LA PIETRA MAGICA
Romanzo fantasy
PAOLA CAMBERTI
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Indice
L'alba era sorta da poco quando Hevonie Heronberg aprì la porta della sua stanza e uscì nel corridoio buio e silenzioso. Indossava un completo da cavallerizza, costituito da una larga gonna, una blusa e una leggera mantellina.
In una mano stringeva una piccola torcia accesa e nell'altra teneva per le stringhe un paio di stivaletti di cuoio. Cominciò a percorrere il corridoio in punta di piedi evitando di fare il minimo rumore. Nei suoi diciotto anni di vita trascorsi nel castello di Kosworth, aveva imparato che molti dei suoi abitanti avevano il sonno leggero. E più di una volta aveva dovuto giustificare le sue uscite fuori programma. Ma la persona che temeva di più era Zoelle, la sua governante. Era difficile farla franca con lei perché si accorgeva subito quando qualcuno le mentiva.
Si affrettò lungo l'ampio corridoio, con le tante porte chiuse che si affacciavano su entrambi i lati. Le candele che erano state accese la sera prima erano ormai consumate.
Le finestre avevano ancora le tende tirate, che non permettevano al chiarore mattutino di penetrare.
I suoi passi felpati, erano attutiti dalla lunga passatoia di morbido tessuto che ricopriva il pregiato pavimento di marmo per tutta la sua lunghezza. A ogni svolta e intersezione Hevonie si fermava ad ascoltare se c’era qualcuno.
Fortunatamente a quell'ora la maggior parte dei servitori stava ancora dormendo.
Ma sapeva che un ulteriore ostacolo ai suoi piani di fuga se ne andava in giro liberamente per i corridoi del castello. Si trattava dello Spiocchio, un nuovo dispositivo magico che suo padre aveva fatto costruire in seguito al suggerimento del mago di corte. Era costituito da un grande occhio di vetro, dotato di piccole ali che grazie a un incantesimo poteva volare e tutte le immagini che captava venivano viste in tempo reale dai sorveglianti preposti a questo incarico.
Hevonie trovava questa misura di sicurezza davvero seccante, perché da quando quell'aggeggio era in circolazione, doveva fare ancora più attenzione alle sue mosse.
Si assicurò che la via fosse libera, quindi continuò a percorrere il corridoio, in fondo al quale c'era il grande scalone di marmo. Lo discese ed entrò in un'altra ala del castello. Ampie finestre permettevano la vista sui magnifici giardini posti dietro l'edificio, circondati da alte siepi verdi, oltre il quale si estendevano grandi campi coltivati.
Arrivò davanti ad una piccola porta, che rappresentava un'uscita secondaria del castello e la spalancò.
“Dove credi di andare?” Zoelle si parò davanti a lei con le braccia incrociate sul petto.
Hevonie trattenne a stento un urlo di sorpresa.
“Allora?” Insistette la donna.
“Stavo andando alle scuderie,” rispose Hevonie, sapendo che era inutile mentire.
“E perché mai?” Chiese Zoelle.
“Volevo fare una cavalcata.”
“Sai che giorno è oggi?”
“E' importante saperlo?”
“Direi di sì,” disse Zoelle. “Poiché oggi è il giorno della Questua.”
Hevonie sbiancò. La Questua era l'appuntamento mensile al quale il padre l'aveva obbligata a partecipare ormai da qualche mese.
“Oh no, ti prego,” la supplicò Hevonie. “Non posso saltarla?”
“Stai scherzando?” Sbottò Zoelle. “Devi assolutamente esserci, tu sei la figlia del re e tra i tuoi doveri c'è anche quello di ascoltare i bisogni del tuo popolo.”
“Dicono che oggi ci sarà una bella giornata,” mormorò Hevonie indicando il cielo limpido. “Non voglio passarla chiusa in una stanza a fare qualcosa di così noioso.”
“Se tuo padre ti sentisse!” Zoelle scosse la testa esasperata. “Non pensare nemmeno per un momento di anteporre i tuoi divertimenti alle necessità del regno.”
“Ma io...”
“Non voglio ascoltare una parola di più,” la interruppe Zoelle. “Adesso torna dentro e cerca di arrivare puntuale all'appuntamento, altrimenti dovrai vedertela con me.”
Detto questo, la donna le chiuse la porta in faccia e Hevonie con ancora gli stivaletti in mano si voltò sconsolata. I primi raggi di sole filtrarono attraverso le tende delle finestre, illuminando l'ambiente. La torcia si era ormai spenta e Hevonie la gettò nel piccolo camino posto accanto a lei.
Sbuffando, lentamente e a piccoli passi si rassegnò a tornare nella sua camera.
Dopo essersi cambiata e aver fatto colazione, si recò nella sala, dove i questuanti erano in attesa di essere ricevuti. La maggior parte di queste persone erano contadini che si presentavano carichi delle più svariate richieste.
L'obbligo di partecipare a questo incontro mensile, le era stato imposto dal padre, il re di Kosworth, Phillo Heronberg. Il sovrano era un noto filantropo ed era molto attento a soddisfare le esigenze del suo popolo. Un tempo questo compito lo svolgeva sua moglie, la compianta regina Kiriana, la madre di Hevonie.
Ma da quando era morta, molte mansioni erano ricadute in parte su Zoelle, la fidata governante e in parte su Hevonie stessa. Il re aveva deciso che fosse giunto il momento che si assumesse le responsabilità di futura regina, essendo destinata a succedergli al trono.
Fino a quel momento la vita di Hevonie era trascorsa divisa tra la poca voglia di studiare e i divertimenti di corte, dentro le mura sicure del castello.
Ultimamente però le cose erano cambiate, suo padre l'aveva richiamata all'ordine e la faceva spesso sorvegliare dalle guardie. Le sue giornate erano scandite dai molti impegni di rappresentanza che lei detestava, perché le lasciavano poco tempo libero da dedicare a se stessa.
Ma dal giorno del suo diciottesimo compleanno avvenuto tre mesi prima, oltre a questo era cambiato anche qualcos'altro.
Hevonie aveva ricevuto la pietra magica di Koltrane che gli elementi della famiglia reale si tramandavano da generazioni. Questo artefatto magico era stato creato dal famoso mago Rawim di Koltrane.
Si trattava di una pietra che dava un potere immenso al mago che la possedeva, perché al suo interno erano contenuti molti incantesimi. Usarla non era facile, perché per utilizzarli, bisognava studiare le corrette formule.
Hevonie si era limitata ad apprenderne alcune, giusto per poterla usare quando le serviva. La portava incastonata in un sottile bracciale d'oro, che era stato forgiato dallo stesso mago.
Solo alcuni maghi possedevano una pietra magica che ricevevano in eredità dalla propria famiglia. Ma nessuna pietra eguagliava come potenza, quella di Koltrane. I maghi che erano in grado di rinchiudere i loro incantesimi all'interno delle pietre erano pochissimi.
Era un compito molto difficile e gravoso, solo chi possedeva la Conoscenza Magica, poteva riuscirci. Rawim era un mago dalle straordinarie capacità e fu in grado di riversare dentro la pietra, un numero imprecisato d’incantesimi.
Una volta che tutti gli incantesimi, contenuti nella pietra, erano sbloccati e assimilati, il mago che la possedeva, non aveva più bisogno della pietra per usare la magia. La pietra era riposta e il suo nucleo ricaricato per essere infine tramandata alla nuova generazione di maghi.
Le persone che possedevano doti magiche si avvalevano di diverse forme di magia. C'era chi si serviva di bacchette magiche, scettri o bastoni e chi sapeva manipolare la forza degli elementi con intricate formule. Ognuno si specializzava nell'arte magica secondo la propria predisposizione. Non c'erano segni particolari che contraddistinguevano un mago da una persona comune. Ma nel caso di Hevonie, nelle sue iridi brillavano due piccole venature dorate. Questo significava che possedeva la Pura Magia, la forma di magia più rara e potente.
Ma per usarla aveva bisogno della pietra che fungeva da catalizzatore e con quel bracciale intorno al polso le si era aperto un mondo ricco di nuove opportunità.
E lei ne aveva approfittato immediatamente.
Si era impadronita di alcuni incantesimi racchiusi nella pietra e attingeva a essi per i suoi svaghi personali.
Aveva trovato il modo di eludere la sorveglianza del padre e delle guardie, così riusciva a sgattaiolare fuori dal castello facilmente.
Per farlo si serviva della magia della pietra, con la quale aveva creato un portale magico, situato in un punto strategico del palazzo. Era una cosa severamente proibita, che però le permetteva spesso di evadere indisturbata.
La sua voglia di libertà era tanta e aspettava con ansia ogni occasione per lasciare il castello per andare a divertirsi.
In quei momenti, non era più la principessa Hevonie costretta da una moltitudine di doveri, ma una ragazza come le altre.
Amava esplorare nuovi territori, tanto che una volta si era imbattuta nei Wirdion, i temibili uomini lupo. Si era molto spaventata, ma fortunatamente era riuscita a non farsi scoprire. Da quel giorno aveva imparato a fare più attenzione durante le sue scorribande.
I suoi compagni d'avventura erano i suoi amici d'infanzia Rosik e Katlin. Rosik era figlio di un integerrimo colonnello militare, mentre Katlin era la figlia di un barone, amico di lunga data del re.
Girovagare per il regno insieme con loro due, la rendeva felice, per lei questi appuntamenti erano ormai diventati irrinunciabili.
Purtroppo qualcuno nel castello, si era insospettito, qualche guardia l'aveva avvistata ed erano cominciate a circolare alcune voci al riguardo, ma finora non vi erano state prove concrete a suo carico.
A parte qualche avvertimento dalla sua governante Zoelle e qualche richiamo da parte dei suoi tutori, nessuno finora era riuscito a coglierla sul fatto.
Era ancora mattina e mentre pregustava la prossima uscita che ci sarebbe stata quella sera stessa, pensò con tristezza alla noiosa giornata che la attendeva.
Hevonie trovava tutte queste incombenze ufficiali abbastanza tediose, tanto che le avrebbe lasciate volentieri svolgere a qualcun altro.
In quel momento si trovava seduta su un piccolo trono, situato su una bassa piattaforma, al centro della sala preposta a questo tipo di avvenimenti. Era una stanza molto ampia ma spoglia, i mobili erano pochi e semplici. Le pareti erano prive di arazzi e non vi era esposta nessuna opera preziosa.
Solo un grande stemma dorato che raffigurava un airone di profilo, era appeso sulla parete di fondo. L'airone era colorato di bianco su uno sfondo blu scuro, le sue lunghe zampe e il collo sottile ne mettevano in risalto l'eleganza. Era stato scelto per essere posto sullo stemma, perché da sempre questo splendido uccello viveva nelle campagne del regno. E con il tempo era diventato il simbolo della famiglia reale.
La sala era in netto contrasto con il resto del palazzo che invece vantava degli arredi magnifici e opere d'arte di squisita fattura. Per non urtare la sensibilità dei postulanti, si era pensato di riceverli in un ambiente sobrio e privo di orpelli.
Hevonie si chiese se tutto ciò fosse giusto, ma non trovò una risposta soddisfacente.
Zoelle era in piedi alla sua sinistra che le impartiva le direttive e il comportamento da tenere in ogni circostanza. Un po' spostato alla sua destra sedeva a un piccolo scrittoio lo scrivano di corte, che munito di calamaio e pergamena prendeva nota delle varie richieste.
Il tutto avveniva sotto l'occhio attento di lord Kerris, il gran consigliere del re. Un valletto annunciava il richiedente di turno e altro personale girava nella sala per controllare che tutto si svolgesse senza problemi. C'erano anche delle guardie armate che discretamente sorvegliavano le porte d'ingresso, per assicurare l'incolumità della principessa.
Più passava il tempo, più Hevonie sprofondava nella seduta imbottita del trono ma Zoelle le dava dei piccoli colpetti per costringerla a stare dritta. Hevonie, anche se non osava confessarlo neppure a se stessa, trovava questa incombenza terribilmente noiosa.
Si trattava sempre della stessa storia, lei riceveva uno dopo l'altro i questuanti e ogni volta ascoltava le loro richieste. Di solito non avevano grandi pretese, volevano qualche moneta, abiti nuovi e cose simili.
C'era chi chiedeva dei giochi per i propri bambini, chi degli attrezzi da lavoro. Insomma tutto ciò che occorreva per consentire loro una vita dignitosa.
Hevonie aveva appena congedato una donna, che subito si avvicinò un altro richiedente.
Si trattava di un uomo alto e segaligno, che si tolse velocemente il cappello. Aveva il viso cosparso da una ragnatela di rughe e portava una benda sull'occhio destro.
“Onore a te, principessa Hevonie, ” esordì l'uomo con un inchino.
“Salute a te, buon uomo,” rispose Hevonie. “Come posso aiutarti?”
“Avrei bisogno di un carretto nuovo per trasportare le mie merci al mercato. Io coltivo frutta e verdura e purtroppo, quello che ho è marcito,” disse l'uomo tutto d'un fiato.
“D'accordo, ti farò mettere nella lista, passa tra una settimana e troverai un nuovo carro.”
Hevonie fece cenno allo scrivano di segnare e lui cominciò a scrivere su una pergamena la richiesta dell'uomo. Lord Kerris che spuntava la lista dei questuanti, lo chiamò vicino a sé per farsi lasciare il nome.
“Grazie principessa Hevonie, che il cielo vi benedica. Sarete un giorno una grande regina così come lo è stata vostra madre,” l'uomo fece un profondo inchino e si avvicinò al gran consigliere, che lo aspettava impaziente.
Hevonie lo osservò mentre si allontanava e si sentì preda di sentimenti contrastanti, quell'appuntamento mensile che per lei rappresentava uno dei tanti obblighi dovuti al suo ruolo, per quell'uomo rappresentava invece la sua stessa sopravvivenza.
Inoltre aveva menzionato sua madre, che era morta ormai da diversi anni, ma ogni volta si meravigliava di come fosse ancora vivido il suo ricordo nel cuore della gente.
Subito dopo, Hevonie si trovò di fronte ad una donna molto grassa che implorò per avere una mucca da latte, perché la sua era malata.
Poi fu la volta di una giovane ragazza che con un sorriso timido chiese dei soldi per potersi sposare.
In seguito si presentò un ragazzino al quale erano state rubate le ruote del suo biciclo e così via.
Dopo due ore trascorse in quel modo, Hevonie cominciò a sentirsi stanca, si distraeva e annuiva a tutto ciò che quelle umili persone raccontavano, senza veramente ascoltarle.
Ogni volta diceva a lord Kerris di segnare, tanto sapeva che qualsiasi richiesta era immancabilmente esaudita.
Anche se lei con la mente era già insieme a Rosik e Katlin, pronta per una nuova avventura.
Per quella sera avevano organizzato di andare a controllare un luogo dove erano stati avvistati degli Hinumati, degli esseri non morti, che attaccavano i viandanti per derubarli. Di solito questi cadaveri erano riportati in vita da un negromante per essere usati come schiavi.
Hevonie voleva andare a vedere con i suoi occhi cosa stava succedendo. Era impaziente e il solo pensiero di dovere restare ancora parecchie ore in quell'ambiente chiuso e opprimente, le era insopportabile.
Cominciò a strofinarsi le mani, la gonna, ad arricciarsi i capelli con le dita, poi trattenne a stento uno sbadiglio, grazie ad un'occhiataccia di Zoelle che la fece desistere.
“Zoelle, mi potresti sostituire per qualche minuto, ho proprio bisogno di fare una pausa,” disse infine stremata.
“D'accordo, ma non metterci troppo,” l'ammonì la donna severa. “Ci sono ancora molte persone che attendono.”
“Farò in fretta, ti assicuro.” Hevonie si alzò e raggiunse l'uscita secondaria della sala. Aveva bisogno di respirare un po' d'aria fresca.
Si sgranchì le gambe e le braccia e fece alcuni passi nel parco. Le belle aiuole curate e le fontane di marmo ornavano i giardini del castello.
Dopo la Grande battaglia, il regno di Kosworth era nato sulle ceneri di un antico villaggio. La guerra che aveva visto scontrarsi i demoni comandati da Darkebetz e i maghi del Concilio fu cruenta e sanguinaria. Adesso il regno era prospero ed era governato da suo padre che si era dimostrato un buon sovrano, molto amato dal popolo.
La cittadina di Kosworth, dalla quale il castello aveva preso il nome, sorgeva arroccata sul vasto cono di un vulcano ormai spento da secoli. Il castello era costruito con pietre color grigio scuro e il suo profilo si stagliava inconfondibile nel cielo plumbeo che ricopriva quel territorio sferzato spesso da venti gelidi. Da tutti i lati si poteva ammirare il magnifico panorama, lo sguardo spaziava sulle ampie vallate e in lontananza s'intravedeva il mare, sul quale si affacciava il vivace porto.
Intorno al castello si estendeva la cittadella costituita anch'essa da edifici di pietra scura. Malgrado fosse autunno, quel giorno il tempo era clemente e il sole splendeva alto nel cielo. Hevonie assaporò la piacevole sensazione di tepore che la avvolgeva.
Dopo qualche istante sentì qualcuno correre verso di lei.
“Rosik, cosa ci fai qui?” Hevonie fu sorpresa di vedere l'amico.
“Sono in libera uscita, ho appena lasciato mio padre al comando militare,” rispose Rosik trafelato. ”E tu cosa stai facendo?”
“E' il giorno della Questua,“ rispose Hevonie indicando la porta da dove era uscita poco prima. ”Devo ancora ricevere non so quante persone.”
“Non puoi venire via? Potremmo andare subito nel territorio degli Hinumati, ci sarà da divertirsi,” dicendo questo tirò fuori da una tasca un oggetto.
“E questo cos’è?” Chiese incuriosita.
“E' una mia nuova invenzione,” rispose Rosik con orgoglio. “E' una sfera Porcospino.”
“Porcospino?”
“Adesso ti spiego.” Rosik fece girare nelle mani quella che sembrava una pallina di ferro perfettamente liscia e lucente. ”Se la guardi bene potrai vedere tanti piccoli forellini, se la lanci, nel momento dell'impatto, vengono sparate decine di aghi fino ad una distanza di un metro. Ma ho già in mente una modifica per fargli raggiungere i due metri.”
Hevonie lo guardò perplessa.
“E non è tutto,” aggiunse Rosik con enfasi.
“Ah no?”
“No, quando toccano il bersaglio, gli aghi si piantano nella pelle e annullano l'incantesimo che tiene in vita i non morti.”
“L'hai già testata?”
“Non proprio, volevo provarla questa sera con gli Hinumati, anzi andiamoci subito, passiamo a prendere Katlin e organizziamo un bello scherzo a quegli esseri immondi.”
“Mi piacerebbe ma non posso, Zoelle mi sta aspettando. Se non torno, chi la sente poi?”
“A che serve essere una principessa, se non puoi fare quello che vuoi?” La incitò Rosik. “Lascia che sia Zoelle a sostituirti, almeno per questa volta.”
“Se entro e glielo chiedo, non me lo permetterà mai, la conosco.”
“Allora vieni via, adesso senza dirle niente,” insistette Rosik. “Tanto lei è in grado di svolgere quel lavoro. E' un'occasione unica, ti prego!”
“Ma guarda come sono vestita?” disse indicando il suo splendido vestito di seta rosa, con una lunga gonna di organza che nascondeva delle scarpine ricamate col tacco.
“Non ti preoccupare, passiamo da me e ti presto uno dei miei vestiti,” propose Rosik. ”Ti staranno un po' larghi, ma li adatteremo.”
Hevonie ci pensò un po' sopra. In effetti, l'idea di passare l'intera giornata in quella sala soffocante a svolgere un compito che alla fine era solo di rappresentanza e che oltretutto Zoelle avrebbe potuto sbrigare molto meglio di lei, non la allettava per niente.
“D'accordo, andiamo. Però dovrò avvisarla per non farla preoccupare.”
“Brava, dille che non ti sei sentita bene. Poi ti inventerai qualcosa.”
“D'accordo.”
Hevonie fece cenno a un valletto di raggiungerla e gli riferì il messaggio.
Dopo averlo congedato, Hevonie e Rosik si allontanarono in fretta dal castello.
Dopo avere passato il resto della giornata a bighellonare Hevonie e Rosik si recarono nel territorio, dove erano stati avvistati gli Hinumati.
Ormai era sera e insieme a loro c'era anche Katlin che li aveva raggiunti nel pomeriggio.
Stavano nascosti ai piedi di una collina, in una zona d'ombra così buia che nemmeno la luna riusciva a illuminare.
La foresta davanti a loro si presentava come una massa scura e minacciosa e in lontananza si stagliava il vulcano di Overlack, la cui sommità era circondata da una barriera formata da sferzanti cicloni.
Enormi vortici di aria calda ruotavano a folle velocità ininterrottamente da più di duecento anni intorno al vulcano, per evitare che i demoni imprigionati al suo interno potessero evadere.
La barriera ciclonica era alimentata da una potente magia che era rinnovata ogni anno dai maghi del Concilio.
Dopo la Grande Battaglia, gli antichi maghi che avevano sconfitto i demoni, li avevano reclusi nell'imponente vulcano.
Ormai era spento da molti secoli ed era stato chiamato Overlack, in onore del mago che aveva fondato il Concilio.
La Grande Battaglia risaliva a più di due secoli prima e aveva seminato morte e distruzione in tutto il regno di Kosworth.
Scoppiò quando i demoni cominciarono ad attaccare gli esseri umani per ottenere la supremazia sulle loro terre.
Dopo mesi di scontri sanguinosi i maghi del Concilio vinsero la guerra e riuscirono ad esiliare i demoni, ricacciandoli nel vulcano dal quale erano fuggiti.
Tra questi maghi c'era anche un antenato di Hevonie, un mago potentissimo che fondò Kosworth, la città più fiorente del regno. Infatti, dopo la vittoria fu eletto re a furor di popolo.
I suoi discendenti proseguirono la sua opera fino ai tempi odierni. E lo stesso compito sarebbe stato portato avanti da Hevonie. Anche lei era destinata a diventare una maga dagli straordinari poteri, avendo ereditato la Pura Magia da sua madre.
Nel regno di Kosworth la magia era ereditaria. Solo chi discendeva da un mago poteva diventarlo a sua volta, bastava che solo uno dei genitori lo fosse. Infatti, il re non era un mago, ma un Nebbiato. Così era chiamato chi non possedeva il dono della magia.
Hevonie aveva accettato questo dono meraviglioso che le permetteva di compiere cose prodigiose. Mentre detestava la diplomazia e le regole che il suo ruolo le imponeva, per questo motivo appena poteva fuggiva da una realtà, che lei riteneva troppo pressante.
Quella sera si trovava insieme ai suoi due amici per combattere un pericolo più immediato. Negli ultimi tempi gli Hinumati, putridi cadaveri viventi, avevano iniziato ad aggredire alcuni viandanti nel regno. Hevonie aveva deciso che non voleva stare a guardare, ma agire in prima persona.
Sentiva in lontananza gli Hinumati emettere dei versi gutturali, che lasciavano presagire un imminente attacco, ma per ora sembravano ancora distanti.
“Gli Hinumati non sono molto veloci, ma se ti mordono o ti graffiano ti possono avvelenare,” spiegò Hevonie ai suoi amici. “Essendo dei cadaveri non sentono il dolore. L'unico modo per annientarli è usare le nostre spade alle quali ho applicato un incantesimo che ruba l'anima ai non morti.”
“Allora punteremo sulla velocità e l'effetto sorpresa,” affermò Katlin sfregandosi le mani fredde contro le braccia.
Hevonie toccò la bianca pietra lucente che ornava il bracciale al suo polso e questo le diede una sensazione di sicurezza. Aveva già sbloccato degli incantesimi di distruzione, ma doveva essere cauta a usarli, perché potevano essere intercettati dalle Ronde del Controllo della Magia.
