Introduzione
Il bicchiere della scienza è mezzo vuoto. I ricercatori di tutto il mondo sono concentrati su ciò che ancora non sappiamo. Cent’anni fa era lo stesso, e anche cent’anni prima. Ma di tanto in tanto, ci sono dei progressi. Ah ah! Qualcosa scatta nella mente di qualcuno. Tutto quadra. Il risultato sembra arrivare come per magia. Ciò che era invisibile improvvisamente appare chiaro come il sole. L’ispirazione tocca ognuno di noi: scrittori, artisti, scienziati e gente comune. Lo iato tra la conoscenza e l’immaginazione non è così misterioso come sembra. Le sue conseguenze si fanno sentire a lungo, dopo che le prime idee sono già svanite e le questioni pratiche hanno preso il sopravvento.
Possiamo vedere le prove del nostro futuro scientifico e tecnologico, assistendo all’anteprima di un mondo di meraviglie prima dell’apertura del sipario e dell’inizio dello spettacolo. L’anticamera della scoperta è un luogo in cui le idee vengono forgiate prima di venire alla luce. È l’incubatrice in cui si plasma la scienza prima che venga messa alla prova. Quando la rappresentazione dei nostri successi include il processo e le tribolazioni lo hanno preceduto, la conoscenza assume un altro aspetto.
Come possiamo illustrare la traiettoria scientifica e tecnologica che ci ha condotti dalla macchina a vapore al microchip, o dai primi automi della Rivoluzione scientifica all’intelligenza artificiale di oggi? Ogni giorno, gli scienziati si svegliano, vanno nei loro laboratori, scrivono articoli, tengono corsi, addestrano i colleghi, a volte ricevono premi ed elogi, vanno in pensione e muoiono. I sociologi e gli antropologi li hanno seguiti passo passo con attenzione. Questo percorso segue una chiara logica che funziona in modo frammentario, eppure, da qualche parte lungo il cammino, sembra intromettersi qualcosa di più grande degli attori coinvolti. Gli studiosi sono sempre stati affascinati dal momento della scoperta, quando scienziati geniali hanno un’idea brillante. Le grandi scoperte spesso avvengono quando meno ce lo si aspetta. Ciò che era impossibile non lo è più.
Nuovi esperimenti e tecnologie vengono concepiti dalle menti degli scienziati: sono immaginati ben prima di essere concretamente realizzabili. Quando sono impegnati a fondo nel loro lavoro, gli scienziati hanno spesso la testa tra le nuvole.
La sorprendente natura della scoperta e dell’invenzione può far sorgere il sospetto che qualcosa di simile a una forza inconsapevole trami alle spalle della ragione e guidi il loro sviluppo dall’esterno. La storia della scoperta è tortuosa, affascinante e, a volte, spaventosa. Ha anche una sua terminologia tecnica altamente sviluppata. Gli scienziati spesso usano la parola «demone» nelle prime fasi delle loro ricerche per designare qualcosa di ancora non ben definito o compreso. Questi demoni non hanno a che fare con la religione, il soprannaturale, il mostruoso o con il male. Si riferiscono a qualcosa che sfida le spiegazioni razionali e che può sconcertare, o infrangere un’ipotesi o una legge naturale. Il loro ruolo non è essenzialmente metaforico o simbolico. Si tratta di termini tecnici la cui definizione si trova in quasi tutti i dizionari.
L’Oxford English Dictionary descrive i demoni nella scienza come «entità teoriche dotate di speciali abilità, utilizzate negli esperimenti mentali» a cui spesso ci si riferisce «con il nome della persona associata all’esperimento» secondo uno schema inaugurato da Cartesio, il filosofo del XVII secolo padre dell’Illuminismo.1
Il demone di Cartesio ha spalancato le porte a molti altri, fino ai giorni nostri. Nuovi nomi sono stati aggiunti alla lista, man mano che entravano a far parte del gergo dei laboratori: il demone di Laplace ha seguito le orme di quello di Cartesio ed è stato il modello per le nuove macchine calcolatrici che avrebbero potuto determinare con precisione la posizione e il movimento di tutte le particelle dell’Universo, in modo da conoscere il passato e il futuro. Questi due demoni dovettero presto affrontare la concorrenza spietata della creatura vittoriana conosciuta come demone o diavoletto di Maxwell, che poteva alterare il corso della natura. Con il progredire del prestigio e della complessità della scienza, furono evocati molti altri demoni che portavano i nomi di Charles Darwin, Albert Einstein, Max Plank, Richard Feynman e altri ancora.
