21.       Non ci posso credere!
Philippe
Era a metà strada per il Morgana quando si rese conto di non avere con sé né portafoglio né cellulare e siccome era piuttosto sicuro di non averli lasciati all’ingresso di casa sua, era certo di averli dimenticati al Sur la rive gauche.
Dannata Mirta!
Avevano discusso per tutto il turno serale e doveva essersi distratto a tal punto da dimenticare i suoi effetti personali in cucina, sul ripiano dove li riponeva sempre.
Non aveva scelta, doveva tornare al ristorante e rivederla.
«Merde! [27] » esclamò ad alta voce nell’abitacolo vuoto della sua Corvette mentre faceva inversione di marcia. «Spero che Rosa si esibisca tardi stasera, altrimenti la perderò! E tutto per colpa di Mirta e della sua capacità di farmi perdere la ragione! E ora parlo anche da solo…»
Philippe batté una mano sul volante, nervoso per il modo in cui lei lo faceva sentire.
Ogni cosa che Mirta faceva lo mandava al manicomio.
E non solo perché era una bugiarda cronica, ma soprattutto per il fatto che riuscisse sempre e comunque a tenergli testa.
Philippe non sopportava di essere contraddetto né che qualcuno gli rispondesse a tono, e lei faceva entrambe le cose.
E oltretutto non era nemmeno furba, perché se lo fosse stata non lo avrebbe infastidito così da mettere a rischio il suo stesso lavoro.
Philippe era al limite, non avrebbe sopportato oltre la sua strafottenza.
Parcheggiò la macchina davanti al ristorante, la chiuse e poi, notando la saracinesca a mezz’asta, decise di passare da lì.
Entrò e la prima cosa che notò fu il profumo che proveniva dalla cucina, accompagnato da una voce che stava cantando un motivo che non riconosceva.
«What a dangerous night to fall in love… Dont know why we still hide what we’ve become… Do you wanna cross the line? We’re runnin’out of time… A dangerous night to fall in love…»
Seguì la voce di Mirta e quando la trovò non poté fare altro che sorridere: era davanti ai fornelli, gli auricolari alle orecchie, che ballava senza curarsi di niente e nessuno.
Si muoveva sinuosa, ondeggiando i fianchi e alzando le mani in aria prima di passarsele lungo il corpo in un modo così sensuale che lo spinse a domandarsi se si muovesse così anche durante il sesso.
A Philippe scocciava ammetterlo, ma Julian sull’avvenenza di quella ragazza aveva ragione, perché Mirta era bella come il peccato, non c’era altra definizione per descriverla. Se solo fosse stata un po’ meno acida dentro, lui ci avrebbe già fatto più di un pensierino.
Ora però, vedendola così spensierata, convinta di essere sola, lui considerò di darle un’altra possibilità, cosa che smise di ponderare non appena notò cosa lei avesse fra le mani.
Se c’era una cosa che un cuoco non sopportava era che qualcuno usasse i suoi coltelli e, se non aveva le traveggole, quello che lei stava usando per tagliare della carne era proprio il suo spelucchino, ovvero il coltello che si utilizzava per intagliare la verdura.
Non ci pensò neanche un secondo, camminò verso di lei, la voltò di scatto e le tolse le cuffiette con una mano sola. «Che cazzo stai facendo?»
Mirta si portò una mano al petto, poi dopo un istante gli puntò contro un dito e gridò: «Che cazzo stai facendo tu, sei impazzito?»
Philippe prese il coltellino che lei aveva lasciato sul tagliere e glielo mostrò: «Questo non è per la carne, Mirta!»
«È un coltello» ribatté lei, senza capire la gravità di ciò che aveva fatto.
«Lo so, ma ogni coltello ha la sua peculiarità! Dio, ma poi perché ti sto spiegando qualcosa che, evidentemente, non capisci?»
«Oh, certo! Ora sarei stupida?»
«No, sei ottusa! E lascia i miei cazzo di coltelli!»
«E se non volessi?»
«Mirta, tu stai giocando col fuoco e nemmeno te ne rendi conto! Sai quanto tempo ci metto ogni fottuto giorno per affilarli?»
«No, ma immagino tu stia per dirmelo, anche se a me non importa un fico secco!»
Philippe respirò forte dal naso per calmarsi, ma quando lei afferrò di nuovo il coltello sbagliato e riprese a tagliare la squallida fettina che doveva aver comprato al supermercato nel vicolo accanto al ristorante, non ci vide più.
«Che cazzo? Lo fai apposta, ora ne sono sicuro! Se proprio vuoi rovinare quella carne, usa questo…» e le passò un altro coltello dalla sua sacca personale che, stupidamente, aveva lasciato incustodita sul tavolo da lavoro.
«No, mi piace questo. È così carino! Piccolo e maneggevole…»
«Sei una piccola stronza, non è così?»
«Primo» esclamò lei voltandosi verso di lui, dopo aver messo un po’ d’olio nella padella assieme a quelli che sembravano essere pistilli di zafferano «Io non sono una stronza!»
