Capitolo 7
Come costruire la road map di una trattativa

Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa
a quale porto vuole approdare.

Lucio Anneo Seneca

Voi lettori attenti, sfogliando le pagine di questo libro, vi sarete già accorti che la parola “preparazione” è una costante di ogni mia raccomandazione relativa alla conduzione di una trattativa. È opinione diffusa, che sottoscrivo in pieno, che il 70% del successo di una negoziazione dipenda proprio dalla preparazione. Possiamo dominare molte tecniche per respingere i colpi, ma è sempre meglio essere in grado di evitarli in anticipo.

Esistono diversi metodi per preparare una trattativa e nei miei diciotto anni di attività in questo campo ho studiato un’enorme quantità di libri in proposito, analizzando innumerevoli tecniche e componendo una ricca biblioteca che spazia da libri di divulgazione molto celebri a volumi specialistici sulla diplomazia, sui servizi segreti, ecc.

Sarei ovviamente felice di condividere con voi un elenco bibliografico utile, così come del materiale video. Per farlo basterà scrivermi all’indirizzo igor@ryzov.ru, specificando nell’oggetto “Una chiave per il successo”. Inoltre, in questi lunghi anni di carriera ho sviluppato una metodologia costruita a partire da libri, articoli, tesi di laurea, programmi televisivi e film che ho consultato. Ed è la metodologia che vi propongo di seguito.

Il metodo di preparazione che voglio presentarvi non ha come obiettivo la costruzione di un copione della trattativa. Si basa più che altro sulla capacità di definire una road map, termine ultimamente molto di moda.

La principale differenza fra un copione e una road map consiste nel fatto che per quanto un negoziatore possa lavorare al proprio copione della trattativa, per quanti eventuali scenari possa ipotizzare, alla fine il suo copione non coinciderà mai con quello che ha in mente l’interlocutore e tale divergenza provocherà un comportamento aggressivo da entrambe le parti. Ogni negoziatore cercherà di far prevalere il proprio copione e il confronto sarà pertanto inevitabile.

La road map, invece, segna un punto di partenza e un punto d’arrivo, che si può raggiungere passando per varie strade, fra cui l’accettazione del copione della controparte. Se abbiamo una road map, possiamo valutare in qualsiasi momento il punto in cui ci troviamo, cosa sta succedendo e quale sarà il passo successivo da compiere.

Ricordo che una trattativa non si può vincere né perdere: si può solo determinare dove ci si trova e quale sarà la prossima mossa.

Poter contare su di una road map ci permette anche di essere pronti a ricevere un rifiuto da parte dell’interlocutore e di valutare realisticamente se stiamo percorrendo la strada giusta e nella migliore direzione. Se necessario, possiamo perfino cambiare itinerario o modificare il punto d’arrivo, il che ci permette di essere flessibili pur non lasciandoci schiacciare.

La road map prende in considerazione tanto la tattica quanto la strategia del processo di trattativa. Per questo, prima di passare a parlare dell’algoritmo per la costruzione della road map, vorrei chiarire i concetti di strategia e tattica.

1. Che cos’è che dirige il corso di una trattativa? I ruoli della strategia e della tattica

Per capire meglio la questione della strategia e della tattica nelle trattative, soffermiamoci a questo esempio risalente al 1905, che riprendo da una conferenza di Y.V. Dubinin.

Esempi tratti dalla storia e dalla diplomazia

Erano in corso delle trattative fra Russia e Giappone, durante le quali la prima era rappresentata dal capo di governo Sergej Jul’evicˇ Vitte, mentre la delegazione giapponese era capeggiata dal ministro degli Affari Esteri Komura. A un certo punto dell’incontro il negoziatore giapponese perse le staffe e si rivolse al proprio omologo russo con toni molto aspri: «Lei si comporta come se la guerra l’avesse persa il Giappone e non la Russia». In effetti Komura sembrava avere più di un motivo per essere nervoso. La Russia, infatti, aveva incassato una sconfitta schiacciante in quella guerra, sia per terra sia per mare, e ormai in Estremo Oriente non aveva più né esercito né flotta. La Siberia era indifesa. Tuttavia non solo Vitte rifiutò ogni richiesta dei giapponesi, ma pretendeva anche di imporre le proprie condizioni. Il suo era un comportamento tanto provocatorio da incrinare perfino il proverbiale autocontrollo giapponese.

 

Andiamo un po’ avanti nel tempo e ricordiamo come si conclusero quelle trattative. Alla fine il Giappone dovette rinunciare a molte delle proprie rivendicazioni e si vide addirittura costretto a ritirarsi dalla zona settentrionale dell’isola di Sachalin, che aveva occupato.

Di quale espediente si servì Vitte? La capacità di attenersi alla propria strategia e di ricorrere a una tattica corretta nel corso del processo di trattativa. Non a caso tale abilità gli valse il titolo di conte. Komura invece dovette affrontare il fallimento della delegazione nipponica dando le dimissioni, perché i risultati delle trattative, racchiusi nel trattato di pace di Portsmouth, furono considerati dall’opinione pubblica giapponese una grande umiliazione e suscitarono violenti disordini a Tokyo.

Quale fu dunque l’espediente di cui si servì Vitte per assicurarsi il successo? Come fece a uscire vincitore da quella negoziazione pur avendo ogni elemento a sfavore (la Russia aveva evidentemente perso la guerra, le trattative si erano svolte negli Stati Uniti e il presidente Roosevelt per tutta la durata della trattativa aveva tentato di sostenere il Giappone in ogni modo)? Nelle proprie memorie il capo del governo russo condivide con i lettori il suo ricordo di quegli avvenimenti.

Prima di avviare le trattative Vitte aveva elaborato una tattica. Esaminiamola.

La prima cosa da fare era non dimostrare in alcun modo che alla Russia interessasse la pace. Doveva comportarsi in modo tale da dare l’impressione che se lo zar aveva accettato le trattative proposte dagli Stati Uniti era perché prendeva in considerazione il desiderio comune a molti paesi di porre fine alla guerra. Ma nel frattempo avrebbe dovuto mostrare che per la Russia la pace era indifferente. Conoscete già questa tecnica, perché l’abbiamo vista nel capitolo 3: “approfittarsi dell’indifferenza”.

La seconda cosa da fare era comportarsi come si addiceva a un rappresentante della Russia, ossia di un grande impero che era incappato in un piccolo inconveniente. Il fatto che all’epoca la Russia fosse uno dei maggiori imperi al mondo era così evidente che gli stessi giapponesi si vantarono a lungo di aver avuto la meglio contro una superpotenza, il che li incoraggiò a entrare in guerra con un’altra superpotenza, l’Unione Sovietica, trentacinque anni dopo. Vi segnalo di sfuggita che siete già a conoscenza anche di questa tecnica: l’“anfitrione”.

Come terzo punto, avendo ben chiaro il peso del ruolo della stampa negli Stati Uniti, Vitte decise di comportarsi con i giornalisti con cautela e vicinanza allo stesso tempo, in modo tale da ingraziarsene il favore. Inoltre, su questa stessa linea di condotta, stabilì di mostrarsi il più disponibile possibile nei confronti della popolazione statunitense, che tanto apprezza da parte dei politici un atteggiamento affabile. Inoltre, ben conoscendo la significativa influenza degli ebrei a New York, soprattutto all’interno della stampa americana, evitò di manifestare qualsiasi tipo di avversione nei loro confronti, il che senz’altro, secondo quanto scrive Vitte nelle proprie memorie, ben si addiceva alla sua visione della questione ebraica.

Tutto ciò permise di fare in modo che la strategia, cioè difendere come meglio poteva gli interessi della Russia nelle trattative di pace, fosse sostenuta dalle tattiche impiegate che, se usate con abilità, gli avrebbero permesso di condurre in porto la negoziazione con successo.

Leggiamo questo ampio frammento delle memorie di Vitte per conoscere lo sviluppo degli eventi.

Mentre la nave che ci portava a New York si stava avvicinando alla costa, fummo raggiunti da alcune piccole imbarcazioni piene di giornalisti americani, che salirono a bordo della nostra. Senza esitare, manifestai subito la mia gioia di trovarmi in un paese che si era sempre dimostrato amichevole nei confronti della Russia e mi mostrai particolarmente contento nel salutarne i giornalisti, poiché sapevo che in America avevano un ruolo molto rilevante. Da quel momento fino a quando lasciai l’America fui sempre sotto l’occhio vigile della stampa, che non mi mollava un attimo!

Non so se sia stato un caso o meno, ma a Portsmouth, dove ebbe luogo il negoziato, mi fecero alloggiare in due piccole stanze, una delle quali aveva una finestra posizionata in modo tale che si poteva vedere tutto quello che facevo.

Dal giorno del mio arrivo e per tutto il tempo in cui rimasi in America, i curiosi non fecero altro che scattarmi foto con le loro Kodak. Mi si avvicinava gente continuamente, soprattutto donne, chiedendomi di fermarmi un attimo per fare una fotografia insieme. Non c’era giorno in cui non mi arrivassero innumerevoli richieste di autografo da tutti gli angoli dell’America o in cui non mi fermassero per strada, anche in questo caso soprattutto signore, per chiedermi di firmare un pezzetto di carta. Io esaudivo tutte quelle richieste nel modo più cortese possibile, così come dedicavo la massima attenzione agli inviati dei giornali. Questo genere di comportamento trasmise un’immagine di me che mi fece guadagnare i favori tanto della stampa americana quanto dell’opinione pubblica in generale.

Quando mi portavano da qualche parte per mezzo di un treno speciale, una volta arrivato a destinazione andavo persino dal macchinista a stringergli la mano in segno di ringraziamento. La prima volta che lo feci i presenti rimasero così sbalorditi che il giorno seguente tutti i giornali si prodigavano in elogi nei miei confronti. A giudicare dalla condotta dei nostri ambasciatori e degli alti funzionari (non solo russi, bensì stranieri in generale), gli statunitensi si erano abituati a vedere in questi diplomatici, dai quali mi escludo, degli europei arroganti. Ma all’improvviso era arrivato l’ambasciatore straordinario e plenipotenziario del sovrano russo, il presidente del Consiglio dei ministri, ex ministro delle Finanze nonché segretario di Stato di Sua Altezza, che si rivelava più gentile e disponibile dello stesso Roosevelt, che tanto vantaggio traeva dal proprio atteggiamento democratico caratterizzato da umiltà.

Non ho il minimo dubbio sul fatto che tale modo di fare, che senz’altro mi risultava estremamente faticoso perché mi obbligava a recitare tutto il giorno una parte per niente affine al mio carattere, ebbe una grande influenza sul fatto che la società e i giornalisti americani mostrassero una sempre maggiore simpatia nei confronti dell’ambasciatore russo e dei suoi collaboratori. Tale processo apparve evidente soprattutto sui giornali.

Nel telegramma che il presidente Roosevelt inviò al Giappone alla fine delle trattative si percepisce chiaramente che era convinto che non sarei stato disposto ad accettare le loro richieste, fra cui quella di pagare un contributo di guerra. In quel telegramma Roosevelt constatava che a mano a mano che procedevano i negoziati i russi si guadagnavano l’opinione pubblica statunitense e lui, in quanto presidente, si vedeva obbligato a informarli che se i negoziati di Portsmouth si fossero conclusi in un niente di fatto, il Giappone non avrebbe più potuto contare sul sostegno di cui in precedenza aveva potuto godere in America.

Per quanto riguarda i giapponesi, stando al resoconto di Vitte, si rivelarono i suoi migliori alleati nel fare in modo che le simpatie dell’opinione pubblica americana andassero a sostegno della Russia: «Anche se non si comportavano in modo arrogante come i diplomatici europei, cosa che di certo risultava loro difficile a causa dell’aspetto fisico, il loro carattere introverso e solitario generava nell’americano medio un effetto altrettanto repulsivo».

Come è finita? È andata che il presidente Roosevelt «spaventato dalla prospettiva che il risultato degli accordi finisse per mettere la popolazione americana contro la sua persona e i giapponesi», inviò un telegramma all’imperatore giapponese, consigliandogli di accettare le proposte del rappresentante russo, cosa che poi il monarca fece.

