Towalce mosse leggermente la spalla e sentì che il dolore era decisamente diminuito.

“Non so come ringraziarti, sei stata…forte!” Le disse meravigliato.

“Sono io a doverti ringraziare, se non fosse stato per te a quest’ora mi troverei spiaccicata sotto quel masso. Anche tu sei stato...forte!”

Towalce sorrise e voltò lo sguardo verso il masso. Si avvicinò per esaminarlo, poi guardò verso l’alto e aggrottò le sopracciglia. Infine tornò da Hevonie e disse.

“E' chiaro che qualcuno sa che siamo qui. Questo masso non è caduto dal cielo, ma è stato deliberatamente lanciato sopra di te.”

“Lo so e mi vengono i brividi solo a pensarci,” disse Hevonie stringendosi nelle spalle.

“Dobbiamo sbrigarci a raggiungere Oktar,” esclamò Towalce. “Prima che qualcuno ce lo impedisca definitivamente.”

 

 

Capitolo 39


 

Dopo avere cavalcato a lungo, si fermarono per fare una pausa.

“Volevo ancora ringraziarti per prima, mi hai salvato la vita, o perlomeno da un incontro ravvicinato con un masso,” esordì Hevonie mentre si accingeva a controllare gli zoccoli del suo cavallo.

“Non ti montare la testa, l'ho fatto solo perché tu ci servi viva, altrimenti chi sconfiggerà Malwen?” Disse Towalce sorridendo.

”Già, immaginavo che non lo avevi fatto per niente.”

Quando ebbe finito con il cavallo, Hevonie si mise seduta a gambe incrociate.

“E la tua spalla come va?”

Towalce roteò il braccio con vigore. “Una meraviglia. Pronto a salvarti nuovamente, se necessario.”

“Mi fa piacere sentirlo, ma spero di non averne più bisogno.”

“Non vorrei spaventarti,” disse Towalce. “Ma dobbiamo attraversare un luogo completamente diverso da quelli che abbiamo percorso finora.”

“Cosa intendi dire?”

“Per cominciare il clima è torrido, è una specie di giungla tropicale, sicuramente troveremo una moltitudine di insetti e altre strane forme di vita,” spiegò Towalce. “Per cui ti conviene prepararti a un cambiamento drastico.”

“Dopo tanto freddo, potrebbe essere piacevole,” annunciò Hevonie fiduciosa.

“Non so se la penserai allo stesso modo, quando saremo lì,” affermò Towalce.

Ripresero il viaggio e dopo un paio d'ore, il paesaggio cambiò in modo repentino. Il fitto bosco lasciò spazio a un paesaggio desertico, che poi si trasformò lentamente in una giungla tropicale. La temperatura era aumentata notevolmente e si udiva un forte ronzio prodotto dalle centinaia d’insetti nascosti nella vegetazione.

Hevonie cominciò a sudare e i pesanti abiti le provocavano un fastidioso prurito. Si fermarono per levarsi i mantelli e uno strato di vestiti, ma il caldo era sempre insopportabile.

Poi Towalce cominciò a preparare un composto contro gli insetti. Staccò alcune foglie da una pianta, le appoggiò a terra e le sminuzzò servendosi del suo pugnale.

Quando ebbe finito, vi unì della resina prelevata da un albero. Ne ottenne una poltiglia appiccicosa e grigiastra e ne diede metà a Hevonie.

“Spalmatela sul viso e sulle mani,” le disse.

“E’ proprio necessario?” Chiese Hevonie, restia a mettersi addosso quella roba.

“Tra poco le zanzare ci saranno addosso e sono molto grandi e affamate. Questo è l'unico modo per non farsi mangiare vivi.”

“Ma puzza!” Esclamò Hevonie disgustata.

“Bene. E' questo il suo scopo,” rispose placido Towalce.

Quando ebbero finito di spalmarsi il composto, fecero altrettanto sui cavalli. Poi ripartirono e attraversarono un tratto di giungla putrida e maleodorante. A Hevonie sembrò di respirare invece dell'aria, una sostanza densa e gassosa.

Nell'abbacinante bagliore verde che li circondava, apparivano piante enormi e sconosciute.

Dai rami degli alberi pendevano liane simili a lunghi tentacoli, che s’intrecciavano e si muovevano al loro passaggio.

Hevonie e Towalce si sentivano sfiorare dalle intricate volute, quasi volessero trattenerli ed imprigionarli tra i loro grovigli.

A un tratto udirono un profondo ruggito che riecheggiò in tutta la giungla, rimbombando attraverso la moltitudine di rami e foglie. I cavalli si bloccarono.

“Che cosa è stato?” Chiese Hevonie spaventata.

“Si direbbe un essere molto grande,” rispose Towalce. ”Forza allontaniamoci.”

Proseguirono in sella ai cavalli che però cominciavano a dare segni di sofferenza. L'aria umida incollava i loro vestiti sulla pelle e rendeva difficoltoso respirare, sembrava spessa come vapore.

Procedevano faticosamente in mezzo al forte odore emanato dalla terra e dalle foglie marce.

Nel cielo splendeva un sole ardente che lanciava i suoi raggi infuocati tra gli alberi senza pietà, rendendo l'ambiente soffocante e l'aria calda.

Le zanzare costituivano un tormento continuo, solo quell'intruglio maleodorante che avevano sulla pelle, li proteggeva dalle loro punture.

A volte Towalce era costretto a scendere da cavallo per tagliare un ramo o una liana che ostruivano il passaggio, ma a parte questo non incontrarono grossi ostacoli.

