Prologo. Via da Parigi
DUE ANNI PRIMA
Philippe
Sono felice. Davvero felice. Schifosamente felice.
Nessuno se lo sarebbe aspettato, tantomeno lui.
Philippe era sempre stato lontano dall’amore e dai legami fissi, se non si contavano quelli che aveva con suo fratello e con la sua famiglia, e ora stava per sposarsi.
Juliette era entrata nella sua vita passando per la porta del suo ristorante e, da quel momento in poi, ci sarebbe stata per sempre. O almeno era quello che lui sperava.
Mai avrebbe pensato che un annuncio per la ricerca di un maître gli avrebbe invece portato la donna con cui avrebbe passato il resto della sua vita.
Piano piano, era arrivata al suo cuore usando come trampolino il loro rapporto lavorativo.
Philippe era un cuoco, uno di quelli bravi, se non il migliore, in Francia.
La sua cucina era un’esplosione di sapori, nessun piatto aveva mai ricevuto critiche se non costruttive, che Philippe accettava di buon grado perché, come diceva sempre sua madre, un buon consiglio va sempre accettato. E lui dava sempre retta a sua madre, tranne per una cosa: allontanarsi da Juliette.
Margot Barnier, sua madre, odiava in modo viscerale la sua fidanzata e voleva che la lasciasse. Philippe aveva provato a farle cambiare idea, ma lei era stata irremovibile; per lei, Juliette, nascondeva qualcosa.
Philippe le aveva tentate tutte per farle andare d’accordo, ma dopo l’ennesima litigata con entrambe aveva lasciato correre e ora quelle due, durante le cene che spesso le vedevano sedere alla stessa tavola, si comportavano come la Russia e l’America durante la guerra fredda e lui non poteva fare altro che prendere le parti della Svizzera.
Sorrise. Erano così simili e nemmeno se ne rendevano conto.
Il giorno dopo si sarebbe sposato e la cosa ancora non gli sembrava vera, ma se guardava nello specchietto retrovisore della sua Peugeot 208 Touch non poteva fare altro che crederci.
I numerosi pacchetti dalle più svariate dimensioni erano talmente tanti che in una valanga di riccioli e carta colorata avevano raggiunto il sedile posteriore.
Philippe, una volta chiuso il ristorante, aveva deciso di portare tutti i regali ricevuti da amici e parenti nella casa nuova.
Sarebbe stata una bella sorpresa per Juliette, trovare tutte le loro cose al loro posto. Oltretutto, dato che a causa degli impegni di lavoro non sarebbero partiti per la luna di miele, oltre che un gesto carino era anche pragmatico.
Tutto sarebbe stato in ordine e avrebbero iniziato subito la loro vita assieme.
E fu con quei pensieri che spinse al massimo sull’acceleratore per arrivare il prima possibile a destinazione.
Avevano trovato quella deliziosa casetta ad Allauch, che non solo distava pochissimo dal ristorante in cui entrambi lavoravano, ma che aveva conquistato entrambi per il vicinato e le moltissime zone verdi.
Percorse la A7 a tutta velocità e, in meno di mezz’ora, si ritrovò sotto la villetta quadrifamiliare.
Accostò la macchina al marciapiede e si fermò, scese dall’abitacolo e si mosse verso lo sportello posteriore. Quando lo aprì, guardò le tante confezioni e sospirò girandosi verso la casa.
Dovrò sicuramente fare più viaggi, ma posso farcela,
si disse, ma mentre pensava quelle parole, vide accendersi la luce della finestra del salotto e si accigliò quando quella si spense.
Ci mancavano i ladri…
Chiuse il portabagagli della macchina e pensò alla sua prossima mossa.
Non poteva lasciare campo libero a quei criminali, doveva salire e difendere quella che sarebbe diventata di lì a poche ore casa sua.
Lui e Juliette avevano già cominciato a portare nell’appartamento alcuni grandi elettrodomestici, fra cui un enorme televisore dallo schermo piatto e una di quelle macchinette per il caffè ultratecnologiche, cose di cui lui avrebbe volentieri fatto a meno,
ma che, spinto dall’insistenza di Juliette, era stato costretto a comprare.