Nel cercare di capire come stanno le cose spesso si evocano i demoni come categoria utile per parlare delle lacune della conoscenza e per colmarle. Quando ci si trova di fronte a un problema particolarmente difficile, o quando l’Universo non funziona come dovrebbe, gli scienziati iniziano subito a pensare a un possibile colpevole. Oltre a ricevere il nome dello scienziato che per primo ha iniziato a meditare sull’enigma, i responsabili sono spesso antropomorfizzati e diventano modelli per le tecnologie del futuro. I ricercatori a volte parlano di loro al maschile, altre volte al femminile, e spesso in termini neutri. Mentre immaginano demoni dotati di abilità contrastanti tra loro e ipotizzano che collaborino o combattano l’uno con l’altro, questi ultimi ispirano la creazione di dispositivi tecnologicamente ancora più complessi. Prototipi che vengono costantemente aggiornati. Nuove versioni sul punto di essere lanciate.
Esiste una variante del termine – daemon – che in ambito scientifico ha ancora un altro significato: in informatica indica «un programma (o parte di un programma)» che gira su un computer, e può essere interpretato come l’acronimo di «Disk And Execution MONitor» oppure per «DEvice And MONitor». Quando facciamo una ricerca su un computer, per trovare ciò che stiamo cercando vengono usate linee di codice chiamate daemon. Quando ci colleghiamo a Internet o usiamo uno smartphone, miriadi di daemon lavorano per agevolare il processo di comunicazione tra noi, il nostro dispositivo e quelli degli altri. Oggi i daemon sono fondamentali per l’infrastruttura delle comunicazioni.2
Questa figura retorica è stranamente significativa. I lemmi dei dizionari rivelano il segreto di Pulcinella del ristretto club degli scienziati: in realtà sono loro i veri esperti di demoni. I professionisti di diversi campi sono d’accordo nel dire che «la scienza non ha ucciso i demoni» e che studiarli può essere molto utile.3 Gli scienziati sono abituati a cercarli per capire il mondo, per migliorarlo, per superare difficoltà insormontabili e uscire dai vicoli ciechi. Come sono entrati a far parte del gergo scientifico? Quali sono le conseguenze di questo modo di fare ricerca? Quali effetti collaterali ha tutto ciò sullo sviluppo del mondo? Cosa lega queste definizioni al termine originale che deriva dal greco δαιμόνιον? C’è una correlazione con i demoni associati all’inferno e al male?
La maggior parte dei dizionari include questi lemmi: nella definizione, i demoni non vengono più presentati come avversari degli angeli e nemmeno sono intercambiabili con altre creature della religione e del folklore, ma sono raggruppati con i loro simili. L’uso tecnico del termine mostra perché la concezione religiosa, metaforica e letteraria dei demoni rimane così pertinente ancora oggi.
Il progresso della scienza e della tecnologia è stato segnato dalla ricerca della possibile esistenza di un gruppo eterogeneo, una troupe di personaggi esuberanti caratterizzati da costumi riconoscibili, inclinazioni e abilità capaci di sfidare le leggi stabilite. Per catturarli, gli scienziati si mettono nei loro panni.
La scienza supera la fantasia
Fin dall’antichità, poeti e letterati ci hanno descritto i demoni in modo evocativo. Alcuni ne parlano come la personificazione del male, mentre altri li associano a forze benevole, comprendendovi, talvolta, la nostra voce interiore o la nostra coscienza. La letteratura classica e moderna, i film dell’orrore e i fumetti abbondano di demoni e diavoli che passano indiscriminatamente dalla cultura alta a quella bassa e viceversa.
Lucifero, Belzebù e Satana sono i principali demoni della religione. Socrate è uno dei più noti demoni della filosofia. Nella letteratura ce ne sono molti: il Lucifero di Dante, il Prospero di Shakespeare, il Satana di Milton, il Mefistofele di Goethe e il Frankenstein di Shelley sono solo alcuni tra i più famosi. I demoni della scienza condividono con loro alcune caratteristiche, anche se non tutte. Ad esempio, non hanno nessuno dei tratti fisici dei demoni di un tempo, non hanno più nulla in comune con le creature munite di corna, lunghe code e zampe caprine. I luoghi comuni associati alla magia nera e al maligno non fanno per loro. Il loro aspetto è diverso. Tuttavia, i demoni della scienza hanno molte caratteristiche in comune con i demoni dell’antichità. Benché non siano più isomorfici a loro, rimangono isofunzionali per alcuni aspetti fondamentali. Perciò sono spaventosi e surclassano i loro predecessori in modi sorprendenti.