Come si può notare dai frammenti citati, Vitte dimostrò l’efficacia di uno stile qualitativamente nuovo di negoziazione, che si fonda sul riconoscimento dell’influenza dell’opinione pubblica. Tale elemento ha giocato un ruolo decisivo nel suo successo, dimostrando che per uno Stato l’arte della negoziazione (diplomatica) è importante quanto l’arte della guerra. E che talvolta un diplomatico esperto vale quanto un grande stratega militare.

Che cosa sono dunque tattica e strategia in una trattativa? La strategia è costituita dalle risposte alla domanda “cosa fare?”, mentre la tattica dalle risposte alla domanda “come farlo?”. È molto importante conoscere queste risposte quando si entra in un processo di negoziazione.

Ma non è tutto. Come ha giustamente notato Igor Mann, oltre a sapere come fare qualcosa, è necessario farlo. Per la mentalità occidentale la tattica è unicamente al servizio della strategia. Per i russi, invece, strategia e tattica sono due sorelle che devono avanzare tenendosi per mano.

2. Come delineare una road map e cosa serve per farlo

Prima di avviare una trattativa bisogna porsi sette domande chiave. Quando si avranno tutte le risposte, si potrà dire di poter contare su una road map precisa e di facile consultazione. Alcune di queste domande hanno a che vedere con la strategia, mentre altre riguardano la tattica.

Vi avverto subito: bisogna rispondere a queste domande seguendo un ordine preciso. Tendiamo di solito a saltare alcuni passaggi, ma in questo caso vi consiglio di non farlo, perché se non darete una risposta a qualche domanda o risponderete in modo impreciso, la vostra road map sarà difettosa e di conseguenza rischierete di perdervi.

L’algoritmo da seguire per districarsi in questa serie di domande è molto semplice: passare alla domanda successiva solo quando si conosce bene la risposta alla precedente e si è capaci di esporla con chiarezza.

Voglio richiamare ancora una volta la vostra attenzione su di un aspetto: il principio di Napoleone, «intanto avanziamo e poi si vedrà», non funziona nelle negoziazioni. Il motivo è semplice: non funziona perché se ci si avvia a uno scontro in quest’ottica, si corre il rischio di perdere di vista i propri interessi. Meglio invece agire secondo il principio di Sun Tzu: «Il comandante avanza lentamente, perché intravede la vittoria ad attenderlo». Oppure, per dirla alla maniera russa: «Prima misura sette volte e poi taglia una volta sola». Ecco perché le domande sono proprio sette: le magnifiche sette.

Disegno seguito da didascalia

Sette domande chiave per prepararsi.

Domanda n° 1: Su che cosa posso contare all’inizio del cammino?

Questa domanda non è così ingenua come può sembrare a prima vista. Nella maggior parte dei casi uno è completamente sicuro, se non altro, di sapere dove si trova. Anche quando ci si perde in un bosco, si sa di quale bosco si tratta, in quale stazione dei treni regionali si è scesi per addentrarci tra gli alberi a cercare funghi, quanti giri si sono fatti per arrivare dove ci si trova e, infine, dove sono il nord e il sud. Tuttavia, quando ci perdiamo, sperimentiamo la difficoltà di tracciare l’itinerario da seguire a partire da quel determinato punto.

Quando avviate una trattativa, vi immettete in un cammino da percorrere dall’inizio alla fine, facendo in modo di raccogliere tutti i funghi di cui siete in cerca. Non basta conoscere l’itinerario per evitare di perdersi. Bisogna avere un’idea ben precisa del punto in cui comincia il sentiero.

Nell’alpinismo, per esempio, è una questione cruciale: per conquistare una vetta bisogna stabilire il punto di partenza da cui si svilupperà il resto dell’arrampicata. Gli alpinisti esperti sono ben coscienti che dalla scelta di quel punto dipende l’esito della missione.

«Mi potrebbe dire, per favore, che strada devo prendere per uscire di qui?»

«Dipende in buona parte da dove lei vuole andare» rispose il Gatto.

«Qua o là, non ha grande importanza per me…»

«E allora, non ha importanza per lei prendere una strada o l’altra.»

«… purché arrivi in qualche posto» soggiunse Alice a modo di spiegazione.

«Oh, in quanto a questo, può essere sicura di riuscire: non ha che da cominciare.»1

Se concepiamo la negoziazione come una locomotiva, dobbiamo pensare che affinché arrivi a una qualche destinazione dovrà essere messa in moto a partire da un determinato punto di partenza. E più chiara sarà la visione che il macchinista, ossia il negoziatore, avrà di tale punto di partenza, maggiori opportunità avrà di definire un itinerario preciso e sicuro.

Immagine senza descrizione

È molto importante capire bene qual è il punto da cui partiamo. Tanto più avremo un’idea chiara su questo aspetto, maggiore sarà anche la probabilità di arrivare al punto che ci proponiamo di raggiungere.

Poniamo che una persona voglia assolutamente arricchirsi e non pensi ad altro. Supponiamo anche che abbia cominciato a fare qualche passo in questa direzione (per esempio, frequentare un casinò). Questa persona starebbe commettendo un errore gravissimo. Come prima cosa dovrebbe individuare il punto di partenza, contare il denaro che possiede e l’ammontare dei debiti: insomma, fare un bilancio iniziale. Ciò lo aiuterebbe a stabilire il grado di rischio che è disposto a correre per raggiungere il proprio obiettivo.

Anche nelle trattative il punto di partenza è cruciale. È importante conoscere la posizione iniziale, il punto di partenza nel processo di trattativa, e costruire un pronostico adeguato del risultato della trattativa (di questo abbiamo già parlato nel terzo paragrafo del capitolo 1).

Per rispondere alla domanda “Su che cosa posso contare all’inizio del cammino?” bisogna possedere una visione abbastanza ampia e adeguata della situazione. In altre parole, è importante capire che una delle principali funzioni del negoziatore consiste nel raccogliere informazioni e analizzarle.

Oggigiorno il mondo è invaso da un grande flusso di informazioni, in cui bisogna sapersi orientare. Per questo è fondamentale distinguere le opinioni dai fatti e raccogliere dati significativi che possano in qualche modo influire sull’andamento del processo di trattativa, oltre a individuare quei fatti che, sebbene a prima vista poco rilevanti, finiscono per giocare un ruolo decisivo nel processo di trattativa proprio a causa della nostra stessa incapacità di scoprirli per tempo.

L’informazione che resta ben impressa in mente e svolge una funzione determinante nella trattativa non è solita arrivare da sola nelle mani di chi la sta cercando, come ci dimostra la storia della diplomazia. Per questo è molto imparare a ricavare tale informazione dalle conversazioni mantenute con persone vicine alla fonte della stessa.

Già il celebre stratega cinese Sun Tzu più di duemila anni fa ha scritto: «Non c’è niente di più prezioso che fare un ritratto chiaro di quanto accade». È indiscutibile il fatto che chi possiede l’informazione ha in pugno la situazione. Ecco perché raccogliere informazioni, trarre le opportune conclusioni e tracciare un quadro adeguato della situazione per definire le azioni future sono passaggi fondamentali del processo di trattativa. Un buon lavoro di raccolta e analisi delle informazioni può fornire molte chiavi utili per la negoziazione, favorendone la riuscita.

Esempi tratti dalla storia e dalla diplomazia

Nel 1940 il giovane diplomatico sovietico Sergej Aleksandrovicˇ Vinogradov fu nominato consigliere dell’ambasciata dell’Unione Sovietica in Turchia, il secondo incarico nella gerarchia dopo quello di ambasciatore. Poco dopo fu nominato incaricato d’affari ad Ankara per poi diventare ambasciatore. All’epoca aveva trentatré anni.

Il posto di ambasciatore in Turchia era considerato allora, così come del resto anche oggi, molto importante. Ma la sua importanza crebbe ancora di più dopo che la Germania nazista decise di attaccare l’Unione Sovietica. La Turchia non partecipava alla guerra, ma nel suo territorio, insieme alle ambasciate dei paesi alleati, c’era anche una legazione tedesca. E tutti avevano ben chiaro che dalla posizione che avrebbe preso un paese così strategico come la Turchia dipendevano molte cose. La possibilità che si schierasse con la Germania costituiva agli occhi dell’URSS un grande pericolo. Dato che le intenzioni della Turchia restavano un mistero, l’Unione Sovietica teneva un buon numero di truppe pronte sul confine turco.

L’aneddoto che voglio raccontarvi accadde nell’autunno del 1942. Lo scontro tra russi e tedeschi sul fronte della battaglia aveva raggiunto la massima tensione. L’attenzione di tutto il mondo era puntata su Stalingrado, dove era in corso una battaglia il cui esito avrebbe avuto grandi ripercussioni non solo sui futuri sviluppi della Grande Guerra Patriottica, ma anche su quelli del conflitto mondiale. Intanto, a sud, i carri armati di Hitler cercavano di aprirsi un varco per arrivare a Baku, per poi permettere alla Germania di arrivare all’Iran e al Vicino Oriente. L’esercito tedesco si stava avvicinando sempre di più al Grande Caucaso, per cui ormai c’era solo una piccola striscia di terra a separare la linea del fronte dal confine tra Unione Sovietica e Turchia.

In quel momento Vinogradov ricevette l’ordine di recarsi a Mosca con urgenza, senza che gliene venisse comunicato il motivo. Considerate che all’epoca arrivare a Mosca non era facile.

Al Ministero degli Affari Esteri, dove Vinogradov si presentò non appena mise piede nella capitale, non seppero dirgli niente. I consiglieri si stringevano nelle spalle e indicavano il cielo con un dito, come a dire che quella convocazione era un ordine dei sommi vertici. Quindi lo condussero in un albergo, dove Vinogradov si sistemò in attesa di un qualche segnale. Finché nel bel mezzo della notte gli dissero: «È arrivata una macchina per lei». Racconto quello che successe dopo attenendomi al colorito racconto di Vinogradov stesso. L’automobile lo portò in una «dacia lì vicino». Non appena entrò, Vinogradov si trovò davanti Stalin, che lo aspettava seduto a un tavolo con vari membri del Politburo. Vinogradov salutò e Stalin rispose con un ordine: «Servite la vodka all’ambasciatore».

Gli riempirono il bicchiere.

«Bevi» ordinò ancora Stalin.

Vinogradov bevve brindando ovviamente alla salute del leader.

«Dimmi una cosa, ambasciatore: la Turchia entrerà in guerra contro di noi o no?»

«No, compagno Stalin, la Turchia non ci attaccherà.»

«Servitegli altra vodka.»

Versarono altra vodka.

«Bevi, ambasciatore».

Vinogradov bevve, ripetendo lo stesso brindisi.

«Dimmelo chiaramente: la Turchia entrerà in guerra contro di noi oppure no?» ripeté Stalin.

«Non lo farà, compagno Stalin».

«Bene, ambasciatore. Torna pure ad Ankara e ricorda la responsabilità che ti sei preso stanotte.»

Vinogradov tornò in Turchia e Stalin diede ordine di ritirare le truppe che aveva posto sul confine in previsione di entrare in guerra dalla parte della Germania. Le stesse truppe furono spostate dunque a Stalingrado, a rafforzare l’Armata Rossa in un momento cruciale della storia.

Continuo questo racconto con una citazione tratta dalle memorie di Y.V. Dubinin, professore dell’Università Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali (MGIMO), autore del libro L’eccellenza nella negoziazione2.

Quando sentii questo racconto ne rimasi profondamente impressionato, perciò chiesi a Vinogradov:

«Su quali basi, Sergej Aleksandrovicˇ, ha preso una posizione così netta nella sua conversazione con Stalin?
Forse aveva avuto qualche soffiata dai turchi? Oppure era entrato in possesso di qualche informazione?».

«No» disse lui. «Non è successo niente di tutto ciò. I rappresentanti turchi mi trattavano in modo molto corretto e mi era perfino capitato di giocare qualche volta a scacchi con il ministro degli Affari Esteri, ma nessuno ha mai condiviso con me alcun segreto di Stato. Non avevo a disposizione alcuna informazione segreta, ma ero convinto della risposta che ho dato a Stalin.» Poi aggiunse: «Era la conclusione a cui ero giunto a partire dalla mia attenta osservazione dello stato d’animo della Turchia e dei suoi dirigenti. A volte questo tipo di osservazioni hanno più valore dell’accesso a un documento segreto».

