30.
Perdersi
Philippe
«Tieniti» esclamò lui prendendola in braccio, staccando per un attimo le labbra dalle sue. «Giuro, non ti farò cadere».
Mirta lo guardò negli occhi, annuì e poi riprese a baciarlo, mentre lui la tirava su senza fatica, facendole posare la schiena sul muro accanto alla porta dalla quale, solo un istante prima, era entrata.
Divennero un tutt’uno.
Un essere fatto di mani, braccia e labbra fameliche.
Mirta, sorreggendosi al suo corpo e stringendo le gambe attorno ai suoi fianchi, gli lasciò una mano sul collo mentre con l’altra gli stringeva forte i capelli, cercando di guidare quel bacio.
Philippe, però, non era dello stesso avviso, perché se c’era una cosa che aveva capito dalla descrizione che lei stessa aveva fornito poco prima, doveva essere lui a guidare, perciò decise di prendere in mano la situazione.
La lasciò andare per un attimo: aveva i capelli sconvolti, le labbra gonfie e gli occhi velati dalla passione, ma riuscì comunque a notare il leggero disappunto nella sua espressione quando lui interruppe il bacio.
«Perché ti sei fermato?»
«Perché non iniziava così la tua fantasia…» esclamò, compiacendosi del sospiro che proruppe dalle labbra della ragazza. «Dobbiamo fare le cose per bene, non credi?»
Mirta annuì.
«Allora, devo assolutamente metterti giù e toglierti tutto ciò che indossi…»
Quando lei posò i piedi a terra, barcollò leggermente e Philippe, notandolo, le sorrise lascivo. «Già ti cedono le gambe, Mon Sucre?»
«A quanto pare, i baci che mi hai dato finora non erano che un antipasto, mio Chef… Non ero pronta a questo» affermò indicando prima se stessa e poi lui.
«Nemmeno io, credimi» sussurrò lui, vicinissimo alle sue labbra, ma senza toccarle. «E non abbiamo praticamente fatto nulla…»
«Dovresti rimediare» borbottò lei, gemendo quando Philippe
s’inginocchiò ai suoi piedi per toglierle le scarpe coi tacchi che, era sicuro, lei avesse indossato col solo scopo di farlo impazzire.
Philippe, spinto dall’intensità del momento, baciò ogni centimetro di pelle che incontrava sul suo passaggio, mentre con le mani, abili come non mai, le tirava su il vestitino azzurro, fino a lasciarla, praticamente nuda, davanti ai suoi occhi.
Quello che si ritrovò davanti era la perfezione.
Centimetri di pelle bianca, senza alcuna imperfezione.
Gambe lunghe e slanciate.
Corpo morbido nei punti giusti che, purtroppo, erano ancora celati da quell’intimo striminzito che lei aveva addosso.
Era in pizzo, bianco con deliziosi pois dello stesso azzurro del vestito che, ora, militava sul pavimento dell’ingresso di casa sua.
Era la donna più bella che avesse visto o toccato, perciò non resistette oltre e, esclamando una serie di parolacce in francese, le chiuse le mani attorno al viso e riprese a baciarla.
Lingue a contatto, labbra su labbra, respiro nello stesso respiro.
«Aspetta…» disse a un certo punto Mirta, dopo avergli morso il labbro superiore. «Sei troppo vestito».
E quello fu il suo momento di singhiozzare perché lei, quasi nuda, bellissima come una dea, s’inginocchiò ai suoi piedi e prese a sciogliergli le scarpe.
Lo guardava dal basso verso l’alto e lui, pervertito com’era, riusciva solo a pensare a ciò che Mirta avrebbe potuto fare in quella posizione.
Chissà, magari l’avrebbe scoperto di lì a poco perché ora, in perfetto equilibrio sui talloni, stava armeggiando con la patta dei suoi pantaloni e avrebbe quindi visto le condizioni in cui l’aveva ridotto praticamente dal primo istante in cui l’aveva conosciuta.
Ebbe quasi voglia di ridere quando lei, calati i suoi jeans, si scontrò con la sua virilità nuda e cruda. Perché mettere dell’intimo quando, era sicuro, sarebbe stato quasi subito tolto?
«Questa sì che è una sorpresa…»
«Gradita?» le domandò, ma non seppe mai la risposta, perché le labbra di Mirta furono su di lui, avvolgendo la sua erezione con avidità.
Le mani di lei scostarono la camicia, mentre la sua bocca
continuava a dargli piacere, come mai gli era capitato prima.
Ma non voleva finire così, anche se era davvero piacevole ciò che la ragazza stava facendo con mani e bocca, perciò la scostò da sé, ringhiando come un animale quando lei passò la lingua sul suo membro lucido di saliva.
«Mirta, ti prego».
«Non vuoi?»
Philippe scosse la testa. «Non adesso, avremo tutta la notte per giocare, ora però devo prendere ogni parte di te» esclamò finendo di togliersi la camicia e guardandola mentre, con mani tremanti, finiva di spogliarsi per lui.
E fu in quel momento che comprese cosa significasse davvero essere preda della lussuria.