Concentrandoci quasi esclusivamente sui demoni del folklore, delle leggende o della religione, abbiamo dimenticato di prendere in considerazione i demoni che sono tra di noi. Il poeta francese Baudelaire fu insuperabile nel suo rifiuto di accettare la demistificazione del mondo da parte della scienza. La sua opera incitava i lettori a rimanere attenti al vero potere di figure ritenute largamente simboliche. In un poema inizialmente intitolato Le Diable descrisse l’ultimo inganno del malvagio: «la più bella astuzia del diavolo è convincervi che lui non esiste!».4
Le tecnologie sono spaventosamente diverse tra loro. Cos’hanno in comune x e y? Quando penso a tutto ciò che viene classificato sotto l’etichetta «tecnologia», spesso mi vengono in mente gli arcani che hanno origine da quella domanda. Sono poche le cose dotate di quelle caratteristiche ad avere ingranaggi e pistoni. Possono essere naturali o artificiali, viventi o inerti, piccole o grandi oppure non trovarsi in nessun luogo fisico. Alcune sono chiaramente utili, altre non lo sono affatto. Cosa può avere un telescopio in comune con una calcolatrice? Esiste una caratteristica di base che può essere utilizzata per descrivere cosa hanno in comune, ad esempio, una macchina a vapore e una linea di codice?
Di tutte le cose e i sistemi che di solito consideriamo parte della categoria «tecnologia», molti, prima o poi, sono stati associati al demoniaco, al magico o al fantastico. Mentre l’idea stessa della tecnologia moderna è spesso contrapposta alla credenza nel soprannaturale, troppi intellettuali considerano la tecnologia in questi termini. Come possiamo comprendere tali contraddizioni? Qualcos’altro nella tecnologia deve aver dato origine a queste associazioni mentali. L’argomento del mio libro è proprio quel «qualcos’altro».
Il demone della tecnologia
«Cosa ho fatto?». Una rassegna della storia della scienza e della tecnologia mostra che le innovazioni spesso generano rimpianto, che la determinazione può trasformarsi in disperazione, e che un’iniziale euforia può lasciare il posto all’introspezione. La storia della scienza è piena di memorie di scienziati che si sono trovati a farsi le stesse domande dopo aver visto come erano stati utilizzati i frutti delle loro ricerche.
La conoscenza è potere, ma dobbiamo affrontare una complicazione: il potere, di per sé, non discrimina tra il bene e il male. Nemmeno le tecnologie più avanzate ci hanno portato tutti i benefici in cui speravamo. Viviamo nel terrore che le nostre più preziose innovazioni scientifiche e tecnologiche possano cadere nelle mani sbagliate ed essere usate per scopi impropri. Anche nella migliore delle ipotesi, quando la scienza e la tecnologia vengono portate avanti con obiettivi virtuosi e onesti, possono venire rapidamente adattate in senso distruttivo. Tutto ciò che serve per trasformare una cosa buona in qualcosa di orribile è una dose leggermente maggiore, un aumento graduale della quantità, oppure un impercettibile cambiamento di contesto. I pesticidi sono stati usati nelle camere a gas; i fertilizzanti possono essere usati per costruire delle bombe; i razzi possono trasportare armi di distruzione di massa; i vaccini sono facilmente adattabili per la guerra biologica; la cura per le malattie genetiche può diventare la base di interventi di eugenetica; lo stesso apparecchio può essere usato per curare o per nuocere e così via. Ciò che era una soluzione può trasformarsi in uno strumento per perpetuare un crimine. Un sogno può diventare un incubo in un batter d’occhio.
L’immagine dello sviluppo tecnologico che emerge non è del tutto positiva. La spada della conoscenza è a doppio taglio. Abbiamo riflettuto in questi termini sui pericoli della conoscenza fin dalla sua comparsa. Il racconto biblico dell’espulsione di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre descrive la conoscenza come qualcosa di trasgressivo e addirittura demoniaco. Una creatura associata al diavolo, più astuta di tutti gli altri animali selvatici, tenta Adamo ed Eva con il frutto proibito: «Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò».5 Queste parole sono state ripetute senza sosta, fin da quando furono scritte nel V o VI secolo a.C. E nonostante abbiano un posto di primo piano nelle tradizioni giudaico-cristiane, hanno influenzato profondamente anche altre culture.
Ancora oggi uno smodato desiderio di conoscenza continua a venire considerato trasgressivo e talvolta perfino peccaminoso. Secondo un’altra traduzione del famoso passaggio biblico, Adamo ed Eva mangiano il frutto dell’albero «che rende saggi». Il termine ebraico arum, usato per descrivere il serpente, è stato tradotto in molti modi: saggio, intelligente, acuto, furbo, sottile, ingegnoso, astuto, scaltro. Perché in questo passaggio, e non solo, l’intelligenza e la saggezza sono state collegate in modo così diretto alla peccaminosità e al mancato rispetto delle regole?