Avrebbe fatto di tutto per renderla felice, anche entrare a sfidare dei ladri probabilmente armati che stavano in quel momento agendo indisturbati dentro casa loro.
Riaprì la portiera della macchina, infilò una mano sotto al sedile del guidatore e prese la chiave a T, quella che di solito serviva a rimettere gli pneumatici al loro posto, ma che quella sera lui avrebbe brandito fra le mani come la più potente delle armi.
Richiuse la macchina e dopo aver atteso che, come al solito, si avviasse automaticamente l’allarme, s’incamminò furtivo verso l’entrata del palazzo.
Due rampe di scale separavano l’appartamento dalla strada, non erano molte, ma in quel momento gli sembrarono quasi il triplo. Inutile girarci intorno, aveva paura.
Una paura fottuta, perché l’indomani si sarebbe dovuto sposare, ma magari quei tizi avevano altri progetti per lui, magari erano armati e lo avrebbero ucciso non appena fosse entrato in casa sua.
Cazzo!
Salì le ultime scale fino ad arrivare davanti al suo pianerottolo, tirò fuori le chiavi di casa, le infilò piano nella toppa e girò stando attento a non far scattare la serratura.
La porta sembrava integra.
Almeno non hanno scassinato la serratura: saranno entrati dalle finestre?
Una volta aperto l’uscio, prese il cellulare con la mano libera e digitò il numero della polizia, in caso fosse necessario far partire la telefonata, più avanti.
Il corridoio era vuoto, non sentiva nessun rumore: eppure lui la luce l’aveva vista.
Allora dove sono i ladri?
La cucina era immersa nel buio, ma riconosceva benissimo il mobilio argentato, il frigorifero che costava quasi come la sua macchina e le superfici in marmo chiaro. Le sue padelle appese al centro del soffitto sotto al lampadario e il set di coltelli professionali al centro della penisola.
Si girò verso il salotto e notò con stupore che sia la televisione sia
il divano, così come anche lo stereo di ultima generazione, erano al loro posto.
E se avessi sbagliato? Se avessi visto accendersi la luce in un altro appartamento?
pensò facendosi strada verso gli altri ambienti.
Ma proprio mentre si poneva queste domande, un rumore sordo arrivò alle sue orecchie.
Philippe capì immediatamente che quel suono proveniva dalla camera da letto.
Nel momento stesso in cui si voltò, i suoi occhi incontrarono una scena che difficilmente avrebbe mai dimenticato.
Poco celati dalla penombra, c’erano due corpi avvinghiati sul letto matrimoniale.
Sospiri smorzati e gemiti colpirono le sue orecchie, non poteva crederci: la donna che l’indomani avrebbe sposato stava utilizzando quel letto con qualcuno che non era lui.
Juliette si muoveva sensuale sul corpo di un altro, la testa all’indietro e le mani al centro del petto dell’uomo che stava godendo di qualcosa che Philippe aveva creduto essere solo suo.
La donna si mosse, e la luce proveniente dalla finestra illuminò il viso di colui che giaceva con la sua futura moglie.
Gregoire Devereaux, il suo secondo Chef, il suo migliore amico, la spalla su cui Philippe poteva sempre contare, il ragazzo con cui aveva diviso gioie e dolori, l’uomo che sarebbe stato il suo testimone di nozze.
Philippe represse un conato, la situazione era più che chiara: le due persone di cui lui più si fidava erano quelle che in quel momento, su quel letto, lo stavano tradendo nel peggiore dei modi.
Voleva urlare, tirare un cazzotto a Gregoire per togliergli quel ghigno che aveva sempre avuto fin da ragazzino.
Voleva affrontare Juliette e chiederle che cos’era quello, che cosa significava.
Avrebbe voluto fare così tante cose, ma in realtà non riuscì a fare nulla.
Si voltò e muovendosi cauto uscì dalla casa, così come era entrato: in silenzio.
Chiuse la porta, guardò la chiave a T che teneva fra le mani e si rese conto di quanto fosse stato stupido, di quanto l’oggetto che
teneva fra le mani fosse inutile.