 

Si possono distinguere due modi di ottenere informazioni.

Il primo avviene quando i dati precisi di cui abbiamo bisogno ci arrivano perfettamente formulati.

Il secondo consiste invece nel trarre conclusioni da alcune informazioni, il che significa che non abbiamo ricevuto dati chiari, ma arriviamo a una deduzione a partire dall’enorme flusso informativo che ci perviene. È il caso che abbiamo visto nell’esempio dell’ambasciatore Vinogradov con i turchi. Qui entra in gioco una regola che stabilisce che quando ci si prepara per una trattativa bisogna prendere in considerazione ogni aspetto e non tralasciare alcun dettaglio.

Talvolta siamo portati a pensare che il fatto che in passato abbiamo consegnato al nostro interlocutore della merce di scarsa qualità sia ormai una storia dimenticata e sepolta, mentre invece lui se lo ricorda molto bene e continua a considerarlo un aspetto rilevante.

Per analizzare le informazioni è possibile anche basarsi sull’intuizione.

Esempi tratti dalla storia e dalla diplomazia

Torniamo ancora una volta al grande negoziatore Andrej Andreevicˇ Gromyko, che fu ministro degli Affari Esteri di una superpotenza per ventotto anni. Tutto ciò che ha fatto durante il proprio mandato è stato scrupolosamente analizzato e nelle sue azioni non è stato rivelato alcun errore.

Gromyko scrive che per un diplomatico è di estrema importanza usare l’intuizione insieme all’azione diplomatica e farsi un preciso quadro mentale della situazione. A ciò bisognerebbe aggiungere che non c’è niente di più rilevante della capacità di prevedere gli eventi futuri.

L’intuizione interessava già anche le popolazioni antiche. Si tratta di una sensazione che sorge spontaneamente sulla base di precedenti esperienze e che suggerisce le decisioni migliori da prendere.

Le decisioni logiche sono un misto di estrapolazioni, fatti e intuizioni. Il grande presidente John F. Kennedy diceva: «Ho migliaia di consiglieri in grado di costruire una piramide, ma non ce n’è uno che mi sappia dire se sia necessario costruirla oppure no».

La vita gli offrì l’opportunità di mettere in pratica queste parole. Quando l’Unione Sovietica inviò Gagarin nello spazio, tanto gli avanzati Stati Uniti quanto il resto del mondo si meravigliarono e ovunque corse voce che i sovietici avessero inventato un nuovo tipo di supercombustibile e che i loro ingegneri avessero una preparazione eccezionale. Allora Kennedy istituì una commissione speciale, ai cui membri pose la seguente domanda: «Che cosa dobbiamo fare per mantenere alto il prestigio del nostro paese? Bisogna andare sulla Luna oppure no?».

La commissione, composta da esimi statunitensi, manifestò una raccomandazione molto chiara: non valeva la pena di andare sulla Luna. Ma Kennedy decise di prendere comunque la decisione opposta. Ed è proprio qui che risiede sua genialità, la sua impronta. Chi non ricorda le parole del primo astronauta americano a mettere piede sulla superficie lunare? «Un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità.»

 

Riassumendo, l’attività di raccolta e analisi delle informazioni deve condurre ad avere un quadro chiaro e preciso di quanto sta accadendo in ogni dato momento della negoziazione.

Disegno seguito da didascalia

Informazioni sulla controparte.

Bisogna avere ben chiaro quanto si conosce della controparte e quanto la controparte conosce di noi e della nostra azienda. I miei punti di forza e, aspetto non meno importante, i miei punti deboli. I miei vantaggi relativi al mio ruolo all’interno di quello specifico affare e quelli in generale (legami, conoscenze, protezione di qualcuno di influente).

Disegno seguito da didascalia

Cosa c’è da sapere.

Vi ho già detto in precedenza che non c’è migliore protezione contro i colpi che conoscere bene i propri punti deboli. Potete essere certi che se una volta avete commesso un errore con un cliente, al momento giusto lui saprà ricordarvelo. Se vi farete trovare pronti, schiverete il colpo e sarete in salvo. Qualsiasi punto a sfavore, se ne siete a conoscenza e non lo temete, si trasforma facilmente in un vantaggio.

Aneddoti e curiosità

«Ehi, Rabinovicˇ! Ieri, dopo che sei andato via, ci sono scomparsi dei cucchiaini d’argento!»

«Non c’entro niente, sono una persona onesta!»

«Sarai quello che vuoi, ma i cucchiaini sono comunque spariti! Quindi non ti inviteremo più da noi!»

Il giorno seguente suona il telefono in casa Rabinovicˇ.

«Ehi, Ravbinovicˇ! Alla fine abbiamo ritrovato i cucchiaini!»

«Allora posso venire a trovarvi?»

«Eh, no… I cucchiaini li abbiamo trovati, ma resta ancora una brutta sensazione!»

 

Esempi e situazioni

Fui invitato a trattare la conduzione di una formazione dalla responsabile delle risorse umane di una grande azienda, una donna a cui stavo molto simpatico. Mi avvertì subito che l’azienda ricorreva da tempo al supporto di uno stesso trainer, a cui non volevano rinunciare. Avrei dovuto trattare con il direttore generale, che chiameremmo Ivan Sergeevicˇ (IS).

Come prima cosa mi posi la domanda: “Su che cosa posso contare all’inizio del cammino?”. Il mio vantaggio principale era la simpatia nutrita nei miei confronti da parte della responsabile delle risorse umane (RU), mentre il mio punto a sfavore consisteva nella fedeltà dell’azienda al trainer con cui già lavorano.

Ecco come andarono le trattative:

RU: Ivan Sergeevicˇ, le presento Igor, il trainer di cui le ho molto parlato.

IS: Molto piacere, Igor. Deve sapere che abbiamo già ricevuto una formazione in materia di negoziazioni e vendite e a dire la verità i nostri ragazzi si fidano molto del trainer che abbiamo. È improbabile che qualcuno possa venire a proporci qualcosa di nuovo.

IO: Cari colleghi, grazie per avermi invitato a questo incontro. Fatemi capire una cosa, per favore: devo dedurre che niente di quello che posso dire d’ora in poi potrà catturare il vostro interesse? Cioè, per quanto io vi possa descrivere nei dettagli i miei metodi presentando prestigiose referenze, non sarei comunque preso in considerazione?

(Leggermente spiazzato dal mio commento, IS annuisce.)

IO: Capisco che vi troviate bene con il vostro attuale trainer, ma se ho ben capito vi interesserebbe vedere qualcosa di nuovo e insolito, giusto?

IS: Sì.

IO: Allora vi invito ad assistere a una delle sessioni del nostro club di esercitazioni di negoziazione, così potrete vedere direttamente con i vostri occhi. Ci riuniamo ogni mercoledì. Venite a toccare con mano e poi potrete decidere tranquillamente se il mio stile di formazione si addice o meno alla vostra azienda.

Dopo aver frequentato il club, l’azienda mi ingaggiò per una serie di giornate di formazione, che condussi con grande piacere.

 

Questo esempio dimostra che quando conoscete bene i punti a vostro sfavore, avete la possibilità di volgere a vostro vantaggio la situazione.

Esercizi

Elencate le tattiche che ho utilizzato nella trattativa che vi ho appena descritto.

 

Disegno seguito da didascalia

Dovete sempre conoscere i vostri punti a sfavore e quelli a favore.

Se un anno e mezzo fa avete fornito della merce in cattive condizioni, non avete fatto un pagamento in tempo o non avete inviato una lettera che avevate promesso di scrivere, ricordatelo. Preparatevi a riconoscere il vostro errore e ad andare avanti. Non abbiate paura di mettere sul tavolo delle trattative i punti a vostro sfavore. Gli errori che vengono riconosciuti e commentati con naturalezza restano nel passato. Ciò che appartiene al futuro è invece proprio il fatto di riuscire ad ammettere e a correggere i vostri errori, il che accrescerà la fiducia della controparte nei vostri confronti.

Prima di avviare una trattativa vi potrà essere utile compilare lo schema che segue.

I punti a mio sfavore I punti a mio favore

Domanda n° 2: Dove voglio arrivare?

La seconda domanda va intesa in questo modo: cosa volete ottenere come risultato concreto di una trattativa? Qual è il vostro obiettivo?

Immaginate di guidare lungo un’autostrada. La strada è monotona, in sottofondo c’è la radio accesa, e voi vi immergete nei vostri pensieri, quando senza rendervene conto deviate leggermente
di lato. Ma non appena la ruota batte sulla banchina la macchina comincia a vibrare come una lavatrice, ed ecco che subito vi ricordate dove siete e vi rimettete in carreggiata.

La stessa cosa accade con l’obiettivo. Se lo avete ben chiaro in mente, sarà molto difficile che qualcuno ve ne possa allontanare e, anche se dovesse capitare, sarete in grado di recuperare all’istante la retta via, che vi porta a raggiungere l’obiettivo.

Aneddoti e curiosità

Nel corso di un processo per divorzio si assiste al seguente dialogo.

«Sono vent’anni che mia moglie mi lancia addosso tutto quello che le capita a tiro!»

«E lei ha sopportato per tutto questo tempo?»

«Be’… Solo adesso ha cominciato a centrare l’obiettivo.»

 

 

Informazioni importanti, avvertimenti

Prima di passare alla definizione degli obiettivi, vediamo quali potrebbero essere i risultati di una trattativa.

In sostanza, tutti gli eventuali risultati possono essere suddivisi in due gruppi.

1. Progresso: abbiamo fatto qualche passo concreto, fissando un incontro successivo, prendendo in esame le condizioni, ecc.

2. “C’era una volta”: non è stato fatto alcun passo concreto. È stato un incontro cordiale, ecc.

Quando esiste un obiettivo chiaro, vi ci avvicinerete passo dopo passo senza tentare di giustificare l’infruttuosità degli appuntamenti con una fiaba che inizi con “C’era una volta…”.

 

 

Concetti e regole

Gli obiettivi devono rientrare nell’ambito di ciò che potete controllare, per questo la firma di un accordo non può essere un obiettivo.

È molto importante che abbiate ben chiaro che cosa dipende da voi e cosa no. Ricordate sempre quanto ha scritto Bulgakov, nel romanzo Il Maestro e Margherita: «Per dirigere qualcosa o qualcuno bisogna avere un piano preciso, con una scadenza adeguata. Mi permetta quindi di chiederle: come può essere l’uomo dirigere se stesso e gli altri se gli manca non solo la possibilità di fare un piano con una scadenza risibilmente breve di, poniamo, mille anni, ma non riesce nemmeno a dare garanzia di quello che gli accadrà domani?».

 

Esempi tratti dalla storia e dalla diplomazia

Un certo dignitario decise di imparare a guidare il cocchio. Dopo aver preso delle lezioni da un famoso istruttore, volle mettersi alla prova sfidando il proprio maestro, desideroso di vincere. Fecero tre corse, ma il dignitario perse tutte e tre le volte. Allora, in tono offeso, disse al maestro: «Non mi hai insegnato tutto quello che sai».

«Certo che sì!» rispose l’istruttore. «Le ho insegnato tutto, ma lei non ha saputo mettere bene in pratica queste conoscenze. Quando si partecipa a una corsa, la cosa più importante è essere certi che il cavallo possa correre comodo. Per questo ha bisogno di essere sellato accuratamente e di essere diretto in modo tale da permettergli di mantenere la direzione e la velocità. Lei invece, quando io la sorpassavo, non faceva altro che tentare di superarmi. E quando era davanti a me non pensava ad altro che a impedire di farmi passare. Questa ossessione di mantenere sempre il primo posto l’ha distratta dal compito fondamentale, ossia la corretta guida del suo cavallo. E questo è l’unico motivo delle sue tre sconfitte.»

Vladimir Tarasov, L’arte della lotta tra dirigenti3

 

Il protagonista di questa storia cercava di fare in modo di non essere sorpassato dall’avversario, concentrava tutte le energie nel risultato, dimenticando che ciascuno di noi può dirigere solo ciò che è nelle proprie mani.