Il racconto biblico di Adamo ed Eva è stato preceduto da molti miti di argomento analogo, tra cui quelli di Prometeo e di Icaro sono solo i più noti. L’idea della tecnologia come di una lama a doppio taglio era già presente nel mito di Ercole e delle sue frecce avvelenate che, dopo essere state usate contro i suoi nemici, uccisero il loro ignaro creatore. Un altro famoso racconto antico che parla dei pericoli della tecnologia è la storia ebraica del Golem in cui viene data la vita a un mucchietto di creta. La creatura obbediva al suo creatore, fino al giorno in cui smise di farlo, lasciando alle sue spalle una scia di distruzione e rovina. Temi simili ispirano le storie di Talos, un automa-soldato di metallo; di Galatea, creata da Pigmalione perché fosse straordinaria; e di Pandora, che aprì il vaso affidatole da Zeus.
Nel Medioevo, le storie che illustravano i rischi morali della scienza e della tecnologia usavano metafore simili, e acquistarono importanza le figure di demoni, diavoli e i patti stretti con queste creature. Nel VI secolo, l’esempio del religioso Teofilo di Adana fu utilizzato per sottolineare i pericoli di vendere l’anima in cambio della promessa della conoscenza totale. La leggenda medievale di Faust ricordava a chi la ascoltava che firmare un patto con il diavolo per conquistare una conoscenza illimitata poteva avere conseguenze perniciose. Il dramma elisabettiano dedicato a Faust da Christopher Marlowe portò l’argomento a teatro. Nelle storie di questo tipo spesso i personaggi, come Adamo ed Eva – fatalmente attratti da un sapere proibito o segreto – vengono invogliati a scoprire e a conoscere, finendo a volte per imparare troppo. Nel XIX secolo, il Faust di Johann Wolfgang Goethe diede nuova linfa agli antichi miti cristiani e medievali. L’opera fece scalpore in tutto il continente, che allora stava subendo rapide trasformazioni politiche, scientifiche e tecnologiche. Frankenstein, o il moderno Prometeo di Mary Shelley era a tal punto permeato di questi temi che l’autrice inserì nel titolo un riferimento al mito dell’antichità. Autori meno famosi affrontarono argomenti simili, talvolta riprendendo pregiudizi rudimentali e prosaici e luoghi comuni sui pericoli del sapere troppo.
Perché questi temi hanno attraversato i millenni? Le descrizioni dell’inventore e imprenditore Elon Musk in questo senso sono caratteristiche. Nel 2014, parlando al Centennial Symposium per il Dipartimento di aeronautica e astronautica del MIT, Musk parlò dell’intelligenza artificiale come di un potente mezzo per «evocare il demonio».6 Cosa c’è di pericoloso e allo stesso tempo affascinante nell’IA, o nella scienza e nella tecnologia? Perché pensiamo che essere curiosi sia rischioso? In altre parole, c’è qualcosa di demoniaco nella sete di conoscenza?
Se osserviamo le tecnologie ispirate dai demoni scientifici, abbiamo una panoramica sorprendentemente coerente dei successi più celebrati della scienza. Nel XVII secolo, Cartesio era affascinato e terrorizzato dal gran numero di innovazioni, come gli automi, e dalle nuove tecniche teatrali che facevano sfumare i confini tra la realtà e lo spettacolo. In questo contesto, il filosofo descrisse una creatura in grado di sopraffare i nostri sensi per farci credere a una realtà alternativa e sviluppò un’intera scuola di pensiero per difenderci da essa. Queste tecnologie erano rudimentali rispetto a quelle di oggi, eppure il demone di Cartesio fa ancora la sua comparsa nelle conversazioni tra scienziati e ingegneri interessati alle sfide poste dalle tecnologie di realtà virtuale o impegnati in quest’area di ricerca. Una caccia ai demoni, anche ad alcuni tra quelli antichi, guida ancora lo sviluppo di modelli sempre più perfetti. La realtà virtuale è solo un esempio tra i tanti.