Chissà da quanto va avanti questa storia…
Serrò gli occhi e tirò un sospiro. Ora doveva pensare a cosa fare e certamente nelle opzioni non rientrava il matrimonio.
Percorse la strada a ritroso e risalì in macchina. La lasciò andare un po’ a folle prima di riaccendere il motore e scappare via da quella immagine, da quella casa, da quei due traditori.
Aveva bisogno di calmarsi per pensare e l’unico posto in cui era sempre tranquillo era solo uno: la sua cucina.
La strada deserta a quell’ora gli permise di arrivare al ristorante velocemente.
Quando accostò accanto alla serranda la trovò mezza alzata, segno che il suo Sous Chef era ancora alle prese con la preparazione della linea per il giorno seguente.
Chiuse la macchina, poi camminò sicuro verso l’entrata, col morale più basso che avesse mai avuto.
«Pascal? Sei tu?»
«Sì, Chef!» gli rispose il ragazzo uscendo dalla cucina.
I capelli corti, la giacca sbottonata e macchiata di sugo, i suoi occhi vispi lo fecero sorridere nonostante tutto.
«Stai ultimando le preparazioni?»
Pascal annuì. «Sì, come mai lei è qui, Chef?»
«Ci conosciamo da tre anni, non è il caso che mi dia del tu, almeno quando non lavoriamo?»
Il ragazzo sorridendo ripeté: «D’accordo, come mai sei qui, Philippe?»
Lui chiuse gli occhi. «Sono stato a casa nuova, volevo fare una sorpresa a Juliette, ma lei e Gregoire hanno sorpreso me!»
Pascal lo fissò interdetto. «Non capisco capo».
«Li ho beccati assieme! Sono amanti!» Philippe tirò a sé una sedia e si sedette, le mani sul viso, e lasciò uscire le lacrime che fino ad allora aveva trattenuto.
«Capo» lo richiamò Pascal. «Philippe, non puoi sposarla! Chiama i tuoi, sono sicuro che non ci saranno problemi se…»
«Certo che fermerò questa farsa» sbottò lui arrabbiato. «Ma non sono i miei genitori il problema, non capisci? Lavoriamo assieme e…»
«Philippe, torna in te: sei uno dei più giovani chef stellati di Francia e non sei arrivato fin qui piangendoti addosso! Ragiona e tirati fuori da questa impasse!»
Pascal aveva ragione, parlava come un saggio anche se non era poi così vecchio. Negli occhi di quel ragazzo Philippe aveva subito visto un’insolita saggezza, data sicuramente da qualche evento passato che aveva segnato la sua giovane vita.
Non si erano incontrati subito, quando aveva aperto il ristorante erano in tre: lui in cucina, Gregoire dietro le quinte e Marcel in sala. Il loro ristorante, il Joir Bien, da quasi invisibile aveva cominciato poi a richiamare sempre più avventori, così avevano dovuto allargare l’organico ed erano arrivati Pascal, tre camerieri e anche Juliette.
Quasi rimpiangeva gli inizi, ma forse poteva ricominciare da zero, e quella era l’occasione giusta.
E se…
Un’idea cominciò a formarsi nella sua testa, ma aveva bisogno di capire se Pascal poteva aiutarlo. D’un tratto, il solo pensare alle facce di Juliette e Gregoire lo fece stare meglio, cosa che dovette riflettersi nella sua espressione, perché Pascal asserì: «Philippe, quando sorridi così mi fai paura…»
«E fai bene, caro amico mio, perché ho un’idea da proporti».
Philippe aspettò che il ragazzo prendesse una sedia e si sedesse davanti a lui, poi cominciò a spiegare ciò che gli era balenato nella mente.
«Voglio andarmene di qui» sbottò e Pascal spalancò gli occhi impaurito.
«E il ristorante? E noi? E i ragazzi? Non puoi lasciarci così, sei impazzito? Non è colpa nostra se…»
Philippe lo fermò con un gesto della mano. «Non chiuderò il locale, non sono impazzito, tranquillo! Voglio solo ricominciare da zero, cosa che, oltretutto, dopo domani sarà necessaria!»