«Ho i miei dubbi…»
Lei lo fulminò e poi aggiunse: «Secondo, io ho un buon rapporto con tutti! Diamine, divento amica di chiunque incontri! Chiunque. Sei tu ad avere un problema con me e non capisco perché…»
«Lei non capisce perché!» rispose lui, avanzando di un passo «Te lo dico io: sei un disastro, cazzo! Hai distrutto in pochissimo tempo tante di quelle cose che ho perso il conto! Sembra quasi tu stia sempre su un cazzo di paio di pattini! Scivoli, cadi, spacchi. Non ne posso più!»
«Tu? Io non ne posso più di te!» esplose lei, dopo aver controllato i pezzetti di carne e averli girati con uno dei suoi mestoli in alluminio.
Philippe scoppiò a ridere. «Allora vattene!»
Mirta gli agitò il mestolo sotto il naso, scuotendo la testa. «Col cazzo! Mi hai assunta e pensa, se non fosse stato per te, non sarei neanche qui! Devo ricordarti che sei stato tu a darmi il biglietto da visita? Colpa tua, stronzo, e ora siamo in ballo…»
«Dio, non ti sopporto!»
«A chi lo dici! Vorrei che non mi avessi mai incontrata!»
«Avrei dovuto dare retta a quella tipa per cui lavoravi! Sei un’inetta, un’incapace, una buona a nulla che…» ma non riuscì a terminare la frase, perché lei lo schiaffeggiò in pieno viso, tanto forte che era sicuro gli avesse lasciato il segno delle dita tratteggiato sulla guancia.
«Vaffanculo! Io non sono un’incapace! Sei un miserabile capace solo di urlare e di dare ordini a destra e a manca, senza capire che con le buone maniere otterrebbe di più! Sai che penso? Che la tua ex ha fatto bene a metterti le corna!»
E fu in quel momento che tutto cambiò, perché l’uscita di Mirta lo fossilizzò; lei sapeva, Julian doveva averle detto tutto e ora stava usando quella cosa contro di lui.
«Oddio, mi dispiace!» esclamò lei con un filo di voce. «Non avrei dovuto…»
«Cosa? Rinfacciarmi qualcosa di così privato o buttarmi in faccia il fango da cui credevo di essere uscito?»
«Nessuna delle due cose. Ecco, mi dispiace…»
«Sai che ti dico, Mirta? Le tue scuse non mi servono a nulla o meglio, servono solo a non far aumentare la poca stima che ho nei tuoi confronti! Non so cosa veda in te mio fratello, ma lui è sempre stato così. Si fida della gente, dà il suo amore e spesso rimane fregato. Io non lo farò, non con te. Santo cielo, mangia quello che hai preparato e vattene di qui!»
«Non ho finito di sistemare».
«Non me ne frega niente: vai via, hai capito?» e poi si voltò, fece per uscire dalla cucina, ma lei lo fermò.
«Sarà sempre così?»
«Cosa?» rispose Philippe tornando a voltarsi verso di lei. «Io e te?»
Lei annuì. «Che tu ci creda o no, io non litigo così spesso con le persone! Anzi, non lo faccio proprio. Lavoravo con Filomena da anni e non avrei mai lasciato quel posto se non fossi comparso tu. Avevo paura di far valere i miei diritti, invece con te…»
«Con me trovi sempre un motivo per farlo, anche quando non hai ragione» la interruppe Philippe, indicando con un dito il coltellino e tornando a guardarla, ma stavolta sorridendo.
«Mi dispiace per averlo usato e per averti ricordato della tua ex, è che quando sono arrabbiata non ragiono».
Philippe si avvicinò a lei e le tese una mano: «Ricominciamo da capo? Facciamo finta che tu non abbia spaccato nulla e che non mi abbia detto quella bugia su te e Julian? Vuoi?»
Mirta sorrise. «E io farò finta di non aver mai sentito parolacce urlate in francese, né minacce nemmeno tanto velate sul mio licenziamento…» poi alzò la mano e strinse la sua.
«Tregua» disse lui, guardandola negli occhi.
Mirta annuì. «Tregua».
Si sorrisero e Philippe chinò la testa per darle un bacio sulla guancia, ma lei, presa dal panico, si girò e all’improvviso le loro bocche si unirono.
Philippe, che all’inizio pensava di staccarsi e chiederle scusa per quel gesto improvviso, si trovò a invitarla a schiudere le labbra, e lei si arrese sospirando a quell’attacco.
Quando Mirta afferrò il davanti della sua camicia, lui la tirò su e si mosse fino ad adagiarla sul ripiano in alluminio, per fortuna pulito, dove di solito preparava la linea con gli ingredienti del giorno.
Le mani di Mirta sulle sue spalle e le sue gambe attorno ai suoi fianchi, mentre il bacio continuava vorace e bellissimo.
Philippe sentiva di essere sul punto di perdere il controllo, perciò, prima che si ritrovassero in una situazione ancora più compromettente, staccò le labbra dalle sue e si allontanò da Mirta, che prese a fissarlo con una strana espressione negli occhi.
«Scusa, non sarebbe dovuto accadere…» esclamò lui, arretrando fino alla porta. «Mi dispiace, Mirta, spero che la nostra tregua sia ancora valida!» uscì dalla cucina e poi dal suo ristorante con la mente piena di sensazioni estranee, ma soprattutto con il dolce sapore della bocca di Mirta ancora sulle labbra.