agire di conseguenza, mettendo in atto comportamenti avventati e azioni che in seguito tenterà sempre di giustificare.

Nel corso di una negoziazione è molto frequente imbattersi in un quadro di questo tipo: un negoziatore esperto ci ha messi alle strette e non siamo stati in grado di rispondergli, il che ci ha portati a commettere un grave errore (per esempio concedergli condizioni che non avevamo previsto), così poi abbiamo cominciato a giustificarci per avere agito in quel modo. Un’altra possibilità con questo stesso scenario è che finiamo per interrompere le trattative sbattendo la porta.

Quali sono le giustificazioni a cui attingiamo in un caso del genere? Possiamo dire cose come: «È così rigido che è impossibile trattare con lui…», «Rappresenta un’azienda troppo importante per poterlo contraddire…», «Diventa una furia e non ci si può ragionare in maniera costruttiva».

Tutte queste frasi non sono altro che giustificazioni. Il nostro cervello trova sempre una valida scusa per i nostri errori. Perché succede questo? Perché ci siamo lasciati trascinare in un registro emotivo.

Quando ci confrontiamo con un interlocutore forte, il nostro compito è quello di imparare a portare la trattativa dal piano emotivo a quello razionale.

Tutte le tecniche negoziali che vedremo nelle prossime pagine hanno questo preciso scopo e ci permetteranno di ottenere il risultato sperato.

Analizziamo adesso due modelli per condurre trattative su di un piano emotivo: il modello di comportamento barbaro e la manipolazione. In cosa si differenziano?

1. Come difendersi da pressione e manipolazione nelle trattative

Ognuno di noi ha nell’anima una serie di corde, che reagiscono a determinate parole e azioni della controparte. Elenchiamone alcune, coscienti del fatto che è impossibile nominarle tutte. Queste sono quelle che ci interessano di più:

  1. Compassione
  2. Paura
  3. Avidità
  4. Sesso (seduzione)
  5. Senso del dovere
  6. Curiosità
  7. Amor proprio
Immagine senza descrizione

Come funziona la manipolazione? Il manipolatore pizzica ogni corda singolarmente. A quale scopo? Vuole fare in modo che la corda cominci a vibrare e suonare dentro di noi, fino a indurci a compiere un passo di cui il nostro “barbaro” o “manipolatore” possa approfittarsi.

Concetti e regole

La manipolazione consiste nel suonare lo strumento spirituale della controparte per fare in modo che questa compia una determinata azione che permetta al manipolatore di soddisfare i propri interessi.

 

In realtà ci sono varie definizioni del temine “manipolazione”, ma a mio avviso questa è quella che ne mette meglio in luce la natura. Nel libro di Robert Cialdini Le armi della persuasione è presente un’immagine molto efficace per capire tale dinamica: «click, whirr», che significa che ogni “segnale” comporta una “risposta automatica”1. Vale a dire che il manipolatore preme un pulsante e noi reagiamo a tale impulso in qualche modo.

Concetti e regole

Il principio di J.A. Garfield stabilisce che l’influenza esercitata sugli altri non è mai fine a se stessa. Qualsiasi macchinazione si metta in atto, è finalizzata a soddisfare i propri interessi, a prescindere dal fatto che alla base vi sia un desiderio o il bisogno di sicurezza.

 

Disegno seguito da didascalia

Toccare le corde dell’“amicizia” e del “senso del dovere”.

Spesso il manipolatore che sa pizzicare ad arte le corde della controparte riesce a fare in modo che quest’ultima agisca esattamente come sperato. Perfino i politici e i diplomatici più esperti talvolta cadono in trappole di questo tipo. Riporto di seguito un caso di manipolazione risalente a un centinaio di anni fa, di cui fu vittima l’imperatore tedesco Guglielmo II (l’esempio è tratto da una conferenza di Yuri Dubinin).