La storia dei demoni ci permette di scorgere una cosa che la storia sociale o politica non riesce a cogliere: l’edificazione dell’arco della scienza e della tecnologia. I demoni della scienza sono stati cercati in quei luoghi che oggi sono considerati importanti e teatro di eventi storici. Nel Secolo d’oro olandese, fornirono preziosi insegnamenti sulle limitazioni dei nostri sensi e sul potere della ragione. Nella Francia rivoluzionaria, donarono agli scienziati la speranza che certe leggi naturali fossero fondamentalmente immutabili e stabili. Nell’Inghilterra vittoriana, rivelarono a un numero crescente di pensatori come far fronte all’industrializzazione. I demoni giocarono un ruolo centrale nell’Europa continentale nel corso della prima guerra mondiale, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti durante la seconda, e in una manciata di università americane durante la guerra fredda. Nel corso del xx secolo, le ricerche acquistarono un respiro globale, coinvolgendo laboratori selezionati che andavano da Helsinki a Tokyo, e furono fondamentali per lo sviluppo della meccanica, della termodinamica, della relatività, della meccanica quantistica e della cosmologia. Lo studio dei demoni si estese alle scienze della vita, in cui vennero considerati la spinta necessaria allo sviluppo della vita a partire dalle sue umili origini nella materia grezza ed ebbero un ruolo chiave nella biologia evoluzionistica, in quella molecolare e nelle neuroscienze. Lasciarono poi la scrivania dei fisici teorici e il bancone del laboratorio degli scienziati sperimentali per influenzare le teorie economiche e le politiche monetarie.
Non tutti i tridenti sono dei forconi e non tutte le pignatte sono dei calderoni. Molte tecnologie vengono considerate magiche e fantastiche ma non sono ritenute demoniache. In alcuni famosi esperimenti mentali i demoni non compaiono affatto. Solitamente, le descrizioni in chiave demoniaca di un aspetto della scienza o della tecnologia sopravvivono per un certo periodo prima di venire scartate e usate in modo indiscriminato per qualcosa di completamente diverso. Solo quando una ricerca è nuova, innovativa, misteriosa e potenzialmente trasformativa per ampi ambiti della cultura e della società viene descritta in questo modo. Nel caso delle tecnologie in grado di trasformare il mondo come lo conosciamo, abbiamo difficoltà a trovare esempi che prima o poi, in un modo o nell’altro, non siano stati rappresentati come demoniaci.
Immaginazione
La nostra immaginazione fa miracoli e in molti si sono dedicati al suo studio. Tuttavia, spesso si pensa che il suo ruolo nella scienza sia secondario. Tradizionalmente viene considerata un’«arte personale», troppo indocile per poter essere studiata, che si situa oltre i limiti dell’indagine razionale, una cosa vaga, sfuggente, oscura e forse anche – irrecuperabilmente – dominio dell’inconscio.7 Anche se negli ultimi anni la cultura degli esperimenti mentali è cresciuta, molti studiosi li considerano ancora inferiori o sostanzialmente diversi rispetto agli esperimenti «veri» condotti nei laboratori o nei centri di ricerca.8 L’immaginazione continua a essere rappresentata come uno scomodo Es che si nasconde dietro l’Io della scienza, come qualcosa che accade soprattutto al di fuori dei laboratori e che vi entra solo occasionalmente e di soppiatto, come un fratello imbarazzante o un figlio bastardo delle arti e delle discipline umanistiche che si presenta senza essere stato invitato.9 Ma il suo potere non si esaurisce quando gli scienziati entrano in laboratorio o quando scrivono le loro formule. La scienza – dalla teoria agli esperimenti, fino alla comunicazione al pubblico – è profondamente permeata dall’immaginazione. Quando riflettiamo, ragioniamo e prendiamo decisioni, stiamo allo stesso tempo pensando a ciò che ci riserva il futuro, a cosa c’è oltre.
Osservando da una certa distanza, vediamo chiaramente quanto la nostra immaginazione plasmi la tecnologia. Il grande scrittore Victor Hugo si distingueva per la capacità di vedere collegamenti tra le tecnologie del suo tempo e le creature immaginarie dell’antichità. Chiedeva al suo lettore di riflettere su come i battelli a vapore avessero domato gli oceani allo stesso modo in cui Ercole aveva domato l’Idra, su come le locomotive sputassero fuoco come i draghi e su come le mongolfiere assomigliassero ai grifoni che un tempo si immaginava popolassero i cieli. «Abbiamo domato l’idra e si chiama battello a vapore», scriveva nel romanzo I miserabili, e proseguiva: «abbiamo domato il drago e si chiama locomotiva; siamo sul punto di domare il grifone, già lo teniamo, e si chiama aerostato». Hugo immaginava tecnologie del futuro basate sui miti del passato. «Il giorno in cui quest’opera prometeica sarà terminata», continuava, «e l’uomo avrà definitivamente sottomesso alla sua volontà la triplice antica chimera, l’idra, il drago e il grifone, sarà padrone dell’acqua, del fuoco e dell’aria».10
I castelli in aria raramente sono disabitati. In una torre può essere rinchiusa una principessa, nel campanile potrebbe vivere un gobbo, oppure sotto il ponte levatoio potrebbe esserci un troll addormentato. La nostra immaginazione è quasi senza limiti, ma non è senza confini. Il filosofo Ernst Bloch ci ricorda che «Anche nella fiaba non è che tutto scorra liscio».11 Le creature immaginarie non possono infrangere impunemente tutte le regole e le leggi. Devono rimanere nel personaggio, non possono andare dove vogliono e fare ciò che vogliono. Le creature della nostra immaginazione ci conducono ad alcuni futuri possibili. Il nostro destino può cambiare se scegliamo di entrare nelle segrete, di sbirciare sotto il ponte levatoio o di dormire nel letto della principessa, di scalare la torre più alta o di evocare un demone.