Questo insegnamento, mi preme sottolinearlo, vale anche per noi negoziatori, che in una trattativa dobbiamo concentrarci su ciò che possiamo effettivamente gestire ovvero controllare il nostro bisogno, fare domande, sfruttare tutte le nostre competenze e conoscenze e raccogliere e analizzare a fondo quante più informazioni possibile. Così facendo il risultato non tarderà ad arrivare.

Esempi e situazioni

Sono un appassionato di ping pong, mi alleno con alcuni ragazzi che tecnicamente sono più bravi di me e che ovviamente mi battono sempre. Ma quando ci si confronta con dei maestri è importante portare a casa un risultato dignitoso. Ho notato che se gioco concentrandomi solo sulla vittoria i miei movimenti diventano impacciati e perdo subito. Invece, se mi concentro sul modo in cui assestare ciascun colpo, allora la pallina finisce proprio nell’angolo a cui ho mirato e qualche volta (ma solo qualche volta!) riesce a fregare l’avversario. In questo secondo caso quando finisce la partita se non altro ho fatto più punti.

 

Non possiamo controllare il risultato. Possiamo soltanto dirigere il processo tramite la nostra condotta e ricorrendo alle nostre capacità e conoscenze.

Obiettivo sbagliato:

Ottenere un contratto vantaggioso.

Formulazione corretta dell’obiettivo:

Arrivare a una possibile collaborazione. Mostrare con rispetto alla controparte i vantaggi della nostra eventuale collaborazione.

Adesso provate a formulare gli obiettivi delle trattative che seguono, in cui la vostra azienda vuole ottenere i risultati indicati.

Esercizi

Fissate gli obiettivi basandovi su ciò che è in vostro potere.

- Ottenere un contratto da un milione di rubli.

- Ricevere un rimborso per della merce difettosa.

- Recuperare un credito.

- Alzare i prezzi del 16%.

 

L’obiettivo deve essere formulato in termini risolutivi. Il celebre imprenditore, scrittore e professore statunitense Robert Kiyosaki ha scritto: «Gli obiettivi devono essere chiari, semplici e annotati su carta. Se non li avete messi nero su bianco e li cambiate ogni giorno allora non sono obiettivi. Sono desideri».

L’obiettivo non deve avere alcun fine nascosto. Se volete appurare con chiarezza se la vostra proposta è stata accolta o meno, dovrete formulare l’obiettivo nei seguenti termini: Sapere se la controparte ha accettato la mia proposta.

Se invece lo formulerete con una frase del tipo Ottenere una risposta alla mia proposta, allora molto probabilmente riceverete una replica vaga, della serie: “C’era una volta…”. La prima variante, al contrario, offre la possibilità di ricevere una risposta concreta e vi permette di agire di conseguenza.

A questo proposito, è molto utile realizzare sul vostro quaderno una tabella di valutazione delle vostre trattative:

CON CHI
TRATTERÒ?
(compilare prima dell’incontro)
RISULTATO
AUSPICATO
(compilare prima dell’incontro)
RISULTATO
EFFETTIVO
(compilare dopo l’incontro)
AZIONI CHE
PORTANO
AL RISULTATO EFFETTIVO

Le informazioni contenute in questa tabella vi permetteranno di vedere quali tecniche e azioni vi portano a un risultato positivo e quali invece ottengono l’effetto contrario. A partire dall’analisi di tali informazioni potrete fare in modo di correggere la vostra condotta nel corso del processo di trattativa.

Domanda n° 3: Il mio obiettivo è realistico?

Arrivati a questo punto, per procedere è necessario porsi questa domanda. Se la vostra risposta è «Sì, è assolutamente realistico», allora potete passare alla domanda 4. Se invece vi rendete conto che il vostro obiettivo è irraggiungibile o molto difficile da perseguire, vi consiglio di impegnarvi un po’ di più nella risposta alla domanda 2.

Informazioni importanti, avvertimenti

L’obiettivo deve essere formulato nella maniera più chiara possibile. Prima di porvi un obiettivo, valutate realisticamente le vostre possibilità analizzandole da tutti i punti di vista. Le aspettative irrealizzabili nascono di solito da obiettivi troppo ambiziosi, che danno adito a numerose difficoltà nel corso delle trattative. Conviene inoltre evitare di entrare troppo nei dettagli quando si formula un obiettivo, perché potrebbe limitare la flessibilità durante la negoziazione.

 

I negoziatori tendono a porsi grandi obiettivi, per esempio «Ottenere un contratto con una holding», oppure «Ricevere un aumento di stipendio». Il che è un bene, ma per raggiungere il traguardo senza perdersi per strada conviene attenersi sempre alla regola di Sun Tzu: «Non ponetevi una meta a 100 lı˘ di distanza». In altre parole, suddividete il vostro grande obiettivo in altri più piccoli.

È molto più semplice e comodo raggiungere un grande obiettivo se lo ripartiamo in altri più piccoli. Questi micro-obiettivi serviranno inoltre come punti di controllo che vi consentiranno di verificare la vostra posizione nel corso del processo di trattativa, per decidere così i passi seguenti da compiere.

Esempi e situazioni

Obiettivo: Fare in modo che la controparte accetti di pagare un risarcimento. Accordarsi sull’entità e i termini di pagamento.

Si tratta di un obiettivo abbastanza grande e difficile da raggiungere. Adesso fissiamo alcuni punti di controllo che passo dopo passo ci avvicineranno all’obiettivo.

Passo 1: Ottenere il consenso sul fatto che la merce fornita era difettosa.

Passo 2: Definire l’entità economica dei danni.

Passo 3: Analizzare le possibili varianti di risarcimento.

Passo 4: Stabilire gli accordi raggiunti.

Converrete che ogni passo può essere raggiunto tramite mezzi diversi e che, in caso di necessità, si può sempre compiere un passo indietro.

 

Deduzioni

È molto importante fissare prima della trattativa gli obiettivi raggiungibili. Bisogna quindi definire dei punti di controllo per capire e valutare i passi successivi.

 

Esercizi

Suddividete in passaggi il seguente obiettivo e riportate i passi sul vostro quaderno:

«Fare in modo che la controparte accetti di avviare una collaborazione con l’intera holding di aziende che rappresenta».

Passo 1

Passo 2

Passo 3

 

Domanda n° 4: Come mi muoverò?

Questa domanda ha a che vedere con la tattica. È imprescindibile conoscere con precisione gli strumenti che si hanno a disposizione e sapere come usare il proprio “arsenale del negoziatore” (tecniche di conduzione delle trattative, leggi della persuasione, ecc.), ma soprattutto avere ben presente con chi, quando e come andrete a trattare e in che modo farlo.

Analizziamo adesso nel dettaglio questi quattro elementi della risposta alla domanda 4.

Con chi trattare?

In ogni negoziazione è molto importante capire con chi comunicherete e chi sarà coinvolto nelle decisioni da prendere. Perché questa distinzione? Perché non sempre la persona che conduce la trattativa coincide con quella che prende la decisione finale. Ma andiamo con ordine.

A volte le negoziazioni si dilungano moltissimo e richiedono molto impegno, per poi capire alla fine di non essersi rivolti alla persona che prenderà la decisione finale per il tema trattato o che avrebbe potuto esercitare un’influenza in tale decisione. Per questo prima di avviare un qualunque processo di trattativa è importante sapere chi effettivamente prenderà la decisione o chi potrà comunque influire sull’esito della stessa.

Per quanto riguarda il numero dei partecipanti, le trattative possono essere semplici o complesse. Le prime sono, in termini generali, quelle in cui la decisione viene presa da un’unica persona, che partecipa alla negoziazione, valuta la situazione e infine prende la decisione. E può decidere di prenderla, come si usa dire, su due piedi.

Nelle trattative complesse, invece, il processo decisionale avviene per vie più complicate e a esso possono concorrere varie persone. In questi casi il negoziatore deve capire chi prende la decisione finale o chi influisce in modo determinate su di essa.

Esempi e situazioni

Una famiglia composta da madre, padre, figlia, figlio, nonna e nonno si presenta in un quartiere residenziale per comprare una casa. Mentre gli adulti esaminano la proposta e guardano l’abitazione, i bambini giocano fuori con un cane. Alla fine i clienti si soffermano sull’opzione e ne valutano a fondo ogni dettaglio. Tutto sembra indicare che la scelta dell’acquisto sia stata presa. A un certo punto, però, i genitori chiedono ai figli un parere sulla casa e i bambini si manifestano contrari a quella scelta. Qual è allora la reazione dei genitori e dei nonni? Se ne vanno senza battere ciglio. L’operazione di acquisto è saltata nel giro di un istante.

 

Ecco perché è tanto importante occuparci di tutti i partecipanti in una negoziazione complessa e trovare così la chiave della stanza segreta, ossia capire chi è che alla fine decide e chi influisce sulla decisione da prendere.

Mi soffermo su uno degli errori più comuni dei negoziatori: pensare che la persona con la carica più alta sia quella che prenderà la decisione. Spesso non è così. Può accadere per esempio che un capo abbia delegato la decisione a qualche sottoposto, o che il direttore generale con cui state trattando non sia che un interlocutore di facciata, mentre la decisione viene presa in realtà dal consiglio di azionisti o dal proprietario dell’azienda, vale a dire persone che non hanno nemmeno preso parte alla trattativa.

Ritenere di conoscere tutto sul processo decisionale all’interno dell’azienda della controparte è il più grande danno che potete autoprocurarvi.

Esempi e situazioni

Subito dopo essermi laureato iniziai a lavorare in un franchising. Fui assunto come ingegnere programmatore principale, ma il mio capo capì subito che la programmazione non faceva per me e mi assegnò degli incarichi amministrativi e di gestione, un lavoro che svolgevo con piacere.

Tempo dopo ci trasferimmo in un edificio nuovo nel centro della città, dove nel giro di poco ci accorgemmo che c’erano… dei topi. Allora il capo mi affidò il compito di comprare un gatto. Ed ecco che nel nostro ufficio fece il suo ingresso Maška, una gatta incaricata di acchiappare i topi. La cosa curiosa, però, fu che Maška non si sforzava più di tanto di assolvere quell’incarico, se non quando vedeva il capo fuori si sé per via di quei roditori. Soltanto allora scattava a caccia come se fosse stata caricata a molla!

Non ci volle molto a capire che quando Maška catturava un topo e lo lasciava davanti alla porta del nostro capo lui era subito di ottimo umore. Ne potevamo essere assolutamente certi! Così noi impiegati ci mettevamo in fila all’istante per andare a parlare con lui: chi per discutere delle ferie, chi per chiedere un aumento di stipendio, chi per sollecitare un premio… e tutte le nostre richieste venivano approvate!

In questo caso si può affermare che era il capo a prendere le decisioni, mentre a esercitare una forte influenza su queste stesse era la gatta Maška, se non addirittura il malcapitato topo che era finito nelle sue grinfie.

È vero, questa storiella ha un che di comico, ma pensateci: di quanti gatti non vi accorgete nel corso di una trattativa?

 

Informazioni importanti, avvertimenti

Per avere un ritratto del mondo adeguato è necessario analizzare costantemente la situazione e individuare colui che potrebbe essere maggiormente interessato a prendere una determinata decisione. Come riuscirci? Senz’altro bisogna fare attenzione e analizzare:

1. La gerarchia verticale dell’organizzazione, vale a dire chi è sottoposto a chi e in che modo.

2. La gerarchia orizzontale dell’organizzazione, ossia chi è vicino a chi, chi lo influenza e chi agisce come cervello della situazione.

 

CaricaIn quali questioni prende decisioni e qual è il suo peso nel processo decisionale (massimo e minimo)Su chi può
avere influenza all’interno
dell’azienda
Chi può influire
su di lui
Esempi e situazioni

Prendiamo un esempio di vita quotidiana. Un padre dedicava molto tempo ogni sera a tenere calmi i propri tre figli, pregandoli di non correre per casa e cercando di portare dalla sua parte soprattutto il maggiore, consapevole che i bambini rispettano molto la gerarchia data dall’età. Ma nonostante tutti i suoi sforzi, non riusciva a ottenere niente e di giorno in giorno il comportamento dei piccoli peggiorava sempre di più.

