Hevonie sprofondata nella sua poltrona seguiva attentamente il racconto.
“Grazie a quel volume, scritto con il sangue proveniente da sacrifici umani, Darkebetz raggiunse il suo scopo, divenne immortale. Mise in atto le formule e le istruzioni contenute nel libro, inoltre riuscì a sottomettere i demoni e a comandarli. Sono tristemente famosi i suoi massacri, per un lungo periodo seminò il terrore in tutto il regno. Finché il Concilio dei maghi radunò il suo esercito e decise di porre fine a tutto questo. Fu in quel tempo che scoppiò la Grande Battaglia tra l'esercito dei demoni, comandati da Darkebetz e quello formato dai maghi del Concilio. Fortunatamente i maghi ebbero la meglio, Darkebetz venne catturata e condannata a morte per i terribili crimini che aveva commesso. Ma essendo immortale, ogni volta che il suo corpo veniva mutilato, bruciato o fatto a pezzi, si rigenerava continuamente. Allora fu deciso di separare la sua anima dal corpo, era l'unico modo per renderla inoffensiva. Grazie a degli incantesimi derivati da testi dimenticati, fu eseguita la separazione. Poco prima della cerimonia Darkebetz giurò che sarebbe tornata per vendicarsi. L'incantesimo ebbe successo, ma per maggiore sicurezza il suo spirito venne nascosto in un luogo segreto, al quale furono posti sigilli magici, per impedirgli di ricongiungersi al corpo.”
“E poi cos'è successo?” Chiese Hevonie affascinata dal racconto.
“I demoni vennero relegati nel vulcano di Overlack e molti dei seguaci di Darkebetz si dispersero. Questi adepti erano chiamati la Legione Oscura. Il suo nome fu cancellato dai libri di storia e si fece di tutto perché venisse dimenticata. Per scoraggiare eventuali fanatici a cercare il suo sepolcro. Darkebetz non è morta e non morirà mai, purtroppo. E questo Malwen Rakomar lo sa e lui è uno di quelli che è cresciuto nel suo culto e non ha mai smesso di cercarla,” disse Joleen cupa.
“Lo sapevo che dietro c'era lui!” Esclamò Hevonie furiosa.
”Penso anch'io che sia stato Malwen a far fuggire i demoni e a plagiare tuo padre, facendoti allontanare dalla corte,” disse Joleen. “E soprattutto togliendoti la pietra di Koltrane. In pratica ti ha reso inoffensiva e lui ha avuto via libera.”
“Non contento ha mandato degli uomini ad uccidermi e per colpa sua il mio amico Rosik è morto.”
“E anche mio cugino,” aggiunse Towalce.
Rimasero in silenzio per un lungo momento, finché Hevonie chiese.
“Cosa c'era scritto nel Libro del Sangue?”
“Le cose più terribili, scritte con il sangue di esseri umani, le cui anime ancora pulsavano dentro le pagine, intrappolate per sempre. Non tutti potevano accedere a quel libro, molti sono morti nel tentativo di leggerlo.”
“Ma la cosa più orribile era che per effettuare questi riti occorrevano continue vittime sacrificali, per questo Darkebetz era chiamata la regina nera.”
“Davvero Darkebetz potrebbe tornare?” Domandò Towalce.
“Se riuscisse a ricongiungersi al suo corpo, purtroppo sì, il suo spirito è sorretto da incantesimi molto potenti e per ora irreversibili, se così fosse sarebbe il ritorno di un incubo per tutti noi,” rispose Joleen.
“Dov'è sepolto il corpo?” Chiese Towalce.
“Nessuno lo sa,” rispose Joleen. “Ma adesso basta parlare di queste cose. Sarai stanca mia cara, Towalce ti accompagnerà nella camera riservata agli ospiti. Li potrai rinfrescarti e metterti un vestito pulito.”
“Grazie, ne ho proprio bisogno,” disse Hevonie indicandosi con entrambe le mani.
“A dopo cara, vai pure con Towalce.”
I due salirono su per le scale e percorsero un corridoio, sul quale si affacciavano delle porte, fronteggiate da alte finestre.
Towalce aprì una delle porte ed entrò insieme a Hevonie in una graziosa camera, dove nel mezzo troneggiava un grande letto.
C'erano mobili tirati a lucido, tende di organza alle finestre, il pavimento era di marmo lucido sul quale era adagiato un morbido tappeto.
“Che splendida camera,” esclamò Hevonie, riassaporando le comodità di una casa vera.
“Joleen ama molto curare questa villa, ma sa rendere accogliente anche il posto più modesto,” disse Towalce.
Hevonie si buttò sul letto e chiuse gli occhi sentendo sotto di sé il soffice materasso e la morbida coperta che emanava un buon profumo di bucato. Si rese conto di essere veramente stanca e che avrebbe dormito volentieri. Ma si fece forza e si rimise seduta.
Guardò Towalce che la stava osservando divertito e lei si sentì un po’ in imbarazzo.
“Delmus ci potrà ricevere solo dopo cena, quindi tanto vale che ne approfitti per riposare un po’.”
“Non me lo farò ripetere due volte.”
“Più tardi ti manderò Joleen che ti aiuterà, vedrai che ti troverà qualcosa di appropriato. Adesso ti lascio sola, a dopo.”
Towalce se ne andò e si chiuse la porta alle spalle. Hevonie si sdraiò sotto le coperte e ancora non riusciva a credere a tutto quello che le era capitato.
Chiuse gli occhi e cominciò a rilassarsi sempre di più, nel giro di pochi minuti cadde in un sonno profondo e tranquillo.
“Sveglia è ora di prepararsi!” La voce allegra di Joleen la sorprese nel sonno. Hevonie aprì gli occhi di scatto e si guardò in giro per capire dove si trovava. Dopo qualche istante ricordò gli ultimi avvenimenti e cercò di ritornare alla realtà.
“Che ore sono?” Mise una mano davanti alla bocca per coprire uno sbadiglio.
“Sono le sei di sera, hai dormito un paio d’ore, so che non sono sufficienti, ma ti rifarai questa notte,” rispose Joleen.
“Sto bene, devo solo riprendermi un po’,” mentì Hevonie, che in realtà moriva dal sonno.
Si alzò ancora intontita e si avvicinò a Joleen che stava aprendo l’armadio. Quando guardò dentro Hevonie non credette ai propri occhi, quello che sembrava un comune armadio celava un'intera stanza piena di vestiti. Joleen vedendo lo sguardo sorpreso di Hevonie fece un risolino e disse.
“Devi sapere che la mia casa è chiamata anche la casa delle apparenze. Non tutto è come sembra. Ma adesso vai a farti un bel bagno caldo, nel frattempo sceglierò qualcosa di carino per te.”
Hevonie annuì e si precipitò nella stanza da bagno, dove una vasca piena di acqua calda la aspettava. Il vapore sprigionava un intenso profumo di gelsomino e vicino c'era tutta una serie di saponi colorati, spugne e morbidi teli.
In un batter d'occhio s’immerse nell'acqua, circondata dal piacevole effluvio che si diffondeva nell'aria.
Si rilassò e assaporò la sensazione di benessere che il bagno caldo le procurava. Quando l'acqua diventò tiepida, uscì dalla vasca, si avvolse in un ampio telo di morbido cotone e si asciugò. Appena ebbe finito, indossò una leggera vestaglia di lino e raggiunse Joleen. Vide che aveva già selezionato degli abiti che erano appesi a una sbarra di legno.
“Che bei vestiti! Mi piacciono molto,” disse Hevonie entusiasta.
“Sono contenta. Questi abiti sono stati donati da signore generose, io li raccolgo e li conservo qui, per chi ne ha bisogno.
“Ma è fantastico. Posso?”
Hevonie aveva adocchiato un abito rosa pallido con dei motivi floreali e voleva provarlo.
“Certo cara, sono tutti a tua disposizione, scegli quello che più ti piace.”
Hevonie ne prese altri due, pensò che in mezzo a tutto quell’assortimento ci sarebbero volute ore se avesse potuto scegliere con calma.
“Adesso ti lascio, ma fai alla svelta, fra poco Towalce verrà a prenderti, ti aspetto giù.”
Joleen uscì lasciando Hevonie a provarsi tutti e tre gli abiti, erano molto belli e le stavano benissimo. Guardandosi allo specchio si accorse di essere dimagrita, gli abiti facevano risaltare la sua vita sottile e la figura esile.
Alla fine optò per il vestito rosa, scelse un paio di scarpe basse ma eleganti, si pettinò i lunghi capelli biondi e li legò in una coda, che raccolse in uno chignon, quando fu pronta scese di sotto, nel salone.
Appena entrò, si trovò davanti ad un uomo anziano, che le puntò contro un lungo bastone appuntito.
“Tu stai portando la sventura nella nostra terra!” Tuonò il vecchio.
Joleen intervenne, abbassando il bastone con la mano.
“Calmati Miklos! Non sai quello che dici!”
“E’ per causa sua se Darkebetz tornerà, lei è l'indegna principessa che ha portato la vergogna sulla corona di suo padre!” Proseguì l'uomo imperterrito.
“Non osare parlarle in questo modo,” lo ammonì Joleen.
“Lo sai che cosa ti succederà, principessa? Quando Darkebetz sarà tornata ti userà come contenitore per la sua anima dannata e sarai condannata a convivere con lei per sempre!”
La sua voce era roboante e metallica.
“Ti farà fare quello che vuole e tu non potrai opporti. Sarà come se tu fossi sepolta viva dentro il tuo stesso corpo. Sarà peggio della morte stessa.”
Hevonie nell'udire quelle parole impallidì e si sentì cedere le gambe. Si avvicinò ad una poltrona e si mise a sedere per non cadere. Guardò Miklos e sul suo volto apparve un sorriso crudele, sembrava contento di essere stato lui, la causa del suo turbamento.
“Smettila brutto vegliardo!” Joleen si avvicinò a Hevonie.
“Su povera cara, non ascoltarlo, adesso ti darò un elisir che ti farà sentire subito meglio.” Joleen lanciò uno sguardo torvo a Miklos, che la ignorò mentre accarezzava con le mani nodose il pomello del bastone.
“Miklos stai attento a quello che dici o che fai, altrimenti dopo, te la dovrai vedere con me!” Joleen si recò in cucina, lasciandoli soli.
Hevonie rimase immobile con lo sguardo basso, non sapendo che fare.
“Sei spacciata, principessa Hevonie Heronberg. I tuoi antenati hanno fatto condannare Darkebetz e prima o poi il suo spirito dannato si vendicherà.”
Hevonie era sempre più sconvolta e sentì le lacrime pungerle gli occhi.
Miklos borbottò qualcosa tra sé e le lanciò uno sguardo pieno di disprezzo.
“Oltretutto tutti noi stiamo mettendo a repentaglio la nostra incolumità per colpa di tuo padre. Non si è mai arrischiato a porre fine alla minaccia dei demoni seriamente. E adesso sono tornati.”
Joleen rientrò con una caraffa di vetro in una mano e un bicchiere nell’altra.
“Basta così Miklos, adesso hai davvero esagerato! Esci subito da casa mia! Sapevo che eri un vecchio rancoroso, ma confidavo in un po’ di buonsenso da parte tua.”
“Me ne vado più che volentieri, non è stato certo un piacere passare del tempo in compagnia della tua ospite!” Miklos si alzò con un’agilità sorprendente per la sua età. Il bastone sembrava essere più un vezzo che una reale necessità. Senza salutare, uscì di casa.
Joleen si avvicinò a Hevonie e le porse il bicchiere, dentro il quale aveva versato un liquido rossastro.
Hevonie ne bevve un sorso, sentì la gola bruciarle e tossì.
“Sì, è un po’ forte ma è un vero toccasana, ti sentirai subito meglio,” le disse con dolcezza Joleen. “Non dare peso alle parole di quel povero vecchio, in fondo è meglio di quello che sembra.”
“Perché ce l’ha così tanto con me?”
“Devi capire che Miklos ha perso il suo adorato figliolo Tuxander, anni fa proprio per colpa della Legione Oscura.”
“Oh mi dispiace tanto! E' stato ucciso?”
“No cara, purtroppo lui è stato uno di quelli che ha ceduto alle lusinghe della Magia Proibita e ha preso una cattiva strada. Tuxander è diventato un seguace degli insegnamenti di Darkebetz. Di lui si sono perse le tracce e per Miklos è stata un'autentica tragedia. Era il suo unico figliolo ed era così orgoglioso di lui. Ma in realtà è stato un brutto colpo per tutti noi che lo conoscevamo.”
Un'ombra di profonda tristezza passò sul viso di Joleen facendo svanire per un attimo la sua espressione gentile e allegra.
“Chi accetta di scendere a patti con la Magia Proibita, prende una strada senza ritorno. Questo tipo di magia ti lusinga con mille artifici, ma il prezzo da pagare è immenso, è come precipitare in un pozzo senza fondo per l’eternità.” Joleen fissava il vuoto davanti a sé.
“Ma cosa intendeva col fatto che Darkebetz sarebbe entrata dentro di me?”
“Non ti preoccupare, sono solo i vaneggiamenti di un mago attempato,” minimizzò Joleen.
“Ora basta, stasera sei stata convocata da Delmus ed è una cosa molto importante,” la esaminò da capo a piedi e disse. “Sei davvero graziosa con quel vestito.”
Hevonie fece un sorriso di circostanza ma l’ultima cosa che gli importava, forse per la prima volta in vita sua, era il proprio aspetto.
Poi cominciò a sentirsi strana, una sensazione di calore la pervase e si sentì stranamente euforica. Guardò Joleen che le sorrideva e gesticolava ma tutto sembrava avvenire al rallentatore.
Sentì il rumore di una porta aprirsi e poi richiudersi, udì delle voci, ma era tutto ovattato, si sentiva leggera. Vide un ragazzo accanto a Joleen, era alto e molto bello, Hevonie lo guardò ammaliata. Le sembrava di averlo già visto, ma non ricordava dove.
Quando il ragazzo parlò, lei non riuscì a capire cosa diceva, sembrava un linguaggio buffo, strano, incomprensibile.
Allora Hevonie cominciò a ridere sempre più forte finché si accasciò sulla poltrona e venne scossa da scoppi di riso incontrollabili.
“Joleen che cosa le hai fatto?” Chiese Towalce preoccupato.
“Niente, volevo solo aiutarla. E' venuto Miklos e le ha detto così tante brutte cose, che la povera cara si è sconvolta e rattristata. Allora ho pensato che un po’ di Lunia potesse esserle utile,” spiegò Joleen sorpresa quanto lui, di vedere Hevonie in quello stato.
“Lo sai che non tutti sopportano gli effetti euforici della Lunia,” disse Towalce indicando il bicchiere appoggiato sul tavolo.
“Hai ragione, sono stata una stupida,” ammise sconsolata Joleen. “Ma ormai non posso farci niente, bisogna aspettare che l'effetto svanisca da solo.”
Dopo un quarto d'ora Hevonie smise di ridere, alzò la testa e si guardò intorno disorientata.
“Cos'è successo? ”Chiese massaggiandosi la mascella. “Mi gira la testa.”
“Niente cara, vedrai che un po’ d’aria fresca ti farà bene. Adesso dovete andare, presto.” La incitò Joleen, sollevata dal fatto che la Lunia avesse esaurito il suo effetto.
Towalce aiutò Hevonie ad alzarsi e le cinse la vita con il braccio.
“Forza, vedrai che ti passa. Andiamo.”
Hevonie diede un'occhiata al bicchiere ma non fece domande. Seguì Towalce all’aperto. La fresca brezza della sera la ritemprò immediatamente. Towalce si fermò e le fece cenno di attendere.
“Perché ci siamo fermati?” Chiese Hevonie. ”Hai un drago anche tu?”
“Magari, purtroppo non ho questa fortuna, ma ho qualcosa di altrettanto speciale da mostrarti, guarda.”
Towalce fece un fischio e dopo qualche istante due cavalli dal mantello bianco apparvero in lontananza e avanzarono verso di loro. Almeno, a prima vista sembravano due cavalli, ma guardandoli meglio Hevonie si accorse che erano più snelli e più alti dei cavalli normali, avevano una coda magnifica e delle zampe lunghe ed affusolate.
Ma la cosa più incredibile erano le due grandi ali che con un gesto elegante i cavalli spiegarono dai loro fianchi. Hevonie non aveva mai visto delle creature così splendide e rimase incantata a guardarle.
Cavalli alati! Solo adesso ricordò che Zoelle le aveva raccontato delle storie al riguardo, ma a lei erano sembrate soltanto delle favole. Invece esistevano davvero.
Le ali si aprivano ampie ed erano costituite da una sottile membrana di pelle opalescente.
La luce che si rifletteva sopra metteva in risalto le fragili venature azzurre, che apparivano come dei delicati ricami.
“Che meraviglia!” Esclamò Hevonie estasiata.
“Sono dei rari Cavaldedri, creature agili e velocissime. Adesso vedrai.”
Towalce si avvicinò a uno dei cavalli e fece cenno a Hevonie di seguirlo.
“Lui è Monsieur Zacò,” disse indicando il Cavaldedro più grande. “Mentre lei si chiama Miss Yvette.”
“Che nomi carini,” commentò Hevonie.
“Sì, ma adesso dobbiamo andare.” Towalce le prese la mano e le fece mettere un piede in una staffa, quindi la aiutò a salire.
Hevonie accarezzò un’ala del cavallo che era liscia e lucente come seta.
“Ho dimenticato di chiederti se sai andare a cavallo,” disse Towalce mentre montava in sella sull'altro esemplare.
“Certo, per tua informazione ne possiedo più di venti,” rispose Hevonie altezzosa.
“Bene allora vedrai che questo non è molto differente. Stai solo attenta a non toccare le ali mentre sei in volo, per il resto è come montare uno dei tuoi venti cavalli. Sei pronta, principessa?”
Hevonie ignorò il suo tono sarcastico e annuì. Strinse forte le redini, non avendo mai volato su un Cavaldedro, non voleva correre il rischio di precipitare. Guardò Towalce che incitò il cavallo a muoversi e lei lo imitò spronando il suo.
I due Cavaldedri cominciarono a galoppare sempre più velocemente, finché dopo alcuni metri si staccarono da terra contemporaneamente, ripiegando leggermente le zampe sotto di loro e sbattendo con foga le ali. Hevonie non riusciva a credere di trovarsi ancora una volta, nell'arco di così poco tempo, in volo su una magnifica creatura alata.
Hevonie aveva sempre immaginato che le nuvole fossero soffici e piacevoli da toccare, invece adesso che le stava attraversando, sentì che erano fredde e umide. Aveva la sensazione di fluttuare in un fitto banco di nebbia.
I due cavalli alati volarono fianco a fianco per un po'. Poi Towalce mosse il braccio e con l’indice indicò giù. Hevonie vide che stava cominciando a scendere e lo seguì con il suo Cavaldedro.
Planarono sopra un’ampia collina, sotto di essa si stendeva un agglomerato di graziose costruzioni di pietra grigia. L'insieme era armonioso e a prima vista le sembrò un posto gradevole dove vivere.
Towalce si accostò a Hevonie e le disse.
“Tieniti forte, l’atterraggio potrebbe essere alquanto brusco.”
Hevonie deglutì, cominciò a stringere forte con le braccia il collo del Cavaldedro e tenne le gambe serrate sui fianchi.
I due Cavaldedri atterrarono quasi simultaneamente e Hevonie sobbalzò quando Monsieur Zacò toccò terra. Se non si fosse tenuta forte, quasi certamente, sarebbe caduta. Quando fu sicura che il Cavaldedro fosse ben fermo, staccò lentamente le braccia dal suo collo e rilassò le gambe.
Con cautela, Hevonie cominciò a scendere, tenendo però saldamente le redini in mano per paura che Monsieur Zacò decidesse di muoversi. Una volta a terra le sue gambe tremarono per i muscoli contratti, quindi fece qualche saltello per riattivare la circolazione del sangue.
Guardò i Cavaldedri che avevano già richiuso le ali e venivano portati da Towalce in un’area del prato, dove c'era la scuderia.
“Ti è piaciuto di più volare con il Cavaldedro o con il drago?” Le chiese quando fu di ritorno.
“E’ stato bello con tutti e due. Mi piacerebbe moltissimo possedere uno di questi cavalli alati. A proposito se sono così rari, come mai tu ne possiedi addirittura due?” Gli domandò sospettosa.
“A dire il vero questi Cavaldedri appartengono al Concilio dei maghi. Me li hanno prestati per portarti qui.”
“Be', sono davvero lusingata,” disse Hevonie, anche se in realtà lei era abituata a ricevere trattamenti di riguardo.
“Fai bene a esserlo, è un vero privilegio cavalcare un Cavaldedro. Adesso ti accompagno da Delmus che ci starà sicuramente aspettando.”
Mentre si avvicinavano, Hevonie notò che la sede del Concilio dei maghi era un edificio bianco, protetto da un alto muro di cinta. All'ingresso un uomo in uniforme verificava le credenziali dei visitatori. Entrarono senza problemi e una volta all'interno, Hevonie ammirò l'architettura semplice e lineare del palazzo. Da un luogo frequentato da maghi, si sarebbe aspettata un ambiente più bizzarro e particolare.
“Che cosa ne pensi?” Le chiese Towalce.
“E' un palazzo molto bello,” commentò Hevonie.
“E non hai ancora visto il meglio.”
Salirono una scalinata di marmo, poi percorsero un corridoio ed entrarono in una elegante sala ricca di arredi, contornata da preziosi arazzi alle pareti. A ridosso di un grande arazzo c’erano alcune persone, che si voltarono a guardarli incuriositi. Un uomo alto con un vistoso paio di baffi grigi, si staccò dal gruppo e si diresse verso di loro.
“Eccovi qui finalmente, stavo già preoccupandomi,” disse l'uomo sorridendo.
”Io sono Delmus, tu devi essere Hevonie, la nostra giovane principessa, conosco molto bene tuo padre,” le strinse la mano con vigore, trasmettendole un senso di grande forza. Poi fece un cenno di saluto a Towalce che ricambiò, inchinando leggermente il capo.
“Presto, andiamo a sederci laggiù, ci sono gli altri maghi del Concilio ad attenderci, così potremo parlare con tranquillità.”
Delmus si diresse verso una parte della sala, dove c'erano delle poltroncine imbottite, alcune delle quali erano già occupate da un gruppo di uomini anziani. Ognuno di loro indossava una lunga tunica di diverso colore. Stavano seduti intorno ad un grosso tavolo rotondo, sul quale erano posati alcuni bicchieri, delle bottiglie e vari oggetti.
Appena videro Hevonie, si alzarono e fecero tutti quanti un inchino. Hevonie s'inchinò a sua volta e si sedette vicino a Towalce. Quando tutti si furono accomodati, Delmus domandò.
“Dunque Hevonie, immagino che tu sappia perché sei qui, vero?”
“Se devo essere sincera, non mi è ancora ben chiaro, signore.”
“Chiamami pure Delmus, lo preferisco.”
“D'accordo.”
“Tu devi sapere che Malwen Rakomar ha infranto la barriera che teneva imprigionati i demoni a Overlack.” Delmus sembrò studiare la sua reazione. ”Adesso sta attaccando vigliaccamente molti villaggi e purtroppo si contano già innumerevoli morti.”
“E’ Terribile! Come è potuto accadere?” Esclamò Hevonie.
“Non lo sappiamo, probabilmente deve essersi servito delle formule, che noi custodiamo in un luogo segretissimo. Essendo il mago di corte ha beneficiato di una certa libertà d'azione e ne ha approfittato.” Delmus fece una pausa poi proseguì. “Inoltre è sparito dalla circolazione e questa è un'ulteriore prova della sua colpevolezza. Bisogna impedirgli assolutamente di procedere oltre e penso che tu ci potresti aiutare.”
“Ma io non ho più i miei poteri magici, ora posso solo guarire e basta,” disse Hevonie sconfortata. Delmus lanciò uno sguardo al bracciale e notò l'assenza della pietra.
