33.
Un grosso enorme sbaglio
Philippe
Aveva deciso, all’ultimo momento, di non andare al Morgana per vedere lo spettacolo di Mirta per farle una bella sorpresa.
Philippe si era accorto che quando tornava dal suo secondo lavoro era sempre molto affamata e, di solito, si accontentava di qualcosa di dolce presente nella sua dispensa prima di raggiungerlo a letto, ma lui, per quella notte, aveva avuto un’idea.
Era rimasto oltre la chiusura al Sur la rive gauche e aveva preparato tutto per la cena.
Non troppe portate, ma solo uno sformato di pasta con verdure gratinate al forno e soprattutto il tortino al cioccolato, che aveva scoperto essere il suo dolce preferito.
Aveva anche apparecchiato prima di dirigersi al Morgana per andare a prenderla.
Era curioso di vedere come avrebbe reagito alla sua sorpresa, anche se era certo che Mirta avrebbe apprezzato i suoi manicaretti fino all’ultima briciola.
Parcheggiò la macchina davanti al locale e la prima cosa che notò fu l’insegna del locale perché, invece di essere accesa come sempre a quell’ora, era spenta.
Oltretutto, per strada non c’era neanche più una macchina, cosa davvero strana perché, in teoria, in quel momento, sarebbe dovuto essere in scena lo spettacolo finale che vedeva tutte le ballerine sul palco.
Strano, dovrebbe essere ancora in piena attività…
pensò guardando l’orologio prima di scendere dall’auto.
Si diresse verso la porta d’ingresso e, quando provò a spingerla, si rese conto che era già chiusa.
«Che cazzo sarà successo?» borbottò ad alta voce, cambiando direzione e muovendosi verso il retro del Morgana.
E fu proprio in quel momento che tutto quello che aveva pensato su se stesso e Mirta crollò ai suoi piedi.
Lei era lì, accanto alla porta, ma non era sola.
C’era qualcuno con lei e si stavano baciando.
Philippe chiuse gli occhi e, sentendosi un cretino per la seconda volta in tutta la sua vita, girò su stesso e giurò su ciò che aveva di più caro che mai più avrebbe consegnato il suo cuore in mano ad una donna.
Mirta
«Allora io vado…» disse sorridendo alle altre e mettendo nella borsa la parrucca e la maschera di Rosa Blu. «Ci vediamo domani, okay?»
«Certo! Salutaci Philippe!» esclamò Marcella, soffiandole un bacio.
«Di sicuro…» rispose lei, prima di uscire dal camerino e di dirigersi verso la porta che dava sul retro.
Gilberto aveva già chiuso il locale come ringraziamento per aver danzato anche in presenza di tipi così volgari, quindi il corridoio che dava sulla parte posteriore del locale era immerso nella penombra, ma Mirta non si fece scoraggiare perché conosceva il Morgana come le sue tasche.
Evitò due scatoloni, abbassò la testa quando incontrò la lampadina posta sopra la porta del piccolo magazzino e, in men che non si dicesse, fu fuori dal locale.
Si chiuse la porta dietro e, quasi nello stesso istante, le braccia di qualcuno le strinsero la schiena.
«Philippe,» sussurrò emozionata «Mi sei mancato».
«Chi è Philippe?» domandò una voce che lei credeva non avrebbe mai più sentito. «Mi hai già dimenticato?»
Mirta si voltò di scatto e si ritrovò davanti, per la seconda volta quella sera, Edoardo.
«Lasciami» gridò, spingendolo all’indietro. «Non hai il diritto di starmi vicino, non più!»
Il ragazzo, dopo un attimo di smarrimento a causa della spinta, le si avvicinò di nuovo: «Io credo di averne invece, sai? Ti ho riconosciuta subito stasera, Mimì…»
Aveva bevuto, molto, forse troppo, e Mirta se ne accorse immediatamente quando le parlò a un centimetro dal viso. «Non chiamarmi così!»
«Dai, Mimì, eppure ti piaceva. Ricordi?»
«Era prima, Edoardo. Prima che mi rifiutassi perché non potevo più accedere alla ricchezza di mio padre! Prima che mi lasciassi, come si abbandona la spazzatura, con indifferenza e noncuranza».
«Oh, piccola…» affermò lui, tornando di nuovo pericolosamente vicino.
«Piccola? Sul serio?»
«Non fare così, Mimì. Era bello fra noi, no?» poi allungò una mano e le fece una carezza, scatenandole degli spiacevoli brividi lungo la schiena. «Non ricordi?»
«Ho dimenticato tutto, Edoardo e ora, se permetti, vorrei tornare a casa…»
«Mimì, ti prego» esclamò mettendole una mano sulla spalla per fermare la sua corsa. «Un ultimo bacio, vuoi?»
«Tu sei pazzo se credi che…» ma non riuscì a terminare la frase perché lui si avventò su di lei, spingendola addosso alla porta e bloccandole ogni via di fuga.
Il bacio fu una vera e propria violenza ai suoi sensi.
L’alito tremendo. La lingua invadente. Le mani che cercavano di toccare parti del suo corpo che lei non voleva assolutamente sfiorasse neanche con un dito.
Mirta lasciò cadere a terra la borsa e usò tutta la forza che aveva in corpo per spingerlo via, di nuovo.
Edoardo, preso alla sprovvista, barcollò all’indietro e poi cadde rovinosamente a terra.
E lo vide. Capì esattamente il momento in cui quell’uomo, quello che un tempo aveva amato con tutta se stessa, perse la ragione.
Gli occhi scuri, quasi senza pupilla, rivolti verso di lei. La bocca stretta e le narici frementi. «Puttana».
«Edoardo, io…»
«Ora fai la carina, non è vero? Eppure mi hai fatto cadere col culo per terra solo un momento fa… Credo tu abbia bisogno di una lezione, dolce Mimì! Devi imparare a trattare con gli uomini».
Lei si guardò intorno alla ricerca di aiuto ma nel vicolo, di solito molto affollato, in quel momento non c’era nessuno che potesse aiutarla e il camerino, dov’erano tutti i suoi amici, era troppo lontano affinché potessero sentirla.
«Hai capito di essere sola, Mimì?» sussurrò malevolo, bloccandole la gola con una mano.
Mirta si sentì subito soffocare. «La-scia-mi» sillabò col fiato corto, mentre cercava di colpirlo con i piedi.
Edoardo rise. «Piccola e indifesa, così alla mia mercé!» esclamò con voce cattiva prima di sferrarle uno schiaffo fortissimo sulla guancia. «Chissà che direbbe questo tuo Philippe se ti vedesse adesso…» e mentre lei era dolorante, la mano di lui, che poco prima l’aveva colpita, salì lungo la sua gamba accarezzandola con lascivia. Mirta, in quel momento, ringraziò di essere andata al Morgana indossando la divisa del ristorante, che prevedeva dei pantaloni.
«Non toc-car-mi» gracchiò di nuovo, mentre lui continuava a farlo imperterrito.
La mano sempre più serrata, il fiato sempre più corto.
Ma non poteva morire così, in un vicolo buio, o almeno non poteva farlo senza lottare.
Ancora un po’, per se stessa, per sua nonna e per Philippe, che la stava aspettando.
Mirta chiuse gli occhi e mentre l’unico lampione sfarfallava come in un film horror di bassa lega, indirizzò tutta la sua forza alla sua gamba destra e sferrò il calcio più potente che poteva proprio in mezzo alle gambe di Edoardo.
L’uomo urlò in preda al dolore, accasciandosi in mezzo al vicolo, proprio mentre la porta dietro di lei si spalancava per lasciare uscire Marcella e Umberto.
«Aiuto» disse lei, prima di cadere a terra priva di forze.
L’ultima cosa che sentì furono le urla della sua amica e Umberto che gridava a qualcuno, probabilmente Edoardo, di non fuggire.
Philippe
Gli sembrava di vivere un déjà-vu.
Era di nuovo nella sua macchina, distrutto per amore, mentre percorreva le strade della sua città.
Certo, la volta prima era a Parigi, ma il resto era tutto identico.
Juliette prima, Mirta poi.
Juliette con Gregoire nel suo letto, Mirta con quel damerino fuori
dal Morgana.
Era destinato ad avere le corna.
Sono la reincarnazione di un cervo reale, non c’è altra spiegazione
, si disse, ridendo di se stesso.
Eppure non era brutto, si comportava bene ed era bravo a letto. Perché le donne mi tradiscono?
«Chiamata in arrivo da Julian Tonetti» disse la voce meccanica del Bluetooth.
Philippe non aveva voglia di parlare con suo fratello, perciò lasciò squillare, continuando la sua folle corsa per le strade di Firenze.
«Dio, sono un idiota! Due settimane! Due! Ecco quanto ci ho messo a innamorarmi di lei! Solo due!» sbottò battendo sul volante così forte che temette quasi di attivare l’airbag.
«Sbagliando si impara, un cazzo!»
Un incubo, quello doveva essere per forza un incubo, era quasi tentato di schiaffeggiarsi da solo per tentare di svegliarsi.
La città era addormentata, ma i lampioni qua e là illuminavano alcuni vicoli e moltissimi manifesti fra i quali lui, con suo estremo stupore, riconobbe quelli col logo del Morgana.
«Dio, ma mi prendete per il culo?» urlò rivolto a qualche divinità forse, persino a lui stesso, sconosciuta.
La cosa assurda era che non avrebbe mai pensato di soffrire di nuovo in quel modo, o meglio di più di quanto avesse subito con Juliette.
Qualche notte prima aveva detto a Mirta che era il suo Sole e mai definizione era stata più calzante.
Quell’astro, infatti, non mancava mai dal cielo. Anche nei giorni più bui, anche con la pioggia, il Sole era lì.
Fermo e presente.
Sempre.
E Mirta, come quello, era sicuro sarebbe rimasta nel suo cielo.
Ma come ogni favola, anche quelle che spesso ci raccontiamo giungono alla loro fine.
Ma questa volta pensavo fosse quella giusta…
«Chiamata in arrivo da numero sconosciuto» disse ancora il Bluetooth e lui a quel punto, un po’ per distrarsi e un po’ per scoprire chi lo chiamasse a quell’ora, rispose.
«Pronto?»
«Philippe, c’est Juliette. S’ll te plaît, n’attaque pas».
[50]
«Qu’est-ce que tu veux?»
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«Noel» singhiozzò all’improvviso, facendo perdere a Philippe la voglia di urlarle contro tutta la rabbia che, in realtà, provava nei confronti di Mirta. «Noel, votre fils, a eu un accident!»
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«Un incidente? Che tipo di incidente?»
«Noel dormait dans sa chambre, ici à l’hôtel, il a dû se retourner et... Oh, Philippe, combien de sang!»
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«Ils disent à Careggi…»
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e poi Juliette attaccò, facendolo imprecare.
Se non altro, pensare al piccolo Noel, di cui solo in quel momento conosceva il nome, sarebbe stato d’aiuto per evitare di ricordare Mirta fra le braccia di quel tipo.
Che bravo padre che sono…
rifletté sarcastico, passandosi una mano sul viso e facendo inversione di marcia per raggiungere, più in fretta possibile, l’ospedale Careggi.