Finché una volta tornò a casa in anticipo e si trovò davanti sua moglie con la madre che ridevano a crepapelle dei giochi dei bambini, mentre questi si rincorrevano mettendo a soqquadro tutto l’appartamento. Evidentemente quell’uomo non aveva trattato con le persone giuste, ecco perché non aveva ottenuto alcun risultato. Avrebbe dovuto capire prima che in quella situazione le persone che influivano maggiormente sul processo decisionale erano la mamma e la nonna. Era con loro che doveva trattare. E così fece.

Il padre spiegò la propria posizione alle due donne e a partire da quel momento, non potendo più contare sul sostegno della mamma e della nonna, i bambini gli diedero retta.

 

Deduzioni

Nei processi di trattativa non basta fare leva sulla gerarchia verticale più evidente, ma bisogna anche saper individuare fattori che, pur non occupando una posizione centrale, possono essere determinanti. Ogni negoziatore deve saper trovare la testa pensante che influisce sul risultato. Il che vale per qualsiasi tipo di trattativa.

 

I cosiddetti “bloccatori” hanno un ruolo alquanto rilevante nel processo decisionale in qualsiasi tipo di organizzazione. Secondo la nostra terminologia, i bloccatori sono persone che impediscono di arrivare a una risoluzione, che ci bloccano. Molti autori consigliano di evitarli e basta, io invece raccomando di imparare a collaborare con loro, senza scontrarcisi.

Ricordate sempre che i bloccatori non sono vostri nemici. Se si verificano le giuste condizioni, infatti, i bloccatori sono una potenziale fonte di informazione che è bene imparare a utilizzare. Prima, però, è essenziale capire perché ci impediscono di arrivare alla persona che prende la decisione.

Le ragioni di tale ostruzione possono essere varie: una volta scoperta quella da cui è animato il bloccatore in ogni caso specifico, ci sarà subito più semplice trovare la chiave giusta per aprire la porta.

Ecco una serie di possibili motivazioni:

Esempi e situazioni

Il direttore esecutivo di una rete di farmacie andò da un funzionario locale (il vicesindaco di una piccola cittadina) per discutere i propri piani di sviluppo in tale località. In quella regione erano già presenti alcune farmacie appartenenti alla rete, che godevano di grande popolarità tra i consumatori. Il direttore esecutivo aveva incontrato il vicesindaco una sola volta in precedenza, poiché l’intera trattativa era stata condotta direttamente con il sindaco. Così, una volta entrato nell’ufficio del funzionario, l’uomo disse: «Nikolaj Ivanovicˇ, il suo capo ha dato ordine di firmare un paio di carte».

«Se ha dato quest’ordine a lei, le firmi pure lei» rispose l’altro.

 

Ovviamente qui la ragione dell’ostruzione è la prima tra quelle enumerate. Il direttore esecutivo, che conosceva tutta la situazione ed era cosciente del ruolo puramente di facciata del vicesindaco, si è comportato come se la decisione fosse già stata presa. E così facendo ha chiaramente offeso il suo interlocutore. Condurre una trattativa dopo un incidente del genere non è semplice. Le persone tendono a volersi sentire più importanti di quanto non siano in realtà.

A chiunque aspiri a uno status superiore, date pure l’illusione di essere più importante. Non mostrate mai a un bloccatore il fastidio che vi provoca, poiché si tratta di una potenziale fonte di informazioni. Per ricevere le informazioni che può fornirvi, dovete in primo luogo dimostrarvi attenti nei suoi confronti e in secondo luogo fargli domande di questo tipo: «Certo che le mostro la mia proposta! Però mi dica, per favore: chi è la persona più interessata al fatto che venga accettata?», «C’è forse qualcuno che potrebbe risentirsi se non gli presentassi di persona la proposta?», «Potrebbe dare un’occhiata a questo documento e dirmi chi crede che dovremmo coinvolgere per la decisione finale sugli aspetti finanziari dell’operazione?».

Servendovi di questo espediente, ossia della “richiesta di consiglio”, è molto probabile che l’interlocutore vi aiuti e diventi vostro alleato. Al contrario, nel caso in cui cominciaste a pretendere oppure manifestiate un atteggiamento ostile, non farete altro che rinforzare il muro che vi trovate già di fronte peggiorando la situazione.

Una donna che ha lavorato per quindici anni come aiutante di un dirigente mi ha dato il seguente consiglio per schivare un bloccatore, poiché lei stessa aveva questo ruolo tra le mansioni del proprio incarico:

C’è un metodo abbastanza semplice per fare arrivare un’informazione alla persona che ti interessa. Tutti i venditori hanno sentito mille volte la tipica risposta data dalle segretarie: «Invii la sua proposta tramite fax o posta elettronica». Alcuni trainer specializzati in negoziazione consigliano di evitare tale prassi, ma si sbagliano.

In realtà tutto dipende da come vi ponete, come diceva il poco simpatico eroe di un’opera letteraria. Se presenti la tua proposta commerciale come una lettera ufficiale, anziché come un volantino pubblicitario, hai tutte le carte in regola perché arrivi a essere esaminata dal dirigente. Fai attenzione a indicare tutti gli elementi necessari, la data, la firma autografa del mittente o almeno che sia un facsimile del documento originale. Un documento del genere verrà registrato e finirà sul tavolo del direttore, da cui ripartirà poi accompagnato da una risposta che, nella maggior parte dei casi, la segretaria ti comunicherà senza alcun problema.

A partire da quel momento, una volta che il direttore avrà inoltrato la vostra lettera e la sua risposta a qualcuno dei suoi sottoposti, potrai iniziare a lavorare a stretto contatto con la persona che è stata incaricata di trattare la questione, avvalendoti di tutte le tue abilità di negoziatore.

Informazioni importanti, avvertimenti

È importante ricordare che il bloccatore non è un nemico e che in determinate circostanze può diventare addirittura un alleato. Non bisogna nemmeno dimenticare che le persone che amano sentirsi importanti sono contente quando sono oggetto della nostra attenzione. La tecnica di persuasione basata sul do ut des funziona molto bene in questi casi. Ai vecchi tempi tutti i funzionari si portavano sempre dietro dei cioccolatini o dei campioncini di profumo. Perché quest’abitudine adesso è caduta in disuso? Perché abbiamo smesso di considerare un complimento o un modesto regalo come metodi efficaci per raggiungere il nostro obiettivo? Sono metodi straordinari, davvero! Perché guadagnandoci il favore del bloccatore otterremo molte informazioni e talvolta persino il suo stesso aiuto.

 

Per esempio potremmo venire a sapere che, sebbene le decisioni da un punto di vista formale e giuridico le prende il direttore generale, esiste una certa Pincopallina Leopoldovna, vicedirettrice per gli affari generali, che in realtà è quella che comanda. Un’informazione del genere non ha prezzo!

Se volete aggirare un bloccatore, vi consiglio di ricorrere a differenti tecniche e, soprattutto, di ricordare sempre che avete a che fare con un essere umano. La storia che segue, che mi è stata raccontata da uno dei partecipanti più attivi del mio gruppo Facebook (facebook.com/ryzov.igor), ne è la dimostrazione.

Esempi e situazioni

Stavamo cercando da tempo di arrivare alla figura più importante di una determinata azienda, ma invano. Tutto faceva intendere che si trattasse della persona fondamentale nel processo decisionale e avevamo fatto tutto il possibile per raggiungerla, ma non c’era stato modo. Ogni volta una terribile segretaria ci sbarrava la strada. Niente sembrava poterla addolcire: né i complimenti, né i fiori, né le suppliche. Finché un giorno, ormai senza speranze, optammo per una via poco ortodossa. Facemmo stampare dei biglietti da visita con il suo nome sui quali, oltre a tutte le consuete informazioni, aggiungemmo: SPECIALISTA NELLA CUSTODIA DI IVAN IVANYCˇ, che era il nome del suo capo. La segretaria rise tutto il giorno. Ivan Ivanycˇ le chiese venti biglietti per regalarli ai suoi compagni di sauna. Alla fine non solo siamo riusciti a fare in modo che ascoltasse la nostra proposta, ma abbiamo anche ottenuto un contratto molto vantaggioso.

 

Informazioni importanti, avvertimenti

Molto importante. Nelle grandi aziende non è mai una sola persona a prendere le decisioni e c’è sempre qualcuno che influisce su di esse. Per questo il processo decisionale deve essere affrontato in divenire.

 

Da tutto ciò si potrebbe ricavare l’impressione che individuare le persone che prendono effettivamente le decisioni sia un lavoro quasi degno di un detective. E in effetti lo è, quindi va preso come tale. Si tratta di un lavoro che deve essere svolto con la massima attenzione, ma anche con mente aperta e creativa.

In quale momento bisogna trattare?

Il tempo è un fattore importante. L’ora del giorno, il giorno della settimana: tutto ha rilevanza.

Può capitare di arrivare a una trattativa e imbattersi in un’incomprensibile manifestazione di aggressività da parte dell’interlocutore, senza saperne il motivo.

Ma l’ira è una condizione determinata a partire da particolari processi fisici e fisiologici dell’organismo.

Informazioni importanti, avvertimenti

Principali motivi di comparsa dell’ira:

1. stanchezza;

2. aspettative deluse, ossia quando una persona ha programmato qualcosa ma non è riuscita a ottenerlo.

 

Se vogliamo che la negoziazione sia produttiva senza essere travolti dalla rabbia di nessuno, dobbiamo saper scegliere il momento opportuno per trattare.

Immaginate per esempio che un uomo si sia alzato presto per andare al lavoro e che nel tragitto verso l’ufficio venga tamponato o gli graffino la macchina, oppure che sia lunedì mattina e che il capo l’abbia accolto con una ramanzina. E voi vi presentate alle 9.15 per trattare con lui. Come pensate che si comporterà? Ovviamente male!

La negoziazione non sarà altro che un traboccamento di emozioni e l’interlocutore vi riverserà addosso tutta l’energia negativa accumulata fino a quel momento. Insomma, l’incontro sarà tutto fuorché costruttivo.

Oppure può capitarvi di avere a che fare con una persona che ha lavorato tutto il giorno e che ha accumulato aggressività. E proprio in quel momento arrivate voi. Potete essere certi che il vostro interlocutore non tornerà a casa con l’aggressività accumulata, ma ve la riverserà addosso, perciò nel migliore dei casi sarete andati lì a vuoto e nel peggiore incasserete un fallimento.

La conclusione che può dedursi è abbastanza evidente: il momento migliore per condurre trattative è la mattina, soprattutto tra le 10.00 e le 12.00, oppure il primo pomeriggio, subito dopo pranzo. A stomaco pieno è fisiologicamente impossibile porsi in un atteggiamento aggressivo, perché quando una persona è sazia il sangue affluisce allo stomaco, mentre in condizione di aggressività si dirige verso il viso e le mani.

Vale la pena di ricordare che i migliori avvocati degli Stati Uniti cercano di fissare le udienze dei casi più ostici subito dopo pranzo, perché, stando alle statistiche, in quell’orario le sentenze di solito sono meno rigide.

Possiamo concludere quindi che il momento in cui trattare ha una grande rilevanza. È importante però anche il giorno della settimana: il lunedì e il venerdì sono i giorni peggiori per mettersi a negoziare qualcosa.

Come condurre una trattativa?

Uno degli alunni di un mio corso online mi ha inviato la seguente domanda: «Arrivo a una riunione per condurre una trattativa e mi ritrovo con otto persone che mi aspettano. Un agguato in piena regola! Come posso comportarmi in una situazione del genere?».

Problemi di questo tipo sorgono perché tendiamo a trascurare un elemento fondamentale del processo di una negoziazione, ossia la presenza di un regolamento concordato in precedenza.

Spesso si pensa che l’accordo di un regolamento del processo di trattativa sia una questione puramente tecnica o di protocollo, poiché si crede che l’aspetto principale sia arrivare a un accordo sui temi fondamentali da trattare e che il resto siano semplici formalità. In pratica, torna di nuovo alla ribalta il principio napoleonico «intanto avanziamo e poi si vedrà».

Tuttavia, l’elaborazione di un regolamento è parte essenziale del processo di trattativa, non meno importante della valutazione dell’oggetto principale della questione. Anzi, spesso la discussione sui temi fondamentali non avviene nemmeno, se prima non abbiamo raggiunto un accordo circa il regolamento.