“Capisco, la figlia del re di Kosworth ha combinato qualche pasticcio,” sorrise Delmus, suscitando le risatine degli altri maghi presenti e facendo arrossire Hevonie.
“Devi assolutamente farti ridare la pietra, abbiamo bisogno dei tuoi poteri,” disse uno dei maghi presenti.
“Ariag ha ragione, devi tornare da tuo padre e spiegargli la situazione e ricomporre il bracciale,” concordò Delmus.
“Ma come faranno a raggiungere Kosworth?” Chiese Ariag. “Le strade sono presidiate dagli uomini della Legione Oscura e i demoni sono in agguato.”
“Potremmo usare il drago di Korban,” suggerì Towalce.
“Impossibile. Anche i cieli sono sorvegliati e un drago attirerebbe l'attenzione come un faro nella notte. Verreste intercettati immediatamente,” asserì Delmus.
“Quindi immagino che siano da escludere anche i cavalli alati,” disse Hevonie.
“Purtroppo sì,” confermò Delmus. ”Sono esemplari rari, non possiamo permetterci di mettere in pericolo la loro vita. Costituirebbero dei facili bersagli, sarebbe come condannarli a morte. L'unica soluzione che mi viene in mente è quella di attraversare il Reame Perduto.”
“Ma è una pazzia!” Esclamò Ariag.” E' infestato da creature magiche e pericolose.”
“È vero, ma a ben guardare se si percorrono i sentieri giusti, non è impossibile da passare.” Delmus alzò una mano per fermare le obiezioni. “I vantaggi sarebbero molti. Ad esempio offre parecchi luoghi dove potersi nascondere e i demoni non vi possono entrare. C'è un antico sortilegio che impedisce loro l'accesso.”
“Però Malwen si avvale anche della complicità degli uomini della Legione Oscura,” fece notare Ariag. “A loro non è proibito entrare nel Reame Perduto.”
“E' vero, ma loro sono solo uomini, senza grandi poteri, si avvalgono più che altro di amuleti ed oggetti magici di scarso valore. I membri della Legione Oscura sono principalmente mercenari, la loro forza sta nell'uso delle armi, penso che neppure sappiano veramente cosa sia il Reame Perduto. Ma il vantaggio principale è che si tratta della strada più veloce per raggiungere Kosworth. Inoltre noi potremmo creare alcuni diversivi magici per proteggerli a distanza.”
“Potrebbe trasformarsi in una trappola,” ribadì Ariag.
“No, se lo si conosce bene come Towalce,” Delmus attirò l'attenzione del ragazzo, che gli rivolse uno sguardo interrogativo, poi proseguì dicendo.
“Affido a te, Towalce il compito di accompagnare la principessa al suo castello. E' un compito impegnativo, ma sono sicuro che ce la farai.”
“Ma ho il mio lavoro da svolgere, signore,” fece notare Towalce.
“Questo è il tuo lavoro, eseguire gli ordini che ti vengono dati. Osi discuterli?” Chiese Delmus fulminandolo con gli occhi.
“No, signore, ma perché proprio io?”
“Perché mi fido di te. Se sto riponendo male la mia fiducia, dimmelo,” lo esortò Delmus.
Towalce scosse la testa imbarazzato. “No, signore.”
“Ma pensi davvero che potrebbero farcela?” Chiese Ariag.
“Di vitale importanza è riuscire a tenere segreta la cosa. Towalce e Hevonie da soli saranno in grado di attraversare il Reame. Potrei dare loro una scorta armata, ma il problema grave è che non so più di chi fidarmi. Quindi è meglio che nessuno, tranne noi che ci troviamo in questa stanza conosca il loro programma di viaggio.”
Vedendo l'espressione perplessa sul volto di Towalce, Delmus disse.
“Ascoltami, tu sei già al corrente della situazione, perché coinvolgere altre persone, con il rischio che si venga a sapere dove si trova la principessa? Inoltre tu conosci bene il Reame Perduto,” Delmus fece una pausa e Hevonie percepì un qualcosa di non detto tra loro due.
Poi Delmus proseguì. “Tu sai i pericoli che si trovano al suo interno. Sono certo che saprai difendere Hevonie e farla arrivare sana e salva a destinazione. Ti affido un compito molto importante, Towalce.”
“Sì, signore,” fu la sua laconica risposta.
“Sicuramente, una volta raggiunto il castello, mio padre radunerà l'esercito e ci darà tutto il suo aiuto,” intervenne Hevonie decisa.
“Purtroppo questa è una guerra che si dovrà combattere più con la magia che con le armi,” osservò Delmus.
“Io rimango dell'idea che sia troppo pericoloso,” ribadì Ariag. “Si potrebbe invece creare un portale magico che li trasporti direttamente a Kosworth.”
“Ci avevo già pensato,” disse Delmus. “Ma potrebbe trasformarsi in una via di accesso per i demoni, sono in grado di intercettarlo ed infiltrarsi facilmente. Potrebbero addirittura sabotarlo ed impedire a chi è entrato nel portale di uscirne, intrappolandolo in una dimensione spazio temporale per sempre.”
“Allora non vedo altra soluzione,” si arrese Ariag.
Hevonie e Towalce si lanciarono uno sguardo perplesso.
“Più tardi ci rivedremo per gli ultimi dettagli, studieremo il percorso migliore sulle mappe originarie. Prima della partenza vi farò avere del cibo e dell’acqua per il viaggio. Adesso andate e cominciate a preparare le vostre cose,” con questa affermazione Delmus sciolse la riunione e congedò i suoi ospiti. Tutti i presenti si alzarono e uscirono dalla sala.
Rimasto solo, Delmus sperò con tutto il cuore di avere fatto la scelta giusta.
Il pomeriggio era ancora più freddo della mattina, una forte umidità avvolgeva la vegetazione, rendendo il terreno viscido e scivoloso. Towalce procedeva a passo spedito lasciando Hevonie indietro di qualche metro, che nonostante il freddo, si ritrovò stanca e sudata. Quindi si fermò e si appoggiò ad un albero, per riprendere fiato. Towalce non vedendola al suo fianco, si voltò e tornò indietro a cercarla.
“Non fare mai più una cosa del genere!” La assalì furioso. “Quando ti fermi, devi sempre avvisarmi. Se ti succede qualcosa, il responsabile sono io.”
Hevonie gli lanciò uno sguardo carico di risentimento, era così stanca che non sarebbe riuscita a muovere un altro passo.
“Non ti preoccupare, se dovessi morire, prima scrivo un biglietto, dove dico a tutti che non è stata colpa tua, cosi ti libero da ogni responsabilità,” gli rispose acida.
Da quando erano partiti, una sorta di nervosismo si era insinuato tra di loro, non facevano che punzecchiarsi a vicenda.
Viaggiavano solo da poche ore ed erano già entrati in quello che veniva chiamato il Reame Perduto.
Molti secoli addietro in questo posto sorgeva una moltitudine di piccoli villaggi e c'era una fiorente attività. Poi a causa di guerre e carestie la gente abbandonò quel vasto territorio che venne fagocitato dalla natura selvaggia.
Ormai rimanevano ben poche tracce del suo glorioso passato. A Hevonie sembrò una foresta come tante altre e non notò nulla di particolare.
“Cerca di muoverti,” la spronò Towalce.
“Mi dispiace, ma ho bisogno di riposare,” disse Hevonie irremovibile.
“E cosa pensi che farà la Legione Oscura nel frattempo?”
Domandò Towalce.” Si fermerà perché tu non ce la fai a proseguire?”
“E cosa c’entra la Legione, adesso?” Chiese Hevonie.
“Il rischio che la Legione Oscura scopra che siamo qui è sempre presente. Non dobbiamo mai abbassare la guardia. Bisogna prestare attenzione anche al minimo rumore.”
“Finora io non ho sentito niente, anzi ti dirò che questa foresta è fin troppo silenziosa,” constatò Hevonie. “E questo silenzio non mi sembra un buon segno.”
“Hai ragione, le creature del bosco, quando avvertono un pericolo si nascondono. Non si fermano a oziare come vorresti fare tu.” Towalce alzò un sopracciglio. “Non c'è tempo da perdere, quindi forza, in marcia.”
Ma Hevonie non si mosse. “Mi dispiace, ma non posso. Se vuoi, vai avanti senza di me. Io me la caverò, dopotutto ho ancora la pietra del fuoco.”
Towalce la guardò scuotendo la testa.
“Non sei in grado di controllarla, ricordatelo. Entro stanotte saresti morta.”
“Non importa, io resto qui.”
”D’accordo, facciamo una pausa,” sbottò Towalce esasperato. ”Ma prima faccio un giro di controllo qui intorno. Tu non ti muovere!”
Hevonie annuì e si lasciò scivolare lungo il tronco di un albero, rilassando i muscoli affaticati per il lungo cammino.
Dopo pochi minuti Towalce la raggiunse. “Sembra tutto a posto.” Si mise seduto sotto un albero e tirò fuori una borraccia piena d’acqua e ne bevve un sorso. La passò a Hevonie che fece altrettanto e gliela restituì mezza vuota.
“Ehi, vacci piano, ci deve durare fino al prossimo ruscello.”
Hevonie ignorò lo sguardo di rimprovero di Towalce e chiuse gli occhi per qualche istante, quando li riaprì, Towalce era già in piedi.
“Adesso andiamo però, non voglio perdere altro tempo prezioso,” disse in un tono che non ammetteva repliche.
Le porse la mano per farla alzare e Hevonie la afferrò controvoglia. Attraversarono sentieri semi nascosti dalla vegetazione e s'inoltrarono sempre più nella foresta. Fecero un paio di pause per permettere a Hevonie di riprendere fiato, sempre con la disapprovazione di Towalce, che la fece desistere dal farne di più. C’erano molte cose che Hevonie voleva chiedere, ma Towalce camminava sempre davanti a lei, non permettendole di avere abbastanza fiato per parlargli.
Towalce ad un tratto si fermò e Hevonie quasi gli cascò addosso, lo vide osservare dei cespugli dalle foglie spesse e carnose. Dei piccoli brandelli rossastri e delle grosse piume, stavano a terra tutto intorno. Towalce si chinò a raccogliere una piuma, la guardò pensieroso, poi la rigettò a terra.
“Da questa parte,” sussurrò prendendo Hevonie per un braccio, girando piano intorno ai cespugli.
Camminarono a passi leggeri fuori da quell’area e proseguirono il loro percorso su un altro sentiero.
“Perché abbiamo cambiato strada?” Chiese Hevonie quando si fermarono per una pausa parecchio tempo dopo.
“Piante carnivore,” rispose Towalce.
“Che cosa fanno?” La voce di Hevonie lasciava trapelare la sua apprensione.
“Quando avvertono la presenza di qualche essere vivente, emettono un gas soporifero, incolore e inodore. Senza nemmeno accorgertene ti ritrovi steso a terra, addormentato.”
“Ma è orribile!” Esclamò Hevonie.
“Già,” disse Towalce mentre si era chinato per allacciarsi uno stivale. “Emettono una sostanza tossica che agisce sul sistema nervoso. Inalandola, si cade in una sorta di catalessi. Ma a quanto pare avevano già fatto il loro dovere, visto che c'erano resti di carne sul terreno.”
“Divorano le loro prede?”
“Certo che no, questo compito tocca agli animali che mangiano le carcasse dei malcapitati che hanno respirato il gas.”
“E quale sarebbe lo scopo?” Gli domandò sconcertata.
“In questo modo la pianta ha un suo tornaconto,” spiegò Towalce. “Addormentando le vittime, gli animali possono ucciderle e divorarle facilmente. Poi sui resti in decomposizione si accumulano centinaia di insetti, molti dei quali vanno a posarsi sulle foglie viscose della pianta, che a questo punto ottiene la ricompensa per il lavoro svolto. Ingegnoso vero?”
“Ma noi siamo in pericolo?”
“Per ora no, la fortuna è che una volta che emanano il gas, ci vogliono alcuni giorni, perché si riformi.”
“Ma tu come fai a conoscere così bene questo posto?” Chiese Hevonie.
“Ci ho passato un po' di tempo, in passato. Io e mio cugino insieme ad altri cavalieri venivamo qui ad esercitarci. Nasconde molte insidie, proprio per questo non è molto frequentato e la maggior parte delle persone se ne tiene alla larga.”
Hevonie guardò a terra pensierosa, ma fu subito spronata da Towalce a riprendere il cammino.
Dopo un’ora di marcia, raggiunsero la sommità di una piccola collina, dove scorreva un ruscello, mentre in basso si vedeva una strada sterrata.
“Quello una volta era il sentiero principale del Reame.” Towalce spiegò. “Di solito veniva usato da chi si muoveva a cavallo.”
“Dobbiamo passare da li?” Chiese Hevonie.
“No, è troppo esposto, potremmo incontrare qualcuno,” rispose Towalce. ”Vado a cercare una strada alternativa. Tu aspetta qui. Non fare rumore e non farti vedere.” Towalce la lasciò e scese la collina da solo.
Hevonie approfittò dell’inaspettata pausa per sedersi su una roccia a riposare. Poi riempì le borracce e si sciacquò la faccia, l'acqua era tanto gelida che rabbrividì. Si chiese per quanto tempo ancora, avrebbero dovuto restare in quella foresta umida e tetra. Dalla sua posizione poteva intravedere il sentiero. Ma a un tratto vide due persone a cavallo dirigersi verso di lei, quindi si nascose svelta ed attese che se ne andassero.
Towalce risalì la collina e la raggiunse. ”Ho trovato un'altra via. Su, hai riposato abbastanza, proseguiamo.”
Hevonie si alzò, preparandosi a malincuore ad un’altra sfacchinata.
“Mentre eri via, ho visto due individui passare a cavallo lungo il sentiero,” gli disse.
“Questo non significa che cercassero noi, c'è ancora chi attraversa questa foresta, anche se non sono molti a farlo. Ti hanno vista?”
“No.”
“Bene. E’ meglio non fare incontri di nessun tipo, credimi.”
Proseguirono e si trovarono davanti ad un fiume, lo attraversarono camminando su delle pietre affioranti dall'acqua. Si addentrarono così, sempre più, nel cuore del Reame Perduto. Towalce camminava davanti a Hevonie che restava sempre indietro ad arrancare. Salirono su un’altura e da li osservarono il panorama sottostante, che era costituito da una valle, circondata ai lati dalla foresta. Mentre sullo sfondo si stagliava una fila di basse colline. Il silenzio era rotto solo dal fruscio del vento e dal cinguettio degli uccelli.
Hevonie cominciò a essere affascinata dalla forza primordiale emanata da quel luogo, dava l’idea di racchiudere il segreto del tempo. Sembrava essere lì da sempre e che sempre sarebbe esistita, immutabile e intatta come la vedeva ora. Si sentì improvvisamente piccola e inerme di fronte a tanta magnificenza. Quando si voltò verso Towalce, vide che la fissava, sembrava che anche lui avesse percepito l'energia di quel posto. Ripresero il cammino e gli alberi sembravano crescere di grandezza man mano che avanzavano. I rami in alto si allacciavano tra di loro e il chiarore del giorno cominciava a filtrare sempre meno. Luce e ombra si alternavano, un leggero vento scuoteva le fronde degli alberi, che emettevano un sommesso mormorio, come se parlassero.
“Adesso capisco perché la gente non si arrischia a entrare nel Reame Perduto,” disse Hevonie.
“Non siamo ancora nel Reame Perduto, questa è la parte periferica,” rispose Towalce.
“Ci vive qualcuno quaggiù?”
“Certo, ci vivono molte creature, ma si guardano bene dal mostrarsi. Loro osservano in silenzio e aspettano. Probabilmente alcune di loro, ci stanno tenendo d’occhio da un bel po’.”
A Hevonie vennero i brividi al pensiero di essere osservata da strane creature in un posto così desolato, sperava davvero che Towalce la portasse sana e salva fuori di li. Dopo avere marciato per diverse ore Hevonie si fermò di colpo.
“Ma dove stiamo andando?” Mugugnò. “Io sono stufa di camminare.”
“Devi avere pazienza, c’è ancora parecchia strada da fare.”
Hevonie sbuffò e imprecò dentro di sé. Riconobbe però, che anche Towalce stava faticando come lei e non lo aveva mai sentito lamentarsi, quindi cercò di resistere.
Ormai era quasi sera, la foresta era sempre più fitta e la luce sempre più fioca.
Arrivarono in uno spiazzo erboso che dopo tutta quell'oscurità, sembrava invitante come una piccola oasi. Hevonie si accasciò a terra e fece dei profondi respiri. Poi guardò Towalce con sguardo supplichevole.
“Va bene, questa notte ci accampiamo qui. Ma domani mattina all’alba dobbiamo muoverci e alla svelta,” disse lui prevenendo qualsiasi domanda.
Towalce posò la borsa con i loro viveri e si sdraiò a terra con le mani dietro la nuca. Vedendolo, Hevonie pensò che forse, dopotutto anche lui era stanco.
Si riposarono un po’ e poi cominciarono a mangiare.
“Si può sapere quanto durerà questo viaggio?” Chiese Hevonie mentre addentava un pezzo di pane.
Towalce alzò le spalle.
“Se non incontriamo problemi, massimo tre giorni.”
“Così tanto?” Esclamò Hevonie allibita.
“Se continui a fare così tante soste, ce ne vorranno almeno il doppio,” rispose Towalce.
“Ma quali sono i maggiori pericoli che questo posto nasconde?”
“Qui vivono delle creature strane, nessuno sa veramente quante siano. Ma una cosa è certa, la maggior parte non sono amichevoli. Quando ne incontri una, nel dubbio, è sempre meglio scappare. Se cadi nelle mani sbagliate, non è detto che la morte sia la cosa peggiore che ti possa capitare.”
Hevonie si soffermò qualche istante a pensare cosa potesse essere peggiore della morte, ma lasciò stare.
Come se le avesse letto nel pensiero, Towalce disse.
“Se mai dovessi scegliere tra morire e cadere viva nelle mani di una di queste creature, ti consiglio di scegliere la prima opzione. Almeno, questo è quello che farei io.”
Hevonie alzò una mano in segno di resa.
“D'accordo, ho recepito il messaggio. Non terrorizzarmi più di quello che già sono, ti prego. A questo punto speriamo di andare via da qui alla svelta.”
“Già. Ma adesso dormiamo un po'.” Towalce si sdraiò sul suo mantello e si posò il cappello sugli occhi.
Nonostante la situazione di pericolo, la stanchezza ebbe la meglio e si addormentarono quasi subito.
Dopo un paio d'ore, Towalce spalancò gli occhi e si mise seduto, nel farlo fece cadere a terra il cappello che gli copriva il volto. Si guardò intorno, qualcosa lo aveva svegliato, vide Hevonie che dormiva adagiata su un fianco.
Si alzò, guardò meglio, ma non notò nulla di strano, anche se aveva la certezza che qualcosa non andava.
“Ehi, sveglia,” sussurrò a Hevonie scuotendole leggermente una spalla.
“Che cosa…” Sbiascicò mezza addormentata.
“Alzati, dobbiamo muoverci da qui,” la scosse con maggior vigore.
“Ahi, mi fai male!” Hevonie si mise a sedere e cercò di riprendere contatto con la realtà.
“Shhh! Abbassa la voce. Ho paura che non siamo soli.”
A queste parole Hevonie si svegliò completamente e si alzò in piedi.
“Hai visto qualcuno?”
“Non sono sicuro, ma ho avvertito una presenza. E’ meglio non farci cogliere impreparati.”
“Allora cosa facciamo?”
“Vedi quei cespugli laggiù? Ci nascondiamo dietro e aspettiamo.”
Si spostarono velocemente e si acquattarono tra le foglie.
Dopo qualche minuto, alcuni sibili li fecero sobbalzare.
“Che cosa è stato?” Sussurrò Hevonie.
Un’ombra passò sopra di loro e Hevonie vide da che cosa si stavano nascondendo. Un essere mostruoso li sorvolò in silenzio. Solo il leggero battito delle ali ne tradiva la presenza.
Il chiarore della luna illuminò l’essere più repellente che Hevonie avesse mai visto. Il corpo era quello di una donna, con la pelle completamente ricoperta da squame viscide.
Le ali erano ampie e spesse e si muovevano a scatti brevi e veloci. Sia le mani sia i piedi erano grandi e muniti di lunghi artigli affilati, come quelli di un rapace. Muoveva la testa dotata di un potente becco, che poggiava sopra il lungo collo sottile e ricurvo e la volgeva in tutte direzioni.
Sembrava cercare qualcosa o qualcuno.
“Cosa diamine è quella cosa?” Chiese Hevonie inquieta.
“E' una Riaga, un essere arcaico molto pericoloso,” rispose Towalce sottovoce.
La Riaga si abbassò così tanto sopra di loro che Hevonie pensò che li avesse visti. Istintivamente cercò la mano di Towalce e la strinse forte, lui ricambiò la stretta e insieme trattennero il respiro. Ma la creatura passò oltre e sembrò essere attratta da qualcos’altro, ma dopo pochi istanti li sorvolò ancora e sembrò puntare proprio verso il cespuglio dietro il quale si erano nascosti.
Volava sopra di loro in piccoli cerchi concentrici, facendo tremare di paura Hevonie, poi finalmente riprese il volo e scomparve. Aspettarono diversi minuti prima di lasciare il nascondiglio, infine Towalce si alzò lentamente e si assicurò che fossero soli.
“Via libera, puoi uscire.”
“Quella specie di mostro alato, stava cercando noi?” Chiese Hevonie ripulendosi dalla terra.
“Molto probabilmente sì,” rispose Towalce. ”Deve avere avvertito la nostra presenza.”
“Come ha fatto? Secondo te ce ne sono altre?”
“Le Riaghe sono prevalentemente esseri notturni. Forse stava cacciando, il fatto è che sono quasi cieche ma hanno un udito molto sviluppato. Percepiscono gli oggetti quando sono in movimento, un po' come fanno i pipistrelli. Forse non ci ha individuato perché stavamo fermi.”
“Allora siamo stati fortunati,” constatò Hevonie.
“E’ ancora buio e ci vorranno almeno cinque ore al sorgere dell’alba, ci conviene dormire ancora un po’. Staremo sotto questi cespugli che ci schermeranno alla vista.”
“D’accordo, anche se sapendo che c’è quella cosa la fuori, non so se riuscirò a dormire,” disse Hevonie.
Si sdraiarono nello spazio angusto e si misero schiena contro schiena. Sentire il corpo forte e muscoloso di Towalce vicino al suo, la tranquillizzò. Nonostante la paura, riuscirono ad addormentarsi. Il risveglio fu meno brusco di quello precedente, anzi fu decisamente piacevole, Hevonie aveva la testa adagiata su qualcosa di morbido e caldo, aprì gli occhi e vide che aveva la testa appoggiata sul petto di Towalce, che con il suo braccio le avvolgeva le spalle.
Si sentì imbarazzata e quando vide che anche lui stava per svegliarsi, si mise seduta e si allontanò alla svelta. Towalce era sdraiato e cominciò a muovere le braccia e ad allungarle.
Visto così, con i capelli in disordine, la barba un po’ lunga, aveva un’espressione dolce e accattivante. Lo trovò terribilmente attraente e per la prima volta si sentì turbata dalla sua presenza. Pensò che quel ragazzo sconosciuto, stava rischiando la vita per accompagnarla in quel viaggio e sentì nascere dentro di lei un sentimento di gratitudine. Towalce la guardò e le fece un cenno di saluto, Hevonie si sentì arrossire, abbozzò un mezzo sorriso e cominciò a raccogliere le sue cose.
Poco dopo Towalce le si avvicinò e disse.
“Da adesso in poi dobbiamo stare ancora più attenti.”
“Per via delle Riaghe?”
“Non solo, ci possono essere anche delle creature alleate della Legione Oscura di Darkebetz.”
“Magnifico.” Sbuffò Hevonie. “Adesso si che sono tranquilla.”
“Non dimenticare che ci sono qui io a difenderti, principessa,” sussurrò Towalce.
Hevonie non riuscì a capire se la stesse prendendo in giro o meno.
“Da chi è composta esattamente la Legione Oscura?” Chiese infine.