Esempi tratti dalla storia e dalla diplomazia

Nell’agosto del 1914 la Russia, il Regno Unito e la Francia erano in guerra contro la Germania, ma ancora non si sapeva da quale parte si sarebbe schierato il Giappone. L’ambasciatore giapponese andò in visita dal cancelliere tedesco per parlare di una legge vigente in Germania dal giorno dell’entrata in guerra, che proibiva di soddisfare qualunque contratto mercantile firmato da un paese straniero. Il Giappone aveva infatti in sospeso alcuni importanti ordini di armamenti in varie fabbriche tedesche, perciò l’ambasciatore chiese al cancelliere di mettere fine a quel molesto impedimento, poiché il suo paese si apprestava a entrare in guerra contro una grande potenza. L’espressione “grande potenza” fu accompagnata da un eloquente sorriso da parte dell’ambasciatore giapponese. Così la sua richiesta fu immediatamente soddisfatta, perché risultava evidente che di lì a poco il Giappone avrebbe attaccato la Russia.

Cosa successe in seguito? Qualche giorno dopo il Giappone presentò alla Germania un ultimatum in cui la intimava ad abbandonare seduta stante i territori che occupava in Cina. Guglielmo II andò su tutte le furie. In realtà l’ambasciatore gli aveva soltanto detto che il Giappone si apprestava a entrare in guerra “contro una grande potenza”. E la Germania non era forse una grande potenza?

 

Molto spesso a suonare le corde emotive sono imprenditori tutt’altro che onesti.

Esempi e situazioni

All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso esisteva un’azienda che offriva un servizio a pagamento per informare le coppie in dolce attesa del sesso del nascituro. Allora non si era ancora sviluppata la tecnica degli ultrasuoni ed erano in molti a voler sapere se sarebbe arrivato un maschietto o una femminuccia. Dopo aver fatto alcuni esami estremamente semplici, l’azienda comunicava al cliente il sesso del bambino. Nel frattempo, però, annotava nel proprio registro il risultato opposto a quello fornito verbalmente. In questo modo potevano verificarsi due opzioni. Se la “profezia” si avverava, i clienti non dicevano niente. Se invece si verificava un errore e il cliente si presentava a protestare, si prendeva il registro, si cercava al suo interno il cognome corrispondente e si faceva notare al malcapitato di turno che il pronostico annotato corrispondeva al sesso del neonato. Il procedimento era estremamente semplice: se il cliente veniva informato della nascita di una femmina, sul registro veniva scritto “maschio” e viceversa. Così facendo una delle due risposte, quella verbale o quella scritta, era di sicuro corretta.

 

Esercizi

Quali corde stavano pizzicando i manipolatori?

Trovate le risposte alla fine del libro.

 

Informazioni importanti, avvertimenti

Per non cadere nelle trappole dei manipolatori dobbiamo imparare a riconoscere il funzionamento delle corde emotive che ci suscitano reazioni negative.

 

Concetti e regole

Il “segnale” può essere costituito da una qualunque frase o azione del manipolatore, che provoca una “risposta automatica” in una o più corde contemporaneamente. A nostra volta noi reagiremo con un’azione che non solo ci danneggia, ma che addirittura agevola la controparte, ossia quello stesso interlocutore che sta pizzicando le nostre corde.

 

Bene, ormai il modello della manipolazione nelle trattative di tipo emotivo ci appare abbastanza chiaro. Cosa dobbiamo intendere allora per “modello barbaro di comportamento”? In cosa consiste la differenza tra il “barbaro” e il “manipolatore”?

In linea di principio con le loro azioni entrambi mirano a costringerci a fare qualcosa da cui trarre beneficio. Questo è il loro obiettivo. In realtà vogliono pizzicare le corde dell’anima della controparte, ricordate?

Torniamo ancora una volta al film Terapia d’urto, più nello specifico alla scena in cui un giovanotto viene provocato con insistenza durante un viaggio in aereo finché va su tutte le furie. Prima ha a che fare con un televisore dal volume altissimo, poi il suo posto viene occupato da qualcun altro, infine la hostess si rifiuta di servirlo. A coronare la situazione appare un ragazzo afroamericano che si mette a provocarlo con ancora più impeto. Il tutto si conclude con il giovane che perde le staffe, con le emozioni fuori controllo, e finisce per ricevere una scossa elettrica. In seguito sarà addirittura condannato per comportamento violento a bordo di un aereo. In realtà la sua era proprio la reazione a cui miravano tutte le azioni dei provocatori. E ci sono riusciti.

Guardate questa scena del film e chiedetevi quale corda abbia toccato ciascun provocatore. Senz’altro le individuerete subito: uno ha pizzicato la corda del senso del dovere, un altro quella della curiosità, un alto ancora l’amor proprio e così via…

In cosa si distinguono quindi il “barbaro” e il “manipolatore”?