Non tutte le creature immaginarie sono state ugualmente utili alla scienza. I demoni sono le creature di gran lunga più comuni tra quelle che popolano l’immaginazione scientifica moderna. I riferimenti ai demoni superano le allusioni a mostri, fantasmi, licantropi, zombi, fate, streghe, unicorni, elfi, giganti, dragoni, sirene, basilischi, ippogrifi, grifoni e così via. Come gli altri esseri, i demoni rappresentano archetipi universali, figure simboliche che ci aiutano a esprimere sentimenti come il terrore e la paura, comuni a tutte le culture nel corso della storia. Tuttavia, per comprendere lo sviluppo della scienza e della tecnologia è necessario separarli in modo più preciso da altre creature immaginarie. L’antica e particolare origine dei demoni li rende preziosi per riflettere sul mondo naturale: non possono essere accomunati a nessun’altra creatura. Gli unicorni, ad esempio, nel linguaggio degli imprenditori delle capital venture indicano le start-up di particolare successo, ma vengono raramente menzionati nella letteratura scientifica. Elfi e giganti, creazioni della mitologia precristiana vichinga o di altre tribù germaniche, sono talvolta evocati dagli scienziati per descrivere l’aspetto del mondo a diverse scale di grandezza, ma i riferimenti nella letteratura tecnico-scientifica sono pochi. Lo stesso vale per i vampiri, originari soprattutto dell’Europa orientale e risalenti al XIX secolo; o per i folletti e gli spiriti maligni del folklore europeo. Anche se nel Medioevo la categoria del mostruoso fu molto importante per lo sviluppo della scienza, il suo ruolo nella pratica scientifica moderna è inferiore. Nessuna di queste creature figura nella scienza moderna tanto quanto i demoni.
Un mondo privo di demoni
Non sorprende vedere i critici della tecnoscienza sottolineare le sue qualità demoniache, e sorprende ancora meno vedere che i suoi sostenitori hanno un’opinione diversa dei demoni e dell’immaginazione. La scienza è stata spesso rappresentata come un’arma contro ogni sorta di superstizioni o credenze pseudoscientifiche propalate dai ciarlatani e alimentate dalle forze della religione e della superstizione. Il famoso cosmologo e divulgatore Carl Sagan esaltava la scienza proprio per questo motivo. Nel suo best-seller del 1997, intitolato Il mondo infestato dai demoni, descriveva il metodo scientifico come «la bella arte di smascherare gli inganni» che permette agli scienziati di eliminare le credenze irrazionali e altre falsità dal mondo.12
Sagan aveva ragione. Quando l’irreale improvvisamente sembra diventare reale – o peggio, quando il reale e l’irreale sembrano confondersi – la nostra immaginazione può essere imbrigliata mettendola alla prova. Le leggi naturali ci impongono dei vincoli che possiamo usare per tenere sotto controllo le nostre credenze e tenere a bada la nostra immaginazione in fuga. Ci trattengono. Solide e inamovibili, le leggi della natura limitano la nostra capacità immaginativa e fanno sì che i nostri piani più audaci si adeguino alla realtà concreta. Gli esperimenti possono aiutare. Se pensate di aver visto un demone, è meglio che ci ripensiate: eravate turbati, stavate delirando o avevate bevuto? Se quell’impressione non viene dissipata dall’escludere mentalmente le cause che potrebbero avervi erroneamente indotto a credere di aver visto un demone, potete ideare un esperimento per scartare altre possibili cause. Potete accendere la luce, controllare la finestra, cercare impronte sospette, o prepararvi a catturare il colpevole alla prossima apparizione, o spargere farina sul pavimento della stanza per vedere se è entrato qualcuno. Se ogni volta non trovate alcuna prova, allora è estremamente improbabile che un essere bipede ne fosse il responsabile.
