11.       Geloso? Io?
Philippe
Mirta non era rientrata per il servizio serale e, anche se Jacopo se l’era cavata benissimo in sala solo con l’aiuto di Carmen, Philippe non riusciva a smettere di essere arrabbiato per quella sua assenza ingiustificata.
Non presentarsi sul lavoro era veramente una mancanza di rispetto nei confronti suoi e di tutti coloro che lavoravano al ristorante.
E poi, per cosa?
Se l’era presa per ciò che lui le aveva detto? Cosa avrebbe dovuto fare? Ringraziarla per il casino assurdo che era stata capace di fare in meno di un turno di lavoro?
«Assurdo…» disse ad alta voce nella sua casa vuota, che divideva solo con l’esserino che ora gli stava camminando placidamente sullo stomaco piatto. «Tache [10] , possibile che tu sia l’unica a capirmi?»
La gattina alzò la testa, lo guardò per un attimo e poi cominciò a strusciarsi su di lui senza vergogna.
L’aveva trovata un anno prima sotto il bidone dell’immondizia dietro al suo ristorante e, nel momento stesso in cui aveva incontrato quegli occhietti dorati, aveva capito che l’avrebbe adottata.
Si era innamorato di lei e l’aveva portata a casa con sé, l’aveva pulita dalla sporcizia che aveva addosso e si era reso conto che era piena di piccole macchioline nere sul suo pelo bianco, così l’aveva chiamata Tache.
Erano diventati inseparabili da quel momento, anche se nessuno sospettava avesse un cucciolo.
Non aveva detto a nessuno della sua esistenza, perché era assurdo che, uno come lui, avesse un esserino così delicato in giro per casa.
La verità era che erano identici, baffi a parte.
«Hai fame, ragazza?» le domandò accarezzandole la testolina.
La gatta miagolò in risposta e lui mise fine al riposo che si era autoimposto non appena rientrato a casa.
Si alzò in piedi e, seguito dalla sua piccola amica, raggiunse la cucina e le versò un po’ di cibo nella sua ciotola.
E mentre Tache mangiava voracemente, Philippe si domandò dove fosse finito suo fratello Julian.
Non perché gli importasse davvero, ma soltanto perché doveva parlargli di Mirta e del fatto che non poteva assolutamente intrecciare una relazione con lei.
Era controproducente, per tutti.
Se si fossero messi insieme e poi lasciati, chi ci avrebbe rimesso? Lui. Il ristorante.
Doveva dirgli quello che pensava e mettere fine a quel flirt.
E non per gelosia, no, solo per praticità.
Non potevano stare assieme, perché ne andava della sua attività.
Solo che, probabilmente, quei due ora erano assieme da qualche parte e lui non poteva fare nulla se non aspettare che Julian tornasse a casa.
E se andassi al Morgana?
La proposta che gli stava offrendo la sua mente era davvero allettante, se non altro avrebbe passato momenti indimenticabili insieme alla donna più bella che avesse mai visto.
E così mi dimenticherei anche di tutto il resto…
Era troppo difficile per gli altri capire che aveva messo nel ristorante quello che rimaneva del suo cuore?
Il suo maestro, Pierre François Ramiass, l’uomo da cui aveva ricevuto più ramanzine che complimenti negli anni della sua formazione, soleva urlargli spesso dietro di smettere di usare il cuore nei suoi piatti, perché metterne troppo sbilanciava l’equilibrio di ogni ricetta.
E lui era stato così sciocco da non dargli retta, ritrovandosi due anni dopo a ricominciare da capo in un’altra nazione, dopo aver coinvolto il suo cuore non solo in una ricetta, ma anche nella gestione del suo primo locale.
Il maestro lo avrebbe preso a schiaffi, probabilmente, e poi gli avrebbe fatto una lavata di testa epica prima per aver mischiato il lavoro e il piacere, e poi per aver preso a lavorare una ragazzina così sbadata.
Era anche vero, però, che Philippe stesso era stato un ragazzino maldestro quando lavorava per lui e che, nei giorni peggiori, quando il maestro era scontroso e gridava per ogni cosa, si era ripromesso di non comportarsi così, mai e poi mai.
Quel giorno, invece, l’aveva fatto, venendo meno alla promessa che aveva stipulato con se stesso.
Si passò una mano sul viso e si decise a prepararsi per uscire di casa, perché stare lì, in casa con Tache, gli stava facendo venire strani pensieri, che prevedevano una telefonata di scuse.
La seconda in due giorni.
Tolse la tuta che si era infilato, mise un paio di jeans neri dal taglio elegante, una camicia bianca a cui abbinò un gilet nero e indossate anche le scarpe, nere anch’esse, prese le chiavi della sua macchina e uscì di casa.
Tache provò ad intercettarlo, ma lui non cedette ai suoi miagolii disperati, perché aveva una missione: arrivare al Morgana e dimenticarsi di tutto grazie alle movenze seducenti di Rosa Blu.
Quando arrivò al locale, lo spettacolo era già cominciato.
C’era molta gente, anche se non era pieno come l’ultima volta. Avrebbe potuto scegliere uno dei tavoli, ma decise di voler essere più vicino al palco, perciò camminò fino al bancone del bar e prese posto su uno degli alti sgabelli.
Il barista, un ragazzo giovanissimo che indossava una t-shirt nera con il logo del Morgana ricamato in oro, si avvicinò subito a lui: «Cosa desidera?»
«Qualcosa di forte…» rispose lui, tornando a guardare davanti a sé.
Il ragazzo, pochi istanti dopo, posò davanti a lui un bicchiere con due dita di whiskey e un solo cubetto di ghiaccio.
Philippe lo ringraziò e poi chiese con nonchalance: «Quando balla Rosa Blu?»
«È domenica, lei oggi non c’è…»
«Cosa? Perché?»
Il barista sorrise. «Rosa lavora solo dal giovedì al sabato. Lei è la nostra stella e il capo ha deciso di darle solo tre giorni per creare l’attesa, capisce…»
Philippe non rispose al sorriso dell’uomo, lo guardò malissimo e poi domandò: «E questa cosa è scritta da qualche parte?»
«No, ma soltanto perché i nostri clienti abituali lo sanno…»
«Quindi stasera non ci sono occasioni di vederla?»
«Nessuna, mi dispiace. Quella ragazza non mette piede qui dentro, se non quando balla…»
«Non ho alcuna possibilità che tu mi dica il suo nome, vero?»
Il ragazzo scosse la testa. «No. Politica del locale. Ma se vuoi un altro di quelli…» e indicò il bicchiere che aveva fra le mani. «Dimmelo, così te lo preparo, mi sembri uno che ha avuto una giornataccia!»
Philippe annuì. «Una delle peggiori, in realtà!»
«Allora, anche se lei non c’è, ti consiglio di restare, se non altro perché qui abbiamo dell’ottimo whiskey…»
«Resto…»
Il barista sorrise e lui rimase seduto su quello sgabello per tutta la durata dello spettacolo, chiacchierando con quel ragazzo con cui scoprì di avere moltissime cose in comune, a partire dalla passione per i gatti.