Il “barbaro”, a differenza del “manipolatore”, non si limita a pizzicare una sola corda, bensì prende un bastone e colpisce molte corde in un colpo solo.

Esempi e situazioni

Quando intrapresi la carriera di responsabile di un ufficio commerciale ero abbastanza giovane e pieno di ambizioni e avevo alle mie dipendenze molti ragazzi altrettanto ambiziosi. Il mio capo era un uomo potente ormai in là con gli anni. Ogni mese, quando arrivava il momento dei rendiconti, mi faceva chiamare nel suo ufficio e mi chiedeva informazioni circa i risultati di quel periodo. Io gli presentavo la documentazione con grande entusiasmo, dato che gli indici erano sempre in linea con le previsioni e talvolta le superavano anche. Lui mi ascoltava in silenzio e alla fine mi diceva: «Ti senti una star, non è vero? Vieni qui e mi dici di aver raggiunto risultati oltre le aspettative, pavoneggiandoti come se fossi un eroe. Potrei licenziarti su due piedi e ne troverei a dozzine di gente come te».

 

Ecco qui un tipico esempio di comportamento “barbaro”, poiché sono state pizzicate molte corde contemporaneamente. Provate da soli a capire quali. In realtà sono state toccate praticamente tutte. Ma chiedetevi una cosa: a quale scopo? Qual era la reazione che voleva farmi avere il mio capo?

L’obiettivo principale era quello di sottopormi al “segnale” e alla “risposta automatica”, affinché corressi a compiere una qualunque azione che si rivelasse vantaggiosa per lui pur andando contro i miei stessi interessi.

In definitiva voleva fare in modo che io raggiungessi uno stadio di tensione massima che mi incoraggiasse a lavorare ancora di più presentandogli dati di vendita sempre più alti. Io, che ero giustamente più che soddisfatto dei miei risultati, ero andato da lui per difendere i miei interessi (più ferie, più tempo libero, ecc.), mentre lui voleva che lavorassi ancora di più.

È proprio così che agisce un “barbaro”. Il manipolatore invece si comporta in maniera leggermente differente. Possiamo dire che è più sofisticato.

Cosa fa il manipolatore? Pizzica una sola corda alla volta, dolcemente. Vediamo come.

Esempi e situazioni

Arrivo nella città di Arcangelo, dove devo condurre delle trattative con una grande catena. All’improvviso si presenta alla riunione un giovane ben vestito, con un orologio costoso al polso. Si siede e senza nemmeno guardarmi chiede: «Mi dica una cosa, per favore. Siete disposti a lavorare con noi con pagamenti a novanta giorni?».

Mi è subito chiaro che si tratta di una condizione che va contro i miei interessi.

«No, non siamo disposti.»

«Perché?»

«Perché il consiglio dei soci fondatori ha stabilito che non lavoriamo con clienti che paghino a novanta giorni».

«Mi dice qual è il suo ruolo in azienda?»

«Sono il direttore generale.»

«E mi vuole far credere che il direttore generale non può prendere una decisione su una questione tanto semplice?»

 

Questo sì che è un esempio di manipolazione sofisticata. Quale corda è stata toccata? Quella dell’“amor proprio”. In casi del genere la reazione non tarda ad arrivare e ci si lascia sovrastare dalle emozioni. Ciò che non cambia però è l’obiettivo: fare in modo che io faccia quello che fa comodo a lui. In questo caso concreto voleva che io accettassi condizioni convenienti per lui ma non per me.

Se inquadriamo tale situazione guardandola dalla prospettiva del bilancio della negoziazione, vedremo che tanto il comportamento del “barbaro” quanto quello del manipolatore ne comportano un incremento immediato. Sappiamo ormai molto bene che, non appena in una trattativa entrano in gioco le emozioni, il bilancio della stessa cresce. Senza contare che la presenza di un’alta componente emotiva ci rende maggiormente propensi a fare concessioni che non avevamo previsto e che mai ci sarebbero venute in mente.

Tenete a mente il terzo postulato che ho descritto nella prima parte, quando vi ho presentato la scala di valori. Quando si toccano le corde, la controparte passa al piano emotivo. E il “barbaro” fa in modo che ciò avvenga.