“E' formata dalla peggiore specie d’individui,” rispose Towalce con disprezzo. “Gente senza altro principio che il denaro e il proprio tornaconto personale. Non guardano in faccia nessuno e non esitano ad uccidere chiunque sia considerato un ostacolo ai loro scopi. E purtroppo alcuni degli esseri che popolano il Reame Perduto sono fatti della stessa pasta.”
“E allora che cosa facciamo?” Hevonie lo guardava sconsolata.
“Purtroppo dovremo entrare ancor di più nella foresta, per essere meno visibili,” proseguì Towalce. ”Di solito la maggior parte delle creature evitano le zone più inospitali.
“A quanto pare non abbiamo molta scelta,” convenne Hevonie a malincuore.
“Direi di no.” Towalce la guardò per un lungo istante, poi disse. “Forza, andiamo.”
Hevonie lo seguì e si chiese se prima o poi ce l'avrebbero fatta a raggiungere Kosworth.
Dopo molte ore di cammino, si accamparono in una zona piana e distesero i loro mantelli su un pezzo di terreno asciutto.
Per precauzione, decisero di non accendere il fuoco, il loro pasto consisteva in alcune fette di pane ormai stantio, strisce di carne secca, mandorle e noci.
Quando il sole stava ormai tramontando, Towalce si alzò e fece un giro di ricognizione, per assicurarsi che la zona fosse libera. Per sicurezza fissò dei rami frondosi, intorno al loro giaciglio, creando una specie di barriera.
“Almeno ci avviserà se qualcuno si avvicina. E’ già qualcosa.”
Per un attimo i loro occhi s'incontrarono, ma Hevonie distolse subito lo sguardo e disse.
“Speriamo di non ricevere delle visite indesiderate.”
“E' quello che mi auguro, però ora sarà meglio dormire.”
Towalce si sdraiò sul suo mantello e ci si arrotolò dentro, diede le spalle a Hevonie che fece altrettanto. Ma si accorse di non avere sonno, quindi rimase sdraiata con una mano dietro la testa a guardare il cielo stellato.
“Quante stelle!” Esclamò Hevonie parlando tra sé.
“Sì, peccato che le vediamo da questo posto pieno di insidie,” rispose Towalce.
“Se potessi riavere l'uso della magia, potrei attaccare e difendermi da qualsiasi nemico.”
“Invece, dobbiamo cercare di non farci notare. Oltretutto se adoperassi la magia segnaleresti la nostra posizione a chiunque ci stia cercando e si fionderebbero su di noi in un baleno,” disse Towalce girandosi su un fianco. “Adesso dormiamo.”
Hevonie ascoltò i suoni della notte, il vento tra gli alberi e i versi degli animali notturni. L’ululato di un lupo la fece rabbrividire e cominciò ad avvertire il freddo. Guardò Towalce avvolto nel suo mantello, avrebbe tanto desiderato sdraiarsi accanto a lui e sentire il tepore del suo corpo contro il proprio, ma non avrebbe mai osato chiederglielo.
Si sentì improvvisamente sola. Le mancava la sua stanza, il suo letto, Zoelle con tutte le sue attenzioni. E soprattutto suo padre, nonostante il loro rapporto ultimamente fosse un po' distaccato. Rassegnata, chiuse gli occhi e si addormentò.
Il mattino seguente Hevonie si svegliò tutta acciaccata.
I muscoli delle gambe erano indolenziti per l’eccessivo cammino del giorno prima e tutto il corpo le ricordava che aveva dormito sul terreno duro e umido. Towalce era già in piedi e stava finendo di allacciarsi la giubba.
Al contrario di lei, sembrava fresco e ben riposato. Alla luce del giorno, le sembrò ancora più attraente. Lui la guardò ed accennò un sorriso e Hevonie improvvisamente pensò a quanto il suo aspetto dovesse apparire orribile. Una volta alzata, si diresse verso una pozza d’acqua e si sciacquò il viso, sperando che servisse almeno a svegliarla del tutto. Se avesse potuto usare la pietra, non si sarebbe certo trovata in quella situazione. Lanciò uno sguardo pieno di risentimento al bracciale. Raggiunse Towalce, che era inginocchiato vicino alla borsa, quando la vide le porse un pezzo di pane e delle noci.
“Mangia questo, anche oggi sarà una giornata faticosa.”
Hevonie prese il cibo, non aveva fame e si sentiva stanca ancora prima di iniziare. L’idea di riprendere quel cammino estenuante, la demoralizzò. Si lasciò cadere a terra e incrociò le gambe mangiando di malavoglia.
Towalce notò la sua espressione afflitta e le disse. “Coraggio, so che è dura, ma vedrai che una volta arrivati, ti potrai riposare quanto vorrai,” le rivolse un sorriso così disarmante che Hevonie non poté fare a meno di sorridere anche lei.
Finito di mangiare, Towalce raccolse le ultime cose, cancellò le loro tracce e si caricò la borsa sulle spalle.
“Ho dimenticato che avevo questi,” disse mostrando il palmo della mano, sul quale erano appoggiati dei grossi fiammiferi.
“Servono per accendere il fuoco?” Chiese Hevonie.
“Anche, ma in realtà sono dei dissimulatori,” rispose Towalce, richiudendo la mano. ”Me li ha dati Delmus. Quando vuoi nasconderti e non farti scoprire, ne accendi uno e poi disegni un cerchio nell'aria. In questo modo si crea una cupola energetica che per un paio d'ore rende invisibile qualunque cosa si trovi al suo interno. Anzi è meglio che ne prendi un paio anche tu, nel caso dovessimo perderci.”
“Meglio tardi che mai!” Esclamò Hevonie ironica.
Towalce le lanciò un'occhiataccia mentre le porgeva i fiammiferi, Hevonie li prese e se li mise in tasca. Subito dopo Towalce le fece segno di muoversi.
”Ho capito, prepariamoci a quest'altra camminata,” sbuffò Hevonie.
Si alzò e nonostante i muscoli affaticati riuscì a tenere il passo di Towalce, il cui fisico allenato sembrava non risentire del continuo sforzo. Dopo due ore di cammino, Hevonie sentì il bisogno di riposarsi. Sebbene Towalce non amasse perdere tempo, fecero una breve pausa e proseguirono il loro viaggio.
La foresta era sempre più compatta e buia, la poca luce che filtrava, creava un continuo crepuscolo. Avanzavano silenziosi, attenti al minimo rumore, anche se fino a quel momento non avevano incontrato nessuno.
“Ferma, sento odore di bruciato,” disse Towalce bloccandosi.
Hevonie annusò l’aria e annuì.
“Andiamo avanti, ma con cautela,” mormorò Towalce.
S'inoltrarono dove l’odore era più forte e trovarono alcuni falò ormai spenti, dai quali salivano dei fili di fumo.
Si avvicinarono piano, tutto intorno videro dei resti di cibo e altri oggetti sparsi, ma non c’era anima viva.
Dopo avere esaminato il luogo, Towalce domandò.
“Non noti qualcosa di strano?”
Hevonie guardò attentamente i vari oggetti disseminati in giro ed improvvisamente si accorse che avevano delle dimensioni enormi. Rivolse uno sguardo interrogativo a Towalce che disse.
“Giganti. Queste cose appartengono a loro. Hai visto quanto sono grosse quelle clave e quegli attrezzi?” Towalce si chinò e raccolse un oggetto da terra. “Guarda qui.”
“Che cos’è?” Hevonie si avvicinò per vedere meglio.
“È un bottone, ha impresso sopra un simbolo.”
“Ma i Giganti sono buoni o cattivi?” Chiese Hevonie.
Towalce alzò le spalle e rispose.
“Dipende. Se non li si infastidisce non sono una specie violenta.”
“Allora sarà meglio andarsene, non vorrei che pensassero che stiamo violando il loro territorio.”
Hevonie guardò per terra e fu attirata da una biglia luccicante che giaceva a terra accanto a lei, si chinò per raccoglierla, ma lanciò un urlo.
“Cosa c’è?” Towalce accorse al suo fianco.
Hevonie fissava l’oggetto terrorizzata.
Towalce seguì il suo sguardo e vide un bulbo oculare che li fissava.
“Che diamine!” Towalce strinse con forza il braccio di Hevonie, poi le disse. “Aspetta qui.”
Continuò ad esaminare il terreno attorno e trovò altri resti umani, braccia e gambe giacevano a terra sparpagliati. Quando tornò, disse.
“Sono stati i Giganti, li hanno uccisi e in parte mangiati.”
“Non pensavo che i Giganti fossero dei cannibali,” disse Hevonie disgustata e nello stesso tempo spaventata.
“Sono fatti così, è la loro natura, mangiano quello che capita, uomini o animali, per loro non c'è alcuna differenza.”
“Pensi che siano ancora qui intorno?” Gli domandò.
“Può darsi, se questo è il loro accampamento, non penso siano andati molto lontano.”
“Allora sbrighiamoci, non voglio aspettare che ritornino,” esclamò Hevonie. ”E sarà meglio farlo velocemente.”
Towalce, però sembrava esitare.
”C’è qualcosa che non va?” Gli chiese non capendo perché non si muoveva.
“Stavo pensando che se scoprissimo a chi apparteneva il bottone, sapremmo chi erano quelle persone. Potrebbe essere importante.”
“Fammi dare un'occhiata,” gli disse.
Towalce le porse il bottone e Hevonie spalancò gli occhi.
“Questo è il simbolo della Legione Oscura, l'ho già visto.”
Towalce lo guardò meglio e si portò una mano sul mento.
“Hai ragione, adesso lo riconosco anch'io,” disse sorpreso. “Questo significa che ci stanno cercando, ma a quanto pare sono stati sfortunati.”
“Già, hanno incontrato quegli energumeni. Adesso però allontaniamoci da qui,” lo spronò Hevonie impaziente.
“Hai ragione, muoviamoci. Non ci tengo a diventare il prossimo pasto di quei cannibali.”
Si inoltrarono nella foresta e per la prima volta Hevonie non sentì la fatica, anzi teneva il passo di Towalce senza sforzo.
Camminarono svelti, quasi a volere mettere più distanza possibile tra loro e quei mangiatori di uomini.
Delmus stava rientrando nel suo studio, quando trovò Ariag ad attenderlo davanti alla porta. I due si fecero un cenno di saluto, poi Delmus invitò il mago a entrare insieme a lui.
“Sei preoccupato?” Ariag chiese notando la sua espressione adombrata.
“Abbastanza.” Delmus si tolse il mantello e sospirando si lasciò cadere sulla sedia.
Le ampie finestre lasciavano intravedere una pioggerellina, che ricopriva tutto il paesaggio esterno di un leggero velo grigio. Ariag prese da uno scaffale una bottiglia di liquore alle erbe e riempì due bicchieri di vetro.
Delmus ne prese uno e ne bevve un lungo sorso, il liquido gli bruciò la gola scaldandolo immediatamente.
“Pensavo che attraversare il Reame Perduto fosse la scelta migliore ma ora non ne sono più così sicuro.” Delmus svuotò il bicchiere e lo appoggiò sul tavolo.
Ariag invece si limitò a fissare il liquido ambrato davanti a sé. “Posso chiederti una cosa?” Domandò infine.
“Certo, dimmi pure.”
“Perché li hai lasciati partire da soli, sapendo i rischi che correvano?”
“Perché in due sono meno visibili, possono nascondersi più facilmente, cosa non facile quando si tratta di un gruppo più numeroso.” Delmus fece una pausa poi proseguì.
“Ma il motivo principale è che non so più di chi fidarmi. Ho paura che la corruzione abbia intaccato il nostro sistema alle radici. Il nostro regno sta correndo il più grave pericolo dai tempi della Grande Battaglia.”
“Ma queste precauzioni non sono sufficienti a garantire la loro sicurezza,” fece notare Ariag.
“Ne sono consapevole, ma non c'era alternativa. Comunque la principessa è scortata da Towalce, che oltre ad avere la mia più completa fiducia, conosce il Reame molto bene. E' un cavaliere forte e intelligente, malgrado la sua giovane età,” disse Delmus allontanando da sé il bicchiere vuoto. ”Hevonie deve tornare a Kosworth e rientrare in possesso della pietra, purtroppo è un rischio che andava affrontato.”
“Ormai il Reame Perduto è diventato il ricettacolo di creature pericolose. Per arrivarci dovranno inoltrarsi nei suoi meandri più profondi.”
“Le truppe demoniache di Darkebetz sono in agguato ovunque. Se Hevonie e Towalce avessero percorso i tragitti principali, sarebbero stati delle facili prede.”
Ariag annuì e disse. ”Ciò non toglie che nonostante sia stata la decisione migliore, non sia stata una buona soluzione.”
“Eri presente anche tu alla riunione e non mi sembra che il tuo aiuto sia stato determinante per risolvere la questione.” Sbottò Delmus contrariato. Ariag si irrigidì.
”Scusami, hai ragione circa i pericoli che nasconde il Reame.” ammise Delmus. “So anche che sarà mia la responsabilità se dovesse succedere loro qualcosa di brutto. Ti assicuro che se avessi avuto un’alternativa, l’avrei usata.”
”Sono io che devo scusarmi, so che hai agito per il meglio,” disse Ariag.
“Ho fatto quello che ho ritenuto giusto, ma non vuol dire che sarà privo di conseguenze.”
Delmus si alzò e si diresse verso la finestra, dove si fermò a fissare la pioggia che si stava facendo sempre più fitta e scrosciante.
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La notte era diventata davvero fredda e umida, quindi Towalce si apprestò ad accendere un fuoco. Hevonie lo aiutò a raccogliere dei rami, che però erano bagnati. Una volta che ebbero finito, guardarono sconsolati l'ammasso di legna inservibile. Towalce prese un fiammifero e lo accese, disegnò un grande cerchio sopra di loro e apparve una specie di enorme bolla trasparente che li avvolse al suo interno.
“Qui sotto non saremo percepiti da eventuali malintenzionati, possiamo anche usare la magia in piccole dosi senza venire scoperti.”
“Bene, vediamo se questa pietra nasconde qualche incantesimo utile.” Hevonie puntò la pietra del fuoco al centro della legna e da essa si sprigionò una lama di luce che incendiò i rami, accendendo un bel falò.
Hevonie si mise seduta vicino al fuoco e tese le mani gelate, un piacevole tepore si diffuse nelle sue dita intorpidite, riscaldandole.
“Ben fatto,” disse Towalce.
“Grazie,” rispose Hevonie soddisfatta. Poi continuando a sfregarsi le mani chiese. “Tu sei un cavaliere, vero?”
“Sì, al servizio del Concilio,” rispose Towalce.
“Hai mai ucciso qualcuno?”
“Solo quando non ho potuto evitarlo.”
Rimasero in silenzio mentre Towalce mise della carne secca sul fuoco ad abbrustolire. Dopo alcuni minuti diventò di uno strano colore. Alcune gocce di grasso caddero nel fuoco, sfrigolarono ed emanarono un odore ripugnante. Towalce ne passò un pezzo a Hevonie che la prese con due dita della mano e la guardò, indecisa se mangiarla o no.
Towalce addentò la sua e la masticò con gusto.
“Non ho molto appetito,” disse infine Hevonie, che in realtà moriva di fame. Ma l’idea di mangiare quella carne untuosa e bruciacchiata, le faceva rivoltare lo stomaco.
“Va bene. Ti dispiace se la mangio io?”
“No, fai pure.” Hevonie gli porse la carne e si rassegnò a cenare con qualche noce.
“Chi è esattamente Delmus?” Chiese Hevonie, mentre Towalce stava assaporando il suo secondo pezzo di carne.
“E’ il capo dei maghi del Concilio, ogni anno viene rieletto, nessuno è migliore di lui.”
“E' così bravo?”
“Coordina tutti gli altri maghi, sovrintende le riunioni e cerca di mantenere il giusto equilibrio tra le parti. Un compito molto difficile, i maghi possono essere alquanto testardi.”
Towalce si leccò le dita e sembrò molto soddisfatto del suo pasto.
“Il Concilio cerca sempre nuove soluzioni per proteggere il regno dagli attacchi della Legione Oscura. In passato ci sono state sanguinose battaglie tra la Legione e i maghi.”
“Che cosa vuole veramente Malwen, perché ha liberato i demoni?” Domandò Hevonie.
“Vuole il potere. Vuole dominare tutte le terre ed imporre la Magia Proibita, la cosiddetta magia della morte.” rispose Towalce. “Per questo sta cercando di riportare in vita Darkebetz, lei è in grado di attuare i suoi piani e di sconvolgere tutto quanto.”
“Se Malwen è così pericoloso, perché Delmus ci ha mandato qui da soli?”
“Secondo lui era la scelta migliore,” rispose Towalce. “Delmus e i suoi assistenti stanno creando false piste per confondere le nostre tracce. Per questo possiamo attraversare il Reame con una certa tranquillità, c’è chi vigila su di noi, anche se non possiamo percepirlo direttamente.”
“Non sarebbe a capo del Concilio, se non fosse una persona speciale,” convenne Hevonie.
Poi meditò sulle cose che le aveva raccontato Towalce e pensò a quanto lei fosse all'oscuro di tante faccende che riguardavano il regno. Il fatto stesso che non avesse mai incontrato Delmus finora, la diceva lunga sul suo disinteresse per questo genere di questioni.
Era possibile che non si fosse mai accorta di niente?
“Non vedo l'ora di contribuire anch'io con la Pura Magia alla lotta contro Malwen,” disse infine.
“Te lo auguro, anche se non è facile raggiungere alti livelli di magia. Solo un numero esiguo di maghi riesce ad esplorare l’enorme potenziale delle pietre magiche. E se hanno anche talento diventano dei numeri uno, come Delmus e pochi altri.”
Towalce mise in bocca un sottile bastoncino di legno e lo mordicchiò.
“Mentre molti si accontentano di raggiungere un livello medio, i grandi maghi passano la loro intera vita a studiare la difficile arte della magia, il talento da solo non basta.”
Hevonie osservò gli effetti di luce che le fiamme creavano sul volto di Towalce e disse.
“Io possiedo la Pura Magia, ma non ho mai capito veramente che cosa significhi.”
“Parti avvantaggiata, ma se non ti impegni rimani una come gli altri, anzi potresti essere superata da chi ha meno talento del tuo ma ha più conoscenza e pratica e quindi maggiore capacità di raggiungere risultati migliori.”
“E cosa dovrei fare per sviluppare questo mio talento?” Chiese Hevonie.
“Devi trovare un mago che ti prenda come apprendista. Quindi devi studiare molto ed applicarti ancora di più. I maghi più potenti sono anche quelli più richiesti ovviamente, ma se riesci a farti accettare da uno di loro, stai certa che arriverai ai massimi livelli.”
“Anche Delmus ha degli allievi?”
“Certo e devono ritenersi molto fortunati ad avere questo privilegio.”
“Anche tu hai avuto un maestro?”
“Ho avuto l'onore di avere Sidler, un grande comandante,
che mi ha insegnato tante cose, ma il mio apprendistato non è ancora finito,” spiegò Towalce. ”Delmus, affidandomi il compito di scortarti mi ha dimostrato la sua fiducia. E stai tranquilla, che non lo deluderò.”
“Questo è confortante,” sorrise Hevonie.
“Mi meraviglio che tu conosca così poco la magia,” disse infine Towalce.
“E' vero. Io ho cominciato a usare la magia da quando ho ricevuto la pietra di Koltrane,” ammise Hevonie. ”A scuola mi hanno sempre insegnato che la magia controlla gli elementi della terra e del cielo. Se conosci gli incantesimi e i gesti corretti da eseguire, allora la magia sarà sotto la tua volontà e potrai controllarla.”
“E a cosa ti serve la pietra?”
“E' un catalizzatore. Contiene centinaia d'incantesimi, per arrivare a sbloccarli tutti e riuscire ad usarli, ci vogliono anni. Io finora penso di averne adoperati solo una decina.”
“Visto che hai trovato quella pietra del fuoco, perché non provi ad usarla? Potresti esercitarti un po'.”
“Ho paura di combinare dei guai,” disse Hevonie.
“Provaci,” insistette Towalce. “Approfitta del fatto che siamo sotto lo scudo protettivo.”
“Che cosa posso fare?”
Towalce si guardò intorno e disse.
“Vedi quel piccolo abete laggiù? Dato che è incluso nella sfera, prova a fare cadere qualche foglia, scuotilo, insomma inventati qualcosa,” la incitò Towalce.
Hevonie si concentrò sulla pietra infilata nel bracciale e cercò di captare gli incantesimi racchiusi in essa. Ne fermò uno con la mente e lo scagliò contro l'abete. L'albero cominciò a scricchiolare e a muoversi. Le radici si staccarono dal suolo e come se fossero dei serpenti striscianti, fecero avanzare l'albero verso Hevonie che guardò esterrefatta la scena.
“Presto, fermalo!” Gridò Towalce.
Hevonie cercò tra gli incantesimi contenuti nella pietra qualcosa che annullasse quello che aveva appena compiuto. Quando lo riconobbe, lo afferrò al volo e lo lanciò verso l'albero che si bloccò, per poi indietreggiare fino a rinfilare le radici nel terreno.
“In qualche modo funziona,” disse Towalce.
“È stato più che altro questione di fortuna,” commentò Hevonie delusa.
“Perché?”
“E se non fossi stata in grado di fermare quell'albero?”
“Non lo so, immagino avremmo dovuto scappare,” rispose Towalce incerto.
“Esatto, non lo sai, “ lo interruppe Hevonie. “Hai ragione tu, quando usi la magia devi anche conoscere le conseguenze e rimediare ad eventuali danni. Devi sempre avere il controllo totale della situazione.”
“Comunque, sei riuscita ad usare quella pietra,” le fece notare.
“L'ho fatto per caso, senza sapere a cosa andavo incontro. Infatti ho creato una situazione pericolosa,” Hevonie concluse dicendo. “Non si può scherzare con la magia.”
Towalce la guardò sbadigliando.
“Improvvisamente ti trovo molto noiosa,” le disse. ”Ti preferivo prima.”
“Davvero?” Esclamò Hevonie con aria di sfida. ”Adesso ti faccio divertire.”
“Che cosa vuoi fare?” Chiese preoccupato.
Hevonie lo ignorò e puntò il bracciale contro il fuoco che ardeva debolmente e disse.
“Voglio un fuoco più forte!”
Un lampo di luce colpì il falò che guizzò velocemente, per poi spegnersi del tutto. lasciandoli immersi nel buio.
“Adesso basta scherzare!” Towalce la raggiunse e gli bloccò il polso.
“Ehi!” Protestò Hevonie. ”Ma sei impazzito?”
“Forse si, dopo quello a cui ho assistito. Pensi di essere divertente?”
Hevonie sapeva di avere sbagliato, ma non lo avrebbe mai ammesso.
Si liberò dalla stretta e cercò in fretta un incantesimo per riaccendere il fuoco e lo usò immediatamente.
Il calore rasserenò gli animi e Hevonie sentì svanire i sentimenti negativi dentro di sé.
Passarono alcuni minuti senza parlare, poi per cercare di riappacificarsi con Towalce, gli chiese.
“Ci sono anche dei maghi, nella Legione Oscura?”
“Certamente,” rispose Towalce. “Sono maghi ai quali non importa niente delle conseguenze delle loro azioni. Per raggiungere i loro obiettivi non esitano ad usare la Magia Proibita. Non seguono le regole e solitamente sono individui che in passato si sono resi colpevoli di gravi crimini. La Legione Oscura è ufficialmente bandita, ma tutti sanno che in realtà esiste ancora, seppur segretamente.”
“E non c’è modo di scoprirli?”
“Ogni tanto qualche membro viene catturato, ma sembra incredibile quanti adepti riescano sempre a reclutare,” Towalce scosse la testa. “Li ingannano con la falsa promessa di poter ottenere ricchezza e potere. Purtroppo molti ci cascano, sperando di acquisire un enorme potenziale magico, non rendendosi conto di intraprendere una strada senza ritorno.”
“Perché il Concilio non si organizza per debellarli una volta per tutte?”