«Che succederà domani? Che hai intenzione di fare?»
«Non preoccuparti di questo…» anche perché non ho ancora ben capito cosa farò…
pensò guardando Pascal negli occhi. «Voglio andare via dalla Francia, magari andrò in Italia, chi lo sa? Sono certo però di non poter lasciare il Joir Bien nelle mani di Gregoire».
«Ovviamente!»
«Perciò qui entri in gioco tu, Pascal: sei un bravo ragazzo e un ottimo Sous Chef. Conosci a memoria tutte le mie ricette, probabilmente alcune le hai anche migliorate…» buttò là lui e il ragazzo sorrise, e proprio in quel momento Philippe decise di sganciare la bomba. «Perciò vorrei cederti parte delle mie quote e renderti a tutti gli effetti un socio alla pari. Gregoire non le ha mai volute, quindi il proprietario del ristorante sono soltanto io e posso decidere autonomamente cosa fare. Ma, Pascal, è tutto nelle tue mani: vuoi prendere in gestione il Joir Bien?»
Il ragazzo si alzò in piedi e iniziò a camminare davanti a lui, avanti e indietro, fermandosi a guardarlo ogni tanto per poi riprendere a marciare.
«Se non vuoi…» iniziò a dire Philippe, capendo che forse Pascal ancora non si sentiva in grado di occuparsi di un locale così ben avviato da solo, anche se, secondo lui, ne aveva tutte le capacità.
«No, io ce la posso fare! Ma tu sei sicuro? Ripartire da zero, trasferirti: non te ne pentirai?»
Philippe scosse la testa. «Se avessi visto quello che ho visto io poco fa, non avresti dubbi nemmeno tu, credimi».
«Allora se è quello che vuoi accetto volentieri».
Philippe si alzò e prese uno dei fogli della stampante che era sistemata dentro l’ufficio di quel meschino di Gregoire, afferrò una penna e ritornò da Pascal, si fermò accanto a uno dei tavoli e iniziò a scrivere.
Io, Philippe Tonetti, nato a Parigi il 13 marzo 1988, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, dichiaro con la presente di voler cedere volontariamente al signor Pascal Maret, nato a Marsiglia il 26 settembre 1993, numero quote quarantanove del ristorante di mia proprietà denominato Joir Bien. Tale decisione è stata presa autonomamente e senza flessione alcuna in quanto sono l’esclusivo proprietario e possessore del bene.
Pascal Maret rimarrà libero e assoluto proprietario delle quarantanove quote cedutegli e, in quanto unico dispositore, potrà gestirle secondo sue intenzioni, senza ingerenza alcuna.
Io rimarrò socio maggioritario con numero cinquantuno quote.
Il signor Maret avrà libero intento di gestione del ristorante Joir Bien, avendo pieno e libero accesso ai fondi a essa deputati.
La succitata cessione avrà il valore pecuniario simbolico di Euro uno.
In fede, Philippe Tonetti.
Una volta posta la firma, porse il foglio a Pascal che lesse attentamente ciò che lui aveva scritto.
«Ovviamente, lunedì prenderò contatto con un notaio a cui poi lo farò notificare. In ogni caso, non dovresti avere seccature, perché sono l’unico proprietario. Ora, se nel frattempo non hai cambiato idea, sottoscrivi pure la mia dichiarazione…»
Pascal prese la penna e firmò accanto al suo nome.
«Perciò ora sono un giovane imprenditore…» affermò il ragazzo sorridendo.
«Immagino di sì» rispose lui tranquillamente, prima di aggiungere: «Ti chiedo però di fare una cosa come nuovo proprietario del locale: licenziare Gregoire e Juliette, non voglio che si prendano i frutti del mio e del tuo lavoro dopo tutto quello che hanno fatto».
«Ho praticamente già trovato due sostituti».
Philippe annuì. «Ora io vado, a domani».
«Ma non era previsto che il locale fosse aperto?»
«Infatti, ma non vorrai perderti lo show!»