Nel corso della storia della civiltà, abbiamo sviluppato modi per mettere alla prova le nostre credenze. Modificando le condizioni per eliminare le false ipotesi, le persone razionali agiscono come gli scienziati, usando tecniche sperimentali per andare a fondo delle questioni e arrivare alla verità. Il ragionamento per prove ed errori che caratterizza il pensiero razionale è stato straordinariamente efficace per escludere l’esistenza di una serie di creature ipotetiche, consentendo di dimostrare che sono così improbabili da poterle cancellare dalla lista delle cose da cercare. Uno scienziato che brandisce un telescopio o un microscopio, che tiene in mano una provetta o una beuta, o che analizza una piastra di Petri per eliminare una falsa ipotesi, si comporta come un valoroso cavaliere che uccide un drago o un demone.
Ma le cose non sono così semplici. Gli scienziati sono continuamente alla ricerca di nuove particelle, forze, materiali, stati della materia e leggi naturali in tutte le combinazioni possibili. Affascinati dall’incredibile e dall’inverosimile, gli studiosi partono per viaggi di scoperta. Quando parlano tra loro, spesso descrivono le loro imprese come una ricerca dei demoni non ancora del tutto compresi o la cui esistenza non è stata esclusa dagli esperimenti comunemente accettati. «Se noi sapessimo in anticipo quel che troveremo, sarebbe inutile affaticarci tanto» ammetteva Sagan, e concludeva: «le sorprese – anche di proporzioni mitiche – sono sempre possibili, forse anche probabili».13 Come possono le leggi scientifiche, caratterizzate dall’essere certe, precise, definitive, venire migliorate, raffinate e – talora – persino stravolte? Come fa la nuova conoscenza a nascere da leggi prestabilite?
Alla base della scienza c’è una contraddizione. L’immaginazione è necessaria al raggiungimento di nuove conoscenze. Possiamo tessere le lodi dell’Homo sapiens per aver appreso a pianificare e a calcolare come nessun’altra specie prima di lui, e quelle dell’Homo faber per aver saputo usare strumenti meglio di tutti i suoi predecessori, eppure ci pare di aver dimenticato che entrambi sono stati motivati dall’inventore della creatività: Homo imaginor. L’andirivieni tra il reale e l’immaginario è ciò che ci permette di creare nuova conoscenza. Le leggi scientifiche sono robuste ma non sono immutabili e l’immaginazione è lo strumento migliore che abbiamo per ampliarle e migliorarle. La scienza cresce quando i ricercatori la spingono ai limiti, sforzandosi di farla diventare più intelligente di ciò che c’è di più intelligente, più grande di ciò che c’è di più grande, più piccola di ciò che c’è di più piccolo, più lenta di ciò che c’è di più lento, più veloce di ciò che c’è di più veloce.
Gli scienziati sanno molto bene che se qualcosa non è stato ancora scoperto non significa che non lo sarà mai. Per ribadire questo concetto, il filosofo A.J. Ayer si è sentito autorizzato a evocare, a mo’ di esempio, la ricerca dell’abominevole uomo delle nevi. «Nessuno può dire che l’abominevole uomo delle nevi non esiste», perché è impossibile mettere insieme tutte le prove della sua inesistenza. E concludeva: «Il fatto che qualcuno non ci sia riuscito non prova in modo definitivo che non sia mai esistito».14 Le porte del tempio della Realtà rimangono spalancate.
La ricerca di nuove entità non procede alla cieca. Le tracce si raffreddano. Gli scienziati esperti sanno dove è più utile cercare, che aspetto dovrebbero avere le nuove scoperte, quali proprietà potrebbero possedere e di cosa potrebbero essere capaci. Programmi di ricerca ben finanziati si concentrano sugli ambiti più meritevoli di approfondimento. La fortuna, secondo un noto detto, favorisce solo le menti preparate.15 Ci vogliono anni e anni di formazione e addestramento per prepararsi, ore e ore di studio per padroneggiare la letteratura su un dato argomento. Prima di mettersi in cammino per scoprire le leggi fondamentali della natura, gli scienziati si equipaggiano con cura, come navigatori che salpano per un lungo viaggio. Ma la fortuna favorisce anche coloro che osano immaginare. Una parte fondamentale dell’addestramento di ogni giovane scienziato consiste nell’affinare l’immaginazione.
Dove ci sta conducendo l’immaginazione? La scienza di oggi, come si dice, è la tecnologia di domani. Eppure, la relazione tra la scienza e la tecnologia nel corso della storia non è sempre stata così diretta o trasparente. Gli scienziati stessi spesso ignorano le ripercussioni che avranno le loro ricerche. Talvolta, più si concentrano su un determinato argomento, più hanno difficoltà a comprenderne l’impatto.