“Non è così facile. Ci sono dei contrasti anche all'interno del Concilio stesso. Alcuni di loro non vogliono saperne e preferiscono starne fuori per paura di rappresaglie. Se non c’è una maggioranza assoluta non si può fare niente.”
“Mi chiedo, dove sono vissuta fino adesso,” mormorò Hevonie. ”Non ho mai saputo niente di queste cose.”
“Si può sempre cambiare,” affermò Towalce. “In questo momento lo stai dimostrando.”
“Ti ringrazio, ma una cosa è certa, sono decisa a combattere Malwen e la sua Legione Oscura,” esclamò Hevonie decisa. ”E soprattutto Darkebetz.”
“Brava questo è ammirevole principessa,” disse Towalce sbadigliando. ”Ma ora dormiamo, domani ci aspetta un’altra giornata faticosa e il mattino arriva presto.”
Dopo avere marciato per un paio d'ore, Hevonie notò che il paesaggio era cambiato. Gli alberi erano meno fitti e il loro fogliame lasciava filtrare una maggiore quantità di luce.
Non ne poteva più di quell’ambiente opprimente. Si accorse che anche Towalce era sempre più nervoso e guardingo, inoltre si fermava spesso ad ascoltare anche i suoni più impercettibili.
Se per sbaglio Hevonie calpestava un ramo provocando un rumore improvviso, Towalce la gelava con lo sguardo.
Alla fine giunsero a quello che sembrava essere un sentiero ben tracciato, doveva essere ancora usato con regolarità, perché il terreno era battuto. Towalce si fermò e disse sottovoce.
“Dobbiamo seguire quel sentiero, ma non possiamo percorrerlo liberamente, saremmo troppo esposti. Lo costeggeremo, restando nascosti tra gli alberi.”
Hevonie annuì e lo seguì, pur intuendo che questo significava un ulteriore rallentamento. Camminarono tenendo il sentiero sulla loro sinistra, in questo modo riuscivano a scorgerlo attraverso il fogliame, ma a distanza di sicurezza.
Hevonie inciampò in un ramo e cadde addosso a Towalce, che la prese al volo.
“Shhh!” Sussurrò. ”Non dobbiamo fare rumore, questo è uno dei posti più pericolosi della foresta. E' un crocevia importante frequentato dagli abitanti di questo luogo e gli stessi uomini della Legione Oscura potrebbero tenerlo sotto controllo.”
“Mi dispiace,” si scusò Hevonie. “Starò più attenta.”
Continuarono a muoversi in assoluto silenzio, fino a quando Towalce si bloccò e afferrò Hevonie per un braccio trascinandola dietro a dei cespugli.
“Sento delle voci sul sentiero, davanti a noi,” sussurrò Towalce.
Pochi istanti dopo apparvero tre uomini a cavallo, indossavano lunghi mantelli neri che lasciavano intravedere la spada che ognuno di loro portava appesa alla cintura.
“Tu pensi che siano da queste parti?” Chiese l'uomo in testa al gruppo.
“I miei sensori dicono di sì, hanno registrato un'attività magica nei dintorni,” rispose quello che sembrava essere il capo.
“Sarebbe ora, sono stufo di stare in questa foresta,” sbottò il terzo uomo.
“Vedrai che li troveremo presto.”
La conversazione si dissolse quando passarono oltre il punto da dove Hevonie e Towalce li stavano spiando.
”Accidenti, ci stanno già addosso. Come avranno fatto a trovarci così in fretta?” Imprecò Towalce.
Hevonie sentiva il cuore batterle forte, erano stati ad un passo dall'essere scoperti.
“Sono gli uomini della Legione Oscura?” Domandò sottovoce.
“Purtroppo si. Attendiamo ancora qualche minuto,“ disse Towalce. “Non vorrei che fossero solo l’avanguardia di un gruppo più numeroso.”
Lasciarono trascorrere un po' di tempo e non avvertendo nessun rumore sospetto, s’incamminarono nuovamente. Questa volta con maggiore cautela sapendo che i loro inseguitori erano così vicini.
“Ma c’è da fidarsi a proseguire per questa strada?” Chiese Hevonie.
“Non c’è altra scelta, è l'unica via per raggiungere la nostra meta.”
Hevonie notò che Towalce teneva costantemente la spada ben salda in mano, pronto ad usarla.
E anche lei si accorse di tenere istintivamente la mano appoggiata sul pugnale che teneva infilato nella cintura. Se prima la foresta le era sembrata opprimente, adesso le appariva come un labirinto. Bastava un minimo rumore per farla sobbalzare. Ogni albero o cespuglio era diventato un potenziale nascondiglio per eventuali nemici.
Il verso improvviso di un animale aveva il potere di farle saltare i nervi. Dopo molto camminare Towalce si fermò e puntò il braccio davanti a sé. Tra gli alberi c'era il trio di uomini che avevano incontrato prima. Erano fermi proprio in mezzo al sentiero e il loro vociare era alto e sonoro.
“Suppongo che dovremo cambiare strada a questo punto,” mormorò Hevonie.
Towalce osservò la scena in silenzio per alcuni istanti, poi disse deciso.
“È una trappola. Quegli uomini sono troppo esposti e fanno troppo rumore. Vogliono costringerci a prendere una strada alternativa, dove sicuramente ci saranno altri come loro ad aspettarci.”
“Allora cosa facciamo?”
Towalce si guardò intorno in cerca di un'altra via.
“Continuiamo dritto, molto lentamente e cerchiamo di stare al limite del sentiero,” disse infine. ”Si aspettano che avendoli sentiti ci allontaneremo verso l’interno, dove i loro complici saranno pronti a tenderci un'imboscata.”
Con cautela cominciarono ad avanzare, tenendo sempre d’occhio gli uomini che sembravano intenti a scambiare chiacchiere senza importanza, inframezzate da fragorose risate. Gli passarono accanto e solo una fila di alberi li separava da loro. Trattennero il fiato e camminarono sulle punte, stando bene attenti a non fare rumore.
Hevonie cercava di poggiare i piedi nelle impronte lasciate da Towalce, per evitare di smuovere i ramoscelli sparsi sul terreno. Li superarono ed avanzarono più velocemente per lasciarseli alle spalle il prima possibile. Quando furono sicuri di essersi allontanati abbastanza, videro un altro uomo della Legione Oscura in piedi davanti a loro. Aveva lo sguardo rivolto verso il basso e stava tracciando dei segni nel terreno con la punta della sua spada. Questa volta fu Hevonie a tirare Towalce per un braccio dietro ad un grosso albero, per nascondersi.
L’uomo non li aveva visti e continuava ad armeggiare con la spada. Towalce si sporse dal tronco dell'albero e fece cenno a Hevonie di stare ferma, poi impugnò la spada e tenendola dritta davanti a sé, si lanciò contro l’uomo.
Gli affondò la lama nella gola e quando la sfilò il legionario cadde a terra senza emettere un gemito. Hevonie si sporse titubante dall'albero e guardò ammutolita il cadavere.
“Presto, aiutami a nasconderlo,” disse Towalce. “Raccogli dei rami mentre io lo trascino in mezzo a quegli arbusti. Una volta sistemato, lo copriremo con delle foglie.”
Quando ebbero finito Towalce disse. “Adesso, dobbiamo scappare.”
Cominciarono a percorrere a grandi falcate la strada davanti a loro, incuranti di tutto il resto. Corsero a lungo senza sosta e si fermarono solo quando incontrarono un ruscello. Ne approfittarono per bere e riposarsi un po’. Attesero diversi minuti e per il momento sembrava che nessuno li avesse seguiti.
“Sicuramente a quest'ora avranno scoperto il cadavere del loro compare,” disse Towalce. “Dobbiamo servirci del vantaggio per distanziarli ulteriormente.”
“Adesso come usciremo da qui?” Chiese Hevonie esausta.
“Purtroppo dovremo inoltrarci ancora di più nella foresta,” disse Towalce. “Allungheremo un po’ la strada, ma saremo più al sicuro.”
“Vuoi dire che dobbiamo andare la dentro?” Domandò Hevonie, indicando un groviglio di alberi e vegetazione per niente invitante. Towalce annuì e le fece segno di alzarsi, cosa che Hevonie fece controvoglia. Appena entrarono in quella nuova aerea del Reame il freddo si fece più intenso, in parte per via della forte umidità e in parte per l’approssimarsi della sera. Hevonie vide che tra la moltitudine di alberi, c’erano delle aree perfettamente ripulite dalla vegetazione. In mezzo vi erano delle grosse pietre che formavano delle strane composizioni.
“Che cosa sono quelli?” Chiese perplessa.
“Sono simboli cerimoniali degli elfi. Questa potrebbe essere la loro zona. Dobbiamo stare attenti a non toccare niente, sono molto suscettibili e permalosi.”
“Ci avrei scommesso,” sbuffò Hevonie. ”Ma in questa foresta c'è qualcuno che non ti aggredisca appena ti vede?”
“Non lo so, per quanto riguarda gli elfi non sono aggressivi, ma non tollerano intrusioni,” spiegò Towalce. ”Nessuno conosce veramente le loro abitudini, perché chi ha osato importunarli, non è mai sopravvissuto.”
“E tu mi porti in un territorio popolato da esseri simili?” Protestò Hevonie. ”Forse era meglio affrontare la Legione Oscura!”
“Le cose che si dicono sugli elfi sono leggende, mentre quello che si dice sulla Legione purtroppo è vero,” replicò Towalce.” Anzi, sinceramente non mi dispiacerebbe incontrare un elfo, magari potrei essere il primo a vivere abbastanza a lungo per poterlo raccontare.”
Hevonie scosse la testa e si guardò in giro a disagio.
Lungo il cammino non incontrarono altri altari e la foresta sembrò riprendere il dominio su tutto.
“Sembra che finalmente, siamo usciti dal territorio degli elfi,” osservò Hevonie sollevata.
“Già, probabilmente quello è un luogo che usano per i loro rituali, ma la loro dimora potrebbe essere altrove,” disse Towalce.
Hevonie notò una nota di delusione nella sua voce e non riusciva proprio a comprenderlo. L’ultima cosa che voleva era entrare in contatto con una popolazione così avversa.
La sera stava calando rapidamente.
“Dobbiamo accamparci, prima che sia troppo buio.” Towalce cercò in giro un posto adatto, dove sistemarsi.
“Ottima idea,” assentì Hevonie, che come al solito non vedeva l’ora di fermarsi a riposare.
Stavano ancora esaminando il luogo, quando poco più in là, notarono delle mura in rovina, sembravano dei resti di un’antica costruzione.
“E questo cos’è?” Chiese Hevonie, mentre si avvicinavano.
“Nei tempi antichi, una parte del Reame era abitata dal popolo delle Terseidi,” rispose Towalce. “Si narra di un magnifico palazzo rinomato per le feste favolose che vi si davano. Questo deve essere tutto ciò che ne è rimasto.”
“Chi erano le Terseidi?”
“Erano delle streghe che si presentavano sotto l'aspetto di bellissime fanciulle. Il loro scopo era di attirare i viandanti e renderli schiavi, marchiandoli con il loro sangue. Poi quando diventavano vecchi, quindi inutili, li sacrificavano alle loro divinità, i protettori della foresta.”
“Ma esistono ancora?” Domandò Hevonie preoccupata.
“Che io sappia no, si dice che siano scomparse. Nessuno ne ha più vista una da molti anni ormai.”
“Meno male.”
“Queste mura sono molto robuste, le sfrutteremo per ripararci stanotte,” disse Towalce mentre tastava le pietre con le mani.
Accesero un fuoco e mangiarono in silenzio un pezzo di pane con della frutta secca.
“Quando usciremo da qui?” Chiese Hevonie in preda allo sconforto. ”Non ne posso più.”
“Lo dici a me? Io a quest'ora potrei fare cose più importanti che fare la scorta a una principessa, che grazie alla sua totale mancanza di senno, si è giocata l'uso della magia,” rispose Towalce bruscamente.
“Come ti permetti di parlarmi in questo modo?” Hevonie scattò in piedi, stizzita.
“Forse perché sono stanco di sentire i tuoi lamenti!” Esclamò Towalce. “Sappi che è per causa tua se sto rischiando la mia vita. Ricordati che se siamo in questo pasticcio è colpa tua. Se tu non ti fossi comportata in modo tanto irresponsabile, a quest'ora indosseresti la pietra e non dovremmo attraversare questa dannato Reame per andare a recuperarla!”
Hevonie lo guardò paonazza.
“Oh, signore grande cavaliere, mi scusi tanto se le ho creato tutti questi problemi,” gridò furiosa. “Forse sarebbe il caso che ti lasciassi solo, in compagnia dei tuoi cari amici elfi.”
“Sarà sempre meglio della tua compagnia,” fu l'asciutto commento di Towalce.
“Questo è troppo!” Hevonie si chinò e raccolse la sua borsa.
“Che cosa pensi di fare?”
“Me ne vado. Tolgo il disturbo,” annunciò decisa.” Addio!”
“Non essere sciocca più di quello che sei. Non dureresti una sola ora, là fuori.”
“Forse no, ma preferisco correre il rischio, che sopportarti un minuto di più!“ Hevonie si allontanò. ”Sono stufa marcia della tua supponenza!”
“E dove passerai la notte?”
“Non lo so e non m’importa.“ Hevonie proseguì senza voltarsi. ”Mi arrangerò.”
“Non fare così. Aspetta!”
Ma ormai Hevonie era sparita.
“Fa quello che vuoi allora,” Towalce le urlò dietro. “Non me ne importa niente!”
Si mise seduto vicino al fuoco e smosse la legna con un bastone.
Tanto tornerà indietro, si disse, quando si renderà conto di non sapere dove andare, tornerà da me.
Sotto la scarsa luce della luna, Hevonie camminava adiacente alle alte mura che costituivano le rovine dell’antico palazzo. In alcuni punti s’intravedevano ancora nel terreno le pietre che suddividevano le stanze, doveva essere stato un edificio di notevoli dimensioni. Era molto agitata per via della discussione avuta con Towalce.
“Razza di idiota,” disse ad alta voce. “Arrogante e presuntuoso! Non ha fatto altro che insultarmi e farmi sentire una stupida per tutto il viaggio. Non ho bisogno di lui! Non ho bisogno di nessuno io tornerò a casa anche senza il suo aiuto.”
Cercò di calmarsi e dopo un po’ si fermò, dove le mura formavano una piccola stanza, valutò che fosse un buon riparo dove trascorrere la notte.
Avrebbe voluto allontanarsi ancora di più, ma il buio e alcuni strani rumori le consigliarono di stare comunque in zona, non lontano da Towalce. In realtà non voleva andarsene, ma solo impressionarlo.
Però si era spinta troppo oltre e non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di vederla tornare indietro. Almeno fino all'indomani mattina. Si mise seduta, avvolta nel mantello e rimase in quella posizione per diversi minuti, stanca e infreddolita. All’improvviso sentì una musica giungere da poco lontano, Hevonie si irrigidì, poi si alzò con cautela per capire da dove provenisse.
La musica era struggente, sembrava prodotta da un'arpa. Si chiese chi potesse suonare in quel posto e a quell'ora della notte. Capì che doveva stare molto attenta, di sicuro non era una buona idea andare a scoprirlo. Si pentì immediatamente di avere lasciato Towalce, ammise che aveva ragione lui, era proprio una stupida. Che cosa pensava di fare, da sola in mezzo alla foresta senza l'aiuto della magia?
Adesso che la rabbia era sbollita e il freddo cominciava a farsi sentire, decise di tornare da lui per chiedergli scusa, d'ora in avanti si sarebbe comportata diversamente. Fece alcuni passi per riprendere la direzione da dove era venuta, ma nel giro di pochi minuti, col buio pesto, aveva già perso l'orientamento.
Camminò verso quella che le sembrò la strada giusta e arrivò davanti ad un ruscello. Ma si rese conto che non era mai passata di lì.
Mentre si voltava per tornare sui propri passi, vide una ragazza dai lunghi capelli argentei, che suonava un'arpa. Tutta la sua figura emanava un'aura di luce azzurrina, creando un'immagine meravigliosa.
La fanciulla era intenta a suonare e sembrava non averla notata. Hevonie non sapeva cosa fare, avrebbe fatto bene ad ignorarla, o forse no.
Magari poteva chiederle aiuto. No, pensò, va bene essere ingenua, ma non fino a questo punto. Decise che fosse meglio non farsi vedere. Quindi indietreggiò lentamente, ma una voce suadente la chiamò.
“Aspetta! Non andare via.”
Hevonie s’immobilizzò, indecisa se restare o scappare. Se fosse scappata, magari quella creatura avrebbe potuto offendersi o peggio arrabbiarsi. Allora con calma si fermò e vide che la ragazza la stava fissando.
“Vieni qua, non avere paura.” La sua voce era dolce e il tono gentile.
“La musica era bellissima,” disse Hevonie senza avvicinarsi.
“Dici davvero?” La ragazza aveva un aspetto incantevole, il suo viso era un ovale perfetto, gli occhi erano chiari, contornati da lunghe ciglia. Il naso era piccolo e all'insù e la bocca sembrava un cuore scarlatto. Una tunica aderente, formata da diversi strati di veli, ne fasciava il corpo snello. Sembrava una creatura divina.
“Sì, mi è piaciuta molto,” rispose cauta Hevonie.
La ragazza si alzò e fece qualche passo in avanti e Hevonie istintivamente indietreggiò.
“Non avere timore, non ti farò del male,” la fanciulla sorrise e i suoi denti sembravano una fila di lucenti perle bianche.
“Sono lieta di saperlo. Questa foresta sembra abitata solo da creature poco amichevoli,” disse Hevonie, cercando di nascondere la tensione.
“Qui una volta sorgeva un magnifico palazzo, ma ora non esiste più. Come puoi vedere questo è tutto quello che ne rimane,” la ragazza assunse un'espressione malinconica, che la rese ancora più affascinante.
“Chi vi abitava?” Chiese Hevonie.
”Una grande regina,” rispose la ragazza con orgoglio. ”L’ambiente era molto diverso, c’erano luci ovunque, tanta gente e si davano feste stupende.”
“Davvero?” Hevonie non riusciva proprio ad immaginare un simile sfarzo in quel luogo cupo e desolato.
”Io suonavo e cantavo davanti agli ospiti e tutti erano felici,” raccontò la ragazza mentre una lacrima scintillò sulla sua guancia liscia.” Finché un giorno tutto finì. Adesso nessuno viene più qui, così io suono alla luna.”
“Mi dispiace,” mormorò Hevonie.
“Non ti preoccupare, ormai sono abituata alla solitudine.”
“Perché resti qui da sola e non te ne vai?” Le chiese.
“Non voglio. Questa è la mia casa.”
Hevonie non disse niente. Quella conversazione le sembrava così surreale che non capiva se stesse accadendo realmente. Pensò a Towalce e per un attimo desiderò che fosse accanto a lei. Non voleva restare vicino a quella strana ragazza un minuto di più.
“Adesso io devo andare, “ disse Hevonie, cercando di essere cortese. ”È stato un piacere conoscerti.”
“Anche per me. Penso che ci rivedremo presto,” il tono improvvisamente tagliente della sua voce la fece rabbrividire.
Hevonie fece un lieve inchino con la testa e si allontanò alla svelta tornando verso l'angolo che aveva scelto per passare la notte. Le ultime parole della ragazza suonarono più come una minaccia che come un congedo.
Si accucciò con le braccia intorno alle ginocchia, non voleva correre il rischio di incappare in qualche altra strana creatura.
Si rassegnò ad aspettare l'alba da sola, poi sarebbe corsa a cercare Towalce e a chiedergli perdono.
Dopo circa mezz'ora, sentì dei rumori, qualcosa o qualcuno si stava avvicinando. La bella fanciulla le apparve davanti, sembrava una visione onirica. Nonostante il buio, la sua figura emanava una luce soprannaturale.
La ragazza protese le sue braccia verso Hevonie.
“Sei mia,” disse la fanciulla, disegnando nell'aria dei segni con la punta delle dita. ”Ora e per sempre!”
Hevonie fu colta alla sprovvista, tentò di parlare, ma aveva la gola secca. Le sembrava che una forza invisibile la stesse legando, sentì un'enorme pressione addosso.
Si accorse di non potere muovere un muscolo, il suo corpo era come paralizzato.
“Lasciala andare!” Towalce irruppe come un fulmine nella scena.
Quando la ragazza lo vide, gli lanciò uno sguardo malevolo. Sotto il suo viso bellissimo sembrò apparire il volto di una vecchia grinzosa.
“È mia!” Disse, la sua voce era diventata affilata. Ogni traccia di morbidezza era sparita.
La ragazza si avventò su Hevonie che non poté fare niente per sottrarsi alla sua presa. Allora Towalce puntò la spada contro la ragazza e la colpì a un braccio. Dalla ferita uscì un liquido trasparente.
La fanciulla si stava trasformando sempre più in una megera e vedendo che Towalce stava colpendola un'altra volta, scagliò Hevonie a terra e si allontanò.
“Maledetto, assaggerai la mia vendetta!”
Quella che si stava tenendo con una mano il braccio ferito, ormai non era più una splendida ragazza, ma una donna vecchia e raggrinzita. In fretta si dileguò nella foresta, lanciando maledizioni e insulti.
Hevonie era ancora seduta a terra, stordita e dolorante, quando vide Towalce dirigersi verso di lei.
“Grazie,” gli disse in un sussurro.
“Falla finita e alzati.” Towalce era molto arrabbiato e Hevonie si alzò immediatamente, ignorando il dolore al gomito, dovuto alla caduta.
“Mi dispiace,” ripeté ancora, voleva davvero che lui la perdonasse.
“Se tu non ti cacciassi continuamente nei guai, non saresti costretta a scusarti ogni volta,” la redarguì Towalce.
Hevonie era mortificata, sapeva che Towalce aveva tutte le ragioni per avercela con lei.
La stava accompagnando in un viaggio pericoloso e lei non faceva altro che ostacolarlo e lamentarsi.
Si chiese cosa ci fosse di sbagliato in lei.
“Adesso, dobbiamo andarcene subito da qui,” esclamò Towalce.
“Scusa, giuro che non ti darò più problemi.”
“Sarà meglio per tutti, principessa. Vorrei farti capire che non esiste un luogo nel Reame Perduto, che si possa definire sicuro. Non puoi abbassare la guardia per un solo istante, il bosco è pieno di bizzarre creature, che vivono secondo criteri che possono essere molto diversi dai nostri,” Towalce si fermò un attimo a riflettere poi proseguì.
“Hai appena incontrato una Terseide, una creatura che si pensava fosse estinta, invece come hai visto, esiste ancora. E ti assicuro che non avrebbe esitato a renderti schiava del suo volere e tra molti anni ti avrebbe sacrificato alla sua divinità, in poche parole ti sarebbe toccata una morte lenta tra atroci sofferenze. Quindi quando incontri una creatura sconosciuta, non devi nemmeno fermarti a guardarla, scappa e corri lontano da lei, se ci tieni alla vita.”
“Ho capito, ti prometto che…”
“Non so che farmene delle tue promesse,” Towalce la interruppe brusco. ”Io ho un compito, che è quello di accompagnarti sana e salva a Kosworth. E lo farò. Perciò d’ora in avanti eseguirai i miei ordini, ti piacciano o no. E’ chiaro?”
“Chiarissimo.” Hevonie annuì, sentendosi come una scolaretta che viene rimproverata davanti a tutta la classe.
“Adesso andiamo,” disse Towalce. Hevonie lo seguì, senza dire una parola.
Arrivarono vicino ad un grosso albero e vi si fermarono sotto. Si sdraiarono schiena contro schiena, al freddo e al buio perché non c'era tempo per accendere un fuoco.
Hevonie avrebbe voluto dire qualcosa per fargli capire quanto fosse dispiaciuta per l'accaduto, ma aveva paura di peggiorare la situazione, per cui rimase zitta.
“Buonanotte,” sussurrò debolmente, ma Towalce non le rispose.
Hevonie fu svegliata da alcune gocce di pioggia che le erano cadute sulla faccia.
Si mise seduta e si asciugò con una manica il viso.