Seni perfetti, dai capezzoli chiari che sembravano salutarlo tanto erano eretti, apparvero davanti ai suoi occhi e lui, debole com’era, non poté fare altro che gettarvisi con tutta la fame che sentiva crescere nel suo essere.
Quando la sua bocca si avventò sui suoi seni, Mirta sospirò e poi gli arpionò i capelli con le mani. «Non fermarti».
«Non ne ho la più pallida intenzione» poi non parlò più, impegnato com’era a farla impazzire.
Stringeva. Mordeva. Leccava. Mordeva di nuovo. Tutto in rapida successione fino a quando lei non urlò, muovendo la testa a destra e sinistra sulla parete contro la quale lui l’aveva fatta appoggiare. «Se non vuoi che venga, dovrai fermarti, Chef…»
Philippe alzò la testa e sorridendo le domandò: «Dimmi che prendi la pillola. Io sono pulito, ma se vuoi posso prendere un…»
«Dio, ti prego, smettila di parlare e prendimi. Fammi tua, Philippe!»
Lui, che non aspettava altro, la prese sotto alle ginocchia e, portandola alla sua altezza per guardarla negli occhi, la penetrò, facendola urlare di piacere.
Philippe cominciò a muoversi, aiutandosi con le mani che aveva spostato sul sedere di Mirta, mentre lei afferrò la sua nuca seguendo i suoi affondi con ardore.
«Philippe…» gridò quando lui, abbassando la testa, arrivò a lambirle un seno con la bocca. «Ti prego, più forte!»
«Comme tu veux, Mon Âme…»
[39]
E così fece.
Philippe la strinse forte e ravvicinò le spinte, stando attento a non farle sbattere la testa al muro.
Avrebbe potuto metterla giù, lo sapeva benissimo, ma l’espressione estasiata di Mirta lo faceva desistere sebbene sentisse le braccia in difficoltà.
Nulla l’avrebbe fermato.
Nemmeno un ufo atterrato in quell’istante nel suo salotto.
Niente, poiché era sicuro che quel momento l’avrebbe ricordato per sempre: mai si era sentito in quel modo.
Mai un’altra donna era stata così perfetta fra le sue braccia.
Philippe chiuse gli occhi e, lasciandosi trasportare dai gemiti di Mirta e dai propri, continuò a muoversi.
Sempre più velocemente, fino a quando non sentì il respiro di lei saltare e vide i suoi occhi rivoltarsi quasi all’indietro.
«Ci sono. Ci sono» esclamò, quando le pareti interne della sua intimità si strinsero attorno alla sua erezione, scatenando anche il suo orgasmo.
«Mon Sucre…» mormorò Philippe posando le labbra sulle sue proprio nel momento in cui anche lui raggiungeva l’orgasmo.
Philippe si voltò, posò la schiena sul muro e si lasciò scivolare a terra, mentre ancora i loro corpi erano intimamente uniti. «Mirta…»
Lei gli accarezzò il petto nudo e gli disse con la voce ancora instabile: «Lo so».
«Ah, sì?»
Mirta annuì. «Siamo una bomba assieme e vorrei già rifarlo, ma ti prego, stavolta, portami nel tuo letto…»
Philippe ridacchiò. «Credo tu abbia ragione, su entrambe le cose…» uscì da lei e poi le tese la mano quando riuscì ad alzarsi senza barcollare. «Vieni, Mon Désastre…»
E lei, forse per la prima volta da quando si conoscevano, fece ciò che lui le aveva chiesto senza battere ciglio.
«Non ci credo!» affermò Mirta col sorriso nella voce. «Guarda lì!»
Philippe seguì il suo cenno e sorrise notando la sua gatta addormentata al centro del letto. «Tache, mi dispiace, ma credo tu debba andartene…»
La gattina, disturbata per l’ennesima volta, si alzò in piedi, si mosse per sgranchirsi le gambe e poi, miagolando, uscì dalla stanza guardandolo malissimo.
«Credo ce l’abbia con te».
Philippe guardò Mirta, coi capelli scompigliati e ancora nuda, storcendo il naso. «Beh, so come farmi volere bene dalle gattine scontrose…» poi le tese la mano e aggiunse: «In fin dei conti lo eri anche tu, no? E guarda come siamo finiti».
Mirta si avvicinò a lui, lo baciò intensamente ed esclamò trascinandolo verso il suo letto: «Siamo finiti dove saremmo dovuti essere fin dall’inizio. Sai, tuo fratello me l’aveva detto…»
«Cosa?»
«Che saremmo finiti a letto assieme e che avremmo fatto scintille. Diceva che tutto quell’odio reciproco ci avrebbe fatto incendiare le lenzuola…»
Philippe, facendola adagiare sul suo materasso e piazzandosi fra le sue gambe, scosse la testa: «Allora sbagliava».
«Perché?»
«Perché al letto, Mon Sucre, non ci siamo arrivati…»
«Touché, ma adesso che ci siamo, hai intenzione di fare qualcosa?»
Annuì. «Sì, qualcosa mi è venuto in mente…» e prima ancora che lei potesse rispondergli, lui si fiondò sulla sua carne sensibile a causa del precedente orgasmo, sperando di regalarle ancora la stessa sensazione.