Il fisico Max Born ci ha dato uno dei migliori esempi dei paraocchi degli scienziati nei confronti dell’impatto delle loro ricerche. Riflettendo sui suoi contributi, lo studioso ha ammesso che «si sarebbe riso di chiunque avesse descritto le applicazioni tecniche che abbiamo oggi». Il cammino intrapreso dallo sviluppo della tecnologia negli ultimi secoli è andato oltre ogni aspettativa. Durante la giovinezza di Born «non c’erano le automobili, gli aerei, non c’erano il telegrafo senza fili, la radio, il cinema, la televisione, la catena di montaggio, la produzione di massa e così via».16 Capita che gli scienziati che lavorano nei campi più rilevanti per le nuove tecnologie siano del tutto inconsapevoli dei cambiamenti che stanno per accadere proprio sotto il loro naso. Anche gli scrittori di fantascienza che immaginano i mondi di domani si sbagliano sugli sviluppi del futuro. Se non possiamo tracciare un cammino che ci porti indietro fino alle azioni e alle intenzioni consapevoli degli scienziati, in quale altro modo possiamo capire lo sviluppo delle innovazioni tecnologiche? L’interconnessione tra la scienza e la tecnologia è così complessa, e il loro sviluppo nel corso della storia è così sconcertante, che sorge un’altra domanda: cosa è venuto prima di entrambe?
Per secoli, gli scienziati sono stati folgorati dallo studio di un particolare tipo di demoni. Nel tentativo di immaginare ciò che queste creature avrebbero o non avrebbero potuto fare, gli studiosi hanno compreso alcune delle più importanti leggi dell’Universo. Quando hanno messo a punto la legge della conservazione dell’energia, hanno immaginato potenti demoni che avrebbero potuto infrangerla. Quando stavano lavorando alle leggi della termodinamica, hanno immaginato demoni minuscoli capaci di interferire con i singoli atomi e di sovvertire l’entropia. Quando hanno ideato la teoria della relatività, hanno preso in considerazione l’esistenza di demoni più veloci della luce in grado di mettere scompiglio nell’Universo in modi imprevedibili. Quando hanno scrutato nel cuore degli atomi, fino al livello dei quanti, hanno valutato se i demoni avrebbero potuto interferire sulle bizzarre traiettorie dei protoni o degli elettroni che influenzavano il decadimento atomico, la trasmutazione e l’emissione di energia da fonti ancora sconosciute. I demoni ancora sotto esame sono dotati di caratteristiche abbastanza credibili, tanto che gli esperti continuano a valutare se e come possano essere reali.
Riguardo ad alcune delle domande fondamentali su queste creature, rimane ancora tutto da vedere. I demoni più irriducibili – quelli che sono sopravvissuti a secoli di studi – hanno finora eluso i più astuti tentativi di eliminazione di studiosi pieni di risorse. I demoni deboli e impacciati sono stati eliminati, ma quelli più forti e abili scivolano come pesci tra le maglie delle tecniche sperimentali più avanzate. Mentre la scienza ci aiuta a separare le illusioni e le credenze irrazionali dalle leggi naturali e gli scienziati spiegano ciò che la natura è in grado di fare, dove si trovano i suoi limiti, e come possiamo spingerci oltre, la lista di cose da cercare si è allungata.
La natura della logica, la realtà virtuale, la termodinamica, la teoria della relatività, la meccanica quantistica, l’informatica, la cibernetica, l’intelligenza artificiale, la teoria dell’informazione, la biochimica dell’origine della vita, la biologia molecolare e quella evolutiva, la replicazione e la trascrizione del DNA hanno fatto progressi grazie ai demoni. La scoperta di cose apparentemente scollegate tra loro – come le molecole, la bomba atomica, i computer, il DNA, le reti neurali, i computer quantistici – ha fatto parte dello sforzo epico per scoprirli e capirli.
I demoni moderni sono arrivati con il pensiero moderno e lo hanno eletto a loro dimora. Secondo alcune descrizioni, sono dotati di dita agili e di vista acuta; secondo altre possiedono delle torce, alcuni di loro sono in grado di formare famiglie, e altri ancora vengono descritti come organizzati in eserciti o società. Alcuni di loro urlano selvaggiamente, e altri sono tranquilli e cortesi. Sono in agguato in una dimensione che spesso è oscura, caotica e ben isolata dal mondo esterno, come l’interno di un computer. Tutte queste creature, in tutte le loro forme e sembianze, condividono una qualità: sembrano volerci aiutare a vivere bene o a impedirci di farlo, un ideale descritto dai greci con il termine eudaimonia. Non mi sorprende più che il termine usato nell’antichità per designare la «bella vita» sia formato dal prefisso eu-, «buono, bello», e dalla parola demonia, che significa «demoni».
Quella che segue è una storia dei demoni nella scienza – alcuni immaginari e altri reali, alcuni impossibili e altri meno – e una storia dell’Universo come abbiamo imparato a conoscerlo, pieno di misteri e possibilità.