“Era ora che ti svegliassi.” Towalce era in piedi, con il cappuccio del mantello calato sulla testa. ”Hai cinque minuti per prepararti. Sbrigati.”
Hevonie era stravolta, dormire poco e male, sul nudo terreno, metteva a dura prova la sua capacità di resistenza.
Si preparò alla svelta e seguì Towalce che impaziente era già pronto.
“Quanto mancherà?” Chiese Hevonie, che voleva testare l’umore di Towalce.
“Non più di un giorno,” la sua voce era neutra, l'arrabbiatura sembrava essere sparita.
Towalce osservò il cielo nuvoloso e disse.
“Oggi ci aspetta una giornata di pioggia, di solito gli abitanti del bosco stanno rintanati quando piove, per noi questo è un vantaggio.”
“Se la pioggia ci eviterà di fare brutti incontri, ben venga,” convenne Hevonie, mentre cercava di scrollarsi l'acqua di dosso.
Dopo un paio d'ore si fermarono e mangiarono del pane e della carne secca, avevano quasi esaurito i viveri. Come previsto da Towalce piovve tutto il giorno. Qualche volta la pioggia era solo una leggera nebbiolina e a volte cadeva in forti scrosci che li costringeva a ripararsi sotto gli alberi.
Per la maggior parte del tempo però, si trattava di una pioggia di media intensità, che permise loro di proseguire il viaggio senza troppi intoppi.
Nonostante i loro mantelli spessi e impermeabili, si ritrovarono inzuppati e infreddoliti. Rischiarono di scivolare più volte sul terreno fangoso e sul fogliame viscido. Hevonie non aveva idea di dove si trovassero e dove stessero andando, vedeva solo la sagoma di Towalce davanti a lei, che procedeva senza indugi. Non sapeva quanto avrebbe retto ancora quella situazione così pesante. Finalmente s'imbatterono in una grotta e si ripararono al suo interno. Towalce si tolse il mantello inzuppato d'acqua e lo distese a terra, si tolse gli stivali e li mise vicino al mantello. Hevonie fece lo stesso, constatando che non c'era una parte di lei che fosse asciutta.
“Ci vorrebbe un fuoco per asciugarci un po',” suggerì Hevonie.
“Ma non abbiamo legna e i rami fuori sono fradici.”
“Chissà perché, lo immaginavo.” Hevonie mestamente svuotò il suo stivale dall'acqua.
“Oh, al diavolo!” Imprecò Towalce.
“Che cosa c'è?” Hevonie lo guardò sorpresa.
Towalce prese un fiammifero dalla borsa e lo accese, poi disegnò un cerchio intorno a loro e apparve la bolla protettiva, che sfiorava le pareti della grotta.
“Che cosa vuoi fare?”
“Voglio che usi quella pietra che tieni in tasca. Se non accendiamo un fuoco per asciugarci, rischiamo di morire assiderati,” disse Towalce deciso.
“Lo sai che non ho il pieno controllo della pietra,” gli ricordò Hevonie. “E se combino un pasticcio?”
“E se moriamo per il freddo?” Ribatté Towalce.
“Hai ragione. Come sempre del resto.”
Hevonie prese la pietra del fuoco e la infilò nel bracciale, si concentrò per alcuni istanti cercando di richiamare l'incantesimo che aveva già usato in precedenza. Un fascio di luce uscì dalla pietra e colpì un punto del terreno davanti a loro. Un bellissimo fuoco cominciò ad ardere, sospeso a pochi centimetri dal suolo. Le fiamme alte e vivaci irradiarono immediatamente un calore piacevole. Hevonie non poteva credere ai propri occhi, c'era riuscita al primo colpo.
“Brava,” disse Towalce con un sorriso. “Allora, non sei completamente inutile.”
A Hevonie quell'affermazione, sembrò quasi un complimento.
Si protese subito verso il fuoco, cercando di assorbire più calore possibile e anche Towalce la imitò.
Lei lo guardò, ma non fece in tempo ad aprire bocca.
“Non dire qualcosa di cui dopo potresti pentirti,” la ammonì Towalce.
“Volevo solo chiederti se secondo te sarei in grado di creare anche una vasca con dell’acqua calda e profumata.”
“Perché no? E visto che ci sei anche un bel letto caldo,” disse Towalce con un mezzo sorriso. Poi si corresse e aggiunse. ”Volevo dire due letti caldi, uno per te e uno per me.”
Hevonie dentro di sé sorrise, allora Towalce era consapevole che lei era anche una ragazza e non solo un “lavoro” da portare a termine.
“Forse è meglio non sfidare la sorte,” affermò Hevonie senza staccarsi dal fuoco.
Rimasero in silenzio ad asciugarsi, intanto fuori dalla grotta, si sentiva l’incessante suono della pioggia che cadeva.
Hevonie pensò che vista da quella prospettiva, la foresta poteva anche emanare un certo fascino, ma solo perché adesso erano all’asciutto e al coperto.
“Mi mangerei una pagnotta imbottita di formaggio più una torta di mele,” disse Hevonie sfregandosi le braccia. ”Poi ricomincerei da capo.”
“Temo che ti dovrai accontentare di questo.” Towalce tirò fuori dalla borsa un pezzo di pane umido e molliccio.
“Non lo darei neppure alle galline,” osservò Hevonie mentre lo prendeva. Pensò che se qualcuno le avesse detto che un giorno avrebbe dovuto mangiare un pane simile, lo avrebbe sicuramente preso per pazzo.
“Non potremo stare qui a lungo, l’uso della magia potrebbe avere attirato l’attenzione di qualcuno,” fece notare Towalce. “Non mi fido molto dell'efficacia di questa sfera protettiva.”
Hevonie era sfinita, ma non osò dirlo, tanto sapeva che non sarebbe servito a niente, se non a irritarlo ulteriormente. E non era il caso visto che sembrava non essere più arrabbiato con lei.
Dopo un lasso di tempo che a Hevonie sembrò troppo breve, Towalce si alzò e le fece cenno di seguirla, il momento di tornare sotto la pioggia era arrivato. Fortunatamente la pioggia era diventata impercettibile, il terreno era meno fangoso e presero un sentiero che sembrava essere in buone condizioni.
Ma lo stesso a Hevonie sembrò di non arrivare mai, si accorse del passare del tempo, solo dall’imbrunire del cielo. Dopo avere camminato a lungo, si ritrovarono davanti ad alcune capanne. In quell’angolo di foresta molti alberi erano stati abbattuti e nello spazio creatosi, sorgevano delle casupole fatte di legno. Dai comignoli di pietra uscivano spirali di fumo.
“Chi abita queste case?” Hevonie chiese a bassa voce.
“Non ne ho proprio idea,” rispose Towalce. “Sembra un insediamento recente.”
“Allora sarà il caso di aggirarle e allontanarsi,” suggerì Hevonie.
“Si sarà meglio.”
Ma non fecero in tempo a percorrere pochi metri che si ritrovarono faccia a faccia con un uomo alto e robusto.
“Chi siete?” Sia la voce sia lo sguardo dell'uomo erano minacciosi.
“Noi siamo…due viandanti.” Towalce strinse con la mano l'elsa della spada e Hevonie si preparò ad estrarre il pugnale dallo stivaletto.
“Che cosa ci fate qui?” L'uomo guardò Hevonie.
“Come ha detto lui, stiamo attraversando la foresta signore.”
Vedendo che l’uomo non si muoveva, Towalce si affrettò a dire.
“Ci siamo imbattuti casualmente nel vostro villaggio, ma non vi preoccupate perché ce ne stiamo andando.”
Ma l’uomo rimase fermo, sempre zitto. Calò un silenzio durante il quale tutti e tre si osservarono a vicenda.
“Che cosa sta succedendo?” Una donna apparve alle loro spalle, sia Hevonie che Towalce si voltarono a guardarla. La donna lanciò uno sguardo interrogativo all'uomo, che parlò.
“Dicono di essere due viaggiatori, ma io non ci credo, secondo me sono dei ladri.”
Hevonie notò che la donna aveva in mano un cestino dal quale s’intravedevano delle pagnotte di pane fragrante. Strinse le labbra e desiderò ardentemente mangiarne una.
“Se sono davvero ladri, cosa che non mi sembra affatto, sono ladri molto affamati,” affermò la donna con un sorriso.
Hevonie la guardò sorpresa e si vergognò di avere palesato così i suoi pensieri.
“Se volete riposarvi un po’, sarò lieta di invitarvi a casa mia. Poi mi racconterete chi siete e dove siete diretti.”
“Sei sicura che ci possiamo fidare?” Chiese l’uomo scettico.
“Si, ho letto le loro menti e sono innocui. Avanti, venite.”
La donna si diresse verso una delle case, seguita dagli altri tre.
“Entrate,” disse la donna. ”Scusate i modi bruschi di mio marito, ma ultimamente il bosco è diventato un luogo molto pericoloso, per cui siamo diffidenti verso chiunque.”
Hevonie e Towalce entrarono nella casa che era composta da una grande sala munita di camino, c’erano due porte e una scala che portava al piano superiore.
Il mobilio era semplice ma sorprendentemente curato nei dettagli, c’era un odore di legna bruciata, spezie e pane appena sfornato.
“Sedetevi pure,” la donna indicò due sedie vicino al camino.
“Lei è davvero in grado di leggere il pensiero?” Chiese Hevonie.
“Certamente,” rispose l'uomo al posto della moglie. ”Se avesse visto che eravate dei malintenzionati, avreste dovuto vedervela con me,” disse mostrando il braccio muscoloso.
La donna guardò il marito e scosse la testa, poi prese una sedia e si sedette anche lei a fianco del camino.
“Io mi chiamo Mira e questo è mio marito Kifer.”
“Piacere di conoscervi. Il mio nome è...” Hevonie non riuscì a terminare la frase.
“Aspetta, non dirmelo. Lascia che sia io a scoprirlo,” così dicendo Mira chiuse gli occhi e assunse un'espressione concentrata.
“Tu sei la principessa Hevonie, la figlia del re di Kosworth,” disse con enfasi, poi sempre con gli occhi chiusi voltò la testa verso Towalce.
“Tu invece sei Towalce, il valoroso cavaliere scelto da Delmus, per il delicato compito di scortare la figlia del nostro diletto re.”
“Impressionante!” Esclamò Hevonie esterrefatta. Questa donna sapeva davvero leggere il pensiero. Altrimenti non avrebbe potuto conoscere tutte quelle cose.
Hevonie rivolse lo sguardo a Towalce, ma vide che lui era rimasto impassibile. Mira fece un lungo respiro e sembrò riprendersi da un grosso sforzo.
“Che cosa ci fate qui?“ Chiese con un sorriso. ”Potrei leggervi il pensiero ma non sarebbe molto educato, quindi preferisco che siate voi a raccontarmelo.”
“Stiamo andando a Kosworth,” rispose Hevonie, pensando che sarebbe stato controproducente mentire, visto che la donna avrebbe potuto smascherarli facilmente.
“Devo dire che il coraggio non vi manca ad attraversare il Reame Perduto da soli.”
“Purtroppo non avevamo scelta,” disse Towalce secco.
“Capisco,” disse Mira, sempre sorridendo. “Comunque se vorrete passare la notte qui, siete i benvenuti.”
“Grazie Mira, ve ne saremmo infinitamente grati,” esclamò Hevonie ignorando l'occhiata fulminante di Towalce, al quale sicuramente l’idea di perdere tempo non andava affatto. Ma la prospettiva di dormire in un letto, per lei era troppo allettante.
Cenarono e Hevonie assaporò dopo parecchio tempo un vero pasto, c’erano verdure, pane croccante, formaggi squisiti, frutta e perfino una torta di mele. Con la pancia piena e il tepore della casa, Hevonie ritrovò il buonumore e si rilassò.
Ormai la sera era calata del tutto e stava facendo notte. Il rumore della legna scoppiettante nel camino e l’odore di tabacco che usciva dalla pipa di Kifer, creavano un’atmosfera intima ed accogliente. La conversazione durante la cena era rimasta su argomenti generali, Towalce sembrava restio a raccontare i particolari del loro viaggio. Hevonie pensò che forse avesse ragione, anche se queste persone erano molto gentili, non potevano fidarsi completamente.
Andarono a dormire in una piccola camera, dove trovarono due letti morbidi e puliti.
A Hevonie sembrò un sogno.
“Che fortuna, abbiamo trovato ospitalità e cibo, questo è un vero miracolo,” disse Hevonie crogiolandosi sotto le coperte e pregustando una notte di sonno tranquillo.
“Non abituartici, perché tra poco ce ne andiamo,” mormorò Towalce.
“Perché?” Scattò a sedere Hevonie con gli occhi spalancati.
“Perché sono adepti della Legione Oscura. Ho notato i simboli sul mantello del marito, che la donna si è affrettata a nascondere,” spiegò Towalce. ”Prima, alla finestra ho visto Kifer uscire. Lo trovo strano a quest'ora della notte. Secondo me sta andando ad avvertire qualcuno della nostra presenza.”
“Non è possibile,” Hevonie era sconcertata. “Sembravano davvero brave persone.”
“È questa la loro forza, Hevonie,” disse Towalce guardandola dritto negli occhi.
“L’inganno.”
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Aveva smesso di piovere e un pallido sole annunciava il sorgere dell'alba. Hevonie e Towalce avevano lasciato la casa tre ore prima, si erano calati dalla finestra, usando delle lenzuola arrotolate. La casa era bassa e con diversi appigli, quindi non avevano incontrato particolari difficoltà a scendere. Si erano aggrappati alle travi e alle pietre che sporgevano numerose dalla facciata. Con la luce del giorno la foresta appariva meno minacciosa, si sentivano i versi degli uccelli che lentamente riempivano l’aria con i loro canti.
“Come mai non ha letto nel pensiero che avevi capito chi erano?” chiese Hevonie.
“Quella donna ha mentito dicendo di sapere leggere il pensiero,” rispose Towalce. ”Lei sapeva chi eravamo perché era stata informata del nostro viaggio nella foresta.”
“Ha proprio avuto una bella fantasia ad inventarsi una storia simile.”
“Forse ha voluto creare un clima di fiducia, così ha potuto giustificare l'invito a casa sua. Facendoci credere che lei sapeva per certo chi eravamo e che loro non erano nemici.”
“Perché questa gente è complice della Legione Oscura?”
“Perché sono costretti.” Towalce vide l’espressione sorpresa di Hevonie e proseguì. ”Voglio dire, tu vivresti in questo posto, anche se avessi cibo e una casa?”
“Neanche per sogno!” Esclamò Hevonie.
“Appunto, nessuna persona sana di mente vivrebbe in un posto tanto inospitale e desolato. Chi lo fa è perché non può vivere altrove, in poche parole è ricercato dalla legge.”
“Quindi loro vivono qui per sfuggire alla giustizia?”
“Esatto. E appena hanno visto un’opportunità di guadagno ne hanno approfittato. E non solo, aiutando la Legione Oscura ottengono protezione e sostentamento.”
Hevonie meditò sulle parole di Towalce. Quelle persone le erano sembrate perfettamente normali, senza corna, artigli o cose strane.
Decise che il Reame Perduto era proprio un posto spaventoso e solo un folle poteva decidere di viverci di sua spontanea volontà.
Si chiese quanti altri esseri la popolassero, ma si augurò di uscirne prima di doverlo scoprire.
“Quanto manca ancora?” Chiese Hevonie mentre camminava sferzata da un vento gelido.
“Non molto, questa volta penso che ci siamo,” rispose Towalce.
“Magari fosse vero,” fu il suo secco commento.
“Se continui di questo passo, non arriveremo mai.”
“Ma se sto quasi correndo!” Protestò Hevonie.
Un tremendo frastuono li fece zittire.
”Ascolta,” bisbigliò Towalce. “C’è qualcosa.”
Due enormi Troll emersero dagli alberi e si piazzarono davanti a loro. Entrambi tenevano in mano una clava di legno dentata. Quello più massiccio si protese in avanti pronto a colpire, ma Towalce gli puntò contro la spada.
Hevonie aveva impugnato a sua volta il pugnale e stava fronteggiando l'altro.
Rimasero tutti fermi per alcuni istanti.
“Vuoi deciderti a usare quella pietra contro questo energumeno?” Gridò Towalce.
Hevonie con la mente catturò un incantesimo e lo fece fluire dalla pietra posta nel bracciale. Poi lo lanciò contro il Troll, che colpito barcollò leggermente. L'altro Troll, vedendo il suo compare ancora in piedi, prese coraggio e si avventò contro Towalce, che fu svelto a schivarlo.
“Non sembra che la magia li scalfisca più di tanto,” constatò Towalce.
Hevonie si concentrò maggiormente e lanciò un altro raggio contro il Troll più vicino e questa volta lo scagliò a terra.
Il terreno rimbombò. Il Troll rimasto in piedi fissò stupito il compagno, quindi lo aiutò a rialzarsi.
Per qualche istante rimasero a guardarsi indecisi, poi si voltarono e scapparono via.
“Perché ci hanno attaccato?” Chiese Hevonie agitata.
“Non penso siano alleati della Legione Oscura, forse ci hanno visto come degli invasori,” rispose Towalce. “O forse erano solo spaventati.”
”Sta diventando sempre più pericoloso muoversi in questa foresta,” sospirò Hevonie.
Ripresero il cammino, consapevoli delle minacce che potevano presentarsi in ogni momento.
Proseguirono di buon passo attraverso la vegetazione, finché ad un certo punto si trovarono davanti ad un alto tumulo di pietre.
“E adesso, dove andiamo?” Chiese Hevonie.
Towalce si guardò intorno indeciso. Sembrò riflettere per un po’ finché disse. “Dobbiamo proseguire in quella direzione,” dicendo questo, alzò un braccio e indicò un punto della foresta che a Hevonie parve particolarmente opprimente.
Un rumore la fece voltare e attraverso gli alberi intravide una gigantesca sagoma scura che si muoveva e che lanciava dei versi striduli e roboanti.
“E questo cos’è?” Chiese Hevonie.
“Ci tieni davvero a saperlo?”
“Certo che no!”
“Allora scappiamo!” Towalce la prese per mano e la trascinò nella direzione opposta, allontanandosi da quelle urla spaventose.
Allungarono il passo, finché il cammino si trasformò in una corsa frenetica. Nella foga inciamparono più volte rimanendo spesso impigliati nei rami dei cespugli e presto le loro mani furono ricoperte di graffi e tagli.
Infine esausti, si fermarono a ridosso di una bassa collinetta, dove c’era un anfratto e si infilarono dentro. Ascoltarono i suoni della foresta, cercando di captare eventuali pericoli.
Dopo pochi istanti sentirono un gran frastuono e il terreno tremare sotto di loro. Towalce si alzò e cercò di capire da dove provenisse tutto quel rumore.
Con sgomento vide che si trattava di una decina di Troll che avanzavano verso di loro.
“Sono andati a chiamare i rinforzi,” disse avvicinandosi a Hevonie. “Dobbiamo andarcene!”
Hevonie si alzò svogliatamente, il fatto di essere inseguiti da un gruppo di Troll furiosi, più che spaventarla, la demoralizzò.
“Vai tu, io non ce la faccio più,” disse mentre si rimetteva seduta. ”Sono troppo stanca, se il destino ha deciso di farmi morire qui, non opporrò resistenza.”
Towalce la guardò stupito, stava per replicare quando una creatura, somigliante ad un grosso scoiattolo, apparve davanti a loro.
“Se volete un aiuto, seguitemi,” disse mostrando due grandi incisivi superiori. Aveva un lucido manto rossiccio, baffi grigi e una folta coda.
Era alto circa un metro e indossava una lunga tunica, alla vita portava una cintura dalla quale pendeva di lato, una corta spada. L'aspetto generale era decisamente buffo.
Hevonie e Towalce rimasero a fissarlo per qualche istante, ma le urla dei Troll li fecero balzare in piedi.
“Allora, vi muovete o no?” Lo scoiattolo si voltò e zampettò nel sottobosco Hevonie fece per seguirlo, ma Towalce la trattenne per una mano. ”Dove stai andando?”
“Non ce la faccio più, sento che se non andiamo con lui, moriremo.”
Si liberò dalla stretta e lo seguì, Towalce intravedendo i primi Troll arrivare, fece lo stesso.
Seguirono la bizzarra creatura per un breve tratto di foresta, che non si discostava molto da quella che avevano percorso fino allora.
Arrivarono alla base di una piccola altura, dove lo scoiattolo si fermò, toccò una roccia che rotolò di lato, aprendo un passaggio, dal quale fuoriuscì una luce dorata.
“Entrate, presto,” disse scomparendo all'interno della grotta.
Towalce stava entrando quando Hevonie lo fermò.
“E se fosse davvero una trappola?” Gli chiese titubante.
“Siamo stanchi e senza cibo, un gruppo di Troll non vede l'ora di farci a pezzi, non resisteremmo a lungo comunque,” rispose lui.
Entrarono e si ritrovarono in una sala con almeno una ventina di grandi scoiattoli, che li fissavano con i loro tondi occhi neri e curiosi.
Uno degli scoiattoli si fece avanti, aveva il manto del pelo di colore fulvo, gli occhi erano dolci ed espressivi.
“Chi ci hai portato oggi, Burr?” Chiese mentre osservava i nuovi arrivati.
“Erano inseguiti dai Troll, ho pensato di offrire loro il nostro aiuto,” rispose lo scoiattolo che li aveva soccorsi.
Hevonie notò che la grossa pietra dietro di loro si era richiusa.
“Io sono lady Shriela, la regina degli Onsin e vi do il benvenuto,” disse, inclinando lievemente la testa.
“Grazie per la vostra ospitalità, lady Shriela. Io mi chiamo Towalce e lei è la principessa Hevonie Heronberg.”
Lady Shriela guardò con interesse Hevonie ma non disse nulla.
“Vogliamo ringraziarvi in anticipo della vostra ospitalità, Vostra Maestà,” proseguì Towalce.
La regina fece un gesto languido con la mano e disse. “Spero che mi farete l’onore di restare a cena con noi.”
“Ne saremmo onorati,” si affrettò a dire Hevonie. Da quando erano entrati nel Reame Perduto, il cibo era sempre in cima ai suoi pensieri.
“Bene. Allora seguitemi.” Gli altri Onsin s’inchinarono al suo passaggio e uscendo dalla sala d’ingresso, proseguirono per un lungo tunnel.
Camminando Hevonie notò che tutto l'ambiente era formato da una serie di tunnel che s'incrociavano tra di loro. Nonostante gli Onsin fossero bassi, le pareti erano abbastanza alte da permettere a Hevonie di camminare dritta, mentre Towalce sfiorava a tratti il soffitto con la testa.
Il pavimento era composto da grosse lastre di pietra nera, mentre alle pareti erano appese tante piccole lanterne.
Emanavano una luce calda, molto intensa ed erano ravvicinate tra loro, quasi a formare un'unica fila.
Le pareti erano di pietra grigia, sulla quale erano scolpiti dei bassorilievi che raffiguravano degli animali stilizzati.
“Prima di cena, potrete rinfrescarvi un po' nelle camere che riserviamo agli ospiti,” disse Lady Shriela, fermandosi davanti all'imbocco di un altro tunnel.
Apparve un folletto che li accompagnò nelle rispettive stanze. Hevonie ne aveva già incontrati un paio in passato e li aveva subito presi in simpatia. Si chiese cosa ci facessero insieme agli Onsin, forse si trattava di una specie di collaborazione. Infine entrò nella sua stanza e rimase stupita vedendo tutto molto piccolo. La camera era ordinata e pulita, il letto era di legno chiaro con linee morbide e lineari. Delle teste di lupo erano scolpite sulla testiera. Hevonie accarezzò il legno lucido e ne aspirò l’aroma, il letto seppur piccolo era invitante. Vi si sdraiò sopra e si rilassò immediatamente, stava per chiudere gli occhi ma non voleva rischiare di addormentarsi. Quindi si alzò e si diresse nella stanza da bagno, che era rivestita di marmo azzurrino. Al centro c’era una tinozza riempita di acqua calda con dentro dei petali di rose dal profumo inebriante.