Ripassiamo di nuovo le corde presenti in ciascuno di noi, sebbene non suonino per tutti allo stesso modo.

  1. Compassione
  2. Paura
  3. Avidità
  4. Sesso (seduzione)
  5. Senso del dovere
  6. Curiosità
  7. Amor proprio

Adesso, prima di passare oltre, provate a distinguere qual è la corda che “risuona” maggiormente dentro di voi. Per individuarla, realizzate il seguente esercizio:

Esercizi
  1. Ricordate una frase degli ultimi giorni o delle ultime ore che vi ha suscitato una reazione di rabbia oppure del tutto indesiderata. Quello è il grilletto, ossia ciò che ha fatto in modo che le vostre corde vibrassero. Annotate tale frase nella colonna a sinistra della seguente tabella che preparerete sul vostro quaderno o sul computer.
  2. Nella colonna di destra scrivete invece la corda (o le corde) che è stata toccata.

 

Disegno seguito da didascalia

Vi consiglio di ripetere questo esercizio per almeno sette giorni di fila. Così facendo sarete in grado di riconoscere chiaramente le vostre corde e il modo in cui risuonano.

2. Tre passaggi importanti per controllare le emozioni

Adesso, cari lettori, quando il manipolatore o il “barbaro” verranno a pizzicare le vostre corde, tirandole o stuzzicandole, vi renderete subito conto che si tratta di un attacco alla vostra pace interiore. E sarete già debitamente armati e pronti a comportarvi di conseguenza. Come dovete agire?

Innanzitutto dovete prendervi il vostro tempo. Senza mai avere fretta.

Eppure molti metodi di gestione della manipolazione dei “barbari” sostengono che sia necessario agire velocemente e rispondere in modo chiaro. Ma la realtà è che una risposta rapida e diretta può portare a un interessante gioco che potremmo chiamare il “ping pong delle trattative”, vale a dire una situazione in cui vi darete reciprocamente stoccate verbali senza tregua. Ma il nostro compito principale in qualità di negoziatori in cerca di un risultato e pronti a ottenerlo consiste nel riportare le trattative dal piano emotivo a quello razionale. E per fare ciò occorre gestire le proprie emozioni e tenerle a bada. Solo in seguito potrete ricorrere alle tecniche che esamineremo insieme.

La prima cosa da fare è schivare il colpo emotivo.

Un colpo è un brusco cambiamento dell’idea che ci facciamo del ritratto del mondo. Vladimir Tarasov2 ha spiegato nel dettaglio nei propri libri il concetto di “ritratto del mondo”: si tratta di uno schema di differenti labirinti lungo i quali può trascorrere l’esistenza. Può includere le strade che prendiamo nella vita e il modo in cui percepiamo il nostro percorso: il bene e il male, l’etico e l’immorale, ciò che è costoso e ciò che è economico e così via. Ciascuno di noi si fa un ritratto del mondo distinto, così come diversa è la rotta tracciata lungo il labirinto, nel quale ci sono strade aperte o senza uscita. Vederle in un modo o in un altro dipende dalla nostra percezione delle conseguenze delle nostre stesse azioni, parole e decisioni.

Spesso il nostro ritratto del mondo si rivela inadeguato, poiché abbiamo tracciato male la rotta da seguire e lungo il tragitto ci siamo imbattuti in qualcosa di inatteso. È proprio questo il momento in cui riceviamo i colpi.

Questi possono essere assestati in vari modi. Per esempio tramite una domanda o una risposta precisa che non ci aspettavamo e che di conseguenza modifica il nostro ritratto del mondo, colpendo le nostre corde interiori.

Esempi e situazioni

Il vicedirettore di un’importante azienda si reca per l’ennesima volta nell’ufficio di un funzionario con il proposito di farsi firmare un documento necessario per avviare la costruzione di un nuovo negozio. Tutte le formalità vengono espletate adeguatamente e il vicedirettore porta con sé anche una raccolta di firme degli abitanti degli immobili adiacenti all’edificio previsto. Eppure ciò che riceve è un duro colpo: «Vi conosco, voi furfanti! Avrete di certo passato la notte a falsificare le firme per riempirvi le tasche».

«Non abbiamo falsificato un bel niente.»

«Allora guardi qua e mi dica che cosa ne pensa di questa lamentela che mi hanno presentato i vicini che non sono d’accordo.»

