14.
Perché sempre a me?
Mirta
Sua nonna l’aveva messa più volte in guardia: quando era arrabbiata, purtroppo, straparlava senza badare troppo alle conseguenze.
Era accaduto proprio quello poco prima, ma non era colpa sua se Philippe riusciva a mandarla su tutte le furie.
Si sarebbe dovuta controllare, magari mordendosi la lingua, ma la conclusione alla quale lui era giunto l’aveva fatta esplodere e si era inventata una cosa assurda solo per vederlo sbuffare come un toro.
E ora, Julian avrebbe dovuto fare i salti mortali per conquistare il bel Sous Chef. Tutto per colpa sua e della sua linguaccia!
Doveva fare qualcosa per aggiustare quella situazione e l’avrebbe fatto, ma solo dopo aver rimediato all’ennesimo errore di Carmen, che a quanto pare, dopo l’equivoco di Philippe, stava dando i numeri.
Dopo un tavolo senza bicchieri e uno senza piatti, Mirta sospirò accorgendosi di un altro sul quale ogni cosa era al suo posto, ma mancava la tovaglia.
«Carmen?» la chiamò lei, bloccandola mentre la ragazza stava camminando verso il retro del locale.
«Sì?»
«Manca una tovaglia…»
«Eh?»
«Lì, manca una tovaglia!» poi indicò il tavolo incriminato e Carmen si diede uno schiaffo sulla fronte.
«Oddio, ma cos’ho oggi che non va?»
«Non c’è problema, ora sistemo io! Tu, però, prendi Jacopo e datevi una calmata, okay? L’ho visto sbagliare a scrivere sulla lavagnetta del menu di oggi e lui non sbaglia mai!»
«Ma…»
«Nessun ma! Dimmi dove sono le tovaglie e poi fila da lui… Ci sono io, va bene? E poi, almeno, in questo modo potrò scusarmi di avervi fatti uscire allo scoperto!»
«Era solo questione di tempo prima che Philippe lo scoprisse.
Avremmo detto tutto comunque, prima o poi…»
«Mi dispiace soltanto di esserne stata la causa scatenante, ecco!»
Carmen mosse una mano davanti a lei, come per minimizzare la cosa, poi esclamò: «Allora, le tovaglie… Hai presente il mobile incassato nel muro vicino alla cucina?»
Mirta annuì. «Sì, certo…»
«Le tovaglie sono lì dentro, sull’ultimo ripiano! Ma, permettimi di aiutarti: mentre tu le prendi, io sparecchio!»
«Non c’è modo per farti rilassare, eh?»
«No, ma tranquilla porto Jacopo con me, così eviteremo di combinare casini quando arriveranno i clienti!»
Mirta annuì e poi corse all’armadio dove si trovavano le tovaglie: lo aprì e ci mise cinque secondi a capire che, senza una scala o una miracolosa crescita, non sarebbe mai arrivata al ripiano dov’erano riposte.
La sua altezza, che l’aveva sempre aiutata in altre occasioni, in quel momento non era abbastanza e lei ne era fin troppo consapevole.
Si guardò attorno per cercare una scala o magari una sedia sulla quale salire, ma non c’era l’ombra di nessuna delle due cose. Stava quasi per arrendersi e chiedere aiuto quando notò che le ultime due mensole dell’armadio erano vuote, perciò decise di agire come era solita fare a casa, ovvero usare quei due ripiani come sua scala personale.
Si aggrappò ai lati del mobile, stando attenta a non impigliarsi nelle ante e poi affrontò il primo ripiano. Salì e poi, tenendo il piede sinistro su quello sottostante, posò il destro su quello sopra.
Quando portò tutto il peso sull’asse più in alto, allungò la mano destra per prendere la tovaglia mancante e proprio in quel momento sentì un sinistro scricchiolio, ma non ci badò più di tanto, perché la stoffa era impigliata in qualcosa e Mirta si ritrovò a doverla strattonare.
«Forza, vieni piccola!» esclamò forse a voce un po’ troppo alta, come per invitare la tovaglia a raggiungerla.
E poi accadde, il ripiano sotto i suoi piedi cedette, spezzandosi nel mezzo e Mirta precipitò all’indietro.
Ecco, bene, ora mi farò malissimo…
Chiuse gli occhi, preparandosi all’impatto con il pavimento freddo del ristorante, ma prima che finisse per terra dolorante, qualcuno la prese in braccio.
L’odore di un costoso dopobarba maschile riempì le sue narici e Mirta si ritrovò ad assaporare quasi quel profumo.
Aveva ancora gli occhi chiusi, come se volesse evitare di guardare in faccia il suo salvatore, perché aveva già sentito quella fragranza e non voleva rovinare il momento scoprendo l’identità dell’uomo che ancora la teneva fra le braccia.
Ma poi lui parlò: «Possibile che tu debba sempre cacciarti nei guai? E se non fossi uscito? Ti saresti schiantata sul mio pavimento come un piccolo meteorite…»
Philippe Tonetti, che aveva un braccio sotto le sue gambe e uno attorno alla sua schiena, parlava tranquillo al suo orecchio, scatenandole piccoli stupidi brividi lungo la schiena.
«Sei sotto shock, Mirta?» le domandò ancora, perché lei non gli rispondeva. «Ci mancava questa, oltretutto a così poco dall’apertura! Stai bene
,
Mon Désastre
[15]
?»
«Non so come mi hai chiamato, ma sì, sto bene: mettimi giù!» affermò, muovendosi come un’anguilla fra le sue braccia.
«Fermati, tragédie itinérante
[16]
!» affermò lui, ridacchiando quando lei cercò di colpirlo con la mano più vicina al suo viso, rischiando di far perdere l’equilibrio ad entrambi.
«Mettimi giù, Philippe! Adesso!»
L’uomo, finalmente, la mise giù, ma nel farlo le tirò su la maglia nera della divisa e, prima che lei potesse fare qualcosa, lo vide fissare il tatuaggio con la rosa blu che aveva sul fianco.
Mirta tirò giù la stoffa fino a coprire ciò che lui aveva adocchiato e poi lo fulminò: «Beh, che hai da guardare? Non devi tornare a fare il tuo lavoro?»
Philippe le sorrise ancora, poi stupendola si alzò in punta di piedi e prese per lei la tovaglia che ora penzolava giù dal ripiano. «Ecco, tieni! Ma la prossima volta, chiama qualcuno più alto di te, prima di ucciderti o di fare un altro disastro qui dentro!»
Mirta improvvisò un inchino regale e con voce impostata rispose: «Come vuole, Sua Maestà!»
Lui scosse la testa, poi fece per tornare in cucina, ma prima di varcare la porta disse: «Bel tatuaggio…»
Bel sedere…
pensò lei, dandosi poi della cretina nell’istante dopo. Lui è il nemico, cosa vado a pensare?