Nel giro di pochi istanti Hevonie si tolse i vestiti e si immerse beatamente nell’acqua. Le sembrò di rinascere, prese il sapone e cominciò a lavarsi e strofinarsi con vigore. Si sciolse i capelli e li insaponò per bene, cercando di ripulirli dal fango e dalla polvere. Uscì dalla vasca e si asciugò con un soffice telo di spugna, poi guardò i suoi vestiti sporchi ed ebbe un moto d’insofferenza all'idea di doverli indossare ancora.
Adesso che si sentiva pulita, avrebbe voluto degli abiti che lo fossero altrettanto, ma non avendo altra scelta se li rimise.
Quando fu pronta, sentì bussare alla porta, era Towalce che la sollecitava a uscire. Si guardarono e fecero un mesto sorriso, probabilmente entrambi avevano avuto gli stessi pensieri riguardo allo stato pietoso dei loro abiti.
“Ti ricordo di comportarti bene, devi essere rispettosa e cortese. Non vogliamo farli arrabbiare o pentire di averci aiutato, vero?” La redarguì Towalce.
Hevonie fece segno di no con la testa.
”Non ti preoccupare, sarò impeccabile.”
“Lo spero,” Towalce disse. “Per tutti e due.”
Si avviarono verso il tunnel principale e dopo averlo percorso, arrivarono davanti ad una massiccia porta di legno. Ai lati c’erano due folletti, dall'aria afflitta, che appena li videro, aprirono immediatamente la porta, rivelando un'enorme sala, dalle pareti molto alte, allestita per la cena. C'erano vari tavoli rotondi, ricoperti da tovaglie candide e grandi decorazioni floreali nel centro di ognuno. Il soffitto era una cupola affrescata con l'immagine di un cielo azzurro e dal centro, pendeva un lampadario di cristallo enorme, con decine di candele accese, che brillava di mille riflessi colorati.
“Che bello!” Esclamò Hevonie, sgranando gli occhi e battendo le mani, cosa che le fece guadagnare un’occhiataccia da parte di Towalce.
“Gli Onsin sono innocui?” Chiese sottovoce a Towalce.
“In genere sono cordiali, comunque è sempre meglio non farli arrabbiare, per cui limitiamoci a pochi discorsi, diamogli ragione e non diciamogli i fatti nostri.”
“Sì, ma perché ci stanno aiutando?“
“Non lo so, gli Onsin sono indipendenti ed orgogliosi. Vivono molto a lungo e non si mischiano negli affari degli altri, finché questi non interferiscono con i loro.”
“Speriamo che non facciano il doppio gioco.”
“Stiamo attenti, come ti ho detto, cerchiamo di non contrariarli,” l'ammonì Towalce.
Un folletto dallo sguardo triste li accompagnò ad un tavolo, gli altri tavoli erano già occupati da molti Onsin. Si accomodarono ai loro posti e poco dopo entrò lady Shriela. Gli Onsin si alzarono in piedi e lo stesso fecero anche loro due. La regina agitò con grazia la mano e tutti si rimisero seduti.
“Stasera abbiamo due ospiti speciali,” nel dirlo la regina indicò Hevonie e Towalce.
“Vi prego di trattarli con il dovuto rispetto.”
Un mormorio si levò dalla sala, poi la regina annunciò. “Si dia inizio alla cena.”
La stanza era molto illuminata e abbastanza spaziosa, appariva sproporzionata rispetto alle dimensioni di quelle creature. Piccoli globi luminosi danzavano su tutti i tavoli creando così un’atmosfera frizzante e briosa. Un folletto si avvicinò a loro e li invitò a sedersi al tavolo della regina.
Hevonie sentì una musica e scorse una piccola orchestra formata da cinque folletti che suonavano i loro strumenti, diffondendo una melodia malinconica.
La regina fece sedere Hevonie alla sua destra e Towalce alla sua sinistra. Indossava un abito fatto di veli e di rasi luccicanti e diversi gioielli decorati con pietre grezze, ornavano il collo e le mani pelose.
Lady Shriela si dimostrò essere molto gentile e arguta, facendo ridere i suoi invitati con le sue battute spiritose.
“Spero che il cibo sia di vostro gradimento,” disse la regina, sapendo già che i suoi ospiti l'avrebbero compiaciuta. E Hevonie si sarebbe guardata bene dal non assecondarla.
L’atmosfera gioviale e il fatto di avere bevuto del vino rese Hevonie abbastanza loquace.
“Lady Shriela, perché ci state aiutando?” Le chiese all'improvviso.
La regina accennò un sorriso e rispose. “Diciamo che trovo che i Troll siano delle creature abiette e volgari. Se posso ostacolare i loro propositi, in questo caso, il loro desiderio di uccidervi, lo faccio volentieri.”
“La ringraziamo molto per quello che state facendo.” Towalce disse con tono da perfetto gentiluomo.
“Non vi preoccupate,” li guardò attentamente e solo allora sembrò notare i loro vestiti sgualciti e un'espressione di disappunto apparve sul suo viso.
Hevonie si vergognò e cercò di rintanarsi tra il tavolo e la sedia. Lady Shriela sembrava godere del diversivo che era rappresentato dalla loro presenza, forse si annoiava a vivere rinchiusa in quel luogo remoto, seppur magnifico.
Il cibo era comunque delizioso e sia Hevonie sia Towalce mangiarono a sazietà, sapendo che forse sarebbe passato un bel po’ di tempo prima di potere fare un altro pasto decente. Un folletto arrivò e diede un biglietto alla regina che lo lesse, quando glielo ridiede, lui si allontanò indietreggiando a testa china.
Lady Shriela rivolgendosi a Towalce disse.
“A quanto pare siete molto richiesti.”
Hevonie che aveva un boccone in bocca, lo deglutì intero e chiese. “Perché, Maestà?”
“I miei informatori mi hanno appena riferito di avere incontrato degli uomini della Legione Oscura. Gli hanno chiesto di voi, se vi consegno, potrei guadagnare un bel po’ di denaro e soprattutto gioielli, la mia passione,” e languidamente stese una mano ornata di splendidi anelli d’oro ricoperti da innumerevoli pietre preziose.
“E voi cosa intendete fare’” Chiese Towalce.
“Secondo voi? Io sono la regina degli Onsin, possiedo una ricchezza immensa e mai accetterò doni in cambio di qualcosa,” disse altezzosa. “Io possiedo miniere da dove i miei operai estraggono pietre di valore incommensurabile. I regali devono essere fatti senza pretendere nulla in cambio. Non si dica mai che lady Shriela ceda a qualche squallido ricatto,” una smorfia sdegnosa si formò sul suo viso peloso.
“Ma non avete paura che scoprano che ci nascondete?” Chiese Hevonie.
Lo sdegno si trasformò in irritazione.
“Pensi che io abbia paura di loro? Sappi ragazza, che questo posto è in piedi da secoli, è stata usata la magia per costruirlo ed è protetto da tanti e tali incantesimi che nessuno, ripeto nessuno, potrebbe nemmeno scalfirne la superficie. Senza poi pagarne le conseguenze solo per averci provato.”
“Capisco,” annuì Hevonie.
Il resto della serata passò senza ulteriori contrattempi, l’atmosfera era sempre cordiale e sia Hevonie che Towalce si rilassarono. Inoltre il fatto di essere in un posto così protetto e sicuro, li fece sentire più tranquilli.
“Direi che dopo questa lunga giornata, forse è il caso che andiate a dormire,” annunciò la regina alzandosi.
“Grazie Maestà, per la vostra ospitalità e protezione.” Towalce fece un inchino.
“Siete i benvenuti e sentitevi graditi ospiti finché siete sotto il mio tetto,” con un cenno chiamò un folletto.
“Lilo vi accompagnerà alle vostre camere. Devo chiedervi la cortesia di non andare in giro da soli.”
“Non ne dubiti, non ci muoveremo,” la rassicurò Towalce.
La regina annuì soddisfatta ma prima di andarsene, chiese.
“Non vi ho neppure chiesto, dove siete diretti.”
“Maestà, stiamo andando a Kosworth, la principessa deve tornare a casa,” rispose Towalce.
Lady Shriela rivolse loro uno sguardo turbato. ”Volete tornare a Kosworth? Purtroppo ho delle brutte notizie al riguardo.”
“Che brutte notizie?” Chiese Hevonie.
“Mi è stato riferito che il castello è stato attaccato dai demoni.”
“Non è possibile!” Gridò Hevonie.
“Io ho i miei informatori e so che il castello è stato assalito,” lady Shriela sembrava sicura di quello che diceva.
Hevonie si mise seduta, stordita dalla notizia, il pensiero che fosse successo qualcosa a suo padre, la mise in uno stato di forte agitazione. Non poteva credere che il castello, dove era sempre vissuta fosse stato assaltato. Lo aveva sempre ritenuto una roccaforte inespugnabile.
“Devo andare via subito,” disse a Towalce.
“D'accordo,” annuì lui.
“Non potete partire adesso, di notte la foresta è infestata da spiriti e creature,” disse la regina. ”Oltretutto i Troll sono sulle vostre tracce, se davvero volete raggiungere il castello, dovrete attendere fino a domani mattina.”
“Ma non posso aspettare,” disse Hevonie. ”Mio padre potrebbe essere in pericolo!”
“Lo so, ma il rischio che tu non riesca ad uscire viva dal Reame è troppo alto,” insistette la regina. “Se tu morissi, come potresti aiutarlo?”
Hevonie non trovò una risposta valida, quindi non disse nulla.
“Si tratta solo di poche ore, domani mattina partirete con le prime luci dell'alba. Vi farò scortare fino al margine della foresta dalle mie guardie.”
“D'accordo,” si rassegnò Hevonie. ”Vi ringrazio del vostro aiuto.”
“Tu sei la figlia di un re, sei una mia pari, mi sembra un buon motivo per aiutarti,” disse lady Shriela, che si allontanò seguita da uno stuolo di folletti.
“In effetti, ho notato una certa somiglianza tra voi due,” commentò Towalce ironico. ”Forse saranno i baffi.”
“Spiritoso,” ribatté Hevonie.
Poi notarono un folletto in attesa, che li accompagnò nelle loro stanze da letto. Hevonie salutò Towalce ed entrò in camera sua, si misero sotto le coperte e continuò a rimuginare su cosa sarebbe stato meglio fare. Ma la stanchezza ebbe la meglio e scivolò subito nel sonno.
La mattina seguente, un lieve bussare alla porta la svegliò, andò ad aprire e si trovò davanti ad un folletto che le annunciò che la colazione era pronta. Dopo essersi preparata velocemente, raggiunse la sala da pranzo, scortata dal folletto, che a quanto pareva, era al suo servizio.
Trovò Towalce già seduto a un ampio tavolo, sul quale si trovavano frutta fresca, noci, mandorle, pane e succhi di frutta.
Lo salutò con un cenno della mano e si mise seduta accanto a lui. Cominciarono a mangiare e videro che un piccolo folletto, aveva preparato due fagotti con del cibo da portare via, li mise sul tavolo e si allontanò con la schiena piegata in due e gli occhi bassi. A Hevonie si strinse il cuore a vederlo così sottomesso.
“Non è giusto che li trattino così,” affermò infine.
Towalce addentò una grossa mela e disse.
“Lo so, è triste. Oltretutto i folletti sono di indole timida e mansueta.”
“E’ mai possibile che nessuno faccia niente e sia permessa una simile ingiustizia?”
“Ascoltami, noi abbiamo già parecchi problemi per conto nostro. Sono d’accordo con te, ma non possiamo farci nulla. E’ così e basta.”
Hevonie consumò in silenzio la sua colazione, poi sentì delle urla provenire dalla stanza accanto, si alzò da tavola e andò a vedere. Si trovò davanti una Onsin che urlava contro un folletto e quando ebbe finito, lo schiaffeggiò.
“Che cosa succede?” Chiese Hevonie che li aveva raggiunti prima che Towalce riuscisse a fermarla.
La Onsin la guardò furiosa e disse.
“Questo stupido nanerottolo, ha osato portarmi il succo di fragole invece di quello di lamponi!” La sua aria furente contrastava con la buffa faccia da scoiattolo.
“E allora? Capita a tutti di confondersi,” cercò di ammansirla Hevonie.
“Lui è un servo e non gli è permesso sbagliare. Se lo fa deve essere punito.”
Hevonie prese in mano il bricco contenente il succo e rivolgendosi al folletto chiese.
“Come ti chiami?”
“Lilo,” rispose il folletto con voce tremante.
“Da quanto tempo lavori qui?”
“Cinque anni.”
“Come mai dopo cinque anni, non riesci ancora a distinguere i vari succhi di frutta?”
La Onsin fece un sorriso compiaciuto.
“Vedi non è difficile. Adesso ti insegno un trucco,” proseguì Hevonie. ”Quando non sei sicuro di quale succo si tratta, lo prendi con la mano e lo annusi per bene. Se ancora non ti è chiaro lo sollevi e lo rovesci in questo modo.”
Hevonie versò il contenuto del bricco sopra la testa della Onsin, che rimase immobile ed esterrefatta.
Il liquido appiccicoso le colava sulla faccia e cercando di toglierselo con le mani, non faceva altro che impiastricciarsi il pelo ulteriormente.
“Ahhh! Te la faccio pagare,” gridò furibonda. ”Non finisce qui!” La Onsin fuggì via strillando istericamente.
Hevonie scaraventò il bricco a terra, che si ruppe fragorosamente.
“Non permettere mai a nessuno di mancarti di rispetto!” Annunciò risoluta al folletto.
“Grazie,” disse Lilo incredulo. ”Nessuno prima d'ora aveva mai preso le mie difese.”
“Perché accettate questa situazione di schiavitù?” Chiese Hevonie.
“Ci costringono con il ricatto, tengono prigionieri i nostri familiari in posti segreti, se non obbediamo, minacciano di ucciderli.”
Towalce afferrò per un braccio Hevonie e disse.
“Bel pasticcio hai combinato. Adesso ci saranno addosso e saranno guai. Dopo che ci hanno aiutato e ospitato tu, ti comporti in questo modo! Ma che cos’hai in quella testa?”
“Non sopporto le ingiustizie, se avessi saputo che schiavizzavano i folletti, non avrei mai accettato il loro aiuto,” si difese Hevonie.
Delle voci concitate si stavano avvicinando.
“Che cosa facciamo adesso?” Chiese Towalce.
“Venite con me.” Lilo fece loro cenno di seguirlo, cosa che fecero immediatamente.
Il folletto corse lungo una galleria e li spronò a entrare in una stanza. Una volta dentro, indicò una porta.
“Ecco, se proseguite dritto di qui, vi troverete all’esterno, nel bosco.
“Vieni con noi,” lo invitò Hevonie.
“Non posso, la dentro ci sono i miei compagni, non li voglio abbandonare,“ la sua voce suonava risoluta. ”Ma grazie a te ho capito che è da troppo tempo che stiamo subendo una grave ingiustizia e dobbiamo reagire. Ci ribelleremo e lotteremo per ottenere la nostra libertà.”
“Vorremmo tanto aiutarti, ma dobbiamo andare,” disse Hevonie, pensando a suo padre.
“Non preoccuparti, hai fatto più di quanto tu creda,” replicò Lilo. “Se ci rivedremo, sarà tra esseri liberi.”
Si abbracciarono e si salutarono, poi ognuno proseguì per la propria strada.
La mattinata era grigia e nuvolosa, il freddo e l’umidità cominciarono a vanificare i benefici effetti della pausa dagli Onsin.
“Ci siamo fatti altri nemici, spero sarai contenta!” Sbottò Towalce, mentre camminava a passo veloce, distanziando Hevonie.
“Dici che ci stanno inseguendo?” Gli chiese, sentendosi in colpa.
“Non penso, gli Onsin raramente lasciano il loro territorio, infatti è difficilissimo incontrarne uno in giro. Ma se mai dovesse succedere, è meglio per quel giorno essere pronti a combattere. Non ci perdoneranno mai un simile sgarbo.”
Hevonie sapeva di essere stata scortese con gli Onsin, soprattutto dopo che li avevano aiutati. Ma nello stesso tempo era contenta per i folletti. Quindi alla fine si disse che l’aveva fatto per una buona causa e questo la fece sentire meglio.
Dopo molto camminare, raggiunsero la cima di una collina.
“Ecco Kosworth,” disse Hevonie indicando verso il basso. “Presto andiamo!”
Si precipitarono giù per la collina e Hevonie nel rivedere i luoghi a lei familiari, sentì una stretta allo stomaco. Le sembrava fosse passato un secolo da quando era partita.
Arrivarono alle porte della città e con angoscia scoprirono che era stata devastata. La maggior parte delle case erano state bruciate e molti cadaveri giacevano lungo le strade. Il terrore s'impadronì di Hevonie, che corse a perdifiato verso il castello, lasciando per la prima volta Towalce dietro di sé.
Quando giunsero davanti all'ingresso, vide che l'imponente portone di legno, era stato divelto. Hevonie si precipitò all’interno, guardandosi continuamente intorno, sperando di trovare eventuali sopravvissuti. Quasi tutti i mobili, armadi, tavoli e sedie erano stati distrutti, persino i vetri delle finestre erano rotti e un vento leggero penetrava sollevando gli eleganti tendaggi. Un uragano sembrava avere fatto irruzione all’interno del castello, spostando ogni cosa.
A terra, Hevonie notò un candelabro d'argento, lo raccolse e lo appoggiò con cura sulla mensola di un camino. La paura di quello che avrebbe trovato inoltrandosi nelle altre sale, in parte la frenava. Ma doveva assolutamente trovare suo padre e quindi si spronò a continuare.
Si addentrò nella grande sala del trono e vide i cadaveri di quattro guardie distese a terra, immerse nel sangue. Si avvicinò e trattenne un urlo quando notò gli squarci profondi, nelle loro gole. Towalce dietro di lei, era attento ad ogni minimo rumore e il suo sguardo si muoveva freneticamente tutto intorno.
Hevonie cercò di calmarsi e lentamente attraversò le altre stanze, la cucina e la sala da pranzo. Trovò altri cadaveri a terra, tra i quali riconobbe parecchi dei suoi affezionati servitori, gli stallieri e i cuochi.
Molte di quelle persone lavoravano al castello da prima che lei nascesse. Towalce la raggiunse e le strinse le spalle, cercando di confortarla.
“Tu aspettami qui, io vado di sopra,” disse Hevonie sconvolta.
“Non pensarci nemmeno, io vengo con te.”
Hevonie brandì il suo pugnale e si precipitò al piano superiore, dove c’erano le stanze da letto. Towalce la seguì con la spada in pugno. Mentre saliva le scale, Hevonie sperò ardentemente di trovare suo padre ancora in vita. Grosse lacrime le scivolarono sulle guance e nella frenesia inciampò, ma Towalce la sostenne.
Si ritrovò al piano superiore, davanti al lungo corridoio ricoperto interamente da una passatoia.
Stringendo il pugnale, Hevonie si diresse silenziosamente verso la camera di suo padre. La porta era chiusa, vi appoggiò contro l'orecchio e rimase in ascolto qualche istante prima di entrare. Abbassò lentamente la maniglia di ottone, ma quando udì una voce provenire dall’interno si bloccò immediatamente.
Una piccola fessura tra le due ante della porta, le permise di guardare nella stanza. Vide suo padre a letto con lo sguardo rivolto verso qualcuno che era fuori dalla sua visuale.
Il viso del re era contratto in una smorfia di dolore e con una mano si stringeva il petto, il lenzuolo era sporco di sangue.
“Padre!” Senza trattenersi oltre, Hevonie spalancò la porta brandendo il pugnale, pronta ad usarlo contro chiunque le si fosse parato davanti.
Giunta all’interno, il padre la guardò come se fosse entrato un fantasma, in piedi al suo fianco c'era Zoelle.
“Padre!” Hevonie lasciò cadere il pugnale a terra e si precipitò da lui. Gli prese con delicatezza una mano perché vedendolo così sofferente, aveva quasi paura di fargli male.
“Cos'è successo?” Gli chiese. “Ti prego, dimmi chi ti ha fatto questo?” Le lacrime scorrevano sul suo viso, incontenibili.
“Hevonie!” Esclamò il padre con un filo di voce. “Figlia mia, sei tornata!”
Incapace di parlare, Hevonie si limitò ad annuire.
“Il mio desiderio di rivederti è stato esaudito,” sussurrò il re. “Sia ringraziato il cielo per questo.”
“Anch'io sono contenta di rivederti padre,” mormorò Hevonie tra le lacrime.
“Siamo stati assaliti. I demoni hanno ucciso molte persone, io mi sono salvato grazie a Zoelle,” la voce del padre era flebile e affannata. “Lei è stata la nostra benedizione, figliola, spero che continui a vegliare su di te, adesso che io non potrò più farlo.” Un accesso di tosse lo scosse, si mise un fazzoletto davanti alla bocca e quando lo ritirò, era macchiato di sangue.
“No, padre, io ti guarirò, sai che posso farlo,” singhiozzò Hevonie disperata.
Zoelle si avvicinò e le appoggiò le mani su entrambe le spalle, poi chinò la testa verso di lei.
“Purtroppo, cara, tuo padre è ferito molto gravemente, nemmeno il tuo potere di guaritrice potrebbe salvarlo.” Quelle parole, sussurrate così dolcemente, per lei furono dolorose come piombo fuso versato nelle orecchie.
Hevonie si guardò attorno e vide che il camino era spento e la stanza era gelida.
“No, io lo salverò. Adesso accendo il fuoco, non potrà mai guarire in questo posto così freddo.” Hevonie si alzò decisa, ma il padre la trattenne per una mano.
“Lascia stare figliola,” la sua voce era un sibilo. “Voglio morire tenendo la mano della persona che amo di più a questo mondo.”
Quelle parole assordarono Hevonie, che si mise seduta a fianco del padre e gli tenne stretta la mano, cercando di infondergli tutta l’energia e il calore di cui era capace.
“Padre, perché?” Disse piangendo. ”Lasciami almeno provare. Non puoi lasciarmi sola.”
Il padre le rivolse un debole sorriso, solo una leggera increspatura delle labbra.
“Non essere triste, figliola, la vita mi ha dato tanto e purtroppo altrettanto mi ha tolto. Ma tu sei sana e forte e farai in modo che tutto questo scempio, abbia fine.”
Hevonie strinse forte la mano del padre, che era sempre più fredda.
“Che cosa intendi dire?”
“Non c'è più tempo da perdere, devi andare a combattere i nostri nemici. Se non lo farai Malwen prenderà il sopravvento e si impossesserà di tutte le terre del regno, uccidendo chiunque cercherà d'impedirglielo. Questo non dovrà mai succedere, tu non lo devi permettere.”
Chiuse gli occhi e riprese fiato, le ultime energie lo stavano abbandonando.
“E cosa dovrei fare? Come posso combatterlo?” Chiese Hevonie angosciata.
Il padre cercò di celare la sua sofferenza.
“Hevonie, tu sei una persona speciale, hai il dono della Pura Magia. So di avere sbagliato con te, forse ho preteso troppo. Ma ora le cose sono cambiate e se crederai in te stessa, riuscirai a sconfiggerlo, ne sono sicuro.”
Hevonie rimase zitta, il padre fece un cenno a Zoelle e lei si avvicinò ad un pannello di legno che nascondeva una rientranza nel muro. Infilò la mano e ne tirò fuori quello che sembrava essere una scatola piatta. Era avvolta in una leggera pezza di lino, Zoelle la svolse e la porse a Hevonie che la guardò confusa, poi alzò gli occhi verso il padre.
L'uomo cominciò a parlare lentamente e sempre con maggiore difficoltà.
“Ricordati figliola, che tua madre discende da una stirpe di grandi maghi e nel suo sangue scorreva la Pura Magia. Tu sei sua figlia, hai ereditato le sue qualità e capacità, devi liberare le terre dal pericolo e governare con giudizio il regno,” si fermò di colpo per riprendere fiato.
“Una cosa è certa, quando Malwen morirà, sarà per mano mia,” disse risoluta Hevonie.