***
Aveva dormito poco e male, alle sette era già in giro per casa sua, caffè fra le mani e vestito da sposo pronto per essere indossato.
Philippe aveva pensato tutta la notte a un piano per smascherarli davanti a tutti, perché era troppo tardi per avvertire gli invitati che il matrimonio non si sarebbe più svolto.
Dopo aver rimuginato a lungo si era detto: se devo uscire di scena, uscirò con stile.
L’unica cosa che non gli andava giù era che, di lì a un’ora, in casa sua sarebbe arrivato Gregoire per prepararsi insieme, così come la tradizione voleva.
Il danno e la beffa…
Doveva mantenere il suo autocontrollo, doveva diventare di ghiaccio. Doveva fare buon viso a cattivo gioco, reggere la farsa da solo almeno fino all’altare, che avrebbe fatto da palco a uno spettacolo diverso dal solito.
Non ci sarebbero stati sì
quel giorno, tranne quello che avrebbe detto Philippe al suo nuovo futuro.
Posò la tazza vuota nel lavello e, proprio mentre si muoveva verso il salotto per mettere su la musica con la quale forse si sarebbe rilassato un po’, il campanello suonò.
È in anticipo, quello stronzo…
Philippe tirò un sospiro e si preparò alle due ore più lunghe della sua vita proprio quando si apprestava ad aprire la porta a quello che, fino al giorno prima, aveva considerato più di un amico, quasi un fratello.
Si mise sul viso un falsissimo sorriso e gli aprì la porta.
«Bonjour, sei pronto a sposarti, amico mio?» esordì Gregoire, entrando in casa, sotto il braccio un porta abiti nero e una scatola di scarpe.
Il profumo del suo dopobarba lo nauseò, mentre quell’uomo così subdolo appoggiava le sue cose sul tavolinetto davanti al divano e iniziava a smanettare col suo impianto stereo.
Lui e Gregoire, fin dall’adolescenza, erano stati l’uno opposto dell’altro: uno moro con gli occhi azzurri, l’altro biondo con gli occhi verdi; uno spigoloso e quasi asociale, l’altro festaiolo e spiritoso; uno amante della buona cucina e l’altro solo dei soldi che ne poteva ricavare. Erano diversi eppure, fino a qualche giorno prima, erano andati più che d’accordo. Ora, invece, era costretto a fingere di non sapere di essere cornuto.
«Oh sì, sono prontissimo!»
«Non potrebbe essere diversamente, no? Tu e Juliette siete perfetti assieme!» Assurdo!
«Oh lo so!» Brutto stronzo…
«Pensavo di trovarti in preda al panico, mon ami
[1]
! Invece sei il ritratto della serenità!»
Meno male che non puoi leggermi nel pensiero…
«Non ce n’è bisogno, sono sicuro del nostro amore! So che andrà tutto bene…» Tutto secondo i miei piani…
«Sono contento per te, per voi…» poi si voltò verso la cucina. «Hai preparato il caffè?»
«Oui! Ne vuoi una tazza?» Magari ti ustioni la lingua e la smetti di dire cazzate che mi urtano il sistema nervoso…
«Come sempre…»
Gregoire lo superò e raggiunse la macchina del caffè, prese la brocca e si versò del caffè dentro una delle sue tazze. Dio, dovrò bruciarla poi…
Bevve un sorso, poi iniziò a fissarlo con curiosità.
«Che c’è?» sbottò Philippe, scontroso.
«Nulla. Il mio migliore amico si sposa: sono contento per te! Ma credo tu mi stia nascondendo qualcosa!»
«Io?» Che ipocrita del cazzo!
«Sì, tu…»
«Ma no: sono sempre lo stesso! Il solito Philippe…»
Il solito coglione, quello che avete raggirato per bene!
«Sarà! Ora che ne dici di prepararci? Devi sposarti fra due ore!»
Philippe annuì e scappò praticamente in camera, lasciando Gregoire lì, nel suo salotto.
***
DUE ORE DOPO
La chiesa era bellissima.
Rose bianche e nastri rosa addobbavano elegantemente la navata, proprio come aveva chiesto Juliette.