Per questo motivo, durante le sue uscite, se doveva combattere, preferiva usare la spada, con la quale se la cavava abbastanza bene.
Da quando possedeva la pietra, Hevonie si sentiva in grado di affrontare qualsiasi cosa e aveva deciso di approfittare di questo vantaggio. Suo padre avrebbe disapprovato le sue scelte. La voleva vedere brillare a corte e a occuparsi delle questioni politiche e finanziarie del regno, senza trascurare le relazioni diplomatiche.
L'uso della magia doveva servire solo per scopi difensivi o cerimoniali, previa decisione dei maghi del Concilio. Ma Hevonie non voleva sottostare agli ordini del Concilio ed era insofferente agli obblighi di corte.
“Temo che gli Hinumati siano molti di più di quello che pensavo,” annunciò Hevonie allarmata. “Saranno almeno una ventina.”
I gemiti dei non morti si fermarono all’improvviso. Il silenzio calò su tutti loro.
“Che cosa succede?” Chiese Rosik. “Perché hanno smesso?”
“Non posso dirlo con certezza,” rispose Hevonie. “In verità non ho molta esperienza con gli Hinumati. Per ora manteniamo la posizione.”
Rosik e Katlin annuirono, poi tutti e tre portarono la loro attenzione verso il buio che li circondava. Non c’era un alito di vento. Nessun rumore e nessun movimento nell’ombra.
“Qualcosa si sta avvicinando,” annunciò Rosik. “Non sembrano gli Hinumati, è troppo veloce.”
“Lo sento anch’io, viene da quella parte.” Katlin indicò un punto alla sua sinistra in mezzo alla boscaglia.
“E' vero, non sono gli Hinumati,” confermò Hevonie. ”Anche se devono essere ancora li, in attesa da qualche parte.”
Comparvero alcune sagome a cavallo, avvolte da lunghi mantelli neri, la luna li rese chiaramente visibili mentre si avvicinavano velocemente.
“Quegli individui non mi piacciono per niente,” asserì Hevonie preoccupata. “Presto nascondiamoci!”
Una decina di uomini a cavallo, sfrecciarono di fianco a loro. Il loro passaggio produsse uno spostamento d'aria tale, che molti uccelli nascosti tra i rami degli alberi volarono via all'impazzata.
Hevonie, Katlin e Rosik restarono nascosti in silenzio, fino a quando i cavalieri scomparvero alla vista. Lentamente uscirono dal loro nascondiglio e si guardarono in faccia perplessi.
“Ho visto un simbolo sui loro mantelli,” disse Rosik.
“Com'era fatto?” Chiese Hevonie.
“Un cerchio con all'interno un teschio,” rispose l'amico.
”È il simbolo della Legione Oscura,” affermò Katlin.
“È strano,” disse Hevonie. “So che la Legione Oscura è stata smantellata parecchi anni fa. Mio padre mi ha sempre raccontato che dopo la scomparsa di Darkebetz, i suoi membri si erano dispersi.”
“Darkebetz,” sussurrò Katlin. ”Quel nome mi mette i brividi.”
“Sai che Darkebetz era chiamata la regina nera?” Disse Rosik aggrottando la fronte.
“Sì, l'ho sentito dire, ma non conosco bene i fatti che la riguardano,” rispose Katlin.
“Se vuoi, ti riassumo la storia.”
“Adesso non c'è tempo,” lo interruppe Hevonie. “La cosa grave è che a quanto pare, sono ancora attivi.”
“Ma a che scopo?“ Chiese Rosik. ”Senza Darkebetz, la loro esistenza è inutile, tutto ruotava intorno a lei, era il loro capo supremo.”
“Può darsi che sia tornata,” suggerì Katlin.
“Impossibile, Darkebetz è morta da duecento anni,” mormorò Hevonie.
“Ti sbagli,” la contraddisse Rosik. “Lei non può morire.”
Un grido lacerante irruppe violentemente in mezzo a loro.
Uno degli Hinumati scelse quel momento di distrazione per attaccare.
Hevonie sfilò la sua spada e con un fendente laterale recise di netto la testa che cadde a sinistra, mentre il corpo si riversò a destra.
La lama si ricoprì di uno spesso strato di sangue scuro e viscoso.
L'aspetto degli Hinumati era orribile, la pelle era grigia e devastata da piaghe putrescenti, inoltre emanavano un fetore insopportabile.
Katlin sentì un rumore, si mosse di scatto e la sua spada squartò il ventre dell'Hinumato, che si era lanciato sopra di lei. Cadde ai piedi di Rosik che gli rivolse appena uno sguardo, limitandosi a scrollare la scarpa sulla quale erano caduti degli schizzi di sangue nero. Alcuni Hinumati che si stavano avvicinando, si bloccarono e rimasero in attesa a distanza di sicurezza. Mentre altri continuavano ad avanzare imperterriti.
Hevonie vide Rosik e Katlin ucciderne uno a testa, lei stessa ne aveva appena infilzato un altro, che ora giaceva a terra ricoperto di sangue.
“Che diamine ci fanno degli Hinumati in giro per il regno?” Chiese Rosik, mentre tirava un fendente.
“Gli Hinumati non hanno una propria volontà, sono come marionette,” rispose Hevonie. ”Dietro i loro continui attacchi sicuramente si nasconde un negromante che li manovra.”
“Io odio i negromanti!” Esclamò Katlin.
“Questa potrebbe essere la spiegazione più plausibile,” disse Hevonie ripulendo la spada contro l'erba del prato.
Gli Hinumati rimasti si stavano preparando a un secondo assalto.
“Va bene, adesso mi sono stufata.” Hevonie rimise via la spada nel suo fodero. ”Questi cadaveri è meglio che tornino sottoterra. Rosik, vediamo se quell'aggeggio funziona.”
Rosik tirò fuori la sfera Porcospino e la lanciò in mezzo al gruppo dei non morti, quando toccò terra, rimasero tutti in attesa.
Ma non accadde niente.
Gli Hinumati presero coraggio e si avventarono contro di loro con rinnovata energia.
“Complimenti Rosik, adesso che cosa facciamo?” Sbottò Hevonie.
“Usa la magia, principessa,” rispose Rosik mortificato. “E' stato solo uno stupido tentativo.”
“Lo sai che non posso usare incantesimi non autorizzati. Possono venire intercettati dalle Ronde del Controllo Della Magia,” spiegò Hevonie mentre sguainava la spada.
“Lo so, ma questi simpaticoni sono troppi e arrabbiati, non penso che ce la caveremo solo con le spade,” disse Rosik.
“Ti prego fa’ qualcosa!” Gridò Katlin terrorizzata. I non morti li avevano raggiunti e accerchiati.
“D'accordo,” assentì Hevonie contrariata. Alzò il braccio destro, si concentrò e dalla pietra incastonata nel bracciale, uscì un fascio di energia bianca a raggiera che colpì simultaneamente tutti gli Hinumati. I non morti cominciarono a tremare e ad emettere grida strazianti, contorcendosi in una terribile agonia, i loro occhi strabuzzarono dentro le orbite. Quando l'effetto della magia si attenuò, alcuni rimasero immobili a terra mentre altri scapparono via, dileguandosi nella foresta.
“Adesso si che sono nei guai,” rispose Hevonie scuotendo la testa.
Tutti e tre si guardarono intorno e cercarono di realizzare quanto era appena accaduto, si resero conto di essere stanchi e spaventati. Oltretutto era tardi e dovevano tornare a casa.
“Per questa notte basta così. Pensate che sia meglio avvisare mio padre, riguardo il fatto che abbiamo visto gli uomini della Legione Oscura?” Chiese Hevonie mentre con la punta della spada smuoveva alcuni rami davanti a sé.
“Se glielo dici, dovrai confessargli che stanotte ti trovavi qui e lui ti chiederà il perché,” rispose Katlin lasciando intendere le implicazioni.
“Non penso che si berrebbe la storia che stavi passeggiando al chiaro di luna,” aggiunse Rosik ironico.
“Sì, ma ho usato la magia della pietra, qualcuno potrebbe essersene accorto!”
“Magari, con un po' di fortuna non sei stata intercettata,” suggerì Katlin.
Hevonie sembrò riflettere su quelle parole.
“Avete ragione, se glielo dicessi, confesserei apertamente che ho trasgredito le regole. Questo si tramuterebbe in una punizione assicurata,” constatò Hevonie. “Dopotutto nessuno li ha visti tranne noi e per quanto ne sappiamo, per ora non rappresentano un pericolo.”
Katlin lanciò uno sguardo fugace a Rosik per studiare la sua reazione e quando lo vide annuire, acconsentì a sua volta.
“E' vero che tuo padre ti vuole mandare al collegio della Vera Magia, diretto della professoressa Berenton?” Chiese Katlin.
“Purtroppo sì, mi ha minacciato, dicendomi che se non mi comporterò come si deve mi manderà dritto laggiù, insieme a quella vecchia megera,” rispose Hevonie.
“Dicono che sia un'autentica strega e che terrorizzi i suoi studenti, non si sa neppure quanti anni possa avere, alcuni dicono più di trecento,” riferì Rosik.
“Solo a pensarci mi sento male,” disse Katlin. “Spero per te che tu non ci debba andare davvero.”
“Stai pure tranquilla che non succederà mai,” la rassicurò Hevonie. “Anche se quella Berenton ha insegnato ai più grandi maghi che siano mai esistiti, non ho nessuna intenzione di andarci.”
“Allora devi stare attenta e non tirare troppo la corda con tuo padre,” l'ammonì Rosik.
“Lo so, ma non ho certo intenzione di rinunciare alle nostre uscite,” disse Hevonie tranquilla. “Anzi, pensavo che domani potremmo andare a Valkeram e porre fine una volta per tutte a questa storia. Secondo me il negromante si trova li.”
“E come fai a saperlo?” Chiese Rosik.
“L'ho rilevato usando la pietra su un non morto, poco fa,” rispose Hevonie. “La scia magica mi ha indicato quella posizione nella mente.”
Appena ebbe finito di parlare, pensò anche che gli Hinumati, una volta erano state delle persone e voleva mettere fine all'orribile uso che veniva fatto dei loro corpi, da parte di maghi senza scrupoli.
“Valkeram,” Katlin ripeté. “Non ti sembra che sia troppo lontano?”
“Se avete paura, ci vado da sola,” esclamò Hevonie spavalda.
“Nemmeno per sogno, veniamo con te,” disse Rosik. ”Voglio scoprire chi è quel negromante e fargliela pagare.”
Alla fine anche Katlin si convinse.
“Allora ci vediamo domani sera, alla solita ora,” disse Hevonie. “Mi raccomando di essere puntuali.”
Ognuno salì sul proprio cavallo e insieme raggiunsero le mura di Kosworth, dove si salutarono, proseguendo ciascuno verso la propria abitazione. Hevonie cavalcò verso il castello, mentre l'oscurità della notte nascondeva l'espressione tesa disegnata sul suo viso. Pensò che il combattimento con gli Hinumati si era rivelato più pericoloso del previsto. Li aveva sottovalutati e questo aveva fatto correre un grosso rischio a tutti e tre. Fortunatamente, grazie alla pietra, tutto si era risolto per il meglio. Adesso doveva solo rientrare senza farsi scoprire e finalmente avrebbe potuto rilassarsi.
Nel cielo le stelle brillavano intorno alla luna, anche se le nuvole stavano cominciando ad addensarsi nascondendone una buona parte, lasciando presagire l'arrivo di un temporale.
Hevonie, lasciò il suo cavallo nelle scuderie reali e si avvicinò in silenzio al portale magico che aveva creato nelle mura del castello. Evocò dalla pietra di Koltrane un incantesimo e lo usò contro il muro, aprendo così un varco nei mattoni.
Lo attraversò velocemente e lo richiuse dietro di sé. Soddisfatta, si diresse verso la sua camera, ma sentì dei passi risuonare nel corridoio.
Lo trovò strano perché a quell'ora della notte, di solito, erano tutti a dormire. Si guardò intorno, ma non vide nessuno, magari si trattava solo di qualche domestico che si era attardato.
Aprì la porta della sua stanza e quando vi entrò, trovò Zoelle e dietro di lei apparve come un fantasma lord Kerris, il gran consigliere di corte. Li guardò entrambi sorpresa.
“Cosa ci fate nella mia camera?” Domandò cercando di darsi un contegno.
“Devi andare subito da tuo padre,” rispose Zoelle. “Ti vuole parlare.”
“Adesso? E a che proposito?”
Hevonie lanciò un'occhiata a Lord Kerris che rimase impassibile.
“Te lo dirà lui a che proposito,” rispose Zoelle. Poi puntando un dito verso la spada, che penzolava al suo fianco chiese.
”Dove sei stata?”
Hevonie capì di non potere mentire, la verità era evidente. Quindi preferì rimanere zitta.
“Perché oggi te ne sei andata via? Come hai potuto fare una cosa simile?” La voce di Zoelle fremeva di rabbia. “Non hai pensato a quanto sia stato imbarazzante per me dover spiegare a tutta quella gente, che la principessa Hevonie non sarebbe tornata? Lo sai che quelle persone erano venute apposta dai luoghi più disparati, solo per poter parlare con te?”
Hevonie si era quasi dimenticata di avere abbandonato la Questua. Si sentì in colpa per avere deluso le aspettative di quella povera gente e soprattutto di Zoelle.
“Non importa. Lo dirai a tuo padre, dove hai passato la giornata. Io devo solo accompagnarti da lui.” Zoelle era arrabbiata e nello stesso tempo amareggiata.
Così dicendo fece un cenno a Lord Kerris che annuì e si affiancò a Hevonie. La sovrastava di parecchi centimetri e la sua figura imponente la fece sentire piccola.
“No, aspettate, posso spiegare!” Gridò Hevonie cercando la comprensione della vecchia Zoelle che però distolse lo sguardo e fece cenno all'uomo di proseguire.
“Non posso farci niente, Hevie, questi sono ordini del re, non si discutono.”
Zoelle l'aveva chiamata con il soprannome che usava sua madre quando lei era una bambina e questo le fece sentire l'affetto che la governante provava per lei. Lo stesso affetto che anche Hevonie ricambiava per quella donna che si era presa cura di lei fino a quel momento.
“Prego principessa, seguiteci senza fare storie,” disse lord Kerris. “Sarà meglio per tutti.”
“Ma non posso presentarmi in queste condizioni,” protestò Hevonie, indicando i suoi vestiti macchiati di fango e schizzati di sangue.
“Ti cambierai più tardi,” disse Zoelle.
La donna prese un soprabito, si avvicinò e la aiutò a indossarlo, lo abbottonò e poi la spinse con decisione fuori dalla stanza, lungo il corridoio.
Camminarono affiancati, Hevonie si trovava in mezzo ai due, i loro passi echeggiavano sui pregiati pavimenti di marmo.
“Dove stiamo andando?” Chiese Hevonie, quando vide che si stavano dirigendo verso l'uscita del castello.
“Al Padiglione Reale. Tuo padre si trova li,” rispose Zoelle.
Il Padiglione Reale era un piccolo edificio dove il re amava passare le sue serate, lontano dalla corte, inoltre vi riceveva gli amici più intimi e spesso vi sbrigava gli affari più delicati.
Un cocchiere stava aspettando fuori dal portone mezzo assonnato, la carrozza e i cavalli erano pronti per partire. Quando finalmente vide arrivare la principessa, si strofinò gli occhi per svegliarsi.
Hevonie prima di salire lanciò un'occhiata al suo riflesso nel vetro della carrozza e vide che aveva un aspetto orribile con i capelli in disordine, la faccia graffiata e i vestiti sporchi.
Zoelle la spinse verso l'interno e subito dopo Hevonie si trovò seduta di fronte alla donna e a Lord Kerris, che la guardavano con aria di disapprovazione.
Hevonie notò che Lord Kerris aveva circa l’età di suo padre, vestiva elegantemente ma con sobrietà. Era un uomo che non amava farsi notare, sicuramente il suo tratto distintivo era la discrezione.
Manteneva sempre un perfetto comportamento in ogni circostanza e il suo sottile sarcasmo era molto apprezzato a corte ma quella sera la sua espressione era seria.
Quando la carrozza si avviò, nessuno disse una parola, Hevonie era corrucciata e teneva le braccia conserte guardando fuori dal finestrino, ma era buio e non si vedeva niente, allora tirò la tendina, vi appoggiò sopra la testa e chiuse gli occhi.
Zoelle con le mani in grembo teneva gli occhi socchiusi e sembrava immersa nei propri pensieri. Lord Kerris invece pensava all’ingrato compito che gli era toccato, scortare la figlia del re a quell'ora della notte.
Lo considerava un compito minore e detestava quel genere d’incarichi, cosiddetti personali, lui amava i ricevimenti, la bella società, osservare ed essere informato di tutto.
Sapeva destreggiarsi con grande abilità nelle fitte trame che la vita di corte offriva quotidianamente.
Proprio grazie a queste sue qualità si era guadagnato la fiducia del re, che altrimenti non gli avrebbe certo affidato la custodia della principessa. Ma a Lord Kerris sembrò ugualmente una faccenda non all'altezza della sua posizione.
“Che cosa devo fare con te Hevonie?” Zoelle disse rompendo il silenzio.
“Hai saltato importanti impegni cerimoniali, scappi dal castello in continuazione, ti sottrai ai tuoi doveri di futura regina, i tuoi tutori si lamentano di te.” Zoelle guardò Lord Kerris in cerca di un sostegno, ma il gran consigliere sembrava immerso nei propri pensieri.
“Le tue scorribande sono sulla bocca di tutto il regno,” proseguì Zoelle. “Usi la magia in modo indiscriminato. Tu sei la figlia del re, non puoi comportarti in questo modo.”
“Questo è davvero riprovevole,” disse improvvisamente Lord Kerris indignato. Per lui la famiglia reale doveva mantenere un comportamento impeccabile e soprattutto doveva onorare il proprio rango.
“Dal tuo aspetto, immagino che stasera ci sia stata una bella battaglia. Vuoi raccontarci che cosa hai fatto?” Chiese Zoelle con tono beffardo.
“Anch'io sarei curioso di saperlo,” intervenne Lord Kerris, dimostrando un barlume di interesse.
Hevonie tentennò un po' poi disse. “Niente di speciale, ho combattuto contro un gruppo di Hinumati.”
“E ne hai ucciso qualcuno?” Chiese Zoelle.
“Sì.” Rispose Hevonie con un filo di voce. ”Solo per difesa.”
Lord Kerris coprì con un colpo di tosse un sorriso.
Zoelle sembrò non accorgersi di nulla e proseguì.
“Hai ricevuto la migliore educazione ed usufruisci di infiniti privilegi, hai il dono della Pura Magia e il giorno del tuo diciottesimo compleanno hai ricevuto la pietra di Koltrane. E tutto questo lo usi per divertirti, il tuo comportamento è inammissibile.”
La voce di Zoelle era cresciuta di tono, diventando quasi stridula, infastidendo il delicato udito di Lord Kerris, ma con suo sollievo la donna si calmò e smise di parlare.
Zoelle sedeva rigida, lanciava degli sguardi pieni di esasperazione verso Hevonie, che teneva ostentatamente gli occhi chiusi.
“Hevonie, vorrei che tu ti rendessi conto che hai esagerato e che le continue voci sul tuo conto, alla fine, sono arrivate anche a tuo padre,” proseguì Zoelle calma.
A quelle parole Hevonie aprì gli occhi di scatto. Cominciò a preoccuparsi, un conto era fare arrabbiare Zoelle o essere la protagonista di voci e maldicenze, ma con suo padre era un’altra cosa.
“Che cosa potete dire a vostra discolpa?” Chiese infine Lord Kerris.
“Mi dispiace,” mormorò Hevonie, abbassando la testa.
“Questa frase l’hai già detta altre volte,” disse Zoelle.
“Forse questo non è sufficiente, principessa,” aggiunse Lord Kerris, che non vedeva l'ora di andare a dormire.
“Questa volta mi dispiace davvero,” insistette Hevonie, ma i due la ignorarono.
La carrozza si fermò.
“Siamo arrivati,” annunciò Lord Kerris che scese per primo e aiutò le due donne a fare altrettanto. Si trovavano nel cortile del Padiglione Reale, avevano appena attraversato il grande cancello e l'orologio della torre batteva l'una di notte.
Hevonie sembrava una condannata a morte, Zoelle la teneva per un braccio, come se avesse paura che scappasse. C’erano alcune guardie di ronda e le fiaccole accese davano un’atmosfera spettrale al luogo, che invece di giorno appariva ampio e luminoso.
Per un istante Hevonie pensò di fuggire, ma capì che non avrebbe fatto altro che peggiorare la sua situazione, per cui seguì docilmente Zoelle.
Da quel punto sopraelevato si scorgeva il castello che avevano appena lasciato. Si ergeva maestoso, circondato da alte mura di pietra, interrotte da diverse torri di guardia che ne enfatizzavano l'aspetto imponente.
Nelle parti più esposte a dei possibili attacchi nemici, le mura erano doppie e nella loro parte alta c'erano i varchi dai quali fuoriuscivano i cannoni.
Sotto il castello sparsa sulla collina, c’era la cittadina di Kosworth, anch’essa delimitata da massicce mura di pietra. Le mura erano incantate e diversi sortilegi ne preservavano la solidità, facendone un'ottima barriera difensiva.
Hevonie guardò il cancello che veniva richiuso dopo il loro passaggio e quel gesto la fece sentire in trappola.
I pochi valletti che giravano a quell’ora fecero un inchino al suo passaggio ma Hevonie li ignorò, non era dell’umore giusto per i convenevoli. Oltretutto si vergognava a farsi vedere in quello stato, lei che era sempre elegante e ben vestita.
Ad un tratto notò in mezzo ad un gruppo di cavalieri, un ragazzo che stava chiacchierando. Quando anche lui la vide, smise di parlare e fece un inchino verso di lei. Lo riconobbe subito, era Jori, il figlio del barone di Terpecoz, erede di una notevole fortuna.
“Adesso aspettami qui,” le disse Zoelle. ”Vado ad avvisare tuo padre. Guai a te se ti muovi.” Zoelle si allontanò e Hevonie notò che lord Kerris si era appartato per fumare la pipa.
Rimasta temporaneamente sola, il giovane barone che non aveva smesso un istante di guardarla, si avvicinò.
“Buonasera Hevonie,” la salutò il ragazzo con un sorriso smagliante.
“Buonasera Jori.”
Si erano incontrati proprio il giorno del suo compleanno, tre mesi prima. Hevonie aveva organizzato una grande festa e molti giovani si erano messi in lista per ballare con lei.
L'unico che l'aveva colpita veramente era Jori.
Lui continuava a guardarla e lei, complice l'aver bevuto un po’ troppo spumante, si era fatta corteggiare e avevano danzato diversi balli insieme.
“Sono contento di incontrarti ancora. Non ho smesso di pensare a te neppure per un attimo,” le disse con sguardo ardente.
“Davvero?” Hevonie si rese conto che il proprio aspetto doveva essere terribile, ma sapeva che lui l'aveva vista al massimo dello splendore. Ed era quella Hevonie che Jori ricordava.
Durante la festa lui la teneva stretta e aveva cercato di baciarla sul collo. Aveva osato un po’ troppo, ma lei lo scusò perché entrambi erano euforici per via dello spumante. Comunque il suo approccio deciso, non le era dispiaciuto affatto.
Come se le avesse letto nel pensiero, il barone disse.
“Vorrei scusarmi con te, se quella sera sono stato troppo audace.”
Ma Hevonie capì che la frase era di circostanza e che non era affatto pentito come voleva fare credere. D’altra parte lei non aveva fatto molto per scoraggiarlo. Jori vide che Zoelle stava tornando a grandi passi verso di loro.
“Quando potrò rivederti?” Le chiese in fretta.
“Non lo so, prima devo risolvere alcune questioni urgenti. Ti farò sapere.”
Lui fece un grande sorriso e un lieve inchino, poi raggiunse velocemente gli altri cavalieri. Hevonie sentì una stretta sul braccio, Zoelle la scosse con vigore.
“Ma che cosa stai facendo? Ti rivolgi ad un cavaliere in questo modo sfacciato, davanti ai servitori e agli scudieri? Il re non tollererà questo comportamento un giorno di più. Le cose cambieranno, mia cara, tuo padre non permetterà che cose simili si ripetano ancora.”
“Si lo so, me lo hai già detto!” Hevonie si liberò dalla stretta e si allontanò da lei.
“Tu non puoi ignorare la tua posizione, la gente si chiede come tuo padre può controllare un regno se non riesce a controllare la propria figlia. Tu ridicolizzi la figura del re. Se non t’importa di quello che pensano gli altri di te, pensa almeno a quello che la corte pensa di tuo padre!” Zoelle aveva la faccia arrossata e la voce strozzata.
“Non m’importa niente di quello che gli altri pensano di me. Sono loro che dovrebbero preoccuparsi di quello che penso io di loro!” Esclamò Hevonie, stufa di quella situazione.
“Tu hai dei doveri, mia cara, ai quali non puoi sottrarti.”
“Tutta la mia vita è un continuo dovere, impara questo, fai quello, sorridi al barone, al duca tratta bene i tuoi servitori. Stai attenta a tutto!”
Si fermò per prendere fiato. “Ma io non ho nessun diritto?”
“Tu sei la figlia del re e come tale ti devi comportare. Forza, tuo padre ti aspetta.”
Hevonie la seguì accompagnata da Lord Kerris che guardava davanti a sé senza parlare. Si sentì dispiaciuta di avere trattato in quel modo Zoelle, le voleva molto bene, più di quello che riusciva a esprimere. Ma odiava sentirsi riprendere in quel modo.
“Tanto non cambierà niente,” sussurrò Hevonie in tono di sfida. ”Come sempre.”
“Non esserne tanto sicura,” replicò Zoelle entrando nel portone.
Hevonie la seguì a testa alta, ma un senso di inquietudine si insinuò dentro di lei.
Una volta entrati nel Padiglione Reale, Zoelle squadrò Hevonie da capo a piedi e si rese conto di quanto il suo aspetto fosse inadatto alle circostanze.
“Aspetta,” le disse fermandosi di colpo. “E' meglio passare prima dal guardaroba. Hai un aspetto orribile, a tuo padre verrebbe un colpo se ti vedesse conciata in questo modo.”
Hevonie guardò Zoelle indispettita, mentre lord Kerris alzò gli occhi al cielo. Ne aveva abbastanza di quella interminabile serata e detestava l'idea di doverla prolungare ancora.
La donna accompagnò Hevonie in una stanza adibita a guardaroba e la spinse dentro.
“Sbrigati,” le disse. ”Io aspetterò fuori.”
Hevonie entrò nella stanza e rimase sorpresa nel vedere la quantità di vestiti, che riempiva in pratica ogni spazio. Si tolse gli abiti che le aveva prestato Rosik, che erano in uno stato pietoso, poi si guardò intorno in cerca di qualcosa di adatto. Voleva fare una buona impressione per quando suo padre l’avrebbe convocata ed evitare di irritarlo ulteriormente. Prese in mano un vestito decorato con dei pizzi, ma lo scartò perché l'avrebbe fatta apparire troppo ragazzina. Ne guardò un altro, ma notò che si addiceva di più ad una donna matura e lei avendo diciotto anni, l’età in cui molte ragazze pensavano già al matrimonio, non desiderava certo ricordarglielo.
Voleva solo apparire fresca e pulita, un po' timida, ma nello stesso tempo affidabile e sicura di sé.
Scelse un vestito verde chiaro, formato da una lunga gonna plissettata e un corsetto bianco, stretto in vita. Si mise sulle spalle un corto mantello di cotone blu. Si pettinò i capelli con le dita e si diede un'occhiata rapida allo specchio.
Purtroppo lo scontro con gli Hinumati, le aveva lasciato alcuni graffi e abrasioni sul viso, oltre che sul collo e le mani. Per coprire queste ultime decise di infilare un paio di guanti, per il collo prese un foulard e se lo rigirò intorno. Ma per il viso, c'era poco da fare, oltretutto non aveva a portata di mano la sua cipria, che avrebbe potuto migliorarne l'aspetto.
Notò che un graffio era proprio in mezzo alla fronte e un altro sulla guancia, mentre il resto del volto era costellato da piccoli segni. Cercò di nasconderli con i capelli, ma senza molto successo, quindi si rassegnò ad affrontare le eventuali conseguenze.
Come ebbe finito di vestirsi, sentì bussare alla porta.
“Arrivo,” Hevonie gridò. Si diede un’ultima occhiata allo specchio e per il futuro, promise a se stessa di pensare un po’ più a lungo prima di agire, poi uscì dalla stanza.
Inaspettatamente trovò Lord Kerris fuori ad aspettarla. Hevonie trasalì ma non lo diede a vedere, l'uomo aveva un'espressione indecifrabile sul volto.
“Vostro padre desidera incontrarvi nella sala del consiglio,” le disse impettito.
“Dov'è Zoelle?”
“E' andata ad avvisare il re del vostro arrivo.”
Hevonie notò che lord Kerris non si muoveva e la fissava con insistenza.
“Cosa c’è?” Gli chiese cauta.
“Vorrei scambiare due parole con voi, se permettete.”
Lord Kerris non era mai stato un uomo loquace, agiva in silenzio e senza farsi notare. Hevonie non si ricordò di avere mai avuto una vera conversazione con lui, a parte le solite frasi di rito.
“Va bene, vi ascolto,” lo sollecitò impaziente.
“Se voi frequentaste la corte più spesso, prendendo sul serio il vostro ruolo di futura regina, sapreste che vostro padre sta affrontando un bel po’ di problemi. I nostri emissari continuano a portare notizie riguardanti un possibile ritorno della Legione Oscura.“
Lord Kerris lasciò che le sue parole fossero assimilate, poi proseguì.
“Si vocifera che le loro truppe si stiano ricomponendo e ammassando intorno ai confini del regno. Oltre a questo si dice che stiano cercando il luogo dove è custodito il sepolcro di Darkebetz.”
Hevonie lo guardò sbalordita, non si era resa mai conto di come stessero davvero le cose.
“Non dimentichiamo che la Legione Oscura era l'esercito comandato da Darkebetz,” concluse il gran consigliere.
Hevonie non lo aveva dimenticato. La leggenda narrava che fosse una creatura immortale e che per fermare le sue atrocità fu combattuta quella che ancora oggi era ricordata come la Grande Battaglia.
Dopo un anno di strenui combattimenti fu infine catturata dai maghi del Concilio e tramite un complicato cerimoniale magico, il suo spirito fu separato dal corpo e intrappolato in uno scrigno. Il suo nome divenne sinonimo del male stesso, a causa sua molte persone persero la vita.
“Il re non ha mai chiesto il mio aiuto e dubito che ne abbia davvero bisogno.” Hevonie disse a sua discolpa.
“Forse no. Ma non ha neppure bisogno di una figlia che gli crei continui problemi da aggiungere a quelli che ha già e che lo metta in imbarazzo, sebbene abbia cercato molte volte di farla ragionare. Voi siete per lui motivo di preoccupazione.”
Lord Kerris aveva parlato con foga e Hevonie lo guardò stupita, era la prima volta che si rivolgeva a lei in quel modo.
“I suoi detrattori cominciano a criticare molte sue decisioni, rendendogli difficile governare il regno. Vostro padre non ha mai provato il suo valore in guerra come invece fecero i suoi predecessori. E’ sotto costante scrutinio e deve provare ogni giorno all'esercito e ai maghi del Concilio di essere un buon re.”
Lord Kerris sembrò avere terminato il discorso, invece proseguì.
“Ma non è facile quando c'è chi gli ricorda continuamente i comportamenti poco edificanti della figlia.”
“Questo è assurdo!” Protestò Hevonie. “Mio padre è il miglior re che il popolo possa desiderare. Da quando c’è lui, si vive in pace e regna la prosperità. Non posso credere che ci sia un complotto contro di lui o che io possa rovinarlo con il mio comportamento. Me ne sarei sicuramente accorta.”
“E come avreste potuto, se non siete mai presente alle riunioni importanti?” Sbottò Lord Kerris. “Proprio ieri, i messaggeri hanno riferito a vostro padre, che alcuni demoni sono stati avvistati ai margini di una foresta. Questo significa che è stato aperto un varco nella barriera che circonda il vulcano di Overlack. Inoltre diversi villaggi hanno subito degli attacchi improvvisi e potrebbero esserci delle vittime. La gente comincia ad avere paura. Con chi credete che se la prenderà il popolo se questa atmosfera di terrore dovesse crescere? Chi penserà che il re sia abbastanza forte da proteggere la sua gente?”
Hevonie non disse niente, ascoltava e basta.
“Vostro padre ha già chiamato alle armi molti volontari e ha cominciato ad allertare il Concilio dei maghi come precauzione. Ma anche li serpeggiano dei malumori, c'è chi non vede di buon'occhio che il re sia un Nebbiato. Il fatto che non possegga alcun potere magico, potrebbe mettere a rischio la corona stessa. Questa emergenza ha bisogno di un re forte da seguire. E forse un domani di una regina ancora più forte.”
Hevonie aveva sempre saputo che un giorno sarebbe succeduta a suo padre, ma non aveva mai pensato a se stessa come a una possibile regina. Era cosciente che alla fine avrebbe dovuto affrontare la questione, ma aveva sempre cercato di rimandare la faccenda.
Adesso lord Kerris la stava mettendo con le spalle al muro, riportandola alla realtà. Suo padre invecchiava e lei stava diventando una donna, ma l’idea di dovere salire al trono la spaventava.
Lei voleva vivere come meglio credeva, senza dovere subire imposizioni da parte della corte.
“Voi sottovalutate mio padre,” esclamò infine Hevonie fissandolo negli occhi.
“No, siete voi che non vi rendete conto della gravità della situazione,” rispose Lord Kerris sostenendo il suo sguardo.
“E voi dovreste ricordarvi con chi state parlando!”
Immediatamente tra i due cadde un silenzio di ghiaccio.
“Adesso devo andare, il re mi aspetta.”
Lord Kerris con un inchino, si spostò di lato per farla passare.
Hevonie serrò i pugni e si allontano a passo svelto, sentendo dietro di sé, puntato sulle spalle, lo sguardo accusatore del gran consigliere.
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Hevonie entrò nel salotto privato del padre e fu sorpresa di non trovarlo solo. Insieme con lui c’erano alcuni alti dignitari, dei nobili e altri cortigiani. Ma notò soprattutto la presenza di Malwen Rakomar, il mago di corte.
Il padre le fece cenno di raggiungerlo, lei si avvicinò tra gli inchini dei presenti e notò che Malwen la fissava con uno strano sguardo che la mise a disagio.
Gli occhi del mago erano segnati da molte rughe, malgrado non dovesse avere più di quarant’anni e avevano un’espressione indecifrabile. Quando raggiunse il padre, Hevonie avvertì un senso di protezione che la fece sentire meglio.
Il re la osservò attentamente e notò il suo aspetto trasandato, oltre ai graffi che le ricoprivano il volto. Scosse la testa e proclamò a voce alta.
“Figlia mia, questa sarà l’ultima volta che parlerò dei tuoi obblighi verso la corona e dei tuoi doveri verso di me. Dalla principessa di Kosworth non saranno più tollerate disobbedienze e intemperanze. A partire da questo preciso momento.”
Il re si alzò dalla sedia, l’espressione era seria e decisa, la sua figura era imponente e incuteva rispetto.
Aveva una massa di capelli folti, per la maggior parte grigi, in mezzo ai quali poggiava una sottile corona d'oro.
A un suo cenno quasi tutte le candele che illuminavano la sala furono smorzate facendola cadere nel buio.
Uno Spiocchio librò nell'aria e cominciò a proiettare contro un'ampia parete, una serie d’immagini.
Hevonie impallidì, quando vide se stessa che con l'aiuto della pietra di Koltrane stava creando un varco nel muro del castello e con passo furtivo, lo oltrepassava.
Un'altra sequenza la mostrava mentre si aggirava guardinga nei corridoi del sotterraneo e s'introduceva nell'armeria per uscirne poco dopo con tre spade scintillanti.
“Basta!” Gridò esasperata. “Vi prego fermatelo.”
Il re fece un gesto ai servitori che subito si affrettarono a riaccendere le candele. Lo Spiocchio volò via e tutti i presenti cercarono di riabituare gli occhi alla luce.
“Pensi davvero di poter fare quello che vuoi impunemente?” Chiese il re. “Per quanto tempo un uomo può sopportare la vergogna e il disonore?”
Hevonie si sentì imbarazzata a essere ripresa davanti a tutte quelle persone, si era aspettata un incontro privato.
Il re era sempre stato accondiscendente nei suoi confronti, non lo aveva mai visto comportarsi in quel modo.
“Mi dispiace padre, cercherò di comportarmi meglio in futuro,” dichiarò Hevonie avvilita.
“Perché dovrei crederti? Finora malgrado tutti i rimproveri non sei mai cambiata e soprattutto non hai mai fatto niente per cambiare,” il suo sguardo era duro.
“Una volta eri una ragazza studiosa e diligente, ricordo ancora che ascoltavo con piacere i tuoi insegnanti descrivermi il tuo interesse per le arti, le scienze e la storia. E adesso?
Sei solo una ragazza viziata, che rifiuta di sottomettersi alle regole e persiste nel disubbidire non solo ai suoi tutori ma anche a suo padre!”
“Padre mio, vi prometto che farò di tutto per cambiare, il mio cuore si spezza a sentirvi parlare in questo modo.” Hevonie si prostrò ai suoi piedi, poi lo guardò negli occhi.
“Vi giuro che farò ammenda dei miei errori,” proseguì assumendo un’espressione afflitta.
Il padre le prese le mani e la aiutò a rialzarsi.
“Tu devi capire che le tue azioni minacciano la mia posizione. Ti sei guadagnata una reputazione che imbarazza l'intera corte. E’ da sempre che ti sento ripetere, che ti dispiace, ma ogni volta ricominci con le tue malefatte.”
Fece una pausa per respirare, la sua espressione era ancora dura. Hevonie faceva fatica a riconoscere il padre che amava, dietro quel volto.
“Sono giunto alla conclusione che tu non sia sinceramente pentita del tuo comportamento e soprattutto non dimostri rispetto nei miei confronti.”
“Questo non è vero!” Hevonie scattò come una molla. “Non puoi davvero pensare una cosa simile.”
“La mia testa pensa come i miei occhi vedono. Non sono cieco e sono stufo di farmi prendere in giro da te. Tu sei mia figlia, ma a tutto c'è un limite.”
Hevonie ascoltò in silenzio quelle parole.
“Nessuna figlia continuerebbe a comportarsi come fai tu. Per mesi ho sperato che alla fine saresti cresciuta e maturata. Ma adesso ho esaurito la mia pazienza e perfino la speranza. Come potrai regnare su Kosworth, se non ti impegni ad imparare a controllare la magia che hai ereditato? Tu infanghi il mio nome e la memoria di tua madre, i graffi sul tuo viso sono la prova lampante della tua disubbidienza.”
“Siete ingiusto!” Esclamò Hevonie.
“Non voglio proseguire oltre questa discussione. Se vuoi dimostrare un reale pentimento, giura davanti a me e alla corte che non porterai mai più la vergogna sopra il trono e il regno. Giuralo!” Il re fece una pausa poi proseguì. “Dopo di che, se tu romperai questo giuramento, questa volta avrai una punizione esemplare. Sarai mandata al collegio della Vera Magia, dove sarai costretta a studiare duramente. Sarai privata della libertà e tornerai solo dopo che avrai dimostrato un effettivo cambiamento.”
“Lo giuro! Sono pronta a giurarlo.” Hevonie cadde in ginocchio, sentiva il sangue pulsarle nelle tempie e le guance infuocate.
Non riuscì a trattenere le lacrime e si sentì sconvolta, mai sarebbe voluta andare in quel collegio. Infine si calmò e si asciugò le guance con la mano.
“Molto bene, adesso che hai giurato davanti a me e alla corte, mi aspetto che il tuo comportamento cambi drasticamente. Ricordati che non avrai più un’altra possibilità.”
Il re si rimise seduto sul trono. Malwen Rakomar si chinò su di lui e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, al che il re annuì e aggiunse.
“Inoltre ti sarà tolta la pietra di Koltrane.”
Hevonie si rialzò lentamente da terra senza dire niente, si voltò e si allontanò. Tutti gli occhi erano puntati su di lei.
Si asciugò le lacrime e fu affiancata da Zoelle che la scortò fuori dalla sala.
Nel corridoio incrociò tre cavalieri, tra cui Jori che le rivolse un cenno di saluto, ma lei non lo vide nemmeno e proseguì il suo cammino a testa bassa.
La carrozza riaccompagnò Hevonie al castello, dove si ritirò nei suoi alloggi.
Essere tornata nell'ambiente familiare e confortevole della sua camera, la fece sentire notevolmente meglio. Si rilassò e lentamente riacquistò sicurezza in se stessa.
Ripensò al padre che aveva fatto tutta quella scena per niente, forse la vecchiaia gli aveva fatto perdere la prospettiva delle cose. Sicuramente subiva l'influenza di quel dannato Malwen Rakomar, non capiva come il padre non si rendesse conto di quanto fosse subdolo e sgradevole.
Forse aveva ragione sul fatto che lei non partecipava attivamente agli affari di corte e questo suo disinteresse aveva favorito l'ascesa di quel mago.
Ma adesso ci avrebbe pensato lei a cambiare le cose, si sarebbe comportata diversamente e sarebbe stata più vicina al padre.
Da quando era morta sua madre, il re era molto cambiato, si era chiuso in se stesso e il loro rapporto ne aveva risentito. Hevonie lo vedeva raramente e quelle poche volte lui era molto freddo e distaccato, tanto che alla fine lei aveva smesso di cercarlo.
Non si era mai ripreso dalla morte della moglie e non aveva mai più trovato un’altra donna degna di sostituirla.
Se sua madre fosse stata ancora viva, sicuramente le cose sarebbero andate in maniera diversa.
Comunque Hevonie se la sarebbe cavata lo stesso. Ormai sapeva come ingannare le guardie e avrebbe continuato a svolgere la sua vita esattamente come prima.
Doveva solo fare maggiore attenzione. Oltretutto stava per scoprire chi era il negromante che manovrava gli Hinumati e non ci avrebbe certo rinunciato proprio adesso che era ad un passo dal catturarlo.
Mentre si preparava per andare a dormire, pensò alla cosa che l’aveva più colpita, ovvero che il padre pensasse che lei non provasse dei sentimenti nei suoi confronti. Su questo si sbagliava, lei provava un affetto profondo per lui, forse non riusciva a dimostrarglielo. Hevonie indossò una leggera camicia da notte e s'infilò sotto le coperte. Nonostante gli eventi della serata si addormento immediatamente.
La giornata seguente passò tranquilla, Hevonie si dedicò alle sue faccende e non ebbe modo di vedere il padre.
La sera preferì cenare in camera sua, non se la sentiva di affrontare i membri della corte e i loro sguardi inquisitori, infine si preparò per uscire.
Si cambiò il vestito, si legò i capelli in una treccia e prese la sua spada, quella sera sarebbe andata a scovare il Negromante insieme a Katlin e Rosik.
Aprì la porta per uscire e si trovò di fronte Zoelle impettita, a piedi divaricati.
“Dove stai andando?” Chiese la donna sospettosa.
“A fare una passeggiata,” rispose Hevonie ostentando indifferenza. ”Dopo cena è quello che ci vuole.”
“Come mai hai preso la spada?”
“Non lo so, per abitudine,” si giustificò Hevonie. “Di questi tempi non si sa mai.”
“Allora ti accompagno, se non ti dispiace.”
“Ti ringrazio, ma preferisco passeggiare da sola,” disse mentre si affrettava a sorpassare Zoelle.
“Non avrai intenzione di incontrare i tuoi amici come al solito?”
“Certo che no!” Esclamò Hevonie fingendosi offesa.
“Certo che si, invece. Ti si legge in faccia che stai mentendo. Hai sentito tuo padre? E se qualcuno ti vede? Ricordati le sue parole, non stava scherzando e tu hai giurato.”
“Nessuno mi vedrà. E mio padre non avrà mai il coraggio di mandarmi in collegio, per nessuna ragione al mondo. Ieri era arrabbiato, ma sono sicura che abbia allestito lo spettacolo con l’idea di spaventarmi e costringermi all’obbedienza. Una messa in scena meravigliosa! E devo dire che c'è quasi riuscito a spaventarmi. Cercherò di migliorare, ma a modo mio.”
“Questa volta non stava scherzando,” l'ammonì Zoelle.
Hevonie scosse la testa e proseguì. “Starò più attenta e mi comporterò in maniera adeguata al mio ruolo, lo prometto. Ma stasera ho un appuntamento troppo importante e non posso rinunciarvi, forse sarà l’ultimo che potrò avere per lungo tempo. Cosa c’è di male? Mi sembra che dopo quello che ho dovuto subire ieri sera, sia mio diritto svagarmi.”
“Non farlo. Pensa a tuo padre.”
“Domani mattina ne parleremo ancora,” disse Hevonie. “Ti giuro che cambierò, lo vedrai. Ma questa sera lasciami andare. Sarà l’ultima volta, te lo prometto.”
“Non andare, ti prego,” la implorò Zoelle.
“Non posso, mi dispiace.” Hevonie si voltò e si allontanò in fretta lasciando Zoelle nel corridoio a contorcersi le mani.
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Non c’era nessuno nel corridoio interno, Hevonie percorse a passi silenziosi il passaggio segreto che conduceva al portale magico. Scivolò fuori dalle mura del castello, superò la postazione di guardia nel cortile e oltrepassò lo stretto passaggio che conduceva ai giardini.
Si recò al punto prestabilito, dove incontrò Rosik.
“Eccoti finalmente,” disse l'amico. “Ma Katlin dov'è? E' in ritardo.”
“Non ti preoccupare, vedrai che tra poco arriverà,” lo tranquillizzò Hevonie.
“A dire il vero pensavo che anche tu non venissi, dopo quello che è successo con tuo padre.”
“Vedo che le notizie corrono in fretta.”
“Mio padre dice che questo castello ha più spifferi che mattoni,” sogghignò Rosik.
“Ha ragione,” convenne Hevonie. Poi sentendo dei passi aggiunse. ”Ecco Katlin.”
I passi si affrettarono verso di loro, ma erano quelli di più persone e all'improvviso nel buio, dove si trovavano, una torcia li illuminò.
Apparvero tre soldati che tenevano per le braccia Katlin, che si divincolava cercando di liberarsi.
Quando Hevonie vide comparire anche suo padre, s'immobilizzò.
Il re le lanciò uno sguardo pieno di amarezza, si voltò senza dire niente e se ne andò.
Al suo posto comparve Malwen Rakomer, con un'espressione soddisfatta sulla faccia.
E in quel momento Hevonie realizzò di essere veramente nei guai.
Hevonie aveva appena varcato la soglia del castello e si apprestava a partire. Indossava un elegante vestito azzurro, ricoperto da una mantellina blu.
Intorno al collo portava una sciarpa di seta intrecciata con fili d'oro, molto preziosa, che era appartenuta a sua madre.
Il suo bagaglio era ridotto al minimo, poiché le era stato proibito di portare con sé la maggior parte dei suoi bei vestiti e dei suoi innumerevoli oggetti.
Ma aveva avuto l'accortezza di infilarsi nello stivaletto il suo pugnale preferito. Senza la pietra si sentiva vulnerabile e in caso di necessità voleva essere in grado di difendersi da sola.
“Nascondi la sciarpa sotto la veste,” le disse Zoelle. In fretta la prese e gliela infilò sotto il mantello, Hevonie non si mosse.
Suo padre era stato irremovibile, sarebbe andata al collegio della Vera Magia, luogo famoso per la severità delle sue regole, dove sarebbe rimasta sotto stretta sorveglianza.
Hevonie si toccò il bracciale dal quale era stata levata la pietra di Koltrane e questo le procurò una stretta allo stomaco.
Non c'era umiliazione peggiore che essere destituita dalla propria pietra magica, era considerato un autentico disonore.
Dopo una breve consultazione tra i ministri plenipotenziari di corte, le era stata inflitta la massima punizione prevista, senza la pietra di Koltrane non avrebbe potuto usare la magia.
Ogni sua giustificazione venne respinta e fu deciso che Hevonie doveva lasciare il castello l'indomani.
L'unica concessione che le era stata fatta era il dono della guarigione, la Pura Magia della quale era dotata poteva usarla solo per curare chiunque ne avesse avuto bisogno.
Era stata costretta ad indossare il bracciale, che essendo incantato non poteva essere tolto, per ricordarle in ogni momento quello che aveva perso.
“Non avete detto una parola da quando avete lasciato il vostro alloggio, milady,” disse lord Kerris affabile.
Hevonie lo guardò dritto negli occhi.
”Che cosa dovrei dire?” Sbottò furibonda.
Zoelle la fissava sgomenta. “Ti avevo avvertito e non mi hai voluto ascoltare. Devi prendertela solo con te stessa.” Nonostante il tono rude, i suoi occhi erano tristi.
“Sapete che vi aspetta un duro percorso?” Chiese Lord Kerris.
“Me la caverò in qualche modo. Sono in grado di badare a me stessa.”
“Forse sì, ma temo che non sarà così facile,” mormorò l'uomo.
“Lo vedremo. Sono capace di dare del filo da torcere a chiunque,” ribatté Hevonie spavalda.
”Sai che tuo padre ti vuole molto bene, ma ti permetterà di tornare solo dopo un reale cambiamento. Dipende solo da te,” intervenne Zoelle.
“Mio padre è senza cuore. Non ha voluto nemmeno ascoltare le mie ragioni. E’ un uomo egoista,” esclamò Hevonie stizzita. “Per lui sono più importanti le chiacchiere di corridoio della propria figlia.”
“Adesso basta, è ora che la principessa vada,” la interruppe Lord Kerris che, come sempre, riteneva queste incombenze estremamente sgradevoli.
Vide che Zoelle si stava passando il fazzoletto sugli occhi arrossati, quindi si avvicinò a Hevonie, la afferrò per un braccio e la accompagnò fino alla carrozza.
Ad attenderla c'erano le guardie reali che l'avrebbero scortata fino al collegio.
Hevonie e due guardie salirono insieme sulla carrozza, mentre altri sei soldati a cavallo si disposero ai lati. Una volta sistemate le ultime cose, la carrozza si mosse e discese lentamente la strada, Zoelle si fermò a guardarla attraverso le sbarre del cancello, con il cuore spezzato.
“Sbagliano tutti e due,” disse, strofinandosi gli occhi con un fazzoletto. “Questa è la cosa peggiore che potesse succedere. Dovrebbero restare uniti, soprattutto in un momento difficile come questo.”
“E’ una scelta del re e come tale non si può discutere,” commentò Lord Kerris.
“Non è vero. Il re è stato costretto da Malwen Rakomar, quel mago ha un'influenza negativa su di lui. Possibile che nessuno se ne accorga? Il sovrano non avrebbe mai permesso una cosa simile.” Zoelle rimase a fissare ancora per qualche istante la carrozza ormai lontana, poi se ne andò.
Lord Kerris, rimasto solo, fece cenno a Rosik di raggiungerlo, malgrado fosse giovane, era un cavaliere di una certa esperienza. Aveva assistito in disparte alla partenza di Hevonie, senza poterla nemmeno salutare. Sia lui che Katlin erano stati messi in punizione.
Indossava un'armatura leggera e un mantello con sopra lo stemma reale di Kosworth. Teneva la spada su un fianco e un pugnale infilato nella cintura.
“Il re ti sta dando una grande prova di fiducia, Rosik. Questa è la tua occasione per redimere te stesso ai suoi occhi e a quelli di tuo padre.”
“Mio padre non mi avrebbe più rivolto la parola se non avessi accettato,” disse Rosik contrito. “Ma lo avrei fatto lo stesso. Hevonie è una mia cara amica.”
“Devi assicurarti che la principessa arrivi sana e salva al collegio.”
“Ho già pronto il mio cavallo e scorterò la carrozza fino a destinazione.”
“Il re desidera che nessuno conosca la vera meta della figlia. Una scorta troppo numerosa darebbe nell’occhio. Sei d’accordo?”
“Si certo, la proteggerò a costo della mia stessa vita o almeno ci proverò,” mentre parlava Rosik si impettì.
“Allora va e fa il tuo dovere.” Lord Kerris con un movimento del braccio aprì il cancello e attese che Rosik lo oltrepassasse in sella al suo cavallo. Richiuse il cancello dietro di lui e lo guardò allontanarsi lungo la strada, poi pensò che questa faccenda aveva preso una piega davvero fastidiosa.
Rosik discese di buon passo il sentiero e sparì alla vista dopo pochi minuti. Lord Kerris credeva di averne viste tante in vita sua, ma un fatto del genere non se lo sarebbe mai aspettato. Comunque non era compito suo preoccuparsi, lui doveva solo eseguire gli ordini, quindi tornò ai suoi doveri.
Nello stesso istante Malwen Rakomar si trovava nascosto al di fuori delle mura della città. Fece cenno a un uomo a cavallo di avvicinarsi, mentre la dozzina d’individui che stava con lui, rimase in attesa ognuno in sella al proprio cavallo.
Si trattava di un ex capitano della guardia del re, caduto in disgrazia per avere commesso dei crimini abusando della sua carica. Era ricercato e per non finire in prigione, era costretto a vivere alla macchia accettando ogni genere di lavoro. Soprattutto il lavoro che nessuna persona onesta e rispettabile avrebbe svolto. Fortunatamente per lui, i clienti non mancavano mai.
“Aspetta finché la carrozza non sia giunta sulla strada che attraversa il bosco,” sussurrò il mago al capitano. “Dalle una buona distanza, poi seguila, devi renderti invisibile.”
“D’accordo. Nessuno si accorgerà di niente,” il capitano, che si chiamava Torn, chinò leggermente la testa.
“La principessa non deve raggiungere il collegio.” Malwen fissò con i suoi occhi scuri il capitano.
“Non ti preoccupare, non ci arriverà mai.” Detto questo, Torn si voltò e raggiunse i suoi uomini in attesa.
Malwen gli fece cenno di andare, poi si allontanò furtivo nell'ombra.
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La carrozza su cui viaggiava Hevonie, stava attraversando dei campi dove intere famiglie erano impegnate nella raccolta del grano. Si vedevano uomini che sistemavano barili, ammucchiavano sacchi e scaricavano grosse zolle di fieno nelle stalle.
Fiancheggiarono il fiume sulle cui rive, alcune donne lavavano i panni battendoli con forza su tavole di legno. Le loro grida, mescolate ai richiami dei barcaioli, davano alla scena, un'impressione di grande vivacità.
Hevonie guardava curiosa quel mondo che scorreva fuori dal finestrino della carrozza, tutti erano impegnati in una moltitudine di faccende. Osservò con attenzione come la vita di quelle persone, scorreva abitudinaria e lenta come l'acqua del fiume.
Ripensando agli ultimi avvenimenti, ancora non si capacitava di come fossero precipitate le cose, nel giro di poche ore il suo peggior incubo era diventato realtà.
Continuò a guardare fuori dal finestrino e rimase impressionata nel vedere tutta quella gente indaffarata nelle proprie faccende quotidiane. Sembravano sapere esattamente cosa fare in ogni momento. Hevonie aveva sempre immaginato che la vita della gente comune fosse molto semplice, fatta di giorni pieni di duro e produttivo lavoro e che il loro unico svago fossero le serate trascorse a bere birra in compagnia, per distrarsi un po’.
Sapeva che c’erano delle terre dove i regnanti erano intransigenti e senza compassione per il proprio popolo, ma nel regno di suo padre, da quello che poteva capire, la situazione sembrava essere soddisfacente.
Era noto che alcuni di loro sognavano la libertà e risparmiavano abbastanza soldi per diventare padroni delle terre che lavoravano. E questi erano i sogni di cui quelle persone erano capaci, tutto ciò che potevano desiderare. La gente comune non possedeva poteri magici, quindi non aveva grandi possibilità di scelta. Ma questa diversità non era usata per sfruttarli, anzi si cercava in tutti i modi di rendere la loro esistenza dignitosa.
Hevonie provò ad immaginare la sua vita diventare così, si trattava di svolgere lo stesso lavoro giorno dopo giorno, parlare delle stesse identiche cose ogni sera. Una misera esistenza priva di ogni attrattiva e avventura.
Scorse il suo riflesso nel vetro e vide che sopra il suo viso era apparsa un'espressione disgustata.
Pensò con tristezza che proprio il gusto per l’avventura l’aveva messa nei guai. Nelle ultime ore si era domandata come se la sarebbe cavata da sola in quel collegio che aveva una fama così sinistra. Ma non vedeva la situazione senza speranza, sapeva di avere delle risorse.
Innanzi tutto il suo spirito d’intraprendenza, qualcosa che in molte situazioni si era rivelato molto prezioso.
Poi era la figlia del re e questo fatto non era cosa da poco. Sicuramente avrebbe ricevuto un trattamento di favore e non sarebbero stati troppo duri con lei. Anzi, vista nella giusta prospettiva, questa poteva essere un’ottima opportunità per fare delle nuove esperienze.
Se fossero sorti dei problemi, avrebbe trovato sicuramente qualcuno disposto ad aiutarla più che volentieri, per trarre futuri benefici dalla sua amicizia.
E suo padre nonostante l'intransigenza dimostrata, non l’avrebbe lasciata in quel luogo troppo a lungo. Zoelle aveva ragione su questo e anche lei ne era quasi certa.
Senza dubbio questa decisione era stata più che altro un gesto teatrale, presa sotto l'influenza nociva del mago di corte.
Suo padre in fondo le voleva solo dare una lezione, quindi Hevonie capì che doveva essere paziente e aspettare un po' di tempo per dimostrare di essere cambiata.
Avrebbe dovuto prostrarsi ai piedi di suo padre, sinceramente pentita, come una figlia devota e poi sarebbe tornata al castello, per riprendere la sua vita esattamente come prima.
Questo pensiero le fece apparire un sorriso compiaciuto sulle labbra, quindi si appoggiò comodamente sullo schienale e si rilassò.
La carrozza lasciò dietro di sé il villaggio e proseguì per una larga strada che si inoltrava nella campagna. In lontananza si scorgeva la foresta, verso la quale si stava dirigendo.
Hevonie aprì il finestrino e sentì l’aria fresca sulla faccia che proveniva dalla vegetazione rigogliosa, portando con sé un buon odore di resina.
Molta gente aveva paura della foresta, di solito si trattava di paesani superstiziosi che appendevano aglio fuori dalle finestre e creavano i più strani amuleti. A suo avviso erano un insieme di sciocchezze che lei non comprendeva.
Solo in alcuni luoghi si diceva vivessero delle strane creature, ma si trattavano per lo più di voci infondate.
Sporse la testa fuori e vide che la strada era deserta, fin dove poteva guardare in entrambe le direzioni, non c'era nessuno.
Il silenzio era scalfito dal rumore prodotto dal loro passaggio e dal suono distante degli uccelli, nascosti tra i rami più alti degli alberi. La sensazione di essere in un luogo così isolato, le diede un po’ d’inquietudine.
Chi poteva sapere se gli esseri che vivevano nel profondo della foresta non potevano apparire inaspettatamente?
Scosse la testa e capì che questa sua paura era dovuta al suo stato d'animo e all'agitazione per la nuova situazione che stava affrontando.
Di solito non si spaventava facilmente e non voleva cominciare proprio adesso.
Continuò a fissare la strada dal finestrino e sentì la carrozza curvare ed iniziare una breve salita. Guardò ancora fuori e vide che gli alberi creavano un'ombra molto scura che non le permetteva di scorgere la fine della strada. Ritirò la testa all'interno della carrozza e guardò le due guardie sedute davanti a lei, erano ben armate e addestrate. In caso di pericolo, di certo l'avrebbero difesa egregiamente.
Proprio in quel momento la carrozza si fermò bruscamente, i cavalli nitrirono spaventati e si sentirono delle urla concitate.
Le due guardie si precipitarono fuori dalla carrozza, ordinandole di non muoversi. Hevonie respinse l'impulso di seguirle e guardò fuori, vide le guardie con le spade in mano lottare contro un gruppo di uomini a cavallo, anch'essi armati di spade. Quegli uomini erano circa una dozzina e stavano avendo la meglio sulle guardie.
Hevonie decise di scendere ad aiutarli, ma quando cercò di aprire lo sportello della carrozza, questo rimase chiuso. Provò con l'altro e insistette anche con calci e pugni, ma gli sportelli erano sigillati. La magia, pensò, avevano usato la magia per impedirle di uscire, sapevano che non avrebbe obbedito agli ordini. L'avevano chiusa dentro e lei non sapeva che cosa fare.
Si sentiva impotente e quando vide una delle guardie cadere a terra morta, lanciò un urlo di rabbia. Poi anche altre due guardie furono uccise e in quell'istante avvertì che l'incantesimo era svanito. Cercò di aprire lo sportello, ma fu spalancato brutalmente da una mano che la afferrò per un braccio e la scaraventò fuori. Riuscì a rimanere in piedi nonostante la forte spinta, in fretta si chinò a raccogliere da terra la spada di una delle guardie uccise.
Si ritrovò davanti ad alcuni uomini vestiti di nero con i volti coperti da strisce di tessuto che lasciavano liberi solo gli occhi. Erano avvolti nei loro mantelli e indossavano guanti di pelle.
Con orrore vide che tutte le guardie della sua scorta giacevano a terra morte. Hevonie si ritrovò a fronteggiare i suoi avversari con la spada sguainata e passarono lunghi momenti senza che nessuno si mosse. Finché un improvviso calpestio di zoccoli proruppe dalla strada, dietro di lei.
Rosik si abbassò l'elmo e con la spada in pugno, incitò il suo cavallo al galoppo.
Gli uomini si voltarono simultaneamente verso di lui e si preparano ad affrontarlo.
Uno di loro approfittando dell'interruzione, disarmò Hevonie e la prese per un braccio, torcendole il polso.
Ma Hevonie diede uno strattone con tutta la sua forza, si buttò di lato e recuperò la spada da terra. Allora l'uomo prese la carica e calò la propria spada su di lei, che però riuscì a bloccare il colpo con la lama. Aveva sventato il primo attacco, ma sapeva di essere più debole e che non avrebbe retto il confronto con la forza di quell'individuo una seconda volta.
Rosik con la spada costrinse uno degli uomini a indietreggiare, finché quest'ultimo inciampò e cadde a terra. Quindi smontò da cavallo e lo infilzò con la spada. Un grido straziante fuoriuscì dalla gola dell'uomo.
Hevonie guardò in tutte le direzioni, gli uomini e il cavaliere che si affrontavano e a pochi passi la foresta dove avrebbe potuto fuggire e nascondersi.
Ma prese coraggio e con la spada affrontò uno dei banditi che a sua volta brandiva la sua arma, lanciò un fendente, ma l'uomo lo schivò. Poi con un colpo inaspettato le fece volare via di mano la spada, Hevonie disarmata, cercò il cavaliere che era corso in suo aiuto.
Lo vide mentre stava tenendo testa a due uomini, quando un altro bandito lo sorprese da dietro e lo trafisse con la spada, facendolo cadere a terra ferito.
Hevonie corse verso di lui e gli tolse l'elmo. Quando vide che si trattava del suo amico Rosik, rimase sconvolta. Ammutolita dal dolore e ancora sotto attacco, lo aiutò a rialzarsi.
“Rosik! Cosa ci fai qui?” Chiese incredula.
“Dopo ti spiego. Prendi questo e lancialo,” mormorò Rosik con il volto contratto dal dolore.
Senza fare domande Hevonie prese dalla mano di Rosik, una fialetta di vetro, contenente un liquido verde.
La lanciò a terra, contro i malviventi e una sostanza gassosa si sprigionò rendendo l'aria irrespirabile.
Gli uomini si fermarono e cominciarono a tossire, pertanto arretrarono cercando aria fresca da respirare.
“Sbrighiamoci,” disse Rosik. “Non durerà a lungo, l'effetto è temporaneo.”
“Una tua nuova invenzione?” Chiese Hevonie sostenendolo.
“Già, ma non ha ancora un nome,” rispose Rosik a fatica.
“Quando saremo salvi, ne troveremo uno.”
Si diressero verso la foresta, Rosik si trascinava, non riuscendo quasi a camminare.
“Fermati,” disse ad un tratto. ”Non ce la faccio più.”
Hevonie si guardò attorno e vide dei cespugli, si nascosero sotto il loro fogliame. Poi notò che Rosik si stringeva l'addome con la mano.
“Adesso ti aiuto io,” gli disse sentendo i passi dei banditi avvicinarsi.
“No,” disse Rosik. ”Scappa, per me non c'è più niente da fare.”
“Non ci penso nemmeno, fammi vedere.” Hevonie osservò la ferita e vide che era profonda e il sangue continuava a sgorgare copioso. Capì che nemmeno la sua energia magica avrebbe potuto salvarlo.
“Ascolta, tu devi salvarti, devi aiutare tuo padre a fermare i demoni. Se ti succede qualcosa la mia morte non sarà servita a niente,” il volto di Rosik era deformato dal dolore.
“Non posso lasciarti,” Hevonie disse cercando di trattenere le lacrime.
L'effetto del gas tossico si stava esaurendo e gli uomini si stavano avvicinando.
“Fammi solo un favore,” disse Rosik con un ultimo sforzo. “Quando incontrerai mio padre, digli che sono morto con onore, combattendo. Per lui sarebbe molto importante saperlo.”
“Non dire così, “ mormorò Hevonie stringendogli forte la mano. ”Vedrai che torneremo a casa insieme.”
“Glielo dirai?” La implorò Rosik.
Hevonie annuì e gli accarezzò la fronte madida di sudore.
“Prendi questo,” con la mano Rosik le indicò un piccolo sacchetto che portava legato alla cintura. “Voglio che lo abbia tu. Adesso funziona, non è più uno stupido tentativo.”
Hevonie vi infilò la mano dentro e ne tirò fuori la sfera Porcospino.
La vide appena, avendo la vista offuscata dalle lacrime, poi rivolse all'amico uno sguardo pieno di rammarico. Rosik increspò le labbra in un sorriso e chiuse gli occhi per sempre.
Ormai i banditi la stavano raggiungendo, solo una fila di alberi la separava da loro.
Hevonie strinse le dita intorno alla piccola sfera, raccolse la spada e si rialzò.
“Addio Rosik,” sussurrò sconvolta dal dolore.
Senza fare rumore, si allontanò, prima piano poi sempre più velocemente. Gli occhi le bruciavano per le lacrime, non riusciva quasi a vedere dove stava andando.
Inciampò e nella caduta si graffiò il viso e le mani. Si rialzò immediatamente e scappò via, senza mai voltarsi indietro.
Udì in lontananza le voci concitate dei mercenari ma Hevonie corse all'impazzata incurante di dove stava andando o se quegli uomini la stessero ancora inseguendo.
Si fermò solo dopo molto tempo quando le sue gambe non la sorreggevano più.
Inspirò grandi boccate d'aria e guardandosi indietro non vide nessuno.
Si appoggiò ad un albero e si asciugò il sudore dalla fronte.
La quiete della foresta la circondava, restò così diversi minuti finché riprese fiato completamente e il cuore rallentò i suoi battiti.
Sentiva i muscoli del suo corpo affaticati. La notte sarebbe scesa nel giro di poche ore e sapeva bene che la foresta di notte era il regno dei banditi e di tutte le strane creature di cui aveva sentito parlare.
Cominciò a ricordare in dettaglio le storie della gente che raccontava di persone inghiottite dalla foresta e scomparse senza lasciare traccia.
Un brivido le percorse la schiena e si trovò a scrutare le ombre attraverso gli alberi e il fogliame.
Cominciava ad avvertire l'aria fredda della foresta e la forte umidità.
Ripensò a Rosik, morto per difenderla e questo la fece sentire male, rimase a lungo accovacciata a piangere il suo migliore amico.
Quando ebbe esaurito le lacrime, decise di muoversi, restare li non sarebbe servito a niente, quindi si rimise in cammino.
Malgrado potesse essere pericoloso, stabilì di tornare verso la carrozza.
Voleva accertarsi se gli uomini fossero spariti ed eventualmente chiedere aiuto.
Sperava almeno di recuperare uno dei cavalli e tornare a casa per raccontare a suo padre quello che le era successo.
Si sentì nervosa e impaurita. Aveva i muscoli contratti per la fatica, si strofinò le guance fredde con le mani e trasalì nel vederle sporche di sangue.
Se le ripulì sul vestito, un senso di nausea la pervase, ma doveva farsi forza e reagire.
Fece un grosso respiro, si voltò e si diresse di nuovo verso la strada.
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“La principessa è fuggita.” Uno dei mercenari fece rapporto al capitano Torn, che aveva appena raggiunto i suoi uomini. Una carrozza con due cavalli attaccati era ferma in mezzo alla strada.
E c'erano diversi cadaveri sparsi sul terreno.
“Come avete fatto a farvela scappare?” Gridò il capitano furibondo.
“Non lo so, signore. Stavamo combattendo, quando è giunto un cavaliere che ci ha colto di sorpresa,” rispose uno degli uomini.
Il capitano Torn sentì la rabbia montargli dentro. Non aveva mai fallito un lavoro prima d'ora.
Da quando era stato cacciato dalle guardie reali, si era fatto la reputazione di essere un affidabile mercenario.
L’ordine di rapire la figlia del re gli era venuto da Malwen Rakomar, il mago di corte ed era stato accompagnato da oro, molto oro.
Con la promessa di averne ancora a missione compiuta.
Una volta, quando era un rispettato capitano al servizio del re, una simile azione gli sarebbe parsa inconcepibile.
Anzi, avrebbe sacrificato la sua vita per proteggere la principessa, ma quei tempi erano passati ormai.
L’oro che aveva ricevuto per questo compito, equivaleva a un’autentica fortuna, non poteva rinunciare a questa occasione.
Per lui e i suoi uomini significava la fine di una vita da randagi, costretti continuamente a nascondersi per il timore di venire arrestati. Ma il fatto che la principessa non fosse stata catturata, lo mandò su tutte le furie.
Smontò da cavallo e si guardò in giro, c'erano i corpi a terra delle guardie reali insieme a un paio dei suoi uomini.
Più in là giaceva in disparte un giovane cavaliere con indosso un'armatura ma senza l'elmo.
“E' lui che ci ha attaccato, l'abbiamo trovato nascosto tra i cespugli,” disse uno dei mercenari indicando il cadavere di Rosik.
Il capitano si strofinò il mento. Questa faccenda non gli piaceva affatto, doveva essere un lavoro facile e pulito.
Ma adesso le cose si stavano complicando, se voleva l'altra metà dei soldi doveva trovare la principessa ad ogni costo.
Ispezionò l'interno della carrozza e vide che era vuoto, a parte gli effetti personali di Hevonie.
Allora gli venne in mente un'idea.
“Porteremo questi oggetti all’appuntamento con Malwen. Diremo che l'abbiamo rapita e che si trova nascosta in un luogo sicuro nella foresta,” si assicurò di avere l'attenzione dei suoi uomini prima di proseguire.
”Incassiamo i soldi e ci dileguiamo, prima che quel mago scopra la verità o che la principessa possa ricomparire da qualche parte. Per quanto mi riguarda, potrebbe essere già morta. Se è andata nella foresta, è difficile che ne esca viva. Sappiamo tutti i pericoli che nasconde.”
“Però non potremo mai esserne certi,” fece notare uno degli uomini.
“Lo so, ma è un rischio che dobbiamo correre, facciamo come ho detto e sbrighiamoci.”
Il capitano prese la borsa che conteneva tutte le cose della principessa e la diede a uno dei suoi scagnozzi.
“Mi raccomando questa è merce preziosa.” Il soldato prese la borsa e annuì.
“Togliete i cadaveri dalla strada e nascondeteli, poi staccate i cavalli dalla carrozza,” ordinò ai suoi uomini.
Quando ebbero finito, radunarono tutti i cavalli, compreso quello di Rosik, rimontarono in sella e scomparvero lungo la strada, lasciandosi dietro la polvere sollevata dagli zoccoli.
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Hevonie si era nascosta dietro ad una fila di cespugli e spiava attraverso le foglie. Era rimasta completamente immobile, senza fiatare, mentre guardava gli uomini che ispezionavano la carrozza e lanciavano sguardi indagatori nella sua direzione.
L'unico che aveva il volto scoperto era quello che sembrava essere il capo. Aveva il volto butterato e tutta la sua persona trasmetteva una sgradevole sensazione.
Dopo quello che le parve un tempo infinito, finalmente gli uomini montarono a cavallo e se ne andarono.
Quando si furono allontanati, Hevonie meditò su quello che le conveniva fare, il coraggio che l'aveva sempre caratterizzata, in quel momento la stava abbandonando. Si strinse le braccia e sentì il suo corpo tremare al pensiero che qualcuno volesse rapirla e forse ucciderla.
Perché? Chi avrebbe avuto da guadagnare dalla sua morte?
Questo spiegava la presenza di Rosik che evidentemente era giunto con il compito di scortarla.
Sentì il bisogno urgente di correre a casa da suo padre e dalla cara Zoelle. Ma era stato proprio suo padre a metterla in quella situazione. Hevonie con un moto di rabbia pensò che in fondo era colpa sua.
Avvertì le lacrime agli angoli degli occhi e cercò di trattenerle, ma non ci riuscì. Dopo alcuni minuti, riprese il controllo e si sentì un poco meglio, anche se l’aria stava diventando sempre più fredda.
Era tempo di muoversi, quindi si avvicinò alla carrozza e vide che non era rimasto più niente. I mercenari avevano portato via tutto, anche la borsa dei vestiti.
Sentiva freddo e non riusciva a smettere di tremare, allora prese coraggio e notò che per terra, abbandonato, c'era un mantello macchiato di sangue. Doveva essere appartenuto al bandito ucciso.
Ignorando la repulsione per quello che stava facendo, se lo mise addosso e il pesante tessuto la riscaldò. Con la mano controllò che il pugnale che portava infilato nello stivaletto, fosse ancora al suo posto.
I cavalli erano stati portati via e lei si ritrovò sola in mezzo al niente, il buio stava calando rapidamente.
Mettersi in cammino a quell'ora della sera sarebbe stato troppo rischioso e in più si sentiva terribilmente stanca.
Camminò sul bordo della strada e si guardò intorno cercando di orientarsi, ma ormai l'oscurità era quasi totale. Per evitare di incappare in qualche pericolo si fermò e si mise a ridosso di alcuni alti cespugli che la nascondevano alla vista.
Si sentì così stremata che si lasciò cadere a terra pesantemente, poi si raggomitolò. Ma lo stato di agitazione che la pervadeva le impedì di prendere sonno, quindi si rassegnò ad aspettare, sperando che l'alba arrivasse presto.
Il giorno seguente Hevonie camminò a lungo prima di giungere alle porte di un piccolo villaggio. Era composto da una ventina di capanne costruite con fango e pietre, ricoperte da tetti di paglia. Non era mai stata in un posto simile e soprattutto non era mai entrata in una casa di quel tipo.
I suoi contatti con la gente comune erano rari e avvenivano solo in occasione di alcune festività o celebrazioni, altrimenti lei frequentava abitualmente nobili e cortigiani.
Piccoli giardini incolti e recintati erano situati nel retro di quasi tutte le abitazioni. Pecore, mucche e galline sembravano essere ovunque. Due donne uscirono da una delle capanne seguite da tre bambini, una di esse portava un secchio ed entrò nel recinto, prese un minuscolo sgabello e si sedette vicino a una mucca.
Quando Hevonie vide il latte riempire il secchio, avvertì i morsi della fame. Ormai era passato un giorno intero dall'attacco, durante il quale aveva costeggiato il bosco, restando nascosta, spaventata all’idea di mostrarsi a chiunque.
Fortunatamente non aveva incontrato nessuno e quello era il primo villaggio che avvistava, dopo parecchie ore di cammino.
Ma dal momento che non mangiava da così tanto tempo, si rese conto che non avrebbe resistito ancora a lungo senza cibo. Si nascose tra gli alberi che circondavano il piccolo villaggio, era quasi sera e cominciò a tremare dal freddo. Il sole stava tramontando e vide gli abitanti ritornare dai campi, tra poco avrebbero cenato e a quel pensiero il suo stomaco brontolò.
Quando fu sicura che non ci fosse più nessuno in giro, uscì dal suo nascondiglio a piccoli passi, cercando di non fare rumore. Si diresse verso il retro della capanna più vicina, dove trovò un piccolo orto. C’erano cavoli, cipolle, insalata e pomodori. Ne raccolse uno, lo ripulì dalla terra con le mani e lo addentò con vigore. Il sapore del pomodoro era fresco e rigenerante, lo divorò in pochi istanti, poi ne strappò un altro che pulì strofinandoselo sul vestito. Mentre finiva di masticare, sgattaiolò sul fianco della casa, dove vide una porta socchiusa, quindi diede un’occhiata all’interno. Una forma di pane tagliata a metà era a pochi passi da lei, posata su un tavolo.
Avrebbe dovuto solo aprire un po’ di più la porta e infilarsi, per poi prendere quella prelibatezza e scappare. Non riuscì a resistere oltre ed entrò, ma dopo pochi passi si sentì afferrare il braccio e fu trascinata con forza all’interno della casa. Una donna e una bambina stavano di fronte a lei, mentre un uomo le stringeva il polso. La squadrarono in silenzio, la donna aveva una candela in mano che passò alla figlia. Poi prese un coltello dal tavolo e lo brandì davanti alla faccia di Hevonie.
“Chi sei?” Chiese la donna il cui fiato puzzava d'aglio.
Hevonie aprì la bocca ma si bloccò. Il suo istinto le diceva di non rivelare la sua vera identità. Non sapeva chi aveva tentato di ucciderla, quindi decise che era meglio non fidarsi di nessuno.
“Sei una ladra, ecco cosa sei. Una lurida ladra!” Tuonò l'uomo con veemenza. “Portiamola in città dal sindaco e denunciamola.”
“No!” Hevonie gridò.” Non potete fare questo.”
“Lo vedi?” Disse la donna rivolta al marito.” Sicuramente è ricercata dalle guardie del re. Merita una bella lezione, presto andiamo.”
“Per favore, no!” Hevonie cercò di pensare a qualcosa di appropriato da dire, non la verità naturalmente, ma una bugia, visto che lei era un'esperta in questo campo.
“Sono ricercata per qualcosa che non ho fatto,” si affrettò a dire. “Credetemi!”
“Da dove vieni?” Chiese la donna mostrando una bocca sdentata.
“Kosworth,” rispose Hevonie, non avendo idea di che cosa altro dire.
“Che cosa ci fai qui?” La incalzò l'uomo.
Hevonie cercò nella sua mente stanca, qualche pensiero sensato. Questa gente non era istruita, quindi qualsiasi cosa abbastanza semplice avrebbe funzionato. E lei era abituata a complotti ben più elaborati nella vita di corte.
“La principessa Hevonie pensa che io abbia fatto la spia a una delle sue malefatte,” rispose Hevonie. “Ma non è così che è andata. Mi voleva mettere in prigione e prima che potesse farlo, sono fuggita. Ve lo giuro, non ho fatto niente del genere! Una sera ho riferito alla sua governante che la stava cercando, di averla vista uscire armata di una spada. Non avevo idea che il re non ne fosse al corrente, allora il giorno dopo è stata punita e quando ha saputo che ero stata io a riferire la cosa, se l'è presa con me. E adesso sono ricercata. Sono due giorni che sono sulla strada senza cibo e dormo all'aperto.”
Fece una pausa ad effetto e roteando le braccia in un gesto teatrale aggiunse.
”Povera me, punita per essere stata troppo leale e sincera nei confronti del nostro amato re!”
Con aria afflitta, Hevonie attese la reazione della coppia.
“Non c’è da stupirsi, quella principessa è una stupida e non conosce la vergogna!” Esclamò la donna con disprezzo. “È la rovina di suo padre e del regno intero!”
Hevonie sentendo quelle parole indietreggiò come se l'avessero schiaffeggiata.
“Avete mai incontrato la principessa?” Chiese cercando di celare il suo stato d'animo.
“Oh no, quella non si degnerebbe mai di venire in mezzo a gente come noi,” rispose la donna scuotendo la testa. ”Quando ci sono delle festività, lei appare al fianco del re e indossa i suoi bellissimi vestiti. Ma guarda tutti dall'alto in basso, senza nemmeno vederci, il suo carattere è guasto.”
“Ce ne sono di storie su quella ragazza e per la maggior parte sono brutte,” disse l’uomo agitando il pugno nell’aria. Poi guardò Hevonie e chiese alla moglie.
“Allora cosa ne facciamo di questa?”
“Potremmo lasciarla andare per la sua strada e dimenticarci della faccenda,” la donna appoggiò il coltello sul tavolo.
“È bella come una principessa,” disse la figlia con gli occhi spalancati.
Hevonie sentendo quell’affermazione s'irrigidì. L'uomo e la donna la guardarono con sospetto e per lunghi istanti nessuno parlò.
“Stai zitta tu,” disse infine la madre.
Hevonie si rilassò e nel contempo si chiese come quella ragazzina potesse vederla bella conciata in quel modo, sporca e disordinata. Per non parlare della puzza che i suoi abiti emanavano, che però si confondeva con l'odore che si respirava in quella casa. Comunque guardò la bambina e accennò un sorriso.
“Non c’è bisogno di rubare il pane ad un uomo,” disse il padre. “Puoi chiederlo.”
“Sono davvero dispiaciuta. Avevo paura e non sapevo di chi fidarmi,” ammise Hevonie, pensando che in fondo, quella era la verità.
“Potrebbe esserci una ricompensa se la consegniamo alle guardie del re,” esclamò la donna all’improvviso.
Il marito e la bambina la guardarono attenti, allora Hevonie disse svelta.
“Dubito che ci sia alcuna ricompensa. Per favore, abbiate pietà, non voglio finire in prigione!” Atteggiò il viso in un'espressione affranta e dispiaciuta.
“Penso che abbia ragione,” la donna disse grattandosi il mento. “Non penso che la sua vita valga molto.”
“È proprio così,” sospirò Hevonie.
“Allora non ti consegneremo nelle mani di quella sciocca principessa,” annunciò l'uomo.
Hevonie trasalì nel sentire quell'insulto. Stavano davvero parlando di lei?
Com’era possibile che questi rozzi contadini si permettessero un simile linguaggio nei suoi confronti?
Tenne a freno la lingua e fece un sorriso di circostanza.
“Adesso ti daremo da mangiare, ma poi sparisci e guai a te se ti farai rivedere.”
La donna prese il pane e ne tagliò una grossa fetta, mise del formaggio sul tavolo e una brocca di latte. Hevonie si sedette e cominciò a divorare il cibo, che le sembrò assolutamente squisito, ignorando gli sguardi incuriositi che la osservavano. Cercò di mangiare in fretta e quando ebbe finito, si alzò.
“Non so proprio come ringraziarvi, siete delle brave persone.” Hevonie avvertì una fitta di rimorso per avergli mentito. Si toccò la sciarpa di seta ricamata d'oro e dopo un attimo di esitazione la porse alla donna.
“Tenete, è tutto quello che posso darvi per esprimere il mio ringraziamento.”
La donna guardò la sciarpa e scosse la testa.
“Non la voglio, è troppo preziosa, non potrei mai indossarla. Penserebbero che l'ho rubata.”
Hevonie rimase sbalordita dalla modestia di quella gente e si rese conto di non conoscere assolutamente la vita del suo popolo. Malgrado avesse avuto tante opportunità d'incontrare queste persone durante le innumerevoli cerimonie di corte, non le aveva mai osservate e comprese veramente.
“Adesso vai,” la incitò l'uomo.
“Ciao principessa,” disse la ragazzina con un sorriso timido.
Hevonie sussultò leggermente nel sentirsi appellare in quel modo, ma poi ringraziò ancora e uscì dalla casa di umore decisamente migliore. Adesso che era sazia si sentì tornare le forze, forse la fortuna non l’aveva del tutto abbandonata. Si diresse verso una stalla e si mise sdraiata di fianco a dei covoni di fieno, si ricoprì di paglia e sentendo il tepore avvolgerla, chiuse gli occhi e si addormentò.
Era quasi mezzogiorno quando Hevonie giunse in cima a una collina. Si fermò a guardare di sotto e scorse un villaggio. Era composto da un agglomerato di graziose casette di mattoni, ricoperte da tetti di legno dipinti di rosso.
Aveva piovuto tutta la notte e Hevonie tremava per il freddo per via dei vestiti umidi. Da quando si era svegliata, aveva cominciato ad essere scossa da brividi. Avrebbe dovuto trovare un riparo e procurarsi del cibo per continuare il suo cammino verso casa. Era la prima volta che sentiva un freddo simile, le era penetrato nelle ossa e le faceva battere i denti.
Non aveva idea di cosa la aspettasse in quel luogo, ma non aveva scelta. Prese un profondo respiro e discese la collina verso il villaggio.
Camminando lungo il sentiero le sembrò di udire uno strano lamento provenire da un cespuglio accanto a lei. Restò immobile, titubante, poi avvertì quello che sembrava essere il verso di un animale. Con cautela si diresse verso il cespuglio, si accovacciò e si trovò davanti una piccola volpe terrorizzata e ferita.
La bestiola tremava e quando avvertì la presenza di Hevonie, cercò di nascondersi tra le foglie.
Hevonie si avvicinò lentamente e vide che aveva una freccia conficcata nel fianco.
“Non avere paura piccola, adesso ti aiuto io.” sussurrò alla volpe, che era impietrita dalla paura.
Hevonie si pentì di non avere seguito meglio le istruzioni per usare la magia della guarigione, che Zoelle le aveva spiegato la sera prima di partire. Ma qualcosa le tornò alla mente ed era ora di sperimentare le sue nuove capacità.
Accarezzò la volpe sul muso, cercando di tranquillizzarla, poi appoggiò le mani sopra la ferita.
Si concentrò e fece fluire la sua energia vitale sulla bestiola, quindi estrasse con delicatezza la freccia dal fianco e il sangue cominciò a sgorgare dalla lesione. Vi adagiò sopra i palmi delle mani, cercando di avvicinare i lembi di pelle, poi chiuse gli occhi e si concentrò.
Rimase così per alcuni minuti e quando riaprì gli occhi, un velo di sudore le imperlava la fronte, ma con suo sollievo vide che il sangue si era fermato. Sopra la ferita si era formata una grossa crosta e notò che la volpe la lasciava fare, evidentemente il dolore si era attenuato.
“Hai visto, piccola, che adesso stai meglio?” Hevonie si pulì le mani sull'erba umida, poi accarezzò il morbido manto della volpe. Si mise seduta a gambe incrociate e prese in mano la freccia. Se la rigirò tra le dita e si chiese chi mai potesse essere stato ad averla ferita.
La caccia nelle loro terre era stata abolita parecchi anni prima, era considerata un atto incivile e stupido.
Stava ricominciando a piovere e Hevonie staccò la punta dalla freccia e la infilò nella tasca del mantello, poi si rialzò. La volpe era ancora debole, ma fuori pericolo, la lasciò al riparo sotto il cespuglio e riprese il sentiero.
Il villaggio era uguale a molti altri, tra le case spiccavano dei piccoli orti e alcune stalle.
Uno stretto torrente lo attraversava e la pioggia incessante delle ultime ore aveva disseminato molte pozzanghere tutto intorno.
A quella distanza poteva intravedere il fumo che usciva dai caminetti, ormai l'autunno stava avanzando e il freddo cominciava a farsi sentire.
Hevonie cominciò a scendere l'ultimo tratto della collina e in pochi minuti si trovò al confine del villaggio, ma notò subito che c’era qualcosa che non andava.
Si fermò ad ascoltare. Stranamente non si udivano rumori. Nessun suono proveniva dalle strade. Non c'erano bambini che correvano o pecore che belavano.
In quel luogo regnava un silenzio innaturale, ad eccezione dell'ululato del vento e dei versi striduli dei corvi, che volteggiavano nell'aria.
Hevonie si rese conto che il fumo che vedeva non usciva dai comignoli se non in minima parte. Proveniva invece dall’interno del paese e si trattava di un fumo denso e scuro.
Si sentì pervadere dalla paura. Ebbe il presentimento che qualcosa di funesto la attendesse dentro quel villaggio. Avrebbe voluto voltarsi e scappare. Ma doveva sapere cos'era accaduto, quindi con cautela si avvicinò.
Di fronte alla prima casa che incontrò, vide due corpi stesi a terra ricoperti di sangue. Davanti a quella vista, il cuore cominciò a batterle tanto forte che ne sentiva il rimbombo nelle orecchie.
Si trattava di un uomo e una donna, al loro fianco c'era una cesta di pane rovesciata.
Hevonie, reprimendo il desiderio di fuggire, imboccò quella che sembrava essere la strada principale. Sfilò il pugnale dallo stivaletto e lo tenne stretto in mano, con gli occhi fissi sulle porte chiuse e le finestre con le persiane accostate.
Si sentì irrequieta e sgomenta, ma si fece coraggio e avanzò verso il centro del paese.
Non riusciva a credere ai propri occhi, decine di cadaveri erano disseminati per le strade, mentre altri pendevano impiccati a delle travi.
La maggior parte dei corpi erano trafitti dalle frecce, mentre altri avevano la gola o il ventre squarciati. Alcuni bambini giacevano a terra senza vita, ancora aggrappati alle gonne delle loro mamme.
Molte case erano state incendiate e nessuno sembrava essersi salvato da quel massacro. Che cosa era successo? Chi aveva compiuto un simile scempio? Hevonie non riusciva a trovare le risposte a tutte le domande che si accavallavano nella sua testa. Si appoggiò a un muro e cercò di calmarsi.
Poi vagò nelle strade in cerca di qualche sopravvissuto, qualcuno che potesse spiegare cosa fosse accaduto, ma non trovò nessuno. Sconvolta, cominciò a singhiozzare e si diresse verso una delle case che sembrava avere resistito meglio alle fiamme ed entrò. All'interno trovò tre cadaveri, tra cui quello di una bambina che teneva ancora in mano una bambola di pezza.
Hevonie non poté sopportare oltre quella vista e si precipitò fuori dalla casa incespicando. Si appoggiò con la schiena al muro esterno e cominciò a tossire per via del fumo acre che aleggiava in tutto il villaggio rendendo l’aria quasi irrespirabile.
Guardò quella desolazione incapace di muoversi e restò così per diversi minuti. Poi sentì un abbaio provenire da poco lontano. Si scosse dal suo torpore e seguendo il latrato raggiunse un cane che stava vicino al corpo di un ragazzo steso a terra. Continuava a leccargli la faccia e ad abbaiare, cercando di richiamare la sua attenzione.
Come Hevonie si avvicinò, il cane le ringhiò contro, era un lupoide di media taglia, che aveva un occhio azzurro e uno marrone. “Calma, bello, non voglio farti del male,” gli disse con un tono di voce suadente.
Poi rivolse lo sguardo verso il ragazzo, che giaceva sdraiato sulla schiena, le braccia e le gambe formavano una posa scomposta. Hevonie dopo un istante di stupore, incurante del cane, si chinò sul ragazzo, gli sollevò un braccio e lo lasciò ricadere. Un lieve lamento la fece sussultare, il ragazzo era ancora vivo. Malgrado fosse impaurita, si costrinse a reagire, doveva provare a salvarlo.
Il cane sembrò comprendere la situazione e la lasciò fare, limitandosi a emettere dei guaiti sommessi.
“E' il tuo padrone, vero?” Chiese Hevonie rivolta al cane.
Non avrebbe lasciato che quel ragazzo morisse. Aveva molte escoriazioni sul corpo e il sangue gli aveva impastato i capelli. In quella posa abbandonata aveva un’espressione fragile, malgrado avesse un fisico massiccio e temprato.
Le sue mani tremavano mentre gli slacciava la camicia, che aprendosi rivelò un petto muscoloso. Aveva molte ferite da taglio, ma all’apparenza sembravano superficiali. Si domandò da quanto tempo potesse essere li, era pallido e aveva perso molto sangue, poteva essere troppo tardi per salvarlo.
Hevonie si fece forza, strappò un lembo della camicia e guardandosi attorno vide una fontana. Andò a bagnare il tessuto di cotone e glielo passò prima sulla fronte e poi tamponò delicatamente le ferite sul torace.
Lo ripassò sulla testa, dove notò un'ampia abrasione, doveva avere subito un grosso colpo alla tempia. Ripulì con cura dalla terra e dal sangue tutto il viso, poi si accorse che sulla punta delle dita aveva delle macchie scure.
“Veleno!” Esclamò Hevonie a voce alta, tanto che il cane si spaventò e arretrò.
Era stato ferito con una lama avvelenata e adesso il veleno stava agendo lentamente, lo aspettava una morte certa se non si fosse affrettata a fare qualcosa. Si sentiva debole ed esausta, aveva la nausea ed era scossa da brividi di freddo.
Appoggiò le mani sul torace del ragazzo, chiuse gli occhi e si concentrò, l’energia cominciò a fluire lentamente dalle sue mani e si trasmise al corpo esangue. Dopo qualche minuto, Hevonie era sfinita, lasciò scivolare via le mani dal petto e rimase seduta a ginocchia incrociate ad aspettare.
Dopo alcuni minuti, il ragazzo cominciò a emettere dei leggeri gemiti. Il suo respiro si era fatto più regolare e aveva mosso leggermente le gambe. Hevonie gli mise una mano sulla fronte e sentì che scottava, la febbre doveva essere molto alta.
Ma del resto anche lei era febbricitante, il cane quando vide il suo padrone muoversi cominciò a lanciare guaiti di gioia e a scodinzolare. Quella scena le strappò un sorriso, un momento di tenerezza in mezzo a tutta quella disperazione. Il cane si avvicinò e le leccò le mani.
Hevonie gli diede qualche carezza e si rialzò in piedi. Non poteva fare più niente, solo attendere, anche se sarebbe voluta scappare da quel luogo infernale, immediatamente. Stava per cercare un rifugio, dove ripararsi temporaneamente, quando senti il calpestio degli zoccoli di un cavallo avvicinarsi.
La paura la attanagliò, afferrò il ragazzo per le braccia e lo trascinò velocemente dietro ad un carro che si trovava lì accanto.
Poi attese in silenzio. Il cavallo ormai era vicino e stava per superarli, quando il cane saltò fuori e cominciò ad abbaiare contro l'intruso.
Poco dopo sentì dei passi avvicinarsi verso il loro nascondiglio e Hevonie fu colta dal terrore. Allora alzò il pugnale dritto davanti a sé e lo tenne stretto nella mano.
Era pronta a difendersi, ma in quel momento comparve il cane scodinzolante, seguìto da una figura alta e slanciata. Hevonie guardò in faccia lo sconosciuto e si trovò davanti ad un ragazzo biondiccio, avvolto in un mantello.
“Non avrai intenzione di uccidermi?” Domandò il ragazzo tenendo lo sguardo fisso sul pugnale.
“Dipende,” la voce di Hevonie tremava.
Lui la guardò sorpreso e si accorse solo in quel momento della sagoma stesa a terra.
“Liron! Oh no!” Si diresse verso il ragazzo ferito e gli accarezzò la fronte bollente.
“Come scotta! Sta molto male.”
“Sì, ha bisogno urgente di cure e un posto tranquillo, dove poter riposare.”
Lo sconosciuto la guardò e disse.
“Liron è mio cugino. Sei stata tu ad aiutarlo?”
Hevonie abbassò lentamente il pugnale e annuì.
“Grazie,” mormorò il ragazzo.
Hevonie lo osservò meglio e vide gli stessi lineamenti che caratterizzavano entrambi i volti. Occhi azzurri, capelli biondi e un fisico statuario.
“Devi ringraziare il tuo cane,” disse Hevonie. “E' grazie a lui che l'ho trovato.”
“Otto è un cane molto intelligente, anche se a volte è troppo irruente. Però se questo è servito a richiamare la tua attenzione, ben venga.”
“Come mai si trova qui?”
“Lui è molto affezionato a mio cugino e lo segue ovunque, anche quando non dovrebbe. E' fatto così.”
“Ma cos'è successo? Chi ha fatto tutto questo?” Chiese Hevonie.
“Questa deve essere opera dei demoni, qualcuno molto potente ha aperto un varco nella barriera che circonda il vulcano di Overlack. Molti demoni sono fuggiti e hanno raggiunto le nostre terre, stanno portando morte e distruzione in diversi villaggi.”
“Vuoi dire che questo villaggio non è l'unico a essere stato attaccato?” La voce di Hevonie tradiva la sua angoscia.
“Purtroppo no.”
“Ma perché?”
“Non lo so, sicuramente dietro questi attacchi, ci deve essere una mente malvagia che vuole diffondere il terrore per raggiungere i suoi scopi,” mentre lo diceva si avvicinò al cugino. ”Ma adesso dobbiamo muoverci da qui e raggiungere un posto sicuro.”
“Lì c'è un piccolo carro, potremmo usarlo per trasportarlo,” suggerì Hevonie.
“Buona idea, aspetta qui,” il ragazzo si allontanò, trainò il carretto e lo legò al suo cavallo. Poi Hevonie lo aiutò a caricarvi sopra il cugino.
“Grazie per quello che hai fatto,” disse il giovane. ”Io mi chiamo Towalce. Posso sapere il tuo nome?”
“Hevie,” Hevonie rispose senza guardarlo. Per il momento non voleva rivelare la sua identità a nessuno.
“Io sono un cavaliere al servizio del Concilio dei maghi e sono stato mandato in questo villaggio perché Liron non aveva dato più sue notizie. Anche lui è un cavaliere ed era venuto qua per fare un giro di ricognizione. Purtroppo non sono arrivato in tempo. E tu cosa ci fai qui?” Chiese infine.
“Io stavo tornando a casa, quando mi sono imbattuta in questo villaggio,” rispose Hevonie vaga.
“Sei in giro da sola? E' una cosa strana.”
“Ho avuto una specie d'incidente,” tagliò corto Hevonie. “Ma adesso non c'è tempo da perdere, andiamo.”
“Potremmo andare a Tahir, in quel villaggio ho degli amici. Non è molto distante da qui, lì potrà ricevere le cure necessarie.”
Hevonie annuì e montò in sella al cavallo di Liron. Mentre Towalce salì sul suo, al quale aveva legato il piccolo carro che trasportava il cugino.
“Un momento,” Towalce cercò con lo sguardo Otto e lo chiamò.
“Forza bello, andiamo!”
Il cane saltò sul carro e si accucciò a fianco di Liron e tutti insieme lasciarono quel luogo devastato.
Zoelle stava pensando a Hevonie che a quell'ora era ancora in viaggio verso il collegio.
Non era stato facile vederla partire. Ma sapeva che il padre aveva scelto quella punizione per il suo bene, per farla maturare un po’. Era previsto che restasse al collegio solo per un breve periodo, giusto il tempo di farle prendere coscienza dei propri errori.
Malgrado questo non riusciva a placare una sensazione di inquietudine che l’attanagliava fin dalla mattina.
Si era svegliata dopo avere fatto un brutto sogno e anche se di solito non dava molto importanza a quel genere di cose, questa volta era diverso.
Finché non avesse saputo che tutto fosse andato per il verso giusto, non avrebbe avuto pace.
Avrebbe desiderato parlare con il re o con Lord Kerris della sua ansia, ma non voleva angosciarli con i suoi timori. Forse era lei che si preoccupava troppo.
Inoltre Hevonie si stava recando in un luogo considerato tra i più sicuri del regno. Ultimamente circolavano voci su alcuni attacchi che erano avvenuti in diversi villaggi. Ma erano notizie non ancora verificate.
Per questo il re voleva che Hevonie si assumesse le responsabilità che il suo ruolo di principessa richiedeva. Doveva essere in grado di fronteggiare ogni possibile minaccia.
Era ancora vivo nelle vecchie generazioni, il ricordo della Grande Battaglia, dove migliaia di persone persero la vita per combattere contro i demoni.
I più potenti maghi di allora, avevano creato una barriera formata da immensi vortici d'aria, dove i venti soffiavano a una tale velocità, che nessuno poteva attraversarla.
Ancora oggi era alimentata periodicamente dai maghi del Concilio e finora la barriera aveva resistito. Purtroppo nell'arco dei decenni c'era chi aveva provato a riportare i demoni fuori dall'isola, cercando di sabotare la barriera con l'ausilio della Magia Proibita. Ma la continua sorveglianza dei maghi del Concilio faceva in modo che ciò non accadesse.
Zoelle cercava di essere sempre informata su tutto quello che succedeva nel regno e le ultime notizie non erano certo confortanti. La cosa che l'aveva lasciata più perplessa era stata quella di togliere a Hevonie la pietra di Koltrane, impedendole così di usare la magia.
Questo le era sembrato un provvedimento troppo severo. Era sempre più convinta che dietro questa iniziativa ci fosse Malwen Rakomar, l'infido mago di corte.
A Zoelle non era mai piaciuto, lo trovava viscido e subdolo, ma grazie alle sue capacità di manipolazione, era riuscito ad occupare quel ruolo importante. Inoltre aveva iniziato presto a dare prova di essere scaltro e ambizioso, sapendo sfruttare le sue arti magiche in diversi frangenti.
Ma quell'uomo aveva un passato oscuro, nessuno conosceva le sue origini e su di lui erano sempre circolate voci poco edificanti. Non capiva come il re potesse accettare al suo fianco un individuo simile.
Da quando era morta la regina Kiriana, il re era cambiato. Si era chiuso in se stesso e accettava i consigli di persone dagli atteggiamenti ambigui.
Zoelle era convinta che Malwen Rakomar, agisse principalmente per i propri interessi e non per il bene del regno.
Purtroppo ormai il suo potere era ben consolidato a corte e non poteva essere rimosso dal suo ruolo, senza un motivo valido. Nonostante l'influenza nefasta che Malwen aveva presso il re, Zoelle sperava che un giorno Hevonie avrebbe preso la situazione in mano e avrebbe fatto piazza pulita di certi personaggi controversi.
Hevonie aveva un dono speciale e un giorno avrebbe sviluppato un potere magico che non sospettava neppure di possedere. Il giorno della sua nascita, il Maestro che presiedeva il Concilio dei maghi, disse che era nata – Colei nel cui sangue scorre la Pura Magia -.
Hevonie aveva molte capacità inesplorate e Zoelle sperava che presto sarebbero venute in superficie per essere usate a beneficio del suo popolo.
Cercò di scrollarsi l'ansia di dosso e riprese il suo lavoro quotidiano, la vita al castello richiedeva un' organizzazione meticolosa. Ma appena fece per muoversi, una sensazione terribile s'impadronì di lei, ebbe una vertigine e si appoggiò alla mensola del camino.
Nel farlo urtò un vaso di cristallo che cadde a terra ed esplose in una miriade di minuscole schegge.
Sentì delle urla provenire da fuori e corse alla finestra.
Vide degli individui a cavallo invadere le vie della cittadella sottostante e poi risalire la strada che portava al castello.
Uomini incappucciati lanciavano frecce, altri ancora trapassavano con le spade chiunque intralciasse la loro folle corsa. Zoelle rimase immobile a guardare, mentre le guardie reali andavano incontro agli invasori e combattevano.
Ma sembravano colpire nel vuoto, quegli individui non morivano, dovevano essere creature soprannaturali.
Un trambusto immane scosse le mura del castello, Zoelle uscì dalla sua stanza e si scontrò con gente che correva all'impazzata.
Guardò fuori da una finestra del corridoio e vide che gli aggressori guadagnavano terreno, ricacciando indietro le guardie. Gli incantesimi di protezione erano stati spezzati, solo i maghi del Concilio avrebbero potuto toglierli. E non essendo stati loro, solo un mago potente poteva avere fatto questo.
Il suo pensiero corse subito a Malwen Rakomar. Guardando ancora dalla finestra, Zoelle notò che gli individui a cavallo, avevano un aspetto terrificante. Il sangue le si gelò nelle vene, la barriera era stata infranta e i demoni erano stati liberati.
<><><>
Hevonie e Towalce stavano cavalcando sotto la pioggia, dovevano arrivare il prima possibile a Tahir. Bisognava raccontare a tutti quello che era successo e soprattutto aiutare Liron, che stava morendo. Lungo la strada incrociarono un uomo a cavallo che quando li vide rallentò e si fermò, bloccando in parte la via.
Si fermarono anch'essi a pochi metri dall'uomo, che montava uno splendido cavallo nero. Otto si mise a ringhiare e Hevonie gli fece cenno di stare buono. Towalce mise mano alla spada e i due si studiarono per alcuni istanti, finché l’uomo disse.
“Buongiorno signori, dove state andando?” La voce aveva un timbro piacevole.
“Perché dovremmo dirtelo?” Towalce lo guardò diffidente.
L’uomo si strinse nelle spalle.
“Perché potrebbe essere una cattiva idea andare in quella direzione,” nel dire questo indicò la strada dietro di lui. “Tahir è stata assaltata.”
“Non è possibile!” Esclamò Towalce.
L’uomo non si scompose e proseguì a parlare. “E’ stata attaccata da una delle armate demoniache che stanno radendo al suolo molti villaggi del regno. Attaccano e uccidono chiunque abbia la sfortuna di trovarsi sul loro cammino.”
“Li, abitano dei miei amici,” affermò Towalce. “Devo andare a vedere.”
“Non troveresti nessuno in vita, io provengo da li. Ero di passaggio e ho visto quello che è accaduto.”
“E perché dovrei fidarmi delle tue parole?” Chiese Towalce. ”Chi sei tu?”
“Il mio nome è Korban e se ti vuoi fidare o meno, non è affare mio. Io vi ho solo avvisato. Buon viaggio.” Così dicendo fece un cenno di saluto e riprese la sua strada.
Hevonie guardò l'uomo allontanarsi, poi rivolse lo sguardo verso Towalce. Entrambi rimasero in silenzio a ripensare alle sue parole.
“E se avesse ragione? Se arriviamo al villaggio e lo troviamo distrutto?” Fece osservare Hevonie. “Tuo cugino sta male e ogni minuto è prezioso.”
Towalce guardò Liron che respirava appena.
“Che cosa facciamo allora?” Chiese Towalce indeciso sul da farsi.
“Possiamo andare a Kosworth, io abito li, tuo cugino potrà essere curato.”
“E' troppo lontano, non resisterà così a lungo.”
“Allora dobbiamo chiedere aiuto a quel tizio, da soli non possiamo farcela.”
Con riluttanza Towalce annuì, girarono i cavalli e li spronarono per raggiungere l'uomo. Quando furono abbastanza vicini Hevonie gridò.
“Aspetta! Fermati!”
L'uomo fermò il cavallo e rimase in attesa.
“Ascolta,” disse Hevonie. ”Abbiamo bisogno di aiuto. Questo ragazzo sta molto male e non sappiamo dove andare.”
Korban lanciò un'occhiata a Liron che giaceva incosciente nel carretto.
“Non vi prometto niente, ma vedrò quello che posso fare. Seguitemi.”
I tre cominciarono a cavalcare di buon passo, rallentati dal carretto sul quale Otto stava accucciato vicino a Liron. Hevonie si affiancò a Korban e gli chiese.
“Dove stiamo andando?”
“A Valkeram,” rispose. “E' una città non molto distante da qui. Aiuteranno il vostro amico.”
Hevonie pensò che Valkeram era il luogo dove voleva andare insieme a Rosik e Katlin per braccare il negromante che manovrava gli Hinumati.
Poi guardò Towalce che si trovava qualche metro dietro di loro.
“A dire il vero, si tratta del cugino di Towalce,” disse Hevonie a bassa voce. “Ha in corpo del veleno che sta continuando ad agire, ha ben poche speranze di salvarsi.”
“Povero ragazzo,” fu il commento di Korban.
Dopo avere cavalcato per un bel po’, era quasi giunta la sera e un ululato sommesso si diffuse nell'aria.
Echeggiava tutto intorno a loro, la strada era costeggiata da un fitto bosco da entrambi i lati e l'ululato si faceva sempre più intenso. Tutti e tre si guardarono senza parlare. Fu Korban a rompere il silenzio.
“Tra mezz’ora il sole tramonterà e ci ritroveremo in trappola. Ci sono diversi branchi di Wirdion qui intorno, stanno comunicando tra di loro.”
“Stai parlando dei Wirdion, gli uomini lupo?” Hevonie chiese spaventata.
“Esatto,” rispose Korban.
A Hevonie vennero i brividi al pensiero di essere circondata da branchi di Wirdion famelici. Li aveva incontrati una volta in una delle sue uscite, avevano il corpo simile a quello di un uomo, ma ricoperto da un folto pelo e la testa era uguale a quella di un lupo.
Vivevano nascosti nei boschi ed erano conosciuti per essere dei feroci predatori.
Fortunatamente in quell'occasione era riuscita a non farsi scoprire ed era fuggita a gambe levate.
Korban fece segno di restare in silenzio.
Cercò di determinare la loro posizione tramite i richiami che si lanciavano continuamente. Di solito vivevano nei meandri del bosco e raramente si spingevano lungo le strade.
Erano svelti e silenziosi, oltre che abili cacciatori e per una tacita intesa non aggredivano gli esseri umani. Sempre che questi ultimi non violassero l’accordo.
Ed era quello che Korban stava pensando in quel preciso momento. I Wirdion sembravano prepararsi per una caccia, probabilmente avevano avvertito la loro presenza e si divertivano a terrorizzarli.
Stavano creando una fitta rete per richiamare tutti i branchi a rapporto. E loro erano delle facili prede. I cavalli erano agitati e anche Otto ringhiava avvertendo la minaccia.
“Cosa aspettiamo? Dobbiamo andarcene da qui!” Hevonie esortò Korban.
“Si, ma non riusciremo a fuggire. Non possiamo fare altro che proseguire per questa strada, non ci sono altre vie d'uscita,” la voce di Korban non lasciava trasparire nessuna emozione.
“Allora vuoi dire che siamo spacciati?” Chiese Towalce gettando uno sguardo affranto a Liron.
Korban scosse la testa e disse.
“Loro sono tanti e noi pochi. Loro sono forti e noi no.”
“Potremmo provare a parlarci,” suggerì Hevonie.
“Parlare con un Wirdion?” Esclamò Towalce. ”Ma è assurdo.”
“Lo so, ma non abbiamo alternative,” insistette Hevonie. “Dopotutto sono per metà uomini. Potremmo almeno provarci.”
“La ragazza ha ragione,” disse Korban. “ Non è un'idea da scartare.”
“Hai mai provato a parlare con un Wirdion prima d’ora?” Chiese Towalce in tono beffardo. ”Ammesso che quegli esseri sappiano parlare.”
“Mai, personalmente,” rispose Korban. “Per prevenire le tue domande ti dico subito che potrebbero essere creature più ragionevoli di quello che pensi. Non ci ucciderebbero senza una ragione valida, al contrario degli umani. Anzi il fatto che ci stiano accerchiando mi fa pensare che potrebbero essere stati attaccati a loro volta da qualcuno della nostra specie.”
“E se loro non volessero parlare con noi?” Chiese Towalce.
“Hai qualche altra proposta?”
“Brandire le armi e combattere!” Towalce indicò la sua spada.
“Sei un ragazzo coraggioso,” commentò Korban. ”Ma in questo caso non mi sembra la soluzione migliore.”
Il sole stava tramontando e l’oscurità cominciò ad avvolgerli rapidamente, mentre gli ululati si facevano sempre più intensi.
“Dobbiamo fermarci, è troppo buio per proseguire,” annunciò Korban. “Bisogna cercare di accendere un fuoco finché c’è un po’ di luce.”
Smontarono da cavallo e si sistemarono in una piccola radura nel bosco.
“Ma il fuoco non richiamerà la loro attenzione?” Chiese Hevonie.
“Sanno esattamente dove ci troviamo, casomai il fuoco servirà a tenerli lontani,” rispose Korban. “Sono poche le creature che non temono il fuoco.”
Hevonie non ebbe nulla da ridire e si apprestò anche lei a cercare dei rami.
Towalce e Korban si misero a raccogliere dei rami mentre Hevonie cercava di lenire le sofferenze di Liron, infondendogli un po' del suo fluido vitale.
Cercava di attingere alle sue ultime risorse, ma era praticamente senza forze e la sua energia era quasi esaurita.
Hevonie sentì un rumore e si voltò di scatto, trovò Korban in piedi che la fissava.
“Tu sei una guaritrice?” Le chiese mentre appoggiava i rami raccolti.
Lei scosse la testa e disse. “No, è un dono che mi è stato fatto da poco tempo.”
“Quindi ora lo sei,” ribadì Korban.
“Forse sì,” ammise Hevonie incerta.
“Lo sai che tua madre è stata una guaritrice molto famosa ai suoi tempi? Visitava spesso i villaggi e durante la sua vita si è prodigata per molte persone,” raccontò Korban. “Ha aiutato anche la mia famiglia.”
“Come sai chi era mia madre?” Scattò Hevonie.
“Pensavi che non ti avessi riconosciuta, principessa Hevonie?” Disse Korban con un sorriso. ”Ci siamo anche incontrati una volta, ma non te lo puoi ricordare, eri troppo piccola.”
“Davvero?”
Towalce sopraggiunse da dietro e lasciò cadere a terra un fascio di rami. ”Tu sei la principessa Hevonie, figlia del re di Kosworth e lo hai tenuto nascosto?”
“Forse la principessa non ha rivelato la sua vera identità, perché si vergogna, visto le voci che circolano su di lei in tutto il regno,” sorrise Korban.
“In effetti, non hai certo una buona reputazione,” aggiunse Towalce. “Lo sai come ti chiamano?”
“No!” Lo fermò Hevonie allarmata. ”E non lo voglio sapere.”
Si sentì il volto in fiamme e sarebbe voluta sprofondare nel terreno, la sua brutta fama, a quanto pareva, la precedeva ovunque.
“Non ti preoccupare,” la consolò Korban. ”Immagino che la maggior parte delle voci siano infondate, non è vero?”
Hevonie si limitò a fare un lieve cenno con la testa, senza proferire parola. Towalce si allontanò a raccogliere altra legna, lasciandoli di nuovo soli.
“E cosa ha fatto mia madre per la tua famiglia?” Chiese Hevonie infine, avida di sapere.
“Ha aiutato mio padre. Si era ammalato gravemente, sarebbe sicuramente morto, anche il guaritore del nostro villaggio non era riuscito a fare nulla. Non so come, tua madre lo venne a sapere e percorse diversi chilometri per venire da noi.”
Mentre parlava, Korban sembrava rivivere quei momenti.
“Quando avevamo ormai perso ogni speranza, la regina Kiriana, grazie alle sue incredibili doti, guarì mio padre. Questo è un debito che non ho ancora saldato, ma posso farlo adesso aiutando te, che sei sua figlia.”
Hevonie era sbalordita nel sentire quanto era stata amata sua madre. Sapeva che era stata una grande donna, ma ignorava tante cose di lei. Aveva lasciato dei ricordi indelebili nelle persone che avevano avuto la fortuna d'incontrarla. In effetti, non conosceva bene il suo passato e qualcosa dentro di lei non voleva soffermarsi a lungo su quelle cose.
Il dolore ogni volta era troppo forte, quindi cercava sempre di allontanare quei pensieri. Anche suo padre evitava accuratamente ogni riferimento a quel periodo. Otto le strusciò il muso contro le mani e Hevonie lo accarezzò.
“Se tua madre fosse qui, penso ti direbbe di creare una sorta d’incantesimo per proteggerci dai Wirdion,” suggerì Korban. “Nei tuoi occhi vedo i segni dorati della Pura Magia, non puoi deludere le nostre aspettative.”
Hevonie si vergognò di se stessa, se sua madre l'avesse vista indossare il bracciale senza la pietra di Koltrane, sarebbe rimasta profondamente delusa da lei. Pensò che per colpa delle sue intemperanze, le era stato impedito di usare la magia e adesso era impotente. Aveva sempre vissuto in una bolla di sapone che non le aveva fatto vedere come stavano le cose veramente e i gravi pericoli che minacciavano il regno.
Si sentì infinitamente sciocca.
“Non sono in grado di fare niente finché non riavrò la pietra di Koltrane,” nel dirlo Hevonie indicò il bracciale.
“Capisco,” disse calmo Korban. ”Magari, se ti concentrassi davvero, potresti farcela lo stesso.”
Hevonie lo guardò stupita, non aveva mai pensato nemmeno per un momento di potere fare una cosa simile.
“Direi che hai circa dieci minuti per cominciare a fare un qualsiasi incantesimo che ci eviti di essere sbranati dai Wirdion,” Korban prese un sigaro stretto e lungo dalla tasca e lo accese.
Hevonie osservò il fumo che si dissolveva nell’aria, poi disse.
“D'accordo, ci proverò.” Chiuse gli occhi e cercò di evocare il suo potere magico.
Ma dopo pochi minuti, aprì gli occhi e scosse la testa amareggiata.
“Non succede niente, non ci riesco. Non lo sento arrivare,” disse frustrata.
“Allora i Wirdion ci uccideranno,” constatò Korban.
“Ma tu hai detto che potevamo prendere in considerazione l'idea di parlarci.”
“Bugia. L’ho detto solo per tranquillizzarvi.”
“Cosa? E tu hai lasciato che rimanessimo qui senza tentare almeno di scappare?”
“Non avremmo avuto nessuna speranza. Siamo circondati, se anche avessimo percorso qualche centinaio di metri in più, non sarebbe servito a niente. Ma con lo svantaggio che ora saremmo ancora più stanchi e con una capacità di ragionamento ridotta, invece adesso tu puoi dare prova di chi sei veramente.”
Hevonie non riusciva a capire, era confusa e disorientata, avevano sbagliato a fidarsi di lui, li aveva condotti in una strada senza uscita e sarebbero sicuramente morti.
“E cosa dovrei fare secondo te? Una magia di protezione? Finché non riavrò quella dannata pietra non posso fare niente!” Gridò furiosa Hevonie.
“Ti rimangono cinque minuti per fare qualcosa.” Korban guardava il fuoco ardere.
Ormai era buio e Hevonie che era sempre stata padrona di sé, ora era in preda al panico. Towalce intanto tornò con altri rami che gettò vicino a quelli che aveva raccolto in precedenza.
La fiamma illuminava i loro volti, Towalce notò la faccia tesa di Hevonie.
“Tutto a posto?” Le chiese preoccupato.
Hevonie si morse le labbra e non disse niente.
“I minuti sono tre, adesso.” Korban continuava a fumare tranquillo.
“Che cosa significa?” Domandò Towalce.
“Il signore qui presente ci ha mentito. Non ha mai incontrato un Wirdion, non sono amichevoli e ci uccideranno appena gli si presenterà l'occasione.” Hevonie disse agitata.
Towalce guardò Korban in cerca di una conferma che non arrivò, perché Korban si limitava a fissare il fuoco davanti a sé. Ma il suo silenzio era più eloquente di mille parole.
Allora si avvicinò a Liron e capì che non si sarebbe mai risvegliato e sapendo quello che li aspettava, pensò che forse era meglio così.
“Hai due minuti, principessa.” Korban disse con calma.
Hevonie guardava le fiamme scoppiettare e cercava disperatamente una soluzione, un qualcosa che li potesse salvare, ma proprio non sapeva cosa fare.
Mentre osservava la legna bruciare, ai margini del fuoco vide una piccola pietra azzurra.
Con l'aiuto di un rametto la trascinò verso di sé e dopo averla fatta raffreddare qualche istante, la prese in mano.
Era liscia, lucida e si accorse che al centro brillava un puntino luminoso.
La mostrò a Korban che le gettò uno sguardo attento.
“Non ho mai visto una pietra brillare così,” disse Hevonie affascinata.
“Questo significa che non hai mai visto una pietra del fuoco,” replicò Korban.
“Una pietra del fuoco? E che cos'è?” Gli chiese stupita.
“E' una pietra dentro la quale sono racchiusi degli incantesimi,“ spiegò Korban. “Queste pietre si formano direttamente dal fuoco che arde e vengono evocate in caso di necessità. Probabilmente hanno sentito la tua richiesta d'aiuto. Non è facile trovarle, solo alcuni maghi hanno la capacità di evocarle.”
“Ma io non ho evocato proprio niente!”.
“Può esserci utile?” Intervenne Towalce che nel frattempo si era avvicinato.
“Se la principessa ha il potere giusto per adoperarla, può darsi,” rispose Korban enigmatico. “Potrebbe già contenere degli incantesimi, tutto dipende se una persona sa come estrarli per poterli usare.”
Anche Otto fissava la pietra, percependone lo strano potere.
“Quindi potrei provare a usarla?” Chiese Hevonie dubbiosa.
“Non lo so,” Korban rispose. “Questa è una pietra molto particolare, non conosciamo i suoi possibili effetti collaterali.”
“Che cosa abbiamo da perdere?” Esclamò Hevonie, indicando il buio intorno a loro.
Nessuno ebbe nulla da ridire.
Hevonie appoggiò la pietra nell'incavo del bracciale e rimase sorpresa nel vedere che si adattava perfettamente. Senza perdere altro tempo cercò di concentrarsi. All'inizio trovò difficile isolarsi, poi cominciò a sentirsi distaccata, come se la sua mente si stesse allontanando.
Continuava a ripetersi “Concentrati, entra in te stessa, dimentica il resto, controlla il respiro e tira fuori le tue potenzialità.”
Hevonie si sforzò di portare la sua attenzione dentro di sé, dapprima le sembrò di vagare nella nebbia, poi un'immagine si fece sempre più chiara e nitida.
Nella sua mente si formarono lampi di luce colorata. Hevonie fluttuò verso una sfera di un bianco abbacinante, si sentiva attirata verso la luce e la toccò. Ci fu un’esplosione di colori e suoni, poi fu scagliata indietro e perse conoscenza.
Quando riaprì gli occhi, vide Towalce chino su di lei, voltò la testa a destra e notò che Liron giaceva a terra, mentre Korban era sparito.
“Che cosa è successo?” Mormorò mentre cercava di rialzarsi.
“Sei crollata a terra dopo pochi istanti. Korban ha detto di restare a vegliarti, perché lui doveva fare una cosa. Ma non è ancora tornato,” raccontò Towalce sollevato nel vedere che si era ripresa.
“Non dovevamo fidarci di lui.” Hevonie guardò la pietra del fuoco che non brillava più. La sfilò dal bracciale e la scagliò a terra, ma poi cambiò idea, la riprese e se la mise in tasca. Se mai avesse avuto la fortuna di sopravvivere voleva avere la possibilità di studiarla meglio.
“Come sta Liron?” Gli chiese.
“È morto,” la voce di Towalce era un sussurro.
“Oh no! Mi dispiace davvero tanto.”
Hevonie pensò che non era riuscita a combinare niente e che sarebbero morti anche loro.
Un silenzio inquietante aveva preso il posto della terrificante litania dei Wirdion.
Poi dal buio tre grossi uomini lupo si piazzarono davanti a loro spavaldi e fieri. La luce proveniente dal fuoco li illuminava dal basso modellando sui loro volti delle ombre spaventose.
Towalce impugnò la spada e Hevonie sfilò il suo pugnale dallo stivaletto.
“Non gli renderemo la vita facile,” annunciò Towalce.
Il Wirdion che si trovava in mezzo fece un paio di passi in avanti e annusò l’aria con il suo lungo naso, aprì la bocca mostrando dei denti enormi e aguzzi.
Poi guardò le sue prede e sembrava indeciso su chi attaccare per prima.
Hevonie sentì i loro cavalli nitrire e agitarsi, erano legati a un albero e dentro di sé si maledisse per non averli liberati.
Il Wirdion stava per avventarsi su Hevonie quando un grosso frastuono piombò dal cielo, muovendo le foglie e scuotendo i rami degli alberi.
Tutti si fermarono a guardare in alto e Hevonie con immenso stupore vide un enorme drago gettarsi sopra di loro.
Spaventati, gli uomini lupo scapparono alla svelta e si dispersero nel bosco.
Hevonie era meravigliata, non aveva mai visto un drago e vederselo comparire davanti in quel modo fu uno spettacolo terrificante e allo stesso tempo ne fu completamente affascinata. Il drago planò nella radura e solo allora Hevonie si accorse che sulla sua groppa c’era Korban. Era tornato a salvarli, capì di essersi sbagliata ad avere pensato male di lui.
“Tutto a posto ragazzi?” Korban scese dal drago e li raggiunse.
“Sì, tutto a posto, c’è mancato poco, ma stiamo bene, grazie,” disse Towalce, mentre Hevonie si limitò ad annuire.
“Mi spiace se vi ho spaventato, ma avrete capito che la situazione richiedeva una certa urgenza.” Korban sorrideva ora che il peggio era passato.
“Perché non ci hai detto le tue intenzioni? Ci hai abbandonato.” Hevonie lo disse con un misto di sollievo e d'irritazione.
“È vero non ve l’ho detto, era la mia arma segreta,“ esordì Korban. “Gli ho dovuto inviare un segnale di richiamo e ha impiegato un po' di tempo per raggiungerci, ma alla fine ce l'ha fatta. A proposito,” disse indicando il drago. “Lui si chiama Kluzel. Non trovate che sia una creatura magnifica?”
“Molto, non avevo mai visto un drago prima d’ora,” affermò Hevonie guardandolo con timore. ”Pensavo fossero estinti.”
“La cosa non mi sorprende, in effetti sono rimasti pochi esemplari e sono custoditi come un tesoro da chi ha la fortuna di possederne uno,” spiegò Korban. “Si sta facendo di tutto per farli riprodurre, ma purtroppo le nascite sono eventi ancora rari.”
“E tu come fai ad averne uno?” Chiese Towalce.
“E’ una storia lunga, diciamo che sono un uomo fortunato. Ma adesso sbrighiamoci, dobbiamo andare via da qui, i Wirdion potrebbero tornare.”
“Dobbiamo salire sul drago?” Chiese Hevonie titubante.
“Chiamalo Kluzel, così romperai il ghiaccio più facilmente. Coraggio salite, vi aiuto io.”
Vedendo che Towalce esitava, chiese.
“Vuoi portare via tuo cugino?”
“No, lo lascerò qui. E' morto difendendo la gente di quel villaggio, questo per lui era la cosa più importante.”
Korban annuì e gli fece segno di attendere prima di montare sull'ampia groppa del drago.
Poi cercò Hevonie e la vide che si stava allontanando.
“I cavalli! Abbiamo lasciato i cavalli legati,” gridò Hevonie.
“Aspetta qui,” disse Korban. “Vado io a liberarli.”
“No, tu resta qui.”
“Sei sicura?”
“Sì, farò alla svelta,” lo rassicurò. ”In ogni caso, tu sei l'unico che sa controllare quel drago. I Wirdion staranno alla larga finché lui è qui.” Hevonie s’inoltrò tra gli alberi, sparendo dalla vista.
Raggiunse i cavalli e diede una carezza a ognuno di loro, fortunatamente stavano bene. Sciolse i lacci e li liberò.
“Forza andate via, presto!” Li incitò a muoversi e i cavalli obbedirono prontamente. Si avviarono verso la strada e Hevonie sperò che non succedesse loro nulla di male.
Ormai il fuoco era quasi spento e il buio intorno a lei era rischiarato dalla tenue luce della luna.
Si voltò in fretta per raggiungere i suoi compagni, ma si trovò di fronte un grosso Wirdion, che le sbarrava le strada con la sua mole imponente.
Hevonie si guardò ai lati in cerca di una via di fuga, ma purtroppo vide che almeno una decina di uomini lupo la circondavano.
Era in trappola. Pensò velocemente a cosa fare, ma non le venne in mente niente di utile. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, sicuramente Korban sarebbe venuto a salvarla con il drago e i Wirdion sarebbero fuggiti terrorizzati. Almeno, questo era quello che si augurava succedesse.
Il Wirdion di fronte a lei avanzò di qualche passo e si fermò a pochi centimetri dal suo volto, con il suo grosso naso la annusò sfiorandole la pelle. Lei s’irrigidì e chiuse gli occhi, non sopportava la sua vicinanza e l'odore fetido che emanava la ripugnava.
“Ti faccio ribrezzo, vero?” Una voce roca e cavernosa le fece aprire di scatto gli occhi.
“Tu parli?” Chiese incredula. ”Voglio dire, puoi parlare?”
Tutti i Wirdion intorno a lei si misero a emettere versi striduli e convulsi, tanto che pensò volessero attaccarla, ma poi comprese che stavano solo ridendo.
“Noi Wirdion discendiamo dagli uomini,” disse il lupo. “Siamo diventati così a causa di un sortilegio che ci ha trasformati in belve feroci. Da allora il mondo degli umani e il nostro si sono separati completamente.”
“Allora perché ci avete attaccato?” Domandò Hevonie.
“Perché l'accordo che avevamo con gli umani è stato rotto, due giorni fa alcuni uomini hanno ucciso e ferito dei nostri compagni,” rispose il lupo digrignando i denti.
“Io non c'entro niente con quelle persone!” Si difese Hevonie. Poi aggiunse con autorità. ”Io sono la principessa Hevonie Heronberg e ho a cuore tutte le creature che popolano il regno di Kosworth.”
Il grosso lupo, che aveva un lungo sfregio sul muso, sembrò meditare sulle sue parole.
“Tu parli così, ma mi uccideresti se solo potessi farlo.”
“Non è vero, non lo farei, io sono una guaritrice, io non ucciderei nessuno.”
Il Wirdion lanciò uno sguardo verso i suoi compagni, che emisero dei ruggiti spaventosi, ma a un suo cenno, tutti ammutolirono.
“Tu puoi guarire anche quelli della nostra specie?” Chiese il Wirdion.
“Credo di sì, anche se non ho mai provato, non vuol dire che io non possa farlo,” asserì Hevonie cercando di apparire convincente. In effetti, se era riuscita a curare una volpe, avrebbe potuto tentare con quegli esseri, che dopotutto non erano altro che dei grossi lupi.
“Allora vieni con noi,” il Wirdion fece dei segni a due suoi compagni, che presero Hevonie per le braccia e la costrinsero a seguirli in mezzo alla foresta, lungo uno stretto sentiero.
Sono ancora viva, pensò Hevonie, non mi hanno ancora ucciso, se guadagno tempo, forse Korban mi troverà prima che sia troppo tardi. Ma dov'era finito? Si chiese preoccupata.
Dopo avere camminato per un bel po', si fermarono davanti ad una grotta. Hevonie durante il tragitto aveva continuato a scrutare il cielo per vedere se Korban stesse arrivando.
All'entrata c'era uno spiazzo erboso, dove ardevano alcuni fuochi e notò altri Wirdion impegnati in varie faccende. Quando la videro, ulularono e digrignarono i denti, il chiarore della luna faceva brillare i loro occhi e il riflesso della luce sui loro denti bianchi li rendeva uno spettacolo spaventoso.
Fu guidata all'interno della caverna che era illuminata da alcune torce, a terra su un giaciglio di foglie, sdraiato su un fianco, c’era un Wirdion immobile.
“Lo puoi guarire?” Le chiese l'uomo lupo sfregiato.
Hevonie era un fascio di nervi ma cercò di mantenere la calma.
“Che cosa gli è successo?” Gli domandò.
“E’ stato ferito da una freccia, ha perso molto sangue e sta molto male.”
Hevonie si chinò sul Wirdion e vide una profonda ferita sul fianco, accanto a lui c’era una freccia, assomigliava a quella che aveva ferito la volpe.
Si rialzò e chiese al capo.
“Se lo salvo, dopo mi lascerai andare?”
“Sì, te lo prometto.”
Hevonie annuì, che altre possibilità aveva? Fece un profondo respiro e si chinò sul Wirdion, che faceva fatica a respirare.
Era molto debole, Hevonie non sapeva se ce l’avrebbe fatta ma doveva almeno tentare, ne andava della vita di entrambi.
Posò le mani sulla ferita, chiuse gli occhi e si concentrò, sentì fluire da lei un’energia enorme, la ferita richiedeva molto sforzo, ma cercò di resistere.
Passarono diversi minuti durante i quali Hevonie non riusciva a fermare il flusso di energia dalle sue mani, le cellule malate richiedevano il suo potere rigenerante come un assettato reclamava dell’acqua.
Non ce la faceva più, era stremata, ma non riusciva a smettere, non sapeva neppure da quanto tempo era lì, sentì la sua mente vagare come se stesse volando.
S’immaginava di spiccare voli altissimi nel cielo e poi in picchiata si lanciava giù e prima di toccare terra, si rialzava leggermente per poi planare dolcemente, sorretta dalle calde correnti ascensionali. Poi ancora una volta scendeva in picchiata ma questa volta il suo volo proseguiva veloce fino a terra, senza rallentare finché si schiantò al suolo.
Hevonie aprì gli occhi, era stremata e in un bagno di sudore,
stava sdraiata su un giaciglio di fogliame e l’odore fetido di selvatico le fece venire la nausea. In piedi, di fianco a lei, due Wirdion la guardavano.
Uno di essi vedendola sveglia, fece un verso e poco dopo arrivò il lupo sfregiato che disse.
“Sono contento di vedere che non sei morta. Altrimenti non avrei potuto mantenere la mia promessa.”
Hevonie guardò la luce filtrare nella grotta e pensò che dovesse essere quasi l’alba.
“Che cosa è successo?” Chiese stravolta.
“Sei stata parecchio tempo con le mani sul nostro compagno, poi sei caduta all'indietro, deliravi e sei svenuta.”
Hevonie si sentì la testa pesante, aveva usato tutta la sua energia per guarire il Wirdion, il suo fisico già provato, non aveva retto a lungo. Il riposo però l’aveva rinvigorita un po'.
Fece per alzarsi, ma un giramento di testa la fece ricadere all'indietro. Era ancora troppo debole.
Poco dopo un Wirdion le si avvicinò con della frutta e dell’acqua. Vedendo il cibo Hevonie ricordò che era passato molto tempo dall’ultimo pasto, prese una mela e le diede un morso.
Poi bevve una ciotola piena d’acqua. Dopo si sentì decisamente meglio, si sdraiò un momento sul giaciglio e pensò di stare ancora qualche minuto a riposare, ma appena chiuse gli occhi si addormentò.
Era in uno stato di dormiveglia quando sentì dei tuoni sopra di lei, ma non riusciva ad aprire gli occhi o forse non voleva perché si sentiva molto bene in quello stato di torpore.
Pensava al fatto che guarire la volpe e il Wirdion le aveva dato un'immensa soddisfazione.
Capì che il suo comportamento fino allora era stato molto immaturo e che aveva sbagliato a trascurare gli studi a favore dei divertimenti. Infatti, i recenti avvenimenti avevano messo in luce le sue mancanze e la sua presunzione.
Si ripromise che se fosse tornata sana e salva a casa, avrebbe seguito gli insegnamenti e i consigli di suo padre. I tuoni divennero sempre più insistenti e Hevonie si decise ad aprire gli occhi. Si alzò e si sentì ritemprata, quindi uscì dalla grotta e rimase incantata da quello che vide.
Alla luce del giorno il paesaggio era costituito da una serie di colline digradanti lungo una larga valle e lo sguardo spaziava verso un orizzonte infinito. Nel buio della notte non aveva idea di dove fosse finita, si guardò attorno in cerca dei Wirdion ma non ne vide nemmeno uno. L'aria era fredda e si stava preparando un temporale, fece qualche passo per sgranchirsi e nello stesso tempo per riscaldarsi. Dov'erano finiti i Wirdion? Un campanello d’allarme risuonò nella sua testa.
Il suo cuore cominciò a battere più forte e strinse i pugni. Il pericolo era palpabile, lo avvertiva nell’aria. Intorno a lei regnava il silenzio, un silenzio più assordante di qualsiasi frastuono. Hevonie cominciò a tremare sia per il freddo sia per la paura. Che cosa stava succedendo? Avrebbe preferito sentire mille volte l’ululato dei Wirdion o qualsiasi altro verso che le facesse capire che non era sola.
Mise una mano in tasca e trovò la pietra del fuoco e la strinse con forza. Cercò di orientarsi, ma non riconobbe nessun luogo, vide un fiume in lontananza tra le colline, ma più guardava e meno riusciva a capire dove si trovasse.
Forse era meglio non muoversi, tornare nella grotta e aspettare il ritorno dei Wirdion, con lei erano stati amichevoli, non doveva più temerli. Sarebbe stato più pericoloso vagare nei boschi da sola, con il rischio di fare incontri ben peggiori. Oltretutto il cielo si stava oscurando e presto sarebbe scoppiato un temporale. Quindi decise di aspettare ancora un po’ e si mise seduta su un masso, ad attendere.
Di fianco a lei si trovava un cespuglio di rose selvatiche, una rarità per quel periodo dell’anno. I fiori erano ancora intatti e profumati, di un bel colore rosso.
Fu tentata di strapparne uno, ma sapeva che quel gesto avrebbe significato decretarne la morte, quindi non lo fece.
La pioggia cominciò a cadere e Hevonie rientrò nella grotta per ripararsi, dopo un po’ sentì dei rumori giungere da fuori e andò a vedere. Questa volta si trattava di passi e parecchi, stavano risalendo la collina nella sua direzione. Si tenne nascosta, ma guardò verso il basso e quello che vide la impietrì. Una ventina d’individui vestiti di nero, armati di archi e frecce, stavano avanzando verso di lei e rimase sbalordita quando vide alcuni Wirdion, con i polsi legati dietro la schiena, che venivano trascinati con delle corde. Svelta, Hevonie si nascose dietro alcuni alberi e non poté' fare altro che attendere e cercare di capire le loro intenzioni. Vide che si accamparono proprio davanti alla grotta, negandole ogni via di fuga.
Con suo sgomento notò che non si trattava di uomini, ma di esseri mostruosi, la cui consistenza era impalpabile. Demoni! Riconobbe il lupo sfregiato, che legato e sanguinante, veniva trascinato e sbattuto a terra insieme agli altri Wirdion, che si trovavano nelle sue stesse condizioni. Hevonie poteva vedere che lo sguardo dell'uomo lupo era fiero e feroce. Teneva le orecchie abbassate e tirate indietro, le sue labbra scoprivano i denti aguzzi e un sommesso e continuo ringhio usciva dalla sua gola. I demoni si accamparono e si sedettero per terra sotto gli alberi per ripararsi dalla pioggia, alcuni entrarono nella grotta continuando a emettere dei versi agghiaccianti. Hevonie vide uno dei demoni toccare con la sua mano raggrinzita le rose del roseto, in pochi istanti al loro posto rimase solo un mucchio di cenere. A Hevonie si riempì il cuore di rabbia e tristezza.
Poi cominciarono a urlare contro i Wirdion e a pestarli con dei bastoni, questo era troppo doveva fare qualcosa, non poteva permettere che questo scempio proseguisse. Se avesse avuto la pietra di Koltrane, li avrebbe sistemati per le feste quegli esseri demoniaci. Sentì urla di dolore provenire dai Wirdion, doveva sbrigarsi.
In seguito avvertì dei movimenti in mezzo al fogliame vicino a lei, qualcosa si stava avvicinando, sentiva il fruscio sempre più forte. Cominciò ad avere paura, deglutì e fissò il punto dal quale proveniva il rumore.
Un’ombra sbucò dal basso e le saltò addosso buttandola a terra. Hevonie soffocò un grido e si ritrovò con un peso addosso e una cosa viscida e calda che le sbavava sulla faccia.
“Otto!” Esclamò sbigottita.
Il cane la stava leccando e le si strofinava addosso, tutto contento.
Hevonie si rimise in piedi e intanto accarezzava il cane che continuava a girarle in tondo scodinzolando e strusciandosi contro le sue gambe.
“Shhh, stai buono, se ci sentono siamo perduti,” bisbigliò piano le parole, ma il cane non smetteva di uggiolare per la felicità ed infine abbaiò.
“No, Otto, zitto!” Ma ormai era troppo tardi, Hevonie sentì dei passi dirigersi verso di lei, non doveva farsi prendere, altrimenti sarebbe stata la fine sia per lei sia per i Wirdion.
Prese la pietra del fuoco dalla tasca e la infilò nel bracciale, si concentrò, cercando di isolarsi completamente e all'improvviso lei non era più Hevonie.
Guardava la scena dall’alto e vide se stessa, Otto e tre orribili demoni dalle cui mani sembravano uscire delle fiamme, di fronte a lei.
Si guardò mentre raccoglieva un bastone da terra e assestava un colpo al demone più vicino, ma il bastone affondava in una sostanza incorporea.
Allora Hevonie gettò il bastone a terra e concentrandosi sulla pietra gliela puntò in pieno volto, colpendolo con un fascio di pura energia. Il demone svanì davanti ai suoi occhi.
Hevonie anticipò il secondo demone che si stava avventando su di lei, lanciandogli contro un altro potente flusso, che lo trasformò in un mucchio di cenere grigia.
Il terzo demone rimase in attesa, pronto a colpire, ma indietreggiò e cominciò a lanciare dei richiami striduli, poi si voltò e corse via. Hevonie seguiva l'azione dall’alto e osservò i demoni agitarsi, indicavano lei e i loro compari inceneriti.
Immediatamente cominciarono a scappare e abbandonarono il campo. Lentamente Hevonie riprese possesso del proprio corpo e una sensazione di stanchezza la pervase all'istante. Cadde in ginocchio e guardò i due cumuli di cenere di fianco a lei, tutto quello che era rimasto dei demoni.
Sentì il naso umido di Otto sulle sue mani tremanti, cercò di calmarsi e lo accarezzò. Poi si alzò e corse dai Wirdion che erano ancora legati, tagliò le corde con il pugnale e li liberò.
“Noi ti dobbiamo la vita,” disse il lupo sfregiato. “Se i demoni sono riusciti a fuggire da Overlack, si prospettano tempi duri per tutti.”
“Sospetto che gli uomini che vi hanno attaccato la prima volta, facciano parte della Legione Oscura,” affermò Hevonie. “Il loro scopo è seminare odio e terrore.”
“Quegli uomini la pagheranno, sono pericolosi, ma noi non saremo da meno. Grazie per quello che hai fatto, non lo dimenticheremo.”
“Anch'io non vi dimenticherò. A proposito non so neanche il tuo nome.”
“Mi chiamo Deke,” poi aggiunse. “Se prosegui lungo quella strada, arriverai a Kosworth.”
Il Wirdion le indicò un sentiero stretto, poi le porse la grossa mano pelosa ed Hevonie la strinse.
“Addio principessa.”
“Addio Deke.”
Hevonie salutò con un cenno della testa gli altri Wirdion. Poi li guardò inoltrarsi nella boscaglia e svanire lungo la collina. Si ritrovò sola con Otto e davanti a lei una lunga strada da percorrere.
Hevonie cominciò a scendere lungo il sentiero, cercando di orientarsi, se Otto era riuscito a trovarla, forse sarebbe stata in grado di tornare a casa.
“Su, Otto, fai il bravo, indicami la strada da dove sei venuto.”
Hevonie incitò il cane a guidarla e lui sembrò capire perché cominciò ad annusare la terra, muovendosi a zig zag e avanzando velocemente. Affrettò il passo per non perderlo di vista. Mentre camminava Hevonie, si sforzò di riordinare le idee, cercando di ricostruire quello che le era successo prima.
Ricordò di avere infilato la pietra del fuoco nel bracciale e di essersi concentrata, ma poi aveva assistito a tutta la scena dall'alto. Era stata un'esperienza extra corporea e non riusciva a capire come ciò fosse stato possibile.
Forse si trattava di uno strano effetto collaterale della pietra, anzi sicuramente. Si sentiva ancora scossa, ma alla fine tutto si era risolto per il meglio. I demoni erano scappati e i Wirdion, che una volta temeva tanto, erano stati liberati.
Fu in quel momento che udì un grosso battito di ali e Hevonie vide l’enorme mole del drago sorvolarla. Sopra c'era Korban che le faceva dei gesti con la mano. Felice di vederlo agitò le braccia.
”Sono qui!” Gridò trafelata.
Il drago atterrò e Korban scese alla svelta. Hevonie gli andò incontro sorridendo, ma vide che lui era torvo in viso. Ed era solo.
“È successo qualcosa a Towalce?” Chiese preoccupata.
“No, lui sta bene. L'ho lasciato sulla strada principale, ha ritrovato i cavalli, così ha proseguito insieme con loro. Tu invece ci hai fatto prendere un bello spavento,” disse serio ma al contempo sollevato.
“Mi dispiace, non era mia intenzione farmi rapire da un gruppo di uomini lupo.”
Korban ignorò l'ironia nella sua voce e disse.
“Va bene, ma ti avverto che prima di riaccompagnarti a Kosworth, dobbiamo passare da Falkrede. Delmus ha convocato il Concilio dei maghi al completo e ho l’ordine di portarti li,” fece una pausa, infine chiese. “E tu stai bene?”
“Non proprio, ma sono ancora viva,” rispose Hevonie, poi aggiunse. “Delmus è il capo dei maghi del Concilio, vero?”
“Esattamente. Mi meraviglio che tu non lo abbia mai conosciuto,” commentò Korban.
Hevonie si era sempre tenuta distante dal Concilio, lo aveva sempre visto come un'istituzione fine a se stessa. Sapeva che in passato si era reso protagonista di molteplici iniziative d’indubbio valore ma ora le sembrava che le cose fossero cambiate. Forse il suo era un pregiudizio dovuto al fatto che lo stesso Malwen proveniva da quella cerchia di maghi.
Korban prese il cane e lo adagiò in un’apposita cesta, sulla groppa del drago.
“Ti stavo cercando e ho lasciato Otto sulla collina per fiutare le tue tracce, indossava un collare incantato, che mi indicava la sua posizione. Per questo vi ho trovato subito.”
“Ti ringrazio, anzi ringrazio tutti e due,” disse Hevonie coccolando Otto.
Poi guardando il drago, si sentì inquieta.
L'enorme drago dalle scaglie argentate si ergeva in tutta la sua maestosità. Hevonie si sentì intimorita e quando Korban le fece segno di avvicinarsi lei non si mosse.
“Dai vieni, non abbiamo tempo da perdere,” la spronò.
“Non mi sembra di essergli simpatica,” osservò Hevonie.
“Questo è un drago Argentatus della stirpe dei Valpoidi, la più potente razza di draghi che esista,” spiegò con orgoglio Korban. “Kluzel è un esemplare eccezionale e non gliene importa niente se tu sia più o meno simpatica. Devi solo seguire alcune regole.”
Korban si avvicinò al drago e lo accarezzò sotto il mento, il drago chinò la testa e chiuse gli occhi assaporando il contatto. Ma li riaprì improvvisamente quando Hevonie fece un movimento.
“Attenta, non ti puoi avvicinare così ad un drago che non conosci, prima devi essere presentata ed accettata. Avvicinati lentamente e metti la mano sotto le sue narici, ti deve annusare e capire le tue intenzioni.”
“Non metterò mai la mano davanti a quell’enorme bocca, dalla quale per altro, esce del fumo.” Hevonie scosse la testa e indietreggiò. “Tu stai scherzando, non ci penso nemmeno, preferisco andare a piedi.”
“Il tuo atteggiamento di chiusura non aiuta certo a creare un buon contatto tra te e Kluzel, lui si sta innervosendo, è per quello che esce del fumo dalla sua bocca.”
“E se al piccolo e tenero Kluzel, il mio odore non piacesse, che cosa farà? Mi arrostirà come un pollo?”
“Non essere sciocca, Kluzel è molto intelligente, ti ho già detto che questa è la mentalità degli uomini, i draghi ragionano in modo differente. Non uccidono senza una ragione valida.”
“È davvero confortante sapere che hanno una coscienza. E quindi?”
“Niente, nel peggiore dei casi, non ti permetterà di salirgli in groppa.”
“La cosa non mi offenderebbe di certo. Ma non si potrebbe usare un altro mezzo di trasporto, che ne so, una semplice carrozza?”
“Non essere ridicola, perché dovremmo usare un mezzo così lento, quando possiamo usufruire della velocità di un drago. Ma come ti vengono in mente certe cose?”
“Forse dovresti provare una delle mie carrozze, e poi capiresti che cosa è meglio,” replicò Hevonie.
“Guarda che è un onore cavalcare un drago, è un’esperienza unica e devi ritenerti privilegiata a poterlo fare.”
“Come vorrei crederti!”
“Adesso basta fare storie, vieni qua e metti quella dannata mano sotto il muso di Kluzel.”
Hevonie fece un sospiro di rassegnazione e si avvicinò al drago che la fissava con i suoi occhi scuri e indagatori.
Quando Hevonie fu a pochi centimetri dal suo muso, allungò la mano e la mise sotto una delle narici. Sentì il fiato caldo sul palmo. Deglutì e trattenne il respiro, dall’enorme bocca socchiusa, continuava a fuoriuscire del fumo.
Dopo qualche istante di attesa, il drago ritrasse la testa e guardando Korban annuì, o almeno a Hevonie sembrò di vederglielo fare.
“Kluzel ti accetta, possiamo andare,” disse Korban soddisfatto.
“Ma come fai a esserne così certo?” Chiese Hevonie poco convinta.
“Perché se non ti avesse accettato, ti avrebbe incenerito all'istante. Ma non ti preoccupare, questo accade raramente.”
“Tu sei un pazzo furioso!”
“Si è vero, me lo hanno già detto,” sogghignò Korban.
“Anche Towalce ha dovuto sottoporsi a questo test?”
“Certo, ma con lui ero tranquillo, Towalce è un valoroso cavaliere, era praticamente impossibile che Kluzel non lo accettasse.”
“Io invece...”
“Esatto, tu invece eri un'incognita. A quanto pare Kluzel ha intravisto qualcosa di buono in te. Ma adesso andiamo, abbiamo già perso troppo tempo.”
Korban aiutò Hevonie a salire sull’imbracatura che assomigliava a quella usata per i cavalli, con la differenza che era di dimensione maggiore. Una volta seduta sulla sella, riconobbe che era più comoda di quello che le era sembrato a prima vista. Korban prese le redini e le tirò versò di sé, il drago cominciò a sbattere le sue possenti ali, spostando l'aria tutt'intorno, alzandosi in volo lentamente. In breve si trovarono a volare nel cielo, in mezzo alle nubi. Hevonie sentì la brezza della sera avvolgerla, si teneva con le mani a delle apposite maniglie poste ai lati, mentre Korban era seduto davanti a lei. Vedere dall’alto il paesaggio sottostante, era uno spettacolo favoloso, le sembrò di fluttuare nell'aria, come se fosse lei stessa a volare. Era una sensazione meravigliosa, non udiva nessun rumore, tranne il dolce e sorprendentemente silenzioso battere delle ali di Kluzel.
Si accorse di avere stretto troppo le mani intorno alle maniglie, quindi si rilassò e allentò la presa. Continuò ad ammirare il paesaggio e si sorprese di essere così tranquilla malgrado stesse volando sopra un enorme drago. Erano in volo da quasi un'ora e Korban non aveva detto una parola, teneva lo sguardo fisso davanti a sé, guidando il drago, nel cielo oscurato dalle nuvole. Hevonie si guardava intorno cercando di riconoscere i luoghi che stavano sorvolando, ma vide solo immense distese di verdi foreste, colline e fiumi. Era un territorio a lei del tutto sconosciuto, si rese conto di quanto poco conoscesse le terre che costituivano il regno. Anche durante le sue uscite segrete, non si era mai spinta troppo lontano.
“Quanto manca?” Hevonie cominciava ad avvertire la stanchezza.
“Non molto,” rispose Korban.
“Ti prego fermiamoci, non ce la faccio più, anche Kluzel sarà stanco.”
Korban rimase zitto per un lungo momento, poi disse.
“Va bene, ci fermeremo nei pressi di quel fiume laggiù.”
Così dicendo planò verso una radura e in pochi secondi atterrarono. Scesero dal drago e si diressero verso il fiume a bere. Hevonie inarcò la schiena e si sgranchì le gambe intorpidite. Dopo tutto quel tempo passato in groppa al drago, sentiva il bisogno di muoversi un po’. Anche Otto era contento della sosta e si mise a gironzolare intorno e a segnare ogni albero. Quando si furono riposati, ripresero il loro viaggio verso Falkrede. Dopo un'ora di volo, finalmente arrivarono a destinazione, Hevonie sentì Kluzel abbassarsi di quota e vide che si accingeva ad atterrare su un vasto prato, dove c’erano altri due draghi.
L’atterraggio fu morbido come la partenza, Korban scese per primo e le porse la mano per aiutarla a scendere. Poi fu la volta di Otto che per nulla intimorito dalla presenza dei draghi, trotterellava tutto intorno. Hevonie osservò ammirata l'altra coppia di draghi e vide che c’erano parecchie persone che badavano a loro. Improvvisamente percepì la magnificenza di quelle enormi creature che emanavano una forza antica quanto misteriosa. Si sentì pervadere da una sensazione di euforia, quindi di slancio si avvicinò al muso di Kluzel e lo accarezzò con entrambe le mani.
“Grazie Kluzel, sei un drago magnifico!”
Korban guardò sorpreso il suo drago che contraccambiava le effusioni di Hevonie, strofinandole delicatamente il muso contro le mani.
“Vedo che non ti fa più paura,” esclamò Korban.
“Paura? Io non ho mai avuto paura!” Disse Hevonie sorridendo.
“Non mi sembra che la pensassi così fino a poco fa.”
“E’ vero, ma prima non avevo mai visto un drago, adesso è diverso. Lo sai come si dice, si ha sempre paura di ciò che non si conosce.”
Uno scudiero sopraggiunse e si affiancò a Korban.
“Ciao amico, come va?” Disse stringendogli la mano.
“Tutto bene?”
“Ciao Gavin, si tutto bene e tu?”
“Non c’è male.” Poi, incuriosito, guardò Hevonie, allora Korban disse.
“Gavin ti presento la principessa Hevonie Heronberg.”
Lo sguardo dell'uomo si adombrò, ma fece un inchino rispettoso. “È un onore conoscervi principessa.”
“L'onore è mio,” rispose Hevonie.
“Andate pure,” disse Gavin rivolgendosi a Korban. “A Kluzel ci penso io.”
Si allontanarono e Korban notando l’espressione perplessa di Hevonie disse.
“Non farci caso Gavin è della cerchia di quelli che pensano che la principessa di Kosworth sia una fonte di disgrazie per il regno.”
“Già, noto che non è l'unico,” constatò Hevonie con amarezza.
“Lo so, ma devi capire che tu non sei una persona qualunque, sei la figlia del re. Tutto quello che fai, viene amplificato e sottoposto alla pubblica opinione. Le tue eroiche gesta le conoscono tutti, purtroppo,” spiegò Korban. “Inoltre i demoni rappresentano una grave minaccia e tuo padre dovrà dimostrare tutto il suo valore ed è tuo dovere aiutarlo.”
“Allora sarebbe meglio che lo raggiungessi subito,” esclamò Hevonie.
“Appena avremo finito qui, tornerai a Kosworth,” disse Korban.
“Avremo? Cosa devo fare io?”
“La situazione nel regno è peggiorata e Delmus ha convocato una riunione insieme agli altri maghi. Questo che vedi è il palazzo di rappresentanza. Qui si svolgono importanti cerimonie e proprio stasera si festeggia la ricorrenza dei maghi fondatori. Invece la sede del Concilio dei maghi si trova a Carsbad. I maghi del Concilio sono stati avvisati della tua presenza e vogliono conoscerti, non vorrai deluderli, vero?”
Hevonie fece segno di no con la testa anche e se l'idea di incontrarli non la entusiasmava per niente. Rivolse lo sguardo verso la loro meta, un maestoso palazzo, con la facciata costituita da prezioso marmo bianco. Rimase incantata a guardarlo, poi si avvicinarono a un cancello aperto dove molte persone, continuavano ad affluire.
“Perché siamo venuti qui?” Chiese Hevonie.
“Perché devo presenziare anch'io, devi sapere che io sono un avventuriero, non ho poteri magici, ma ho una certa conoscenza del mondo. Quindi ho parecchie amicizie e quando qualcuno ha bisogno di me, non mi tiro certo indietro. Avendo avuto modo di frequentare il Concilio per diversi motivi, sono stato invitato a questa celebrazione. Non ti preoccupare ci metteremo poco, appena finito andremo da Delmus.”
Entrarono anche loro e si ritrovarono in un grazioso giardino fiorito e illuminato a giorno, dove c'erano molti fiori profumati, alberi maestosi e diverse specie di uccelli dalle piume colorate. C’erano delle bellissime fanciulle alate, dai lunghi capelli fluenti, che si libravano nell’aria in mezzo agli ospiti, distribuendo bevande e cibarie. Le loro ali erano così sottili e trasparenti che Hevonie si chiese come riuscissero a volare. Con l’ausilio di bacchette magiche, le fanciulle sollevavano il cibo da delle enormi tavole di legno sospese a mezz'aria. A seconda di quello che un ospite desiderava, le ragazze, con la bacchetta richiamavano dai tavoli l'oggetto, che volando si posava nelle mani del commensale. Sembravano dirigere un'orchestra con le bacchette tenute con grazia in ambedue le mani. Il tutto si svolgeva con una tale velocità che a Hevonie parve impossibile che niente venisse rovesciato.
“Chi sono quelle fanciulle?” Chiese Hevonie stupefatta.
“Sono apprendiste fate,” rispose Korban. “Svolgono questi servizi per allenarsi e migliorare il loro livello. Non è una cosa facile, sono giovani ragazze che dietro i loro gesti apparentemente semplici, nascondono ore passate a studiare magie ed incantesimi.”
“Tutte quelle ore di studio per finire a fare le cameriere non mi sembra un gran risultato,” commentò Hevonie sarcastica.
“Intanto è un grande onore lavorare per i maghi del Concilio. E poi è un apprendistato che ti fa ricordare che nella vita bisogna essere umili!” La rimproverò Korban.
“Ehi, stavo solo scherzando!” Protestò Hevonie.
“Lo spero per te,” le disse secco.
Hevonie riprese a guardarsi intorno.
“Che mondo favoloso!” Esclamò affascinata.
“È per questo che la popolazione è preoccupata, tutto quello che è stato costruito finora potrebbe sparire per sempre.”
“Non lo permetterò, ti assicuro che farò il possibile perché questo non accada.”
Korban le sorrise e disse.
“Bene, mi fa piacere sentirtelo dire, ma adesso entriamo nel palazzo, vedrai, rimarrai strabiliata.”
“Più di quello che ho visto finora? Ne dubito.”
Entrarono in un atrio enorme e illuminato, dove tutto luccicava d’oro e d’argento.
C’erano molti invitati e una musica soffusa si diffondeva nei vari ambienti.
“Ecco, ci siamo. Qui si entra nel salone dei ricevimenti.”
Si avvicinarono ad una grossa porta ad arco, ai cui lati c’erano due uomini molto alti ed eleganti.
“Questi sono gli alfieri, annunciano i nuovi invitati, adesso li avverto.”
“Aspetta Korban, io non sono dell'umore per andare ad una festa. Credevo che ci fosse una situazione più riservata,” disse Hevonie improvvisamente tesa.
“Hai ragione, ma stasera è un'occasione speciale, siamo capitati proprio nel mezzo dei festeggiamenti,” spiegò Korban. “Ma vedrai che non ci metteremo molto.”
“Volevo solo chiederti di non lasciarmi sola in mezzo a tutta questa gente.”
“Va bene, ma cerca di rilassarti, se hai cavalcato un drago potrai bene affrontare gli invitati.”
“Ti assicuro che in questo momento preferirei fare un altro volo con Kluzel piuttosto che andare lì dentro.”
“Allora ti prometto che non ti lascerò sola e che staremo in disparte per farci notare il meno possibile.”
“Ti ringrazio Korban, non ho proprio voglia di attirare l’attenzione su di me. Soprattutto sui miei vestiti sporchi e logori.”
“Stai calma, appena dentro troviamo un angolo tranquillo da cui assistere indisturbati,” disse Korban con un sorriso. Poi osservando meglio il suo aspetto aggrottò le sopracciglia e aggiunse. “Hai ragione, avresti bisogno di una bella ripulita. Anche per questo cercheremo di non restare a lungo.”
Si riavvicinarono all'alfiere e Korban gli sussurrò qualcosa nell'orecchio, poi gli fece segno che poteva fare l’annuncio.
La musica era sempre più forte, gli ospiti venivano annunciati, ma nessuno pareva fare caso a chi entrava. Bene, pensò Hevonie.
L'alfiere con dizione perfetta annunciò.
“Korban Werestain...” L'alfiere esitò un attimo poi continuò. ”...e Sua Altezza Reale la principessa Hevonie Heronberg!”
Tutte le voci si zittirono, solo la musica continuava a suonare e Hevonie si trovò con decine di occhi puntati addosso.
Hevonie si sentì avvampare, l'ultima cosa che desiderava, era essere al centro dell'attenzione. Quando varcarono la soglia, con sollievo vide Towalce, che le stava andando incontro.
“Finalmente sei arrivata! Pensavo di non rivederti mai più,” le disse sorridendo.
Adesso che indossava vestiti puliti ed era in ordine, le sembrò ancora più bello.
“Vieni andiamo da Joleen,” le disse prendendola per mano.
“Chi è Joleen?”
“Presto lo saprai. Ti dispiace se la porto via?” Chiese Towalce rivolgendosi a Korban.
“No, fai pure. L'ho sopportata abbastanza,” rispose Korban con una smorfia.
Hevonie ignorò la battuta e seguì Towalce, che la portò fuori dal palazzo, poi proseguirono fino a raggiungere un cancello dietro il quale si ergeva una grande villa immersa nel verde. Oltrepassarono il cancello e in fondo al vialetto, davanti al portone d'ingresso, videro una donna intenta ad annaffiare delle rose.
“Ciao Joleen,” la salutò Towalce. “Guarda chi ti ho portato.”
La donna smise di bagnare i fiori e andò loro incontro sorridendo.
”Principessa Hevonie, quale onore! Sei molto graziosa.”
Hevonie sorrise a quel complimento e disse.
“L'onore è mio, signora.”
“Non chiamarmi signora, ti prego,” la donna fece una risata cristallina. ”Mi fai sentire più vecchia di quello che sono. Chiamami Joleen, se non ti dispiace.”
“Va bene, Joleen.”
“Così va meglio,” disse la donna.
“Non ci credevi che fosse proprio lei,” aggiunse Towalce.
“In effetti, non avrei mai pensato che la figlia del nostro re, un giorno sarebbe venuta a casa mia,” disse Joleen. ”Se avessi saputo prima della visita di un ospite così importante, avrei preparato una degna accoglienza.”
“Grazie,” sorrise Hevonie. “Mi basta sapere di non disturbare.”
“La principessa Hevonie un disturbo? Cosa mi tocca sentire!” Joleen alzò gli occhi al cielo. “Ma adesso entriamo, presto!”
Joleen varcò la porta e fece cenno ad entrambi di seguirla. Entrarono in casa, che si rivelò, essere molto grande ed elegantemente arredata. Li fece accomodare su due poltrone e prese da una dispensa delle erbe, con le quali preparò una tisana che offrì ai suoi ospiti.
“Bevi cara, ti farà bene,” disse Joleen porgendo una tazza fumante a Hevonie. ”Dal tuo aspetto devi averne passate parecchie, direi.”
“Grazie. Non posso negarlo.” Hevonie bevve un sorso di tisana che aveva un sapore amarognolo ma gradevole. Si sentì subito meglio, anche se l'osservazione di Joleen sul suo aspetto la mise a disagio. Ormai erano giorni che non si lavava e indossava gli stessi vestiti sporchi.
“Devi sapere che Joleen è una bravissima maga, conosce tutte le proprietà delle erbe e molti incantesimi di guarigione, è unica e insostituibile!” Towalce disse con orgoglio.
“Oh smettila, così mi farai arrossire!” Esclamò Joleen, lanciandogli uno sguardo bonario di rimprovero.
“Ma è la verità,” ribadì Towalce.
Hevonie si sentì improvvisamente confortata dalla loro vicinanza, sprofondò nella morbida poltrona e fu pervasa da una magnifica sensazione di benessere.
“Purtroppo ho sentito le brutte notizie, i demoni sono stati liberati,” affermò Joleen, dopo avere bevuto un sorso di tisana.
“Da quando Darkebetz è scomparsa, sembrava impossibile che qualcuno ci potesse riuscire,” disse Towalce.
“Chi era davvero Darkebetz?” Chiese Hevonie incuriosita.
Joleen si schiarì la voce e cominciò a raccontare.
“Devi sapere, cara, che Darkebetz era una maga molto potente quanto malvagia. Trasgrediva continuamente le regole della magia, compiendo sortilegi proibiti. Si trattava di incantesimi terribili, andava a risvegliare il sonno dei morti ed evocava spiriti elementali e demoni oscuri. Poi cominciò a essere ossessionata dall’idea dell'immortalità. Nessun mago era mai riuscito a trovare un qualsiasi incantesimo o formula magica per diventarlo. Finché Darkebetz, mentre svolgeva le sue ricerche, venne a conoscenza di alcuni libri antichi che si pensava fossero andati perduti. Nonostante fossero custoditi in luoghi inaccessibili, riuscì a entrare in possesso del più pericoloso di tutti, il Libro del Sangue.”