 

Analizziamo la natura di questo colpo e il motivo per cui è riuscito a disarmare il vicedirettore dell’azienda.

L’uomo si era fatto il seguente schema mentale del proprio movimento lungo il labirinto: ho le firme e tutti i documenti in regola, quindi arrivo, mostro le carte e anche se il funzionario mi dovesse mettere i bastoni tra le ruote, cosa che probabilmente succederà, finirà per firmare l’autorizzazione perché ho l’appoggio della maggioranza. Questo è il ritratto del mondo che aveva delineato.

Però il funzionario lo ha fatto inciampare con un imprevisto e gli ha assestato un primo colpo pizzicando le corde dell’amor proprio e della paura. Il vicedirettore non è riuscito a schivare il colpo e ha preso a giustificarsi, il che lo ha portato a ricevere un secondo colpo.

Il funzionario, che sapeva di poter contare su un vantaggio (l’informazione), ha percepito la debolezza del suo interlocutore e ha sferrato il colpo. Non appena incassiamo il primo colpo, la controparte ci attaccherà con una serie di mosse precise, in linea con la regola di Sun Tzu che dice: «Il nemico mira al vuoto».

Esempi tratti dalla storia e dalla diplomazia

Dalle memorie di Andrej Andreevicˇ Gromyko

Nel 1955 a Ginevra si tenne un vertice dei capi di Stato di Unione Sovietica, Stati Uniti, Regno Unito e Francia.

I capi delle ultime tre delegazioni sostenevano ardentemente che il blocco militare della NATO fosse un fattore che avrebbe contribuito alla pace, soprattutto in Europa. Parallelamente difendevano il loro piano a favore della Repubblica Democratica Tedesca, che consisteva nell’assorbimento di quest’ultima da parte della Repubblica Federale Tedesca occidentale, di cui appoggiavano la politica di rimilitarizzazione in quanto parte della loro politica di pace. Inoltre gli stessi tre paesi espressero numerose accuse infondate e piene di falsità contro l’URSS e le democrazie popolari, che si erano invece attenute scrupolosamente alle politiche di pace e non belligeranza, dichiarandosi a favore di una costruzione dei rapporti fra i governi di Occidente e Oriente sulla base dei principi di convivenza pacifica.

Nel tentativo di scardinare la falsa teoria dei reggenti di questi tre paesi, secondo la quale i paesi occidentali avrebbero perseguito la pace mentre la politica dell’Unione Sovietica l’avrebbe ostacolata, la delegazione sovietica, composta da N.S. Chrušcˇev, N.A. Bulganin, V.M. Molotov, G.K. Žukov e il sottoscritto (A.A. Gromyko) dichiarò la disponibilità dell’URSS a entrare nella NATO. A sostegno della nostra proposta adducemmo un’argomentazione inoppugnabile: se, come affermavano, il blocco della NATO fosse stato orientato alla pace, i suoi membri non avrebbero potuto opporsi all’ingresso dell’URSS.

È difficile rendere a parole la reazione che tale proposta, espressa dal presidente del Consiglio dei ministri dell’Unione Sovietica Bulganin, suscitò nei nostri interlocutori occidentali. Rimasero così sbalorditi che, come abbiamo scherzosamente commentato in seguito, sembrava quasi che i personaggi degli affreschi sul soffitto della sala in cui eravamo riuniti avessero cominciato a ballare davanti ai loro occhi.

Di fronte a tale osservazione, le delegazioni occidentali restarono a lungo in silenzio. Eisenhower si stirò il collo, che sembrava più lungo che mai, e si sporse verso Dulles per discutere con lui la questione. Il suo consueto sorriso, lo stesso con cui abbagliava gli elettori e vinceva le elezioni, si volatilizzò. La cosa certa è che né allora né in seguito ricevemmo una risposta a tale proposta fatta a Ginevra. A quanto pare la insabbiarono.

 

Un’adeguata preparazione della trattativa è la migliore profilassi esistente per la prevenzione dei colpi, ma di questo parleremo meglio più avanti, nel settimo capitolo. Ciò che ci interessa in questo momento è imparare a schivare i colpi.

Esiste un metodo che si rivela molto efficace: fare delle pause. Evitare di rispondere troppo in fretta e di andare così bruscamente incontro al colpo successivo. Dobbiamo fare una pausa e attendere che le corde cessino di vibrare. Soltanto allora potremo riprendere la negoziazione.