Philippe attendeva la sposa all’altare, vicino a lui c’era Julian, suo fratello, e Gregoire.
Il sacerdote sorrideva loro, pensando forse che il suo nervosismo fosse solo quello di un futuro sposo e non quello di chi sta attuando un piano che presto avrebbe fatto arrabbiare chiunque, lì dentro.
Fra i banchi sedevano i parenti, a destra i suoi e a sinistra quelli di Juliette, erano tutti lì davanti ai suoi occhi, tranne il padre di lei, che l’avrebbe accompagnata davanti all’altare.
Philippe sorrise, nessuno sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco, tutti inconsapevoli attori della messa in scena che lui stava per
mettere su.
Spero di non far prendere un colpo a qualcuno…
pensò, ma subito dopo si riscosse. Chi se ne importava di tutta quella gente, che soffrissero, che si prendessero un po’ della sua pena. Quello che stava per fare era necessario per risollevarsi da ciò che aveva visto.
Juliette e Gregoire non potevano passarla liscia e far passare lui da scemo.
Nessuno merita un tradimento!
E proprio mentre lui si rigirava le mani agitato e faceva quei pensieri, iniziò la marcia nuziale e Juliette fece il suo ingresso trionfante.
Il vestito bianco con corpetto ricamato e gonna svasata le cadeva a pennello, segno che era stata da un sarto che l’aveva confezionato per lei. Philippe non poté fare a meno di notare quanto fosse bella, perché era vero che Juliette era una stronza manipolatrice, ma era pur sempre una bellissima stronza manipolatrice.
Perché mi hai fatto questo? Perché ci hai fatto questo, Juliette? Eppure ero convinto che mi amassi…
Il velo trasparente mostrava la sua espressione raggiante e fu proprio il suo sorriso a farlo riscuotere.
Philippe si guardò le mani. Erano callose, con le unghie corte e qualche segno di scottatura qua e là. Mani di un lavoratore, mani di qualcuno che avrebbe saputo rialzarsi anche dopo quello che gli era successo.
Il padre di Juliette si fermò con lei proprio al cospetto suo e del sacerdote e alzò il velo di sua figlia che, in quel momento, stava piangendo inconsapevole.
«Chi dà questa donna a quest’uomo?» chiese il prete con voce altisonante.
«Io» rispose sicuro il padre di Juliette baciando la mano destra di Juliette, poi fissò Philippe e parlò di nuovo: «So che sei degno di lei. Philippe, Juliette è la cosa più preziosa che ho e la affido a te. Bambina, prendi le mani dell’uomo con cui condividerai il resto della tua vita».
E fu proprio in quel momento solenne che Philippe prese le mani di Juliette e l’aiutò a salire sull’altare, poi prese un respiro e fece quello a cui aveva pensato per tutta la notte.
Nello stupore dell’intero gruppo degli invitati posò la mano destra della sposa in quella di Gregoire.
La chiesa piombò nel silenzio più assoluto.
Non volava nemmeno una mosca.
Se fosse caduto anche solo uno spillo, tutti l’avrebbero sentito.
«Che cosa sta facendo?» sbottò il sacerdote interdetto.
Philippe lo guardò e chiedendogli scusa con il solo movimento delle labbra, iniziò a parlare.
«Credevate davvero di poter imbrogliare me con la vostra condotta indecorosa?»
«Cosa stai dicendo, amore?» esclamò Juliette in preda al panico, gli occhi che andavano da Gregoire a Philippe in modo convulso e le mani ancora fra quelle dell’uomo sbagliato.
«Amore? Con quale coraggio mi chiami in questo modo?»
«Ma io non capisco! Che cosa significa tutto questo?»
«Significa che ieri sera sono passato da casa nostra: che vuoi farci, sono un romantico! Ho pensato di mettere un po’ d’ordine prima della nostra prima notte…»
Juliette sbiancò come anche Gregoire. Hanno capito…
«No» disse lei, portandosi le mani alla bocca. «No, ti prego!»