“Non lasciare che la rabbia e il rancore prevalgano nella tua mente, in questo modo vedrai le cose sotto una luce sbagliata,” l'ammonì il padre. “E compirai degli errori.”
“Malwen deve pagare per tutto il male che ha fatto.”
“Per questo volevo che ti applicassi nello studio della magia. Desideravo che un giorno, tu fossi in grado di affrontare qualsiasi minaccia, che avesse messo il regno in pericolo.”
“Dimmi cosa devo fare.”
Quello che tieni tra le mani, è lo Specchio delle Anime. Per due secoli è rimasto nascosto, è un oggetto preziosissimo. Questo è uno strumento che ti aiuterà nella tua lotta contro Darkebetz.”
Hevonie fissò il padre, senza dire una parola. Aveva sentito parlare di quello specchio, ma pensava si trattasse di una leggenda, mentre adesso era lì nelle sue mani. La sua mente era in preda ad un turbine di pensieri.
“Devi promettermi una cosa,” proseguì il re stringendole la mano ed appoggiandosi su un gomito, lo sforzo lo stava sfinendo, ma la sua voce era ferma e lo sguardo attento.
“Devi promettermi che combatterai Malwen e proteggerai le nostre terre e il nostro popolo,” poi cadde all’indietro, senza fiato mentre un rantolo gli uscì dalla gola.
“Padre!” Gridò Hevonie.
Zoelle era dietro di lei che si asciugava le lacrime nella manica del vestito.
“Promettimelo Hevonie!” Il re si aggrappò alle sue mani con una forza disperata. “Devi prometterlo, devi salvare il regno!”
“Te lo prometto,” le parole le uscirono in un soffio dalla bocca.
L’espressione del re sembrò perdere la tensione che l’aveva attanagliata fino a quel momento. Chiuse gli occhi ma continuò a parlare.
“Adesso devi riprendere la pietra di Koltrane, purtroppo per evitare che cadesse nelle mani di Malwen, uno dei nostri soldati l'ha portata da Oktar. E' un mago molto potente, quindi per prima cosa devi cercarlo, lui ti spiegherà anche come adoperare lo specchio.”
“Sì, padre, farò come vuoi tu,” la vista di Hevonie era offuscata dalle lacrime.
“Troverai molti nemici, dovrai stare attenta, molti dei nostri alleati sono ormai morti, cerca Oktar, lui ti aiuterà, fidati di lui, soltanto di lui.”
La voce del padre si era fatta un debole mormorio, il dolore deformò la sua faccia. Hevonie si sentì lacerare dentro, come se un potente artiglio le stesse strappando il cuore. Il re aprì un ultima volta gli occhi, Hevonie notò che erano lucidi e per la prima volta lo vide piangere.
In quell’istante Hevonie, ripensò ad una mattina d’estate, quando lei aveva sei anni. Si trovava nei giardini del castello e correva sul prato cercando di raggiungere sua madre. Si presero per mano ed insieme improvvisarono una danza a piedi nudi, sull'erba fresca.
Da lontano, il padre le guardava sorridendo, in quello sguardo Hevonie percepì tutto l’amore che provava per loro due. Era il suo modo di esprimere i suoi sentimenti, non andava oltre.
Dopo la morte della madre, non era più stato affettuoso con Hevonie, nel suo sguardo non aveva mai più ritrovato quella luce che gli aveva visto quel giorno negli occhi.
“Padre, ti volevo chiedere scusa per come mi sono comportata nei tuoi confronti,” mormorò Hevonie. ”Ti prego di perdonarmi.”
Il padre annuì, poi chiuse gli occhi.
“Ti prometto che farò tutto quello che posso per riportare la pace nel regno.”
Il volto del padre si rilassò e tutti gli affanni scomparvero dal viso.
“Kiriana,” sussurrò lievemente.
Hevonie non si meravigliò che l'ultima parola che proferì suo padre, fosse il nome della sua adorata moglie.
Il silenzio avvolse la stanza, come un gelido mantello. Hevonie lasciò andare le mani del padre e cominciò a singhiozzare in preda ad un dolore lacerante.
Zoelle lasciò che Hevonie si sfogasse, poi la scosse e disse.
“Cara, non c’è più niente che tu possa fare. Dobbiamo andare via, qui siamo in pericolo.”
Hevonie si alzò ed abbracciò forte Zoelle, le due donne rimasero così per lunghi momenti. Quando Hevonie si fu un po' calmata, disse.
“Dobbiamo seppellirlo, non possiamo lasciarlo così.”
“Ci penso io,” disse Towalce, che fino a quel momento aveva assistito alla scena in disparte.
“Puoi portarlo nella cripta. Per ora è l'unico posto dove lo possiamo sistemare,” suggerì Zoelle.
”Ma noi dobbiamo andare, non siamo al sicuro qui.”
Hevonie ancora esitava ad abbandonare suo padre, non poteva nemmeno rendergli i dovuti onori. Gli diede un ultimo sguardo, Towalce lo stava già avvolgendo delicatamente in un lenzuolo. Zoelle la prese per mano e la trascinò fuori dalla stanza. Insieme percorsero il corridoio fianco a fianco.
“Ti devo parlare,” disse Zoelle afferrandole un braccio.
Hevonie si fermò a guardarla e si passò il dorso della mano sul viso umido di lacrime.
“Tuo padre, dopo l'attacco, mi ha detto di riferirti alcune cose, nel caso non ti avesse più rivisto.” Zoelle parlava piano. ”Mi ha detto che lui ha le prove che Darkebetz è in procinto di tornare. Malwen ha radunato i suoi fedelissimi e vuole ritrovare il luogo di sepoltura dello spirito per riportarlo in vita.”
Hevonie era troppo scossa per la morte del padre, ma cercò di prestare attenzione alle parole di Zoelle.
“Quindi cara, non dobbiamo permettere a quel demonio di tornare in questo mondo. Tu devi fermarla.”
“Io? Ma non posso nemmeno usare la magia,” disse indicando il bracciale. ”Che cosa posso fare?”
“Infatti tuo padre ti ha detto di cercare Oktar, il vecchio mago di corte. Vedrai che ti aiuterà, è lui che conserva la pietra,” disse Zoelle. ”Ma devi sbrigarti, gli eventi stanno precipitando.”
Hevonie pensò al fatto che lei non era così abile come aveva creduto di essere, quello che le aveva chiesto suo padre, le sembrava un’impresa impossibile.
Strinse al petto lo specchio che le aveva dato il padre e il pensiero corse a sua madre, serrò gli occhi per impedire alle lacrime di scendere.
Era così agitata che per paura di farlo cadere, lo diede a Zoelle che lo infilò nella tasca esterna della sua veste.
Imboccarono la scala e mentre scendevano, sentirono sopraggiungere dal piano sottostante dei forti rumori.
“Presto, nascondiamoci.” Zoelle trascinò Hevonie in un anfratto e attesero in silenzio.
“Guarda chi abbiamo qui, la principessa con la sua fedele governante!” La voce di Malwen Rakomar, risuonò nella grande sala come un'eco.
“Gli Onsin avevano ragione,” proseguì beffardo. ”Hanno informato gli emissari della Legione Oscura, che stavi tornando a casa, evidentemente ti sei fatta dei nemici.”
Malwen attraversò la stanza e si diresse a grandi passi verso Hevonie, che spaventata, indietreggiò in cerca di un riparo.
“Vieni qua!” Le ordinò il mago mentre sfilava un frustino dalla cintura.
Hevonie rimase immobile, dove si trovava.
“Ti ho detto di venire qua!” L’ira gli devastava i tratti del volto scarno e rugoso.
Zoelle nel frattempo era stata bloccata da un uomo della Legione Oscura che la teneva per le braccia.
“Principessa, se non vieni qua subito, sarà peggio per te.” Malwen fece schioccare il frustino nell’aria.
“Andatevene,” urlò Hevonie furiosa. ”Siete degli assassini!”
Malwen con sguardo truce, si avvicinò, la prese per i capelli e la spinse contro il muro.
Alzò il braccio e con il frustino, la colpì in pieno volto, lasciandole un segno rosso sulla pelle. Malgrado sentisse la guancia in fiamme, Hevonie trattenne le lacrime.
“Ci è giunta voce che qui ci sia un oggetto che ci interessa, uno specchio, per essere precisi.” Malwen la guardò negli occhi. “Tu ne sai qualcosa?”
“Preferirei morire piuttosto che dirtelo,” mormorò Hevonie a denti stretti.
“In effetti questa è una delle opzioni che avevo preso in considerazione.”
Un’altra frustata la colpì sulla spalla destra, una chiazza di sangue impregnò il tessuto che la ricopriva. Hevonie avvertì una fitta di dolore acuto, ma non emise un solo lamento.
“Vedo che hai una buona resistenza, per essere una graziosa principessa,” disse Malwen con un sorriso crudele. ”Vediamo un po’ quanto resisti.”
Hevonie cercò nella pietra del fuoco un incantesimo da usare, ma a causa del dolore non riusciva a concentrarsi.
Impotente, guardò Malwen che le si avventava contro, brandendo il frustino.
La colpì con forza più volte sulle braccia e sulle gambe, lacerando sia la pelle che i vestiti. Hevonie sopportò in silenzio quella serie di colpi. Mai avrebbe dato a quell'essere spregevole la soddisfazione di vederla piangere.
Il sangue affiorava in tutti punti colpiti dalla furia selvaggia del mago, che come un invasato proseguiva a picchiare senza sosta.
Quando smise, Malwen ansimava dallo sforzo, Zoelle guardò in lacrime Hevonie, che giaceva a terra immobile e sanguinante.
“Maledetto, basta! Finirai per ammazzarla!” Gridò Zoelle cercando di liberarsi dalla presa del legionario. “Ce l'ho io lo specchio!”
Malwen si avvicinò alla donna. “Dimmi dov'è.”
“E' nella mia tasca,” disse Zoelle trattenendo a stento le lacrime.
Malwen fece cenno a uno dei suoi uomini di controllare e dopo pochi istanti, l'uomo tornò con un involucro e glielo porse. Hevonie osservava la scena sofferente e in uno stato di semi incoscienza.
Malwen prese la scatola e la aprì, un sorriso soddisfatto gli si disegnò sulle labbra.
“Bene a quanto pare la tua governante è più saggia di te, principessa,” affermò il mago mettendo lo specchio sotto il braccio. “Visto che io in fondo sono un galantuomo, non ucciderò questa donna, che ti ha salvato la vita. Ma con te non ho finito.”
Rivolgendosi a due dei suoi uomini, disse. “Portate la principessa nelle segrete.”
“E la vecchia?” Chiese uno dei due.
“Lei può andare, ci dovrà pur essere qualcuno che racconti in giro che cosa succede a chi si mette contro di noi,” gli uomini scoppiarono in una risata. ”Vai donna e sbrigati, prima che io cambi idea.”
Zoelle rimase immobile per qualche istante a guardare Hevonie, si morse le labbra, poi si voltò e se ne andò.
“Hai visto principessa? Persino la tua governante ti ha abbandonato,“ disse Malwen ridendo. ”Ora sei completamente sola. Potrei ucciderti in questo preciso momento, ma ho ricevuto l'ordine di non farlo, quindi per ora resterai chiusa nelle segrete del castello. Ho in serbo per te un trattamento speciale, dovresti sentirti onorata di questo.”
Hevonie non riusciva a muovere un muscolo, stava ferma ad ascoltare. Pensava che la promessa appena fatta a suo padre era già stata infranta.
Lei non sarebbe mai stata in grado di sconfiggere nessuno, tantomeno un essere demoniaco come Darkebetz.
Malwen gettò a terra il frustino sporco di sangue e se ne andò, mentre due degli uomini sollevarono Hevonie ormai svenuta e la portarono via.
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A Hevonie sembrò che il mondo le fosse crollato addosso. Solo il giorno prima era piena di speranza all'idea di tornare a casa. Mentre adesso si ritrovava sola e tremante, legata mani e piedi, in una cella del sotterraneo del castello.
Nessuno poteva ne sentirla ne aiutarla, ma tanto non sarebbe stata in grado di emettere un singolo suono. Sentiva male in tutto il corpo, aveva freddo, era scossa da continui brividi ed era ormai sicura, che tra non molto sarebbe morta.
Non riusciva a credere a quello che era successo, oltre alla sofferenza per la morte del padre, si aggiungeva il dolore che le martellava il corpo. Era piena di lividi e sentiva pulsare le tempie, perfino le catene ai polsi e alle caviglie le facevano male. Rinchiusa in quella cella, non riusciva a capire se fosse giorno o notte, nemmeno un filo di luce riusciva a penetrare gli spessi muri di grosse pietre, grondanti umidità.
Quanto tempo ancora sarebbe dovuto passare? Le sembrava di impazzire, le catene erano spesse e pesanti, era impensabile liberarsi. Se almeno fosse morta subito, sarebbe stato meglio di quella lenta agonia.
Dopo un tempo che le parve infinito, Hevonie sentì dei passi, pensò che fosse uno dei suoi carcerieri ed ebbe paura, poi vide una lama di luce insinuarsi nell’apertura della pesante porta di ferro. Il rumore del catenaccio che veniva sfilato, la fece rabbrividire ed infine la porta si aprì.
La luce gialla abbagliante di una torcia la obbligò a chiudere gli occhi, mentre la persona che la teneva in mano camminava verso di lei. Quando riaprì gli occhi, si ritrovò davanti Zoelle. Hevonie la fissò sorpresa. La donna la scrutò per alcuni istanti, poi scosse la testa.
“Pensavi davvero che ti avrei lasciata sola?” Esordì Zoelle, abbozzando un mesto sorriso. “Speravo ci fosse un po’ più di buonsenso in quella tua testolina. Non avresti dovuto fare l'eroina, adesso guarda come sei ridotta.”
“Non dovevi dargli lo specchio, era meglio la morte,” bofonchiò Hevonie, persino parlare le faceva male.
“Lo so, ma ti stava uccidendo. Tu non devi morire, hai ancora molte cose da fare.”
“Mi sento distrutta,” disse Hevonie.
”Adesso bevi un po’ d’acqua,” Zoelle prese una borraccia e gliela accostò alle labbra.
Hevonie bevve il liquido fresco, che le alleviò l’arsura della gola.
“Grazie, sei il mio angelo custode,” disse rivolgendole uno sguardo riconoscente.
“Io ti voglio molto bene, Hevonie. Sei la figlia che non ho mai avuto.”
“E tu con me ti sei sempre comportata come una madre.”
Zoelle, con un gesto delicato le scostò una ciocca di capelli dagli occhi.
“Adesso basta parlare. Non è il momento di fare le sentimentali.” Zoelle la esaminò alla luce della torcia.
“Non hai per niente un bell’aspetto. Hai tutta la parte sinistra del viso tumefatta, l’occhio è gonfio,” constatò Zoelle. ”E questo è solo quello che riesco a vedere!”
“Sento male ovunque.” Hevonie sentì salirle la nausea. ”Dov'è Towalce?”
“E' fuori a fare la guardia,” rispose Zoelle. ”Ce la fai a tirarti su?”
Hevonie si alzò, aiutata dalla donna che la sorreggeva per le braccia. Le sue gambe all'inizio cedettero, ma poi riuscì a mantenersi eretta sui suoi piedi.
“Come farai a liberarmi? Hai la chiave?”
“Certo,” rispose Zoelle con un sorriso. ”Towalce l'ha sottratta alla guardia che era qui fuori.”
“Immagino che quella guardia sia morta,” disse Hevonie.
“Immagini bene, cara.” Zoelle prese la chiave e la liberò dalle catene. Hevonie si massaggiò subito i polsi e le caviglie indolenziti e questo la fece sentire meglio.
“Come vedi non è stato difficile. Malwen se ne è andato con tutti i suoi uomini, lasciando di guardia due poveri disgraziati,” disse Zoelle. ”Presto, andiamo in camera tua.”
Zoelle sorreggendola, la aiutò a uscire dalla cella.
Dopo avere fatto lentamente il percorso fino alla camera di Hevonie, entrarono e si chiusero la porta alle spalle. Zoelle la fece sdraiare sul letto, prese una bacinella d’acqua e delle pezze di cotone.
Poi cominciò a ripulire dal sangue il giovane viso dai tratti delicati. Le si stringeva il cuore nel vedere quel volto a lei tanto caro, ridotto in quel modo. Ogni volta che le sfiorava una ferita, Hevonie stringeva i denti per il dolore.
”Grazie Zoelle, questa volta me la sono vista davvero brutta.”
La donna continuò a tamponare le ferite con delicatezza.
“Non ti avrei abbandonata per nessuna ragione al mondo.”
“Pensavo di essere spacciata per davvero.”
Fece una smorfia di dolore quando la donna le toccò un taglio sulla spalla.
“Ma così non è stato, tu sei un essere speciale, tua madre era come te. Se non fosse morta, forse ti saresti comportata in un altro modo.”
Hevonie rifletté su quelle parole e capì che Zoelle aveva ragione. Il suo comportamento ribelle non era altro che il suo urlo di dolore per la morte di sua madre.
“Ti ringrazio Zoelle, tu mi hai sempre protetto, adesso che mio padre è morto, cambierò e terrò fede alla mia promessa.”
“Brava, questo è quello che voglio sentirti dire.”
Hevonie si appoggiò lentamente sui gomiti.
“Pensi che ce la farò? Sono già un rudere,” disse Hevonie schernendosi.
“Io non ho speso tanti anni a crescere una ragazza bella e intelligente come te, per niente. Tu sei ancora inesperta, ma sono sicura che con la giusta guida diventerai molto potente. Quindi tu stanotte lascerai questo posto da infelice, ma tornerai da vincente.”
“Mio padre mi ha detto che devo cercare Oktar. Tu verrai con me?”
“Mi piacerebbe cara, ma io ormai sono vecchia e stanca, sarei solo un fardello per te. Tu devi percorrere il tuo cammino, il mio ormai è arrivato quasi al termine. Poi voglio cercare i sopravvissuti ed aiutarli, dobbiamo creare un gruppo di resistenza.”
“Oh, Zoelle.” Hevonie la abbracciò forte ed entrambe piansero calde lacrime.
“E poi c'è quel bel giovane là fuori che ti aspetta,” sorrise maliziosa Zoelle.
“Towalce? Ma è solo un amico,” disse Hevonie arrossendo.
Zoelle non aggiunse nulle e la accompagnò all'entrata, dove Towalce stava aspettando appoggiato ad un muro. Quando Hevonie lo vide, ebbe un tuffo al cuore. Era di profilo con i capelli scarmigliati e lo sguardo pensieroso, il suo cuore si riempì di gioia nel vederlo. Towalce si voltò verso di lei e la guardò. Dopo un attimo d'esitazione, sorrise e le andò incontro.
“Come stai?” Le chiese. ”Sono contento che tu sia ancora viva.”
“Come vedi, ho la pelle dura,” rispose lei felice di rivederlo.
Ma appena ebbe pronunciate quelle parole Hevonie cadde a terra, incapace di reggersi in piedi.
“Non è niente,” disse cercando di risollevarsi.
“Sei troppo debole. Il tuo fisico non reggerà a lungo. Devi riposarti!” Esclamò Zoelle.
“No, non posso. Ho troppe cose da fare.”
Hevonie afferrò la mano che Towalce le tendeva, ma un capogiro la costrinse a fermarsi.
“Non ce la puoi fare, combinata così,” disse Zoelle.
Ma all'improvviso ebbe un'idea.
”So chi ti può aiutare, la marchesa Debasse. Risiede in un magnifico palazzo non lontano da qui. E' un posto sicuro, dove potresti stare per un breve periodo, in attesa di riprenderti.”
“Ma non posso perdere tempo. Malwen non aspetterà i miei comodi,” protestò Hevonie.
“Zoelle ha ragione,” intervenne Towalce. Sei in condizioni pietose, devi prima recuperare le forze, qualche giorno di riposo, non farà la differenza. Se ti ammali e muori, tutte le vittime di questi massacri, non otterranno mai giustizia.”
Davanti a delle argomentazioni così convincenti, Hevonie non seppe cosa ribattere. E quando cercò di dire qualcosa, tutto ruotò intorno a lei facendola sprofondare nel buio.
Quando Hevonie si risvegliò, si ritrovò sdraiata nel suo letto, mentre Zoelle stava impacchettando i suoi vestiti.
Che cosa è successo?” Chiese Hevonie intontita.
“Sei svenuta,” disse Zoelle avvicinandosi, quindi le passò la mano sulla fronte. “Adesso come ti senti?”
"Meglio, lascia che ti aiuti," ma appena si mosse, un forte capogiro la bloccò.
"Non ci pensare nemmeno. Tu devi stare tranquilla, ci penso io," disse Zoelle.
Hevonie adagiò la testa sul cuscino e si guardò intorno, era nella sua camera e osservò gli oggetti a lei cari e che avrebbe dovuto lasciare.
“Siamo stati fortunati, alcuni dei nostri sono riusciti a salvarsi,” annunciò Zoelle. “Giù c'è la carrozza pronta per partire e c'è anche il cocchiere.”
“Che cosa mi succede?” chiese Hevonie. “Non mi sento bene per niente.”
“Guardati le dita,” disse Zoelle mentre le si avvicinava.
Hevonie sollevò entrambe le mani e vide che le punte delle sue dita erano bluastre.
“Sono stata avvelenata!” Urlò spaventata.
“Non ti agitare,” le disse dolcemente Zoelle. “Se fosse veleno, saresti già morta. Sembra più una sostanza tossica che, anche se lentamente, sta agendo. La frusta di Malwen doveva esserne intrisa. Per questo devi andare subito dalla marchesa Debasse, li troverai assistenza e cura.”
Hevonie rimase a fissarsi le mani incredula.
Quando ebbe finito di sistemare tutto, Zoelle chiamò il cocchiere per portare giù i bagagli.
Hevonie, con molta fatica, indossò i suoi vestiti da viaggio e i suoi stivaletti da cavallerizza. Towalce entrò nella stanza, la prese tra le braccia e la sollevò.
Zoelle li accompagnò all'ingresso. La carrozza, alla quale erano legati due possenti cavalli, stava attendendo nel cortile.
Vicino a essa c'erano una decina di soldati a cavallo armati di spade e protetti da corazze di ferro. Towalce aiutò Hevonie a salire sulla carrozza, mentre il cocchiere aspettava l'ordine di partire. Zoelle stava impartendo disposizioni a tutti quanti.
Era quasi mezzogiorno, quando Hevonie e Towalce si salutarono con un abbraccio.
“Io non posso venire,” disse Towalce. “Devo tornare da Delmus ed informarlo di quello che è successo. Questi soldati ti scorteranno fino al palazzo della marchesa, appena avrò finito, verrò da te.”
Hevonie annuì debolmente, poi chiuse gli occhi e appoggiò la testa sul sedile.
Zoelle sospirò e porse a Towalce una piccola borsa con dentro del cibo e dell'acqua.
“Mi raccomando, fai attenzione,” gli disse la donna.
“Grazie Zoelle, non ti preoccupare raggiungerò Hevonie appena possibile,” la rassicurò Towalce prendendo la borsa e mettendosela a tracolla.
“Ti ringrazio per esserti preso cura di lei finora,” disse Zoelle.
“Deve essere il mio destino scortare la principessa,” sorrise Towalce.
Poi montò a cavallo e si allontanò al galoppo, finché divenne un puntino nero all'orizzonte.
”Ricordati Hevonie che tu hai ereditato il potere di tua madre, che è stata una grande maga,” disse Zoelle quando furono sole. “E adesso questo potere è dentro di te, lo devi cercare e sviluppare.”
“Non è passato un giorno in cui non sentissi la sua mancanza,” ammise Hevonie. ”Mi chiedo perché il destino sia stato così crudele.”
“Ci sono avvenimenti che nella vita non si possono ne scegliere ne evitare. Per questo tu dovrai imparare a dominare il tuo potere per non lasciare ad altri la possibilità di scegliere per te.”
“Vedrai che quando avrò recuperato la pietra, le cose cambieranno.”
“Le guardie reali ti scorteranno fino al palazzo, due di loro andranno in avanscoperta per avvisare la marchesa del tuo arrivo. Ricordati di passare l'unguento che ti ho dato sulle ferite, aiuterà la guarigione.”
Hevonie annuì e sorrise.
“Non ti preoccupare ho tutto quello di cui ho bisogno. Andrà tutto bene, vedrai.”
Zoelle la guardò con tenerezza e disse.
“Lo so, cara, ma se non mi preoccupo io per te, chi dovrebbe farlo?“
“Oh Zoelle, sei tanto dolce! Mi mancherai tanto.”
Hevonie pensò a suo padre e all'enorme vuoto che la sua morte le aveva lasciato. Abbracciò Zoelle che dopo chiuse lo sportello, ma Hevonie si affacciò dal finestrino. Si salutarono stringendosi ancora una volta la mano, poi la carrozza si mosse. Hevonie si voltò un ultima volta a guardare quella che per diciotto anni era stata la sua casa.
Quel castello dal quale voleva continuamente fuggire e che ora non avrebbe mai voluto abbandonare. Salutò Zoelle con un cenno della mano e si lasciò cadere sul sedile imbottito, si sentiva debole e le girava la testa.
La carrozza intraprese il suo percorso nel freddo pomeridiano. La strada sterrata fece sobbalzare spesso il veicolo e Hevonie sentiva scosse di dolore ad ogni buca o dosso. Costeggiarono il fiume che attraversava la città, poi si inoltrarono nelle campagne desolate.
Mentre viaggiava, Hevonie si chiese che cosa avrebbe trovato al palazzo della marchesa. Finalmente dopo tre ore di viaggio, passate per lo più a dormire, raggiunse il grande cancello che delimitava la tenuta. Due guardie armate si avvicinarono alla carrozza e scambiarono qualche parola con il cocchiere, diedero un'occhiata all'interno e chinarono la testa quando videro la principessa.
Hevonie contraccambiò il saluto con un cenno del capo. Poi le due guardie si avviarono verso il cancello e lo aprirono, permettendo alla carrozza di procedere lungo il viale alberato che portava diritto verso la dimora della Marchesa Debasse.
Il parco era vasto e lo sguardo spaziava lungo i maestosi alberi che costellavano la tenuta. Il magnifico palazzo sorgeva su un terreno leggermente in salita, in perfetta armonia con la natura circostante.
Hevonie era incantata da una simile visione. La natura non finiva mai di sorprenderla. Le sembrò quasi di sentirsi un po' meglio. All'ingresso c'erano parecchie persone impegnate nei più diversi compiti, una parata di guardie e servitori aspettava in file ordinate. Hevonie fu lieta di vedere un simile comitato d'accoglienza a riceverla, dopotutto, lei era ancora la principessa di Kosworth.
Probabilmente la marchesa era stata avvisata del suo imminente arrivo. Hevonie si preparò a ricevere i dovuti onori, scese dalla carrozza aiutata da una delle guardie e si sistemò il vestito leggermente stropicciato, poi attese. Dal gruppo di servitori, si staccò una donna che le si avvicinò sorridendo.
"Benvenuta principessa," disse la donna, con un inchino. "Spero abbiate fatto un buon viaggio."
"Grazie, è andato tutto bene,” rispose Hevonie, malgrado si sentisse parecchio sofferente.
"Io sono Glonach, la governante. Spero non badiate al subbuglio, ma stiamo aspettando un ospite importante, che giungerà a breve."
“Davvero?” Esclamò Hevonie sorpresa. Quando capì che tutta quella parata non era stata preparata per lei, cercò di nascondere il disappunto.
“E chi sarebbe questo ospite così importante?” Chiese Hevonie.
“E' il duca di Colwan, la marchesa ci tiene molto a fare una buona impressione su di lui,” rispose la governante sempre sorridendo.
Nonostante la delusione per essere stata messa in secondo piano, Hevonie non riuscì a prendere in antipatia Glonach, che si presentava come una donna schietta ma gentile.
"Capisco," disse Hevonie. "So cosa significa ricevere ospiti importanti. Al castello di Kosworth, davamo spesso grandi ricevimenti."
"Bene. Per qualsiasi cosa, chiedete pure a me, sarò a vostra disposizione,” affermò Glonach con spontaneità.
"Vi ringrazio molto,” rispose Hevonie.
"Se volete seguirmi, manderò al più presto due domestici a occuparsi dei vostri bagagli."
Hevonie seguì Glonach a fatica, ma almeno riusciva a camminare con le sue gambe. Attraversarono un vasto salone affrescato, dove Hevonie si soffermò per riposare qualche istante, poi andò alla finestra per ammirare la veduta esterna.
Il paesaggio era meraviglioso, le colline in lontananza erano la degna cornice di quella natura incontaminata.
Attraversarono diverse sale, una più incantevole dell'altra e Hevonie notò che i mobili erano di raffinata fattura e molto lussuosi.
"Questa è la residenza invernale della marchesa," disse Glonach. "È divisa in due grandi ali, una è quella padronale e l'altra è quella riservata agli ospiti.
"Pensavo che Kosworth fosse grande ma questa residenza è di dimensioni notevoli,” constatò Hevonie impressionata.
"In effetti molti ospiti rimangono colpiti dalla grandezza, oserei dire che è quasi una tenuta,” disse compiaciuta Glonach.
Hevonie sapeva bene l'importanza della prima impressione.
Le persone avevano bisogno di vedere i simboli del potere.
I nobili facevano a gara per costruire le residenze più sontuose, usando i materiali più pregiati.
Lo facevano anche a costo di contrarre numerosi debiti, tanto che alcuni di loro alla fine erano costretti a svendere quei lussuosi palazzi per far fronte ai creditori.
Mentre camminavano, Hevonie osservò i servitori vestiti con le loro belle livree di velluto blu, impreziosito da ricami argentati. Davano un'immagine ineccepibile di quello che doveva essere il tenore di vita di quella casa.
Hevonie si fermò ancora a guardare fuori da una finestra, dalla quale poteva vedere il bel rivestimento della facciata del palazzo. I muri erano di levigati lastroni di pietra rosa, con delicati intarsi, che incorniciavano le finestre.
Quando riprese il cammino Hevonie notò che il pavimento era costituito da un favoloso mosaico, che rappresentava una scena campestre. Per paura di rovinarlo si fermò, ma quando vide che Glonach lo calpestava senza problemi, fece altrettanto.
Salirono una magnifica scalinata di marmo e incrociarono diversi servitori che saettavano velocemente, chi in una direzione chi in un'altra.
Il duca doveva essere una persona davvero importante per creare tutto quel movimento. Finalmente dopo avere percorso un lungo corridoio, arrivarono davanti ad una grande porta. Glonach prese una chiave e la aprì.
“Queste sono le vostre stanze principessa, dimorerete qui per tutta la durata del vostro soggiorno,” disse Glonach mentre entrava. Hevonie la seguì zoppicando.
“Qui ci sono un piccolo studio e la stanza da letto,” Glonach mostrava le stanze a Hevonie che si limitò a stare ferma a guardare. “Da questa parte c'è la cabina dei vestiti e infine la stanza da bagno. Vi piace?”
Hevonie osservò per alcuni momenti il luogo dove avrebbe abitato, le stanze erano tappezzate con tessuti dai tenui colori pastello e i mobili erano solidi e pregiati, con finiture d'oro zecchino. Le tende alle finestre erano azzurro pallido come il copriletto e i cuscini.
Guardò fuori dalla finestra e notò che la veduta era magnifica e si affacciava su un incantevole giardino fiorito.
Hevonie era così assorta nell'osservare il nuovo ambiente che non sentì Glonach parlare.
“Allora?” Chiese Glonach premurosa. “Vi piace?”
“Cosa? Ah si, certo, mi piace molto, grazie,” rispose Hevonie impacciata.
“Bene, allora io vado. Ho molte cose da fare,” annunciò Glonach. “Se avete bisogno di me, fatemi chiamare.”
“D'accordo, ma adesso cosa succede?” Chiese Hevonie.
“Riposatevi un po', siete libera di fare quello che volete. Tra poco arriverà un dottore che vi visiterà. Quando vi sentirete meglio, potrete fare un giro per il palazzo. Vedrete, riserva molte sorprese.”
Glonach uscì dalla stanza, lasciando Hevonie spaesata. Subito dopo le furono consegnati i bagagli e una cameriera cominciò a sistemarle i vestiti. Hevonie approfittò del letto invitante, si tolse gli abiti e si infilò sotto le lenzuola fresche di bucato. Il suo corpo martoriato provò un improvviso sollievo e nel giro di qualche minuto si addormentò.
Hevonie trascorse quasi una settimana a letto, le venivano serviti i pasti in camera e riceveva la visita quotidiana di un dottore e della marchesa che s'informava sul suo stato di salute.
Le ferite si rimarginarono e tutto il suo corpo si rigenerò velocemente grazie al riposo. Anche l'intossicazione svanì del tutto. Quando si risvegliò un pomeriggio, sentendosi molto meglio, si alzò e avvertì il bisogno di muoversi un po'.
Ancora intontita per via del lungo riposo, cercò di raccogliere le idee.
Guardò fuori dalla finestra e vide che il cielo era imbrunito. Non avendo più voglia di riposare, decise di fare un giro per il palazzo.
Si rinfrescò e si cambiò l'abito mettendosi qualcosa di discreto e comodo. Uscì dalla stanza e discese le scale, rifacendo il percorso inverso di quando era arrivata.
Si meravigliò di trovare già familiare quell'ambiente appena conosciuto. C'era ancora abbastanza luce fuori, quindi decise di approfittarne per fare una passeggiata in mezzo a quei giardini spettacolari, aveva voglia di muoversi dopo la lunga degenza a letto. I dolori si erano in parte attenuati e nel giro di pochi giorni, sarebbe stata in grado di ripartire per cercare Oktar.
Rincuorata da quel pensiero, respirò l'aria fresca che la ritemprò, poteva sentire il profumo di fiori che si espandeva tutto intorno. Hevonie vide altra gente che passeggiava lungo i sentieri, si trattava per lo più di gruppetti formati da due o tre persone.
Notò che quando s’incrociavano tra di loro si salutavano con profondi inchini, e questo succedeva anche se si erano appena incontrati qualche minuto prima. Quel comportamento lezioso, diffuso a corte, visto da una diversa prospettiva, le sembrò ridicolo.
Vide che alcuni di loro, la guardavano, forse si chiedevano chi fosse la misteriosa fanciulla che passeggiava tutta sola nel parco. Hevonie ridacchiò tra sé.
Il fatto di sentirsi di nuovo in salute, le metteva addosso una meravigliosa sensazione di benessere. Malgrado questo, però aveva voglia di stare da sola.
Per evitare di incontrare qualcuno che potesse riconoscerla, prese un vialetto apparentemente deserto, che portava verso l'esterno del parco.
Hevonie raggiunse una fontana, così grande da contenere un enorme gruppo scultoreo, dal quale zampillava l'acqua, in rumorosi scrosci. Al suo interno nuotavano diversi pesci, di notevoli dimensioni, sulle cui squame si creavano dei bellissimi riflessi colorati. Notò una bella ragazza seduta sul bordo della fontana che stava buttando dei piccoli bocconi di cibo nell'acqua.
Due ragazzi erano in piedi di fianco a lei e sembravano assorti in una conversazione divertente. Uno di essi indossava una parrucca bianca e aveva modi molto affettati, mentre l'altro era alto, con spalle larghe e folti capelli biondo scuro.
La ragazza seduta lanciava occhiate furtive ai due uomini ed emetteva una serie di risolini.
Hevonie s'immaginò che il ragazzo con la parrucca fosse innamorato della ragazza, ma lei in realtà ambiva a catturare il cuore del bel tenebroso. Che purtroppo, non la amava, perché lui poneva la sua libertà dinanzi all'amore.
Hevonie si sorprese di se stessa a immaginare tutte quelle sciocchezze. Quindi si voltò per riprendere il suo cammino, ma dopo pochi passi, si trovò la strada sbarrata da un guardiano.
“Mi spiace milady, ma non potete proseguire oltre, la strada è interrotta per i preparativi della festa.”
“Quale festa?” Chiese Hevonie.
“La festa per il compleanno della marchesa, si stanno approntando i giochi d'acqua lungo tutte le fontane del parco.”
“Capisco,“ rispose Hevonie.
Riprese il sentiero, ma si accorse che doveva per forza passare accanto alla ragazza e ai suoi due accompagnatori. Accelerò il passo per cercare di superarli, senza doversi fermare.
L'avvicinarsi di Hevonie fu subito notato dalla ragazza che voltò la testa nella sua direzione. A questo punto non poté evitare di salutarli, quindi si preparò a uno scambio di convenevoli.
Notò che la fanciulla aveva un volto familiare, mentre non riusciva a vedere i due ragazzi in faccia, in quanto erano voltati. Le parve che la ragazza la squadrasse attentamente, poi vide un guizzo nei suoi occhi, la sua espressione cambiò, si alzò in piedi e si diresse verso di lei.
“Hevonie?” Le chiese ansiosa. ”Sei tu?”
“Katlin?” Hevonie riconobbe la sua amica, che non vedeva dal giorno della sua cacciata dal castello.
“Ma cosa ti è successo?” Katlin la osservava attentamente e lei capì il perché, il suo aspetto non doveva essere dei migliori, con il viso ancora gonfio e graffiato.
Le due ragazze si scambiarono un abbraccio affettuoso.
Vedendola così elegante e in quel contesto, Hevonie la trovò diversa, più adulta.
“Posso presentarti il duca di Colwan?” Chiese Katlin indicando il ragazzo dai capelli biondi.
Quando il ragazzo si voltò Hevonie rimase di sasso.
Davanti a lei con un'espressione divertita stampata sul viso, c'era Towalce.
“Il duca di Colwan?” Esclamò sorpresa.
“A dire il vero io sono il figlio, ma porto il suo stesso titolo nobiliare,” spiegò Towalce. “Hai scoperto il mio segreto, comunque sono contento di vedere che ti sei rimessa.”
Gli occhi di Towalce erano diretti e interessati, fece un inchino e le prese la mano, sfiorandola con un bacio. Questo semplice gesto ebbe il potere di turbare Hevonie, che sentì il rossore salirle alle guance.
“Vedo che stai meglio,” disse osservandola attentamente.
“Sì, adesso sto bene.”
“Towalce mi ha raccontato della vostra avventura,” disse Katlin. ”Deve essere stata emozionante!”
“Abbastanza,” Hevonie si sentiva confusa.
“Questo invece è il barone Templestone, mio cugino,” proseguì Katlin presentando il ragazzo con la parrucca bianca.
“E' un onore conoscervi, principessa,” disse il barone facendo un inchino molto profondo, accompagnato da un elaborato gesto della mano.
Hevonie rispose con un cenno del capo e notò che uno spesso strato di cipria ricopriva le guance del barone, oltre ad essere stordita dal forte profumo che emanava.
“Ho chiesto di te diverse volte alla marchesa, ma non mi è stato permesso di venirti a trovare,” si lamentò Katlin.
“Non ti preoccupare,” la rassicurò Hevonie. “Nello stato in cui mi trovavo, non avrei avuto la forza di parlare con qualcuno.”
“L'importante è che tu ti sia ripresa, così potrai apprezzare le delizie di questo luogo.” Katlin le lanciò uno sguardo malizioso, che Hevonie non comprese.
“A dire il vero questa è una sorta di convalescenza forzata, dopo il trattamento che Malwen Rakomar mi ha riservato,” disse Hevonie indicando il suo viso.
“Lo sospettavo che era un vile traditore, non mi è mai piaciuto,” esclamò Katlin. ”Devi raccontarmi tutto, muoio dalla voglia di sapere cos'è successo.”
“D'accordo. E tu come mai sei qui?” Chiese Hevonie.
“Devi sapere che mio padre si è molto arrabbiato con me quando ha scoperto le nostre imprese. Pensa che voleva mandarmi in quell'orribile collegio della Vera Magia! Poi quando i demoni hanno attaccato alcuni villaggi vicini, mi ha dirottato dalla marchesa per sicurezza. Ma qui il clima è l'opposto di quello che mi aspettavo, mi sto divertendo molto e si incontra gente interessante,” disse Katlin lanciando uno sguardo di soppiatto a Towalce.
Hevonie cercò di ignorare la cosa e domandò.
“Avete notizie di come vanno le cose la fuori? Da quando sono qui non so più nulla.”
“Purtroppo Malwen e il suo esercito di demoni continua a terrorizzare la gente, si cerca di arginare il pericolo,” rispose Towalce. “Il Concilio dei maghi sta cercando una soluzione, ma da quando tuo padre è morto, è l'esercito ad avere assunto il potere.”
“Volevo dirti che mi dispiace tanto per tuo padre,” disse Katlin. “Davvero.”
“Tuo padre è stato un grande re,” aggiunse il barone.
“Vi ringrazio,” mormorò Hevonie.
“Adesso cerca di riprenderti, vedrai che la bella atmosfera di questo posto ti aiuterà,” proseguì Katlin.
“Già il fatto di avere ritrovato te e Towalce è fondamentale,” disse Hevonie.
“Adesso basta parlare di cose tristi,” s'intromise il barone con tono solenne.
“Hai ragione,” convenne Katlin prendendo per un braccio Hevonie e trascinandola via. “Adesso se ci volete scusare, vorrei scambiare qualche parola in privato con la mia amica”
“Spero più tardi di rivederti, principessa,” disse Towalce.
“Certamente duca,” lo schernì Hevonie. ”Penso che tu mi debba qualche spiegazione.”
Dopo essersi congedate, Katlin e Hevonie camminarono fianco a fianco lungo il sentiero che portava verso il palazzo.
“Che cosa pensi del duca di Colwan?” Chiese Katlin all'improvviso.
“Vuoi dire Towalce?” Domandò Hevonie non essendo abituata a sentirlo chiamare in quel modo. ”Perché lo vuoi sapere?”
“Te lo dico dopo, prima dimmi cosa ne pensi,” insistette Katlin.
“Towalce è' indubbiamente un bel ragazzo, è coraggioso e probabilmente è anche ricco, non si potrebbe chiedere di meglio,” disse Hevonie nervosa.
“Ricco? Stai scherzando, ha possedimenti in tutto il regno.”
“Lo so, in passato ho conosciuto suo padre. Ma non sapevo che lui fosse il figlio,” ammise Hevonie. “Mi ha taciuto la sua vera identità.”
“Ti confesso che mi piace molto,” ammise Katlin. “Ha un modo di fare che mi fa impazzire.”
Hevonie riconobbe che il ragazzo che si era trovata davanti poco fa, era completamente diverso da quello che lei conosceva. Se lo avesse incontrato per la prima volta, in quelle circostante sicuramente lo avrebbe visto sotto un altro aspetto.
“E lui? Ricambia le tue attenzioni?” Chiese infine.
“E' questo il problema. Non lo so proprio,” rispose Katlin. “E' sempre gentile e affabile, ma purtroppo vedo che lo è con tutti. Devo ammettere che non vedo un particolare interesse nei miei confronti.”
Hevonie non disse niente.
“Ma non ti ho detto la cosa più importante di lui,” continuò Katlin con fare cospiratorio.
“E sarebbe?”
“Si dice che si sia ribellato al padre. Lui voleva che seguisse le sue orme, invece Towalce ha preferito diventare un cavaliere al servizio del Concilio dei maghi. La sua scelta è stata molto criticata nell'alta società, ma lui ha fatto esattamente quello che ha voluto, non tenendo in nessun conto i giudizi degli altri.”
Hevonie adesso cominciava a capire come stavano le cose.
Infatti, non lo aveva mai incontrato durante nessuna cerimonia di corte, al contrario del padre, che invece aveva già visto diverse volte.
“Io penso che nella vita ognuno debba fare quello che vuole, nel rispetto degli altri,” commentò Hevonie. “Io stessa ho subito delle discriminazioni. Ovunque vada si dicono cose negative su di me.”
“Però nel tuo caso, qualcosa di vero c'è.”
Vedendo l'occhiataccia che Hevonie le lanciò, Katlin si affrettò a dire. “Ovviamente ingigantito dalle maldicenze.”
“Non ti preoccupare, so quello che ho... anzi che abbiamo combinato finora, a volte mi chiedo dove trovo questa capacità di cacciarmi continuamente nei guai. Deve essere innata. Comunque, bisogna stare attenti a distinguere i pettegolezzi dalle accuse,” concluse Hevonie.
“Senti, io riferisco solo quello che si dice di lui. Ti ho messo in guardia, poi sta a te trarne le giuste conclusioni.”
“Ho capito, ti ringrazio dei consigli. Ma ti assicuro che Towalce è il ragazzo migliore che abbia mai conosciuto,” la voce di Hevonie era risoluta.
Katlin sorrise e la prese sottobraccio, poi insieme entrarono nel palazzo.
Le luci all'interno erano già state accese e creavano una calda atmosfera dorata. Hevonie si preparò a passare la sua prima serata nel palazzo della marchesa Debasse.
“Penso che dovresti indossare la gonna azzurra insieme a quel bustino con lo scollo a cuore, stasera,” suggerì Katlin, squadrando Hevonie mentre si stava vestendo.
“Alla cena di gala? Stai scherzando, non ho nessuna intenzione di mettere in imbarazzo la marchesa,” esclamò Hevonie risoluta. ”Quel bustino è troppo sfacciato per un'occasione simile.”
“Non è una cosa così strana come credi, ultimamente anche la contessa di Bronges ha mostrato generose scollature e ti assicuro che tutti gli sguardi erano puntati su di lei.”
“Sicuramente sguardi di disapprovazione,” affermò Hevonie. “Non sono venuta qua per mettermi in evidenza, anzi meno mi farò notare e meglio sarà.”
“Hai la possibilità di conoscere molti giovani interessanti, tra i quali potresti incontrare l'uomo della tua vita.”
“Ti prego, smettila con questi discorsi,” disse Hevonie alzando gli occhi al cielo. “Ti ricordo che la mia visita qui, non è di piacere, ma è un soggiorno dovuto alle mie condizioni di salute. La marchesa è stata molto gentile ad ospitarmi e io mi devo comportare nel migliore dei modi, senza creare nessuna situazione imbarazzante.”
“Come vuoi, ma almeno metti questi nei capelli.” Katlin tolse da una scatola smaltata dei nastrini colorati e impreziositi da piccole gemme. Li porse a Hevonie che li prese tra le mani e li osservò.
“Sono all'ultima moda, tutte le ragazze dell'alta società, ne fanno un grande uso,” la incitò Katlin.
“Ti ringrazio, ma non li voglio,” rifiutò Hevonie con cortesia. ”Ho deciso che il mio aspetto dovrà essere il più sobrio possibile. Anche per rispetto a mio padre.”
“Tuo padre ti vorrebbe vedere bellissima e contenta,” ribatté Katlin. “Sei diventata noiosa, non ti riconosco più.”
“Vorrei ricordarti che anche Rosik è morto.”
Katlin si morse le labbra e disse.
“Questo non è giusto. Lo sai che Rosik era anche amico mio e quando ho saputo della sua morte, ho pianto per due giorni. E non ho praticamente mangiato per una settimana. Ma adesso mi sono rassegnata e voglio continuare a vivere, questo non toglie che io non soffra per la sua mancanza.
Katlin aveva gli occhi pieni di lacrime e li chiuse per impedirsi di piangere.
“Mi piacevi di più prima, adesso sei diventata troppo seria,” sbottò infine.
Hevonie pensò che la stessa osservazione gliela aveva già fatta Towalce tempo prima e probabilmente era vera. Si guardò allo specchio e in effetti non si riconosceva più in quel vestito tutto fronzoli da damina.
Il suo volto portava ancora i segni delle percosse subite, sulla sua guancia spiccava un taglio rosso, i cui bordi si stavano cicatrizzando. Con la punta delle dita lo sfiorò chiedendosi se sarebbe mai andato via. Il suo viso era scarno e pallido e in alcuni punti ancora gonfio. Si vedeva sciupata e aveva perso peso nell'ultimo periodo. Stentava a identificarsi nell'immagine che lo specchio le rimandava.