Concetti e regole

La pausa è uno strumento efficace che aiuta a tornare in sé, a gestire le proprie emozioni e a prendere l’iniziativa. Il silenzio è un elemento comunicativo di cui sono in pochi ad avere padronanza. Ancora meno sono coloro che sanno utilizzarlo in modo cosciente ed efficace.

Karsten Bredemeier

 

Aneddoti e curiosità

Il figlio quindicenne di una famiglia inglese non aveva detto una sola parola in tutta la vita. Finché un giorno, a colazione, improvvisamente esclamò: «Questo pane è bruciato».

«Perché finora non hai mai parlato?» chiesero meravigliati i genitori.

«Perché fino a questo momento andava tutto bene.»

 

È molto meglio fare una pausa, per quanto sgradevole, che dare una risposta dettata dalle emozioni e ingaggiare così una lite che finirà per lasciarvi a mani vuote o peggio ancora con grandi perdite.

Come fare una pausa durante una trattativa

1. Spostare l’attenzione su un aspetto ordinario. Siamo persone: a tutti può entrare in qualsiasi momento qualcosa in un occhio o capitare di doversi schiarire la gola. Ci sono molte frasi per niente originali che si rivelano tuttavia utili per fare una pausa nel corso di una negoziazione:

«Mi è entrato qualcosa nell’occhio»;

«Devo prendere una medicina»;

«Ho la gola secca» (e chiedere dell’acqua).

2. Uscire fisicamente dallo spazio di negoziazione con un pretesto plausibile. Quando il colpo ricevuto è stato molto forte, il negoziatore resta solitamente pietrificato, immobile come una statua. In questi casi è molto importante cambiare posizione in maniera radicale, per esempio alzandosi in piedi, facendo qualche passo o sistemando dei fogli in una cartellina. Nel caso della situazione in cui mi sono imbattuto a Murmansk di cui vi ho parlato in precedenza, mi è stato di aiuto uscire dalla stanza in cui ci trovavamo: mi sono scusato fingendo di avere ricevuto una telefonata e ne ho approfittato per camminare un po’ e allentare la tensione.

In un’altra occasione partecipai a una trattativa che si svolgeva presso una grande catena, in cui il fornitore, dopo avere incassato un duro colpo da parte dell’acquirente, rovesciò una tazza di caffè sul tavolo. In quel caso la pausa che si videro obbligati a fare gli offrì la possibilità di uscire da quella difficile situazione.

Forse rovesciare un tazza è un po’ eccessivo, ma si può sempre ricorrere a una scusa più ordinaria:

«Chiedo scusa, devo andare a prendere dei documenti in ufficio»;

«Scusi, devo rispondere subito a una telefonata/un messaggio» (senza dubbio in casi del genere è facile evitare che l’interlocutore pensi male di noi se si tratta di una chiamata o di un messaggio che nemmeno lui avrebbe ignorato, per esempio una telefonata da parte di un figlio, di una figlia o dei vostri genitori; in questo caso si tratta di un pretesto molto plausibile);

«Mi scusi, devo uscire un attimo» (vi ricordate quando a scuola chiedevamo il permesso per allontanarci dalla classe?).

3. Un’uscita filosofica. Fare una domanda retorica o pronunciare una frase astratta:

Potremo riprendere la negoziazione soltanto quando la pausa ci avrà permesso di calmare il nostro stato emotivo.

I due capitoli che seguono sono interamente dedicati al modo in cui rispondere agli attacchi. Tuttavia, nessuna delle tecniche proposte funzionerà se non seguirete l’adeguata sequenza di reazione:

  1. Riconoscere l’attacco.
  2. Schivare l’attacco.
  3. Rispondere all’attacco.
Disegno seguito da didascalia

Tre passaggi per rispondere a un attacco manipolatorio.

 

1 - Robert B. Cialdini, Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, traduzione di Gabriele Noferi, Giunti, pp. 13-14.

2 - Il sociologo Vladimir Tarasov (1942) è fondatore e direttore della Scuola di Tallinn, prima business school dell’Unione Sovietica, inaugurata nel 1984. Riferimento assoluto in materia di gestione e formazione aziendale in Russia, Tarasov è autore di libri basilari in questo settore, che hanno formato generazioni di imprenditori russi.