«Oh, sì, cara» la prese in giro lui. «E adesso diremo anche a tutta questa brava gente perché io e te oggi non convoleremo a nozze!»
Un intenso vociare si diffuse per tutta la navata.
«Cosa? Non sposerai mia figlia?»
Philippe lo fermò con una mano. «Signor Matthieux, la prego, ascolti prima ciò che ho da dire, poi potrà fare altrettanto…»
«Non dire nulla, Phil, ti prego!» provò ancora a convincerlo Juliette, toccandogli un braccio.
«Cosa non dovrei dire? Che hai una storia con il mio migliore amico?» e mentre una serie di esclamazioni sorprese si diffondeva nella chiesa, continuò: «Cosa volevate fare? A cosa sarebbe servito questo matrimonio, eh? Se volevate ricevere rancore, ben fatto! Vi odio entrambi! E sì, ieri vi ho visti nel nostro letto, Juliette! Dio, che squallore! L’avevamo scelto assieme! Io e te! Pensavo fossi perfetta, invece scopro che sei come tutte le altre: una stronza…»
Gregoire, che fino a quel momento era stato in silenzio, si mosse verso di lui e lo prese dal colletto della camicia bianca. «Lei non è…
Io la…»
«La ami? Ah, bene: quindi io cos’ero? No, non dirmelo! Voglio solo capire perché siamo arrivati fin qui! Mi avresti sposato?»
«No, non l’avrei permesso…» si lasciò scappare Gregoire, chiudendo gli occhi per un attimo. «Non ci sarebbe stato nessun matrimonio!»
L’avrebbe interrotto? Umiliandomi ancora di più?
«Da quanto va avanti?» chiese Philippe.
«Che tu ci creda o no, ieri è stata la prima volta…»
«Fammi il piacere di risparmiarmi le tue cazzate!»
«Noi non volevamo, Phil!» aggiunse Juliette piangendo. «Noi non…»
«Volete che io provi pietà? Volete che provi compassione per il vostro amore? E io? Chi pensa a me? Eravate le persone più importanti della mia vita e mi avete ingannato: avete idea di come io stia adesso?» poi, visto che nessuno osava proferire parola, continuò a parlare. «Vi odio entrambi, ma forse odio di più questa situazione! Per fortuna, non dovrò più vedervi, e lasciatemelo dire, questa è la decisione più facile, ma anche la più difficile che io abbia mai preso!»
«Ma lavoriamo nello stesso ristorante, come…» lo interruppe Juliette, oramai le lacrime stavano scavando dei profondi solchi nel trucco sul suo viso.
A quel punto Philippe scoppiò a ridere. «Non è così, perché da ieri il ristorante non è più mio! Ho venduto il Joir Bien a Pascal! E sapete qual è stata la clausola finale del contratto fra noi? Il vostro licenziamento!»
«Cosa? No, tu non puoi, io…»
«Davvero? Il ristorante era mio! Gregoire, non hai mai voluto acquistare delle quote, ricordi? E ciò fa di voi solo dei miei dipendenti. Pardon, ex dipendenti».
«Philippe…»
«No, Juliette! Voi avete fottuto me e io voi! Siamo pari!»
Detto ciò Philippe scese i gradini e iniziò a camminare fra lo sbigottimento della gente lì seduta, poi si voltò verso di loro. «A non rivederci! Ah, spero sarete felici!»
Procedette velocemente verso l’uscita della chiesa e solo fuori dal
portone si appoggiò alla parete per respirare.
Ora, devo solo capire cosa fare…
«Ehi?» lo raggiunse suo fratello.
Lui alzò lo sguardo e cercò di sorridergli, ma riuscì a fare solo una smorfia.
«E ora? Che farai, Philippe?»
«Cercherò di risollevarmi, ma non qui, Julian».
«Verrò con te, dovunque vorrai».
Philippe scosse la testa. «No, devo farlo da solo: ma prometto che, non appena mi sarò rialzato, te lo farò sapere e potrai raggiungermi».
«Dove?»
E in quel momento lo capì: «Dove tutto è iniziato…»
«A Parigi?» domandò lui, speranzoso.
«No, Julian… In Italia!»