28.
Sul più bello
Mirta
Non fece in tempo a pronunciare quella frase, che Philippe abbandonò la cucina e si precipitò in sala senza dire una parola.
Aveva visto mille sfaccettature del volto di Philippe.
Le sopracciglia increspate quando cercava di capire qualcosa, il modo in cui muoveva le labbra quando era incerto, gli occhi sbarrati dalla paura o accesi dalla passione e credeva di aver visto com’era da arrabbiato, ma a quanto pareva non lo era mai stato con lei. Non davvero, ma solo ora lo capiva, perché la furia che aveva intravisto negli occhi dell’uomo era stata tale da trasformargli i lineamenti.
Labbra strette. Occhi ridotti a due fessure. Postura severa. Membra irrigidite, almeno prima che lasciasse lei e Mirko come due cretini in mezzo alla stanza nella quale, fino a poco prima, era impegnato a confezionare piatti sublimi.
«Che cos’è successo?» domandò Mirko, proprio mentre la voce di Philippe arrivò loro perfettamente fin dalla sala.
«Vattene di qui, Juliette!»
«Merda» affermò di nuovo il Sous Chef. «Ha detto proprio Juliette?»
Mirta annuì. «Sì, proprio così…»
«Sors d’ici! Je ne te dois rien!»
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gridò di nuovo Philippe, interrompendoli.
Il ragazzo spense tutti i fuochi, prima di dire: «Speravo di aver sentito male».
«Ma chi è quella ragazza?» affermò lei, accigliandosi.
«Vuoi la versione breve o quella lunga?»
«Tu es juste fou! Et ne me dites pas de baisser la voix: c'est mon restaurant et je fais ce que je veux! Bébé ou pas!»
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«La breve, Mirko, lo senti? Sta continuando a urlare e lo sta facendo in francese!»
«Juliette è la donna che l’ha lasciato all’altare» disse semplicemente, poi aggiunse: «E sarà meglio andare di là, prima che la uccida davanti ai clienti…»
Mirta annuì e insieme a lui, raggiunsero Philippe che, fermo
davanti alla donna, agitava le mani e continuava a fronteggiarla.
Quella, a differenza sua, non gridava, ma rispondeva alle sue urla con voce pacata e gli occhi fissi in quelli di Philippe.
Mirta arrivò da loro proprio quando l’uomo, che l’aveva baciata solo poco prima, al colmo della rabbia, colpì il tavolo con la mano, provocando sgomento negli avventori del ristorante e il pianto del piccolo seduto accanto alla donna.
«Tu dois partir! Rien de ce que vous pourriez dire ne me convaincrait de…»
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«Ça pourrait être ton fils».
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Mirta non conosceva il francese, ma la parola fils
era fin troppo simile a quella italiana perché lei non comprendesse.
Juliette aveva appena detto che quel bambino, coi capelli ricci e neri, era figlio di Philippe.
«Cosa?»
«Tuo figlio» disse Juliette in italiano. «L’ho detto nella tua lingua madre, così magari il concetto ti sarà più chiaro!»
«Non è possibile!»
«Ha due anni».
«No».
«Ti somiglia, Mon Chef».
«Non chiamarmi così! Io non sono tuo, non lo sono mai stato! Mi tradivi!»
Juliette chiuse gli occhi e sospirò. «È accaduto solo una volta, la sera prima del nostro matrimonio e io…»
«Una volta di troppo, stronza!» esclamò Mirta, prima di potersi fermare.
Philippe si voltò verso di lei, le sorrise e poi, sorprendendola, le tese una mano. «Ha ragione, la mia ragazza…»
«Ragazza?» domandò Mirko, mentre Juliette faceva lo stesso.
Philippe annuì. «Sì, la mia ragazza» ripeté lui, portandosi la mano alle labbra e baciandole le dita. «Si chiama Mirta, Juliette, e ha ragione, come dicevo prima. Una donna che ama non tradisce e soprattutto non lo fa nel letto della nuova casa che il suo futuro marito ha comprato per lei!»
Molte persone sospirarono, altre iniziarono a parlottare, a quelle
parole.
Mirta, dal canto suo, era troppo sorpresa dalle parole di Philippe per parlare o anche solo distogliere lo sguardo, ma fu proprio in quel momento che il bambino parlò alzando gli occhi dal cellulare della madre.
Aveva gli occhi più azzurri che lei avesse mai visto, ma si rese conto che quella considerazione non era vera, perché si specchiava in occhi simili da un bel pezzo.
Philippe e quel bambino si somigliavano.
Troppo.
Il ragazzo, accortosi della stessa cosa, ammutolì e le stritolò la mano.
«Ca ne peut pas être vrai...»
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«Pourriez, donnez-moi juste un moyen de vous faire comprendre!»
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«Come?» domandò poi Philippe in italiano, voltandosi solo un attimo verso di loro.