Il regolamento è generalmente costituito da alcuni elementi, che andiamo adesso ad analizzare nel dettaglio.

Accordo relativo al numero dei partecipanti

Si tratta di un aspetto molto importante: è fondamentale conoscere in anticipo chi parteciperà all’incontro per ciascuna delle parti.

Tempi della trattativa

I tempi di conduzione devono essere pianificati e condivisi da tutti i partecipanti alla trattativa. Altrimenti può accadere che arrivino in seguito delle richieste inattese, delle proposte di posticipazione o addirittura l’interruzione della trattativa in un momento sfavorevole per una delle parti.

Accordo sul luogo e sull’orario della trattativa

L’esperienza insegna che già il solo fatto di accordarsi circa il luogo di conduzione di una trattativa può rivelarsi alquanto complesso. È opinione diffusa che sia meglio portare avanti una negoziazione giocando in casa, e senza dubbio è vero. In primo luogo perché in questo modo è possibile consultare qualsiasi persona della squadra su qualunque questione sorta nel corso della trattativa. In secondo luogo perché ci si può occupare parallelamente anche di altro. In terzo luogo perché i partecipanti sono così circondati da tutte le comodità di “casa propria”. E infine perché in questo modo l’avversario sarà come un ospite giunto in visita dall’“anfitrione nel suo territorio” e non il contrario. Senza contare che trattare giocando in casa vi permetterà di risparmiare tempo e denaro.

Ma anche giocare fuori casa ha i suoi vantaggi. Per esempio la possibilità di concentrarsi a pieno sulla trattativa, mentre quando si è “in casa” ci sono sempre molte cose pronte a distrarci. Inoltre, fuori dal proprio ufficio, si può sempre evitare di condividere una determinata informazione spiegando che non l’abbiamo portata con noi. E poi aumentano le probabilità di poter parlare direttamente con dirigenti di rango superiore. Infine c’è da dire che a doversi sobbarcare dei costi e dell’organizzazione della riunione è sempre l’“anfitrione del territorio”.

Come trattare la controparte?

C’è un’altra questione cruciale che si pone a ogni negoziatore: come trattare la controparte? Come un nemico o come un alleato? Spesso mi capita di sentire da venditori frasi di questo tipo: «Bisogna distruggere l’acquirente», «Bisogna conquistare quella fortezza». Questi pensieri finiscono poi per contaminare anche i comportamenti. Se vi accingete a condurre una trattativa come se andaste in guerra, ci sarà proprio una guerra ad attendervi. Per questo sono categoricamente contrario a definire i rappresentanti del settore vendite come dei guerrieri. Dopotutto si sa che dal nome con cui si battezza la nave dipenderà la sua traversata.

Esempi e situazioni

Una giovane coppia comprò un appartamento. La moglie andò a consegnare i documenti per cambiare residenza ma all’anagrafe le dissero che per un motivo non specificato in quel momento non era possibile. La donna tornò a casa innervosita e raccontò tutto al marito, il quale andò su tutte le furie e disse: «Ma come osa, quella capra, impedirci di prendere la residenza! Questo appartamento è mio. Vado a dirgliene quattro!». Come risultato, dopo tre mesi ancora non avevano ottenuto la residenza. Il giovane allora si rivolse a me con questa domanda: «Come posso sconfiggere quell’arpia?». Testuali parole.

Chiunque di noi potrebbe raccontare un milione di storie simili. Che cosa gli aveva fatto quella donna per farlo esprimere in un modo del genere? Che male ci fa il portiere che ci impedisce di entrare in un edificio se prima non ci siamo identificati? In entrambi i casi stanno facendo il loro lavoro oppure vogliono sentirsi importanti e darsi un tono. Nel primo caso meritano il nostro rispetto, nel secondo la nostra compassione. Confucio ha detto che bisogna trattare gli altri con indulgenza. E voglio sottolineare che non bisogna comportarsi con arroganza, ma con indulgenza, senza dimenticare mai che siamo tutti esseri umani e non robot. E che le persone hanno dei difetti. Nessuno è perfetto!

Ovviamente è importante distinguere bene la battaglia dalla collaborazione. Ma combattere per qualcosa e fare la guerra sono due cose diverse.

 

Concetti e regole

Nei rapporti con la controparte bisogna SEMPRE essere rispettosi.

Rispettare la controparte è una delle variabili della formula del successo. Il che è valido sempre, in qualsiasi circostanza vi troviate…

Se in una trattativa generate un’immagine negativa del vostro interlocutore, potete essere certi che lui la sentirà intuitivamente e finirà per risentirsi. Per questo l’unica opzione possibile è trattarlo con rispetto. Soltanto se gli mostrate la massima considerazione otterrete il rispetto reciproco.

 

Domanda n° 5: Di che cosa mi posso accontentare?

Bisogna assolutamente conoscere la risposta a questa domanda. Se non siamo in grado di rispondere, significa che lotteremo per ambizione e non per gli interessi effettivamente in gioco. E abbiamo già visto in precedenza dove può condurre una trattativa di questo tipo.

Non dimenticate di costruire un poligono degli interessi, di cui abbiamo parlato a fondo nel capitolo 2. E fissate la linea rossa. Stabilite la posizione desiderata e individuate quella dichiarata. Per costruire il poligono vi consiglio di basarvi sull’esperienza del passato senza dimenticare il futuro. Quando avrete un poligono degli interessi ben definito, vi risulterà più semplice valutare di volta in volta se ciò che vi stanno proponendo (o che proponete voi) si trova o meno all’interno del suo perimetro. Poter contare sul poligono non significa che dobbiate saltarvene fuori con i vostri consigli o che dobbiate proporre molte cose all’improvviso; significa semplicemente essere disposti a lottare per i propri interessi e non per ambizione. Vale a dire trattare restando sempre sul piano razionale.

 

Vi ricordo l’algoritmo per costruire il poligono degli interessi:

 

Primo passaggio. Determinare gli interessi. È importante definire tutti gli interessi possibili. Non limitatevi all’interesse principale, ma pensate sempre a cos’altro potrebbe interessarvi.

Secondo passaggio. Monetizzare i lati del poligono. Assegnare a ogni lato (cioè a ogni interesse) un valore, stabilito in base all’interesse fondamentale. È importante sapere quanto vale ogni aspetto e quanto siete disposti a pagare per una buona predisposizione nei vostri confronti.

Terzo passaggio. Definire la posizione desiderata. Stabilire la posizione desiderata e assegnare un valore agli altri lati del poligono in relazione a essa.

Quarto passaggio. Costruire un nuovo poligono degli interessi basandosi sulla linea rossa. Non dimenticate la regola che impone di conservare intatto il perimetro: ogni volta che vi avvicinate alla linea rossa, la somma totale dei vostri interessi non deve cambiare.

Quinto passaggio. Costruire una posizione dichiarata, quella che viene espressa all’inizio nel processo di trattativa.

Domanda n° 6: Che cosa fare una volta raggiunto un buon accordo?

A prima vista potrebbe sembrare una domanda assolutamente superflua: se si è arrivati a un buon accordo, significa che si è raggiunto l’obiettivo, no? Che cosa c’è da fare a parte brindare?

Tuttavia, se non trovate una risposta corretta a questa domanda nel definire la road map, il successo sarà di breve durata, se non addirittura l’unico nella vostra carriera. Anche una negoziazione che porti a risultati positivi può finire per dare adito ad alcuni dubbi sul corso che prenderanno in seguito i temi trattati. Non è mai possibile conoscere la piega intrapresa dagli accordi derivanti da una trattativa, né si può essere certi del modo in cui la decisione positiva si evolverà (per esempio, la stesura di un determinato punto può restare aperta e soggetta a interpretazioni, ecc.).

Ecco perché la risposta a questa domanda è così importante.

In primo luogo, tale risposta deve prevedere più alternative di “risultato positivo”, comprese diverse interpretazioni che non risolvano il problema. Ciascuna alternativa deve essere accompagnata da un ulteriore piano d’azione.

In secondo luogo, il fatto di aver raggiunto un buon accordo vi permette di intravedere l’evolversi del vostro rapporto con la controparte in un futuro prossimo: cos’altro potrete ottenere a partire dall’accordo raggiunto? C’è la possibilità di stabilire degli interessi comuni che comportino nuovi vantaggi reciproci?

In terzo luogo, l’accordo raggiunto in tale trattativa si rifletterà in qualche modo sulla concorrenza, che ovviamente intraprenderà per tutta risposta determinate azioni. Di che tipo? Che cosa possiamo fare per evitare che tali azioni influiscano sulla relazione con il socio con cui abbiamo appena raggiunto un accordo?

Dopo avere scritto nella nostra road map tutte queste possibili conseguenze di un buon accordo, bisogna anche prevedere le azioni in grado di neutralizzare quelle negative e di rafforzare quelle positive e allo stesso tempo stabilire una fase iniziale di azione che può essere messa in moto già durante l’esecuzione dell’accordo stesso.

Domanda n° 7: Che cosa fare se non si arriva a un accordo?

Uno degli alunni di un mio corso online mi ha posto la seguente questione:

Igor, sono in una situazione difficile. Quando mi sono licenziato dall’azienda in cui lavoravo prima, mi hanno promesso dei premi che mi spettavano. Avevo accumulato una cifra abbastanza importante: tre milioni di rubli. Non esiste però alcun documento che confermi tale debito da parte dell’azienda. Il mio ex capo per dieci mesi mi ha fatto dei bonifici per duecentomila rubli. Ma sono già tre mesi che ha smesso di pagare e che tira per le lunghe. Perciò sto meditando di andare lì e cantargliene quattro.

È stato un bene che quel giovane abbia deciso di fare una pausa per chiedere consiglio prima di fare una sfuriata. Perdere le staffe, minacciare e immettersi di colpo in una negoziazione dura sono cose da farsi solo se si conoscono perfettamente le proprie mosse nel caso in cui non si arrivasse a un accordo, se si sa cosa fare nel caso in cui nessuna delle alternative proposte e discusse si trovi all’interno del nostro poligono degli interessi, se ci spingono a oltrepassare la linea rossa. Generalmente nessuno si preoccupa di avere una risposta chiara a questa domanda, ecco perché si finisce per fare concessioni o per intraprendere una battaglia senza tregua.

Dopo avere ascoltato il suo problema, ho chiesto al giovane: «E cosa farai se il tuo ex capo ti manda a quel paese?». Per tutta risposta ha scrollato le spalle.

A metà degli anni Novanta del secolo scorso in Russia esistevano armi di tutti i tipi. Ottenere la licenza di porto d’armi era molto semplice e io l’ho presa al termine degli studi, come facevano un po’ tutti. Una sera, quando ormai ero sul punto di comprarmi una pistola, ebbi un’interessante conversazione sul pianerottolo di casa. Il mio vicino, il colonnello dell’aeronautica Eduard Viktorovič Dačevskij, un uomo che ne aveva viste di tutti i colori, mi chiese: «Igor, sei sicuro che riusciresti a sparare a un uomo?». Quella domanda mi ha lasciato senza parole, non sapevo cosa dire. Allora Eduard aggiunse: «Ricordalo sempre: tira fuori un’arma solo se sei sicuro di usarla, perché in caso contrario la useranno contro di te».

È necessario conoscere le risposte alle domande 6 e 7, poiché sono quelle che vi aiuteranno ad acquisire la tecnica dell’“approfittarsi dell’indifferenza”, di cui ho già parlato nei capitoli 2 e 3. Insomma, queste domande vi permettono di capire come comportarvi in seguito e trasformano le trattative in un processo in divenire.

Vi ricordo che le trattative non si vincono né si perdono. Quello che potete (e che dovete) fare è stabilire il momento preciso del processo di negoziazione in cui vi trovate e cosa fare dopo.

Torniamo all’esempio del ragazzo che si era licenziato con un buon “paracadute”. Dopo la nostra conversazione il giovane si prese una giornata per riflettere, poi mi chiamò e mi disse: «Adesso so che cosa fare. Gli lascerò semplicemente il diritto di scegliere se pagarmi o meno. E gli darò anche del tempo per pensarci: non lo chiamerò più. Ho comunque ricevuto più di quanto mi aspettassi all’inizio». Seguendo questa strategia il ragazzo ottenne tutto il denaro nel giro di una settimana.