Finalmente raggiunsero la riva di un fiume. Si fermarono e corsero subito a bere e a rinfrescarsi. Lo stesso fecero i cavalli, stremati dal grande caldo. Il fiume era abbastanza largo e la corrente era rapida.

Videro una piccola barca avvicinarsi e si nascosero immediatamente, il barcaiolo era un orco. Aveva i capelli crespi e la pelle era spessa come quella di un coccodrillo, con piccole zanne che spuntavano ai lati della bocca.

Sedeva immobile nella barca di legno che scivolava silenziosa nell'acqua e scomparve alla vista velocemente.

Quasi le avesse letto nel pensiero, Towalce disse.

“Gli orchi sono aggressivi con chiunque, è meglio evitarli.”

“Ma non mi dire!” esclamò Hevonie, non volendo neppure pensare a cosa sarebbe successo se avessero dovuto affrontarlo.

Con quel caldo sfibrante non avrebbe avuto le forze necessarie.

“Si racconta che nei tempi antichi, gli orchi abitassero nella città di Merival che sorgeva ai margini di questa giungla. Ma quando vennero attaccati da popolazioni nemiche, pur di non farla cadere nelle mani degli invasori, diedero fuoco alla loro città. Purtroppo la maggior parte degli abitanti morirono nel devastante incendio, lasciando sepolte per sempre le sue immense ricchezze.”

“E nessuno ha mai provato a cercarle?” Chiese Hevonie incuriosita dal racconto.

“Certo, ma a quanto pare non sono mai state ritrovate. Chiunque si avventurasse a Merival trovava la morte inspiegabilmente. Quindi nacque la leggenda riguardante un mostro, grande più di un drago, che viveva sotto le sue ceneri. Si narra che fosse nato dalle anime dei morti, che lo avevano creato per custodire la loro città e i suoi tesori. La gente diceva che sbucasse dalla terra e divorasse chiunque si avvicinasse a Merival.”

“Speriamo si tratti solo di una leggenda,” commentò Hevonie.

“Nessuno può dirlo,” disse Towalce. “Ora andiamo però, non vedo l'ora di lasciare questo clima infernale.”

Ripresero il viaggio e durante il tragitto poterono osservare diversi uccelli colorati, dalle incredibili piume iridescenti. Con la loro eleganza offrivano uno spettacolo di stupefacente bellezza.

Nonostante la situazione fosse intollerabile, rimasero ugualmente affascinati dai vari scorci che la giungla offriva.

Cavalcarono tra sentieri ricchi di una lussureggiante vegetazione.

Splendidi rami fioriti scendevano fino a sfiorare l'acqua e si distendevano tra gli alberi che fiancheggiavano il fiume.

Erano ricchi d’intense sfumature dai molteplici colori e creavano uno straordinario effetto cromatico.

Meravigliose farfalle dalle grandi ali colorate si sollevavano in volo formando dei nugoli strabilianti.

Towalce doveva rifare spesso la poltiglia protettiva, perché mischiandosi con lo sporco e il sudore, perdeva presto la sua efficacia. Hevonie continuava a scacciare con le mani, sciami di zanzare gigantesche, mosche e formiche alate che le ronzavano attorno senza sosta.

Guardando a terra notava il brulichio incessante di migliaia d’insetti dalle più svariate forme e dimensioni. Più di una volta si era ritrovata delle sanguisughe attaccate alla pelle.

Al calare del sole, la giungla diventò estremamente silenziosa. Sembrava che ogni creatura, anche la più piccola, l'avesse abbandonata, la temperatura era finalmente sopportabile se non addirittura leggermente fresca.

Per non affaticare troppo i cavalli, scesero e iniziarono a camminare. Hevonie si trascinava stancamente al loro fianco, tenendo saldamente le redini in mano.

Spesso, scivolava nel fango e si ritrovava a respirare l'odore acido delle foglie morte, che sovrapposte in molteplici strati, ricoprivano il terreno.

Quando scese la notte contrariamente al solito silenzio, si sentirono degli strani fruscii e un continuo picchiettare.

Hevonie sedeva irrigidita dalla paura, restando in ascolto. Towalce le aveva raccontato che alcuni serpenti potevano strisciare nel sottobosco senza muovere neppure la fronda di un arbusto, sbucando fuori all'improvviso.

Rimasero in ascolto davanti al fuoco acceso, pronti a reagire a qualsiasi emergenza.

L'acqua scarseggiava, non avevano più incontrato fiumi o torrenti, quindi all'alba si adattarono a bere la rugiada dalle foglie. Ormai si trascinavano per inerzia, erano senza forze, le gambe facevano fatica a sorreggerli.

Anche i cavalli erano deboli e non avrebbero potuto in nessun modo essere cavalcati.

Durante una pausa, Hevonie evitò per un pelo di appoggiare il palmo della mano su un enorme scorpione, che se ne andava tranquillamente per la sua strada, con la coda avvelenata ritta sulla testa.

Durante il giorno piovve a catinelle e i sentieri si mutarono in fiumi di fango. Ma faceva così caldo che quando smise di piovere, il vapore che si alzò dalle foglie decomposte sul terreno tolse loro letteralmente il fiato, facendoli quasi soffocare.

Raccolsero le ultime forze e continuarono a camminare. A un tratto Hevonie sussultò, piena di stupore, vedendo buche gigantesche nel fango e i tronchi degli alberi vicini incisi da strani simboli.

Lanciò uno sguardo interrogativo a Towalce e per la prima volta lo vide davvero spossato e questo fatto la preoccupò.

Quindi rinunciò a chiedere spiegazioni.

Hevonie cominciