Il problema del destinatario del testo, e della sua incidenza in relazione al senso del testo stesso, s’intreccia strettamente con quello della finalità per cui il testo stesso è stato scritto. Nella maggior parte dei casi, ma non sempre, da un testo (sia esso pratico o no) ci si attende un utile. Chi nel passato si rivolgeva ad un mecenate ne intendeva ricavare agiatezza e onori, a cominciare appunto da Orazio con Mecenate. Gran parte degli scrittori di oggi, sia di opere letterarie che di opere scientifiche, si augura di ricavarne un utile, che può assumere forme diverse. Solo in alcuni casi abbiamo a che fare con professionisti della scrittura: spesso lo scrittore ha per altra via guadagni più sicuri di quelli assicurati dai libri, ma anche in questo caso egli conta o spera che il libro gli apporti qualcosa, o guadagni o almeno fama.
La speranza o l’attesa di un profitto condiziona fortemente chi compone un testo e ciò va dunque considerato attentamente da chi lo interpreta. Quando Ludovico Ariosto a gloria del cardinale Ippolito d’Este scrive:
Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro
(Orlando furioso, I, 3, 1-2),
le sue parole non vanno prese alla lettera, così come è prudente fare con gli elogi al re di Francia da parte di Molière. Così anche le critiche rivolte ai loro avversari. Non è molto significativo che Froissart celebri il re Edoardo III, che peraltro era morto da un pezzo, mentre va notato che dà giudizi severi sul duca di Berry:
ce duc de Berry fu le plus couvoiteux homme du monde et n’avoit cure où il fuist pris, mais qu’il l’euist. Et quant il avoit la finance devers luy, si l’emploioit il trop petitement, ainsy que pluiseurs seigneurs font et ont fait du tamps passé[20].
Qui veramente Froissart parla ai posteri, come se il duca fosse scomparso da un pezzo (fu, avoit), ma Jean de Berry era vivo e pericoloso, sicché dobbiamo ammirare il coraggio del cronista.
La fortuna di un’opera, specie in epoca moderna, tende a far aumentare la produttività di un autore, proprio perché gli rivela e apre la possibilità di ulteriori guadagni. È facile notare oggi come gli autori di bestseller siano irresistibilmente portati ad un lavoro instancabile, a moltiplicare la loro produzione, così come accade ad una industria che ha indovinato un prodotto di successo. S’intende come questo possa incidere sulla qualità dell’opera, se non altro perché l’autore è sempre più incline ad adeguarsi alle aspettative dei lettori, a dare loro quello che essi desiderano e attendono. I meccanismi che regolano la fortuna dei temi e delle forme letterarie del passato sono stati gli stessi. Ci sono state epoche in cui il pubblico chiedeva romanzi cavallereschi ed epoche in cui si cercava il teatro ed altre ancora in cui dominava la lirica d’amore. Gli scrittori hanno sempre cercato di seguire e sfruttare il gusto del momento, le mode. Oppure, in alcune epoche, a contraddirle violentemente perché c’era un pubblico che cercava lo choc.
L’esistenza di un condizionamento reciproco tra autore e pubblico, e la sua indubbia importanza, non può però far dimenticare che una delle forze determinanti che generano i testi, qualsiasi testo, è la volontà di esprimersi, il movente che induce a creare testi anche se non si ha nessuna speranza di avere un pubblico di lettori o un qualsiasi profitto. Molta parte della lirica medievale e moderna nasce soprattutto da questa motivazione. Né Petrarca né Leopardi scrivono la maggior parte delle loro poesie per qualcuno o ne attendono un guadagno. Petrarca si ingraziava i propri mecenati dedicando loro le opere latine, non i sonetti. Il Romanticismo ha poi reso generale e assoluta questa situazione: almeno in teoria, il vero scrittore è tale solo se e quando esprime la sua individuale personalità. In realtà la spontanea espressività individuale, che si presume stia dietro gli scritti a partire dall’epoca del Romanticismo, è spesso tutt’altro che veramente spontanea e, d’altro canto, anche le opere su commissione si basano su un negoziato tra i desideri e gli scopi del committente e la volontà dell’autore di esprimere qualcosa che è proprio a lui e non ad altri. Questa costante dialettica va tenuta sempre presente e indagata a fondo.
L’autore cerca la gloria per sé, il ricordo imperituro dei posteri: Orazio scriveva: «non omnis moriar» (Odi, III, 30, 6). Ma il «monumentum aere perennius» che nel primo verso della stessa ode dichiara di aver eretto assicura la memoria tanto del poeta che del suo protettore, di Orazio ma anche di Mecenate. Il nome e la memoria di entrambi sono garantiti dal testo.