Ogni volta che si rivolgono a me e mi dicono cose del tipo «L’acquirente rifiuta di accettare l’aumento dei prezzi, gli manderò una lettera minacciando la risoluzione del contratto» oppure «Voglio che mio marito mi presti maggiori attenzioni, perciò gli dirò che vado a vivere per un po’ da mia madre», io chiedo: «Sei davvero pronto ad affrontare le conseguenze della tua azione? Cosa farai se la controparte ignora la tua minaccia?».

Aneddoti e curiosità

Moglie e marito litigano e lei va a vivere dalla madre. Non appena arriva le dice: «Mamma, quando sono uscita ho sentito un botto, non si sarà mica sparato?».

La madre risponde: «Avrà stappato una bottiglia!».

 

Conoscere le risposte a queste domande non comporta un cambiamento di opinione né una rinuncia alla lotta per i propri interessi. Al contrario, significa difendere al meglio i propri obiettivi e comprendere che, una volta oltrepassata la linea rossa, agiremo in maniera ponderata e non tuffandoci di testa.

Deduzioni

Conclusione generale

Per avere una buona road map delle trattative dobbiamo porci le seguenti domande:

1. Su che cosa posso contare all’inizio del cammino?

2. Dove voglio arrivare?

3. Il mio obiettivo è realistico?

4. Come mi muoverò?

5. Di che cosa mi posso accontentare?

6. Che cosa fare una volta raggiunto un buon accordo?

7. Che cosa fare se non si arriva a un accordo?

 

Ogni negoziatore crea la propria road map a modo suo. Io vi propongo di farlo utilizzando come traccia la seguente tabella:

ROAD MAP
Domanda n° 1:
Su che cosa posso contare all’inizio del cammino?
Chi prenderà parte alle trattative?
Cosa rafforza
la mia posizione?
Cosa indebolisce
la mia posizione?
Altre informazioni
importanti
Domanda n° 2:
Dove voglio arrivare?
Obiettivo
Domanda n° 3:
Il mio obiettivo è realistico?
Domanda n° 4:
Come mi muoverò?
Schema del movimento.
Passaggi del percorso.
Passo 1
Passo 2
Passo X
Domanda n° 5:
Di che cosa mi posso accontentare?
Diverse possibilità.
Posizione desiderata
Linea rossa
Posizione dichiarata
Che cosa fare dopo?Domanda n° 6:
Che cosa fare una volta raggiunto un buon accordo?
Domanda n° 7:
Che cosa fare se non si arriva
a un accordo?

 

Esercizi

Leggete la seguente situazione, intitolata “Non c’è niente da ridere”. Con l’aiuto della tabella precedente, tracciate la road map a cui può attenersi Aleksej nella conversazione che avrà con il capomastro. Vi consiglio di leggere il testo più di una volta per prendere confidenza con la situazione e coglierne tutti i dettagli.

Non c’è niente da ridere

La ristrutturazione che Aleksej stava facendo nel suo appartamento volgeva al termine. Lui e la moglie avevano comprato delle porte per le varie stanze, che erano costate 90.000 rubli.

Al momento dell’acquisto, il rappresentante dell’azienda produttrice delle porte aveva offerto loro un servizio aggiuntivo che consisteva nella consulenza di un falegname che andasse a casa loro per misurare l’ESATTA dimensione dei vani delle porte, assicurandosi così che tutto fosse impeccabile. Tale servizio costava 2000 rubli. Poiché Aleksej non voleva avere sorprese, aveva acquistato anche tale servizio, rifiutando invece il montaggio delle porte, perché il capomastro che seguiva la ristrutturazione generale dell’appartamento gli aveva detto che lo avrebbe incluso nei lavori generali senza alcun costo aggiuntivo, mentre l’azienda delle porte avrebbe richiesto altri 15.000 rubli.

Due giorni prima dell’arrivo del falegname, Aleksej aveva avvisato Michail, il capomastro. Fidandosi di entrambi i professionisti, non aveva chiesto niente della questione delle porte.

Un mese dopo arrivarono le porte e Aleksej firmò tutti i fogli di consegna. Per motivi tecnici, però, le porte furono montate tre settimane dopo la consegna e al momento del montaggio si constatò che i vani erano più alti di dieci centimetri rispetto all’altezza del telaio, perciò se le avessero installate sarebbero rimaste delle fessure orribili. Anche abbassare l’altezza dei vani risultava alquanto problematico, dal momento che le pareti erano state rifinite con preziosi stucchi veneziani e lavorando allo stesso modo le parti nuove si sarebbe persa l’unitarietà e sarebbe risultato molto evidente.

Il falegname che aveva fatto il sopralluogo disse che allora era emerso che i vani erano più alti di dieci centimetri rispetto
alle porte ordinate e assicurò di aver lasciato scritto di abbassare il livello superiore dei vani su di un foglio che poi aveva consegnato a un muratore, poiché Michail in quel momento non era presente. Michail dal canto suo disse che nessuno gli aveva mai consegnato quel foglio e che le porte non erano una sua responsabilità: aveva sempre pensato che il falegname fosse andato a misurare i vani per fabbricare le porte su misura.

Aleksej non credeva alle proprie orecchie! A una settimana da quella che avrebbe dovuto essere la consegna dell’appartamento ristrutturato, il capomastro gli proponeva di collocare alcuni rametti di abete nelle fessure sopra le porte per dare un tocco natalizio all’appartamento durante tutto l’anno!

Aleksej, che non aveva uno spiccato senso artistico come quello del capomastro, disse che finché non fosse stato tutto impeccabile non avrebbe saldato il pagamento con la cifra che gli restava da versare, ossia la bellezza di 120.000 rubli. Al che Michail replicò che allora non gli avrebbe portato i condizionatori (del costo di 200.000 rubli), che Aleksej aveva lasciato nella sua dacia insieme a tutti documenti e le ricevute affinché non andassero persi nel corso della ristrutturazione.

 

Potete inviarmi le vostre proposte di road map all’indirizzo igor@ryzov.ru. Riceverete una mia risposta e potremo definire insieme le sorti degli eroi di questa storia.

3. Caratteristiche della conduzione di trattative con persone di altri paesi

Francia

I francesi hanno un forte senso di indipendenza. Si può dire che siano dei grandi sciovinisti e che siano molto fieri di se stessi. Hanno montagne, mare, formaggi, carne, vini… Che bisogno c’è di andare altrove? Reagiscono con forte disgusto all’uso dell’inglese o del tedesco come lingue professionali in una trattativa, perché ritengono che ciò sminuisca la loro dignità nazionale. La stragrande maggioranza dei francesi preferisce condurre trattative nella loro lingua madre. Ovviamente quando non hanno altra scelta ricorrono a qualcuno che parli inglese o perfino russo, ma in questo caso resta sempre una sorta di “spina nel fianco”.

Apprezzano molto nei propri interlocutori la conoscenza della loro tradizione, storia, geografia e cultura e sono estremamente lusingati dall’interesse dimostrato nei confronti del loro paese. Per i francesi sono molto importanti i legami e le relazioni. Inoltre non amano il rischio, preferiscono pesare e ponderare bene le decisioni.

Interrompere l’avversario, esprimere le proprie opinioni in modo diretto e difenderle strenuamente per i francesi sono prassi all’ordine del giorno. Saranno attenti e garbati nella conversazione, scherzando e sorridendo, ma non per questo eviteranno i conflitti, e anzi si tufferanno a capofitto in qualsiasi discussione.

Gli accordi raggiunti in una trattativa con dei francesi devono essere concreti, concisi, molto precisi nella formulazione. Le frasi devono sempre essere brevi, tra le dieci e le quindici parole.

Ai francesi piace prendere importanti decisioni non solo intorno al tavolo delle trattative, ma anche seduti a tavola. Un pranzo con un imprenditore in Francia è anche un modo di socializzare in maniera informale. I francesi sono appassionati di buona cucina e se ne intendono. Per loro il cibo non è il mero soddisfacimento di una necessità fisiologica, ma è come una sorta di rituale. Per questo in materia di cucina e di vini sono ancora più sciovinisti che nelle questioni di lingua. Non vi venga in mente di lodare i vini italiani o i formaggi svizzeri in presenza di un francese. E ovviamente non menzionate nemmeno di sfuggita l’industria vinicola russa! Vi raccomando inoltre di evitare di parlare di politica, perché non amano molto le discussioni di questo tipo.

Jean, ti propongo di vederci sabato per discutere i dettagli della nostra collaborazione. Non posso, perché il sabato è il mio giorno di riposo con la famiglia. Rimandiamo a lunedì. Buon fine settimana!

I francesi hanno una grande venerazione per il momento dei pasti e per i giorni festivi. Per loro sono sacri, perciò reagiscono in maniera molto brusca quando vengono disturbati proprio a quell’ora o in quei giorni, anche nel caso di questioni della massima importanza.

Esempi e situazioni

Una volta telefonai di sabato a un socio francese per una comunicazione abbastanza urgente. Ricevetti una risposta molto sgradevole, della serie: «È il mio giorno di riposo, sono con la mia famiglia, ne riparliamo lunedì». Ho passato tutto il fine settimana a chiedermi perché mi avesse trattato in quel modo, visto che eravamo in buoni rapporti. Il lunedì mi richiamò come se niente fosse e mi parlò con la solita benevolenza di sempre.

 

La Francia è il paese della burocrazia. Esistono molti aneddoti in proposito, che corrispondono alla realtà. Chi ritiene che la Russia sia la patria dei burocrati e dei documenti, dovrebbe farsi un giretto in Francia. Capirebbe molte cose.

Germania

I tratti distintivi dei tedeschi sono la pedanteria e l’asciuttezza. Evitano di ricorrere a frasi vuote o a espressioni senza senso e non amano sentirle dire dagli altri. È tipico dei tedeschi entrare in trattative in cui vedono una grande probabilità di trovare una soluzione conveniente: di fatto avviano una negoziazione solo quando sono sicuri della possibilità di arrivare a un accordo. Non amano le manovre di distrazione e generalmente cominciano subito a battersi per i loro interessi. Preferiscono regolamenti chiari e desiderano che in una negoziazione si segua sempre l’ordine del giorno degli argomenti da trattare. Con i tedeschi tutte le proposte devono avere un carattere prettamente negoziale e rispondere a una previa regolamentazione. Il loro modo di condurre trattative si può descrivere adattando leggermente una frase del film sovietico Le peculiarità della caccia nazionale4: «Ogni proposta deve essere rapida come uno sparo».

Quando si tratta con tedeschi conviene prestare particolare attenzione alla gerarchia e ai titoli. Per questo vi consiglio di verificare in anticipo ogni informazione in proposito. I tedeschi non amano le battute durante le trattative.

 

Be’, come si dice, chi ben comincia è a metà dell’opera. Di che opere sta parlando?

I tedeschi sono puntuali e scrupolosi nel rispettare gli accordi raggiunti e pretendono altrettanto dalla controparte; non firmano mai un accordo senza avere prima la garanzia assoluta che verrà rispettato per filo e per segno. Se avete anche il minimo dubbio che tutte le condizioni dell’accordo possano essere rispettate, allora è meglio che evitiate di firmarlo.

Esempi e situazioni

Dopo una lunga collaborazione con un fornitore tedesco arrivammo a un accordo sulla posticipazione dei termini di pagamento. Ci diedero ventuno giorni dalla consegna. Non ho mai visto una precisione del genere. Il decimo giorno, a tutte le persone interessate, dal ragioniere per finire con il proprietario dell’azienda, arrivava una lettera per ricordare che si era giunti a metà del tempo. Avveniva la stessa cosa a cinque giorni dal termine e alla vigilia della scadenza. In questo modo ci impedivano di agire “come al solito”, ossia di procrastinare di alcuni giorni. Una volta il nostro camion arrivò alla fabbrica tedesca per caricare nel giorno stesso in cui era previsto il pagamento per la fornitura precedente. Ma per motivi meramente oggettivi il pagamento era stato effettuato solo quel giorno e a loro ancora non risultava. Pertanto non caricarono la merce finché non videro la conferma del bonifico, nonostante l’amichevole collaborazione di lunga durata.