«Dobbiamo fare un test del DNA, non c’è altro modo!»
«D’accordo, ma se non è figlio mio, tu te ne andrai! Senza se o ma, tu sei nel mio passato e non ho voglia di tirarti fuori dal cassetto in cui ti ho infilata!»
Juliette annuì. «Va bene».
Philippe fece un cenno verso la donna e poi la trascinò via dalla sala.
Quando rientrarono in cucina da soli, lui la attirò a sé e la strinse forte. «Scusami, ne ho bisogno…»
Mirta scosse la testa, stringendolo a sua volta. «Non scusarti, Philippe, puoi stringermi quanto vuoi. Io ci sono, okay?»
«Grazie…»
«Quel bambino ti somiglia» mormorò lei, posando il viso nell’incavo del suo collo e respirando il suo odore.
«L’ho visto, cazzo, ma ho paura!»
«Di cosa?»
«Del passato? Di essere padre? Di aver perso due anni? Di quello che accadrà adesso?»
Mirta gli baciò il collo. «So di essere arrivata da poco nella tua
vita, ma sono qui, per te!»
«Lo so» esclamò lui, allontanandola da sé per guardarla negli occhi. «Ce ne siamo dette così tante, Ma Chérie, da poter dire di conoscerci da almeno due vite. Non trovi? E poi, ci credo davvero in quello che ho detto poco fa: tu sei la mia ragazza, sempre che tu lo voglia…»
E lei, sebbene sapesse di avere ancora un grosso segreto con lui, annuì sicura: «Mi piacerebbe moltissimo».
«Ne sono felice, perché questa sera, se sei d’accordo, vorrei continuare il discorso che abbiamo iniziato oggi pomeriggio prima che tua nonna ci dividesse…»
Mirta gli sorrise. «Piacerebbe anche a me».
Ma proprio mentre diceva quelle parole, il suo cellulare prese a squillare con la suoneria dello squalo, che lei aveva associato al numero di Gilberto.
«Scusami, devo rispondere…»
Philippe annuì, poi riaccese i fuochi. «Fa’ pure, ma non credere che mi dimenticherò della mia proposta…»
Lei sorrise, poi rispose: «Pronto?»
«Gemma ha la febbre, puoi venire qui e salvarmi la serata?»
Mirta guardò Philippe, poi chiuse gli occhi: «Devo proprio?»
«Sì, tesorina. Ti prego. La serata potrebbe finire malissimo! Ho biglietti venduti e nessuno spettacolo degno di questo nome, a meno che tu, mia stella, non…»
«D’accordo, non dire altro, ma dovrai darmi un aumento!»
Chiuse la chiamata e lo guardò mesta: «Stasera lavoro al pub…»
«Davvero?»
«Sì, era il mio capo…»
«Sono io il tuo capo!»
«L’altro, Philippe. Una cameriera sta male e devo sostituirla…»
«A che ora stacchi?»
Mirta fece un rapido calcolo mentale, poi rispose: «Alle tre».
Philippe prese un pezzo di carta bianca da una delle comande, afferrò una penna e scarabocchiò qualcosa su di esso prima di darglielo: «Questo è l’indirizzo di casa mia. Sarò lì, ad aspettarti, non fare tardi…» poi come se niente fosse tornò a cucinare, incurante dello sciame di farfalle che si era svegliato nel suo stomaco.
Lui l’avrebbe aspettata e lei, si rese conto, iniziò a sperare che lo facesse davvero, perché nessuno l’aveva mai fatto.
Nessuno.
«Ora, sparisci di qui…»
«Eh?»
«Prima vai lì, prima tornerai da me, nel mio letto, perciò per stasera hai finito! Va al tuo secondo lavoro, Mon Sucre…»
«Sucre?»
Philippe sorrise. «Significa zucchero, perché ho come la sensazione che sarai dolce…» s’interruppe, la mangiò con gli occhi fermandosi per un istante all’altezza del suo inguine, poi tornò a guardarla in viso prima di dirle: «Dappertutto».
«Di là, tutto bene!» esclamò Mirko entrando e interrompendo il loro momento, prima che lei potesse rispondere.
«Meglio, perché Mirta se ne sta andando…»
«Di già?»
Lei annuì. «Sì, a quanto pare…»
«Beh, ciao allora! A domani!»
«Domani siamo chiusi» gli ricordò Philippe. «Io passerò a letto tutto il giorno e credo che anche per Mirta sarà lo stesso…»
Mirko guardò prima il suo capo e poi lei: «Non voglio saperne nulla! Ora vai, prima che lui cambi idea o che tu prenda fuoco spontaneamente!»
Mirta sorrise e poi lasciò la cucina, pensando a quale numero fare quella sera e decidendo, seduta stante, che avrebbe fatto quello più corto, perché niente e nessuno l’avrebbe trattenuta dal letto di Philippe.
Non quella sera, né mai.