 

Italia

Lo stile italiano di conduzione delle trattative si distingue per il modo attivo in cui si intessono relazioni, tanto commerciali quanto talvolta personali. A differenza dei francesi, a trattare con gli italiani si evitano le pesanti lungaggini burocratiche. Sono orientati a stabilire relazioni informali e amichevoli con i loro soci commerciali. Amano che si crei un’atmosfera di fiducia e benevolenza. Nelle questioni controverse preferiscono cercare un compromesso.

Riguardiamo nel dettaglio tutti i punti ancora una volta. Propongo di andare a pranzo. Qui vicino c’è un ottimo ristorante che la sera è il punto di ritrovo di tutti i tifosi.

Sono molto orgogliosi della loro patria e, come i francesi, apprezzano che i loro interlocutori dimostrino interesse verso la storia e la cultura del loro paese.

Gli italiani amano molto i pranzi con i soci, durante i quali parlano soprattutto di calcio, cucina e donne. Non provate a trattare questioni d’affari a tavola con loro. Inoltre non conviene telefonare a un italiano fra le 12.00 e le 14.00: è il sacro momento del pranzo.

Esempi e situazioni

Una volta ho condotto delle trattative tutt’altro che facili con i responsabili del reparto vendite di un’azienda vinicola. Tra questi c’era una giovane di una trentina d’anni che con modi molto bruschi e alzando la voce pretendeva furiosamente che accettassi delle condizioni di pagamento che non mi erano molto convenienti. Dalle 10.00 alle 12.00 le trattative si sono svolte in modo estremamente duro. La mia interlocutrice si agitava tutta e faceva smorfie, mentre ripeteva che sarebbe stato più facile rescindere il contratto che accettare le mie condizioni. Ma quando l’orologio segnò mezzogiorno si trasformò radicalmente. Sembrava un’altra! La terribile maschera da donna d’affari che aveva indossato fino a quel momento le cadde dal viso e molto amabilmente, quasi con un pizzico di malizia, mi propose di pranzare insieme. Andammo in un bellissimo ristorante, dove scegliemmo vini meravigliosi per accompagnare magnifici piatti della cucina italiana. La conversazione prese una piega molto gradevole. Venni a sapere che a Laura piacevano le moto e che suo marito tifava per la Juventus. Parlammo di Roma, di Firenze e delle piste da sci di Madonna di Campiglio. Quando tornammo in ufficio, alle 14.30, la trattativa riprese come se fosse stata una chiacchierata cordiale tra due amici intimi. E la cosa migliore fu che trovammo subito un punto di incontro dei nostri interessi.

 

Cina

I cinesi sono i negoziatori più difficili. Conoscono alla perfezione il “bilancio delle trattative” e lo impiegano in modo estremamente meticoloso. Oltre a fare di tutto per far aumentare il vostro. Invitano alla riunione un’ampia delegazione e prevedono un lungo soggiorno. Inizialmente propongono giri turistici per il paese e fanno regali. Generalmente le trattative iniziano subito poco prima che gli avversari ripartano per tornare a casa e hanno carattere fortemente dichiarativo. Quando vi accingete a negoziare con dei cinesi dovete accertarvi di avere abbastanza tempo, energia e denaro.

Conoscendo queste loro particolarità, consiglio la seguente linea di condotta: presentarsi alle trattative carichi di regali, in modo da poter ricambiare subito. E quando l’ultimo giorno la controparte cinese ci esprimerà le proprie condizioni dobbiamo essere pronti e attendere. Allora qualcuno precedentemente incaricato si occuperà di prolungare la nostra prenotazione in albergo e di spostare i biglietti per il volo di ritorno. In questo modo dimostreremo che il nostro bilancio è intatto e che siamo totalmente disponibili per continuare a discutere i dettagli dell’accordo.

In qualsiasi trattativa la parte cinese tenta di distinguere con precisione le varie fasi del processo: la definizione iniziale delle posizioni, la discussione, la fase conclusiva. Nella fase iniziale i cinesi prestano molta attenzione all’aspetto esteriore delle persone che hanno davanti e al loro modo di comportarsi. A partire dall’immagine di ciascuno, cercano di determinarne lo status e da quel momento in poi si rivolgeranno sempre alla persona di rango più alto, tanto nel caso di una delegazione ufficiale quanto commerciale.

Di solito i cinesi prendono la decisione finale una volta tornati nei loro uffici e non al tavolo di trattativa.

La loro delegazione tende a essere molto numerosa, perché composta da un buon numero di esperti per ciascuna delle questioni all’ordine del giorno.

Praticamente tutte le negoziazioni con i cinesi comprendono una fase tecnica e una commerciale. Il successo della prima dipende dalla nostra capacità di riuscire a convincere la controparte dei vantaggi della collaborazione. Ecco perché è importante coinvolgere nella trattativa tecnici di alto livello, in grado di risolvere rapidamente questioni complesse, così come anche un bravo interprete che domini bene la terminologia specialistica che si andrà a utilizzare. Poi comincia la parte commerciale. Le aziende cinesi hanno solitamente dei quadri molto esperti e ben preparati in materia commerciale. Si tratta di persone che muovono un grande volume di informazioni. Citano spesso contratti firmati in precedenza in cui hanno ottenuto grandi vantaggi. Per questo bisogna prepararsi molto bene per trattare con i cinesi. Bisogna conoscere a fondo la congiuntura dei mercati internazionali e avere sempre sottomano delle buone analisi tecniche ed economiche e qualsiasi altro materiale rilevante.

Di solito è la parte cinese la prima a “scoprire le carte”, a esprimere il proprio punto di vista, a fare proposte e così via. Tendono a fare concessioni in fase avanzata della trattativa, verso la fine e solo dopo aver valutato tutte le possibilità dell’interlocutore. Generalmente le loro proposte di concessione arrivano quando ormai la trattativa è in un vicolo cieco. Anche in questa situazione, però, i negoziatori cinesi traggono vantaggio da tutti gli errori e le sviste commessi dalla parte opposta.

I cinesi non prendono mai una decisione senza avere prima studiato minuziosamente tutti gli aspetti e le conseguenze dell’accordo. Le decisioni più importanti vengono prese di solito in forma collegiale, con molteplici accordi a tutti i livelli decisionali. L’approvazione della sede centrale tende a essere obbligatoria per qualsiasi tipo di accordo.

Con i cinesi si corre spesso il rischio di ricevere un “colpo basso”. Sono dei veri maestri nel coinvolgervi nel processo di trattativa per poi colpire. Possono addirittura cambiare all’improvviso le condizioni dopo aver già avviato la collaborazione.

Esempi e situazioni

Questa è una situazione tipica che si verifica abbastanza spesso nelle trattative con i cinesi.

L’azienda Campagna Russa lancia sul mercato una nuova linea di prodotti. In vista della produzione di tale merce decide di formalizzare un accordo con la fabbrica Bosco Cinese; a tale scopo il responsabile degli acquisti di Campagna Russa conduce delle trattative con i rappresentanti di Bosco Cinese finché il relativo contratto non viene firmato.

Quindi l’azienda russa versa un anticipo del 30% e la fabbrica avvia la produzione. Quando la prima partita di prodotti è pronta per essere inviata, la fabbrica comunica di avere avuto delle spese impreviste e si rifiuta di inviare la merce se queste non saranno compensate.

L’azienda russa si trova quindi di fronte a un bivio: perdere l’anticipo e restare senza merce nel bel mezzo della stagione oppure cedere alle richieste dei cinesi.

Quanto a questi ultimi, essendo dei produttori molto grandi, corrono di fatto dei rischi minimi: l’anticipo ricevuto copre le spese di fabbricazione della prima partita e in fondo Campagna Russa costituisce solo una minima parte del loro portafoglio clienti. Inoltre potranno rivendere la merce prodotta a qualche altro cliente senza troppe difficoltà.

 

Stati Uniti

Di solito gli americani sono negoziatori alquanto abili. È molto importante tenere a mente che sono grandi patrioti e che non sopportano alcun tipo di critica. Danno l’impressione di essere partner molto tenaci e talvolta addirittura aggressivi o maleducati. Ma questo è semplicemente il loro stile e non c’è niente di personale. Al contrario, si distinguono per buona disposizione d’animo, sincerità, energia e affabilità. Non amano le atmosfere troppo ufficiali per condurre trattative.

Tuttavia, dietro la loro affabilità di solito non c’è niente. I risultati delle trattative dipenderanno esclusivamente da quanto sarà vantaggiosa ai loro occhi la proposta che si sta discutendo. Il motto del negoziatore americano è molto semplice: «I problemi degli indiani non preoccupano lo sceriffo».

Generalmente entrano in una trattativa con una posizione forte, il che li porta ad agire in maniera aggressiva. Fanno sfoggio inoltre di una grande tenacia per cercare di raggiungere i propri obiettivi. Amano molto contrattare e non fanno mai niente per niente. Cercano sempre di prevedere lo sviluppo degli avvenimenti.

Amano molto le soluzioni “a pacchetto” e reagiscono molto male agli imprevisti. Tentano di capire nel dettaglio quale sia il vantaggio dell’interlocutore rispetto alla concorrenza. Per questo quando entrate in trattativa con degli americani dovete subito mostrare loro chiaramente tale vantaggio, altrimenti non perderanno tempo a trattare con voi.

È importante tenere presente che negli Stati Uniti le referenze sono fondamentali, quindi in una negoziazione è molto importante e utile nominare le aziende e gli uomini d’affari statunitensi con cui abbiamo collaborato in passato o stiamo ancora collaborando.

I pranzi con interlocutori americani sono sempre momenti in cui si parla di affari con una certa intensità.

Paesi arabi

Gli arabi sono molto sensibili alle questioni relative all’indipendenza nazionale. Tutto ciò che possa essere interpretato come un’ingerenza nei loro affari interni sarà immediatamente respinto.

Il rispetto e la correttezza sono tipici degli interlocutori arabi. Preferiscono riunirsi e consultarsi prima di esporre il proprio punto di vista e vogliono sempre che sia chiaro che si tratta di un’opinione collettiva. Non amano che qualcuno della loro delegazione abbia un ruolo principale nel processo decisionale e nella conduzione delle trattative.

È molto importante rispettare le tradizioni e i costumi locali. Nelle negoziazioni tendono a fare costante riferimento al passato, alle loro radici. La caratteristica fondamentale della loro condotta durante le trattative è che le vedono come una continuazione delle tradizioni storiche del proprio paese, che ai loro occhi sono particolarmente importanti.

Risulta molto sgarbato cominciare una trattativa senza inchinarsi davanti all’interlocutore in segno di rispetto.

Gli arabi danno grande importanza al livello in cui si svolgono le trattative e preferiscono studiare prima nel dettaglio tutte le questioni che verranno affrontate. Qualsiasi decisione viene preceduta da lunghe conversazioni.

Un’altra caratteristica delle trattative con gli arabi è che sono sufficienti un accordo verbale e una stretta di mano perché il contratto entri in vigore. Si tratta di una tradizione centenaria. Quindi può accadere che le parti abbiano raggiunto un accordo ufficioso e già comincino ad attenersi alle condizioni in esso definite.

Infine, nelle trattative con arabi qualsiasi cambiamento di circostanze o comparsa di nuove informazioni viene ritenuta una condizione sufficiente per rivedere l’intero accordo.

Adesso, cari lettori, siete arrivati al punto di partenza. Sì, esatto: di partenza! Perché ora dovrete fare vostri tutti questi strumenti e metterli in pratica nelle trattative reali. È importante che ricordiate che la negoziazione è uno sport e che se smettete di praticarlo vi dovrete allenare molto per tornare in forma. Vi consiglio di esercitarvi costantemente e di analizzare ogni trattativa a cui partecipare per preparavi meglio a quella successiva. Così migliorerete le vostre abilità. Tenete inoltre sempre a mente che le negoziazioni sono un processo a cui prendono parte delle persone e non dei robot e che, oltre a usare la logica, gli esseri umani sono fatti anche di emozioni, che spesso conducono il gioco. Vi auguro di avere successo nelle vostre trattative!

 

1 - Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, traduzione di Elda Bossi, Giunti, 1991.

2 - Traduzione letterale dal russo, libro non disponibile in italiano.

3 - Traduzione letterale dal russo, libro non disponibile in italiano.

4 - Traduzione letterale dal russo, film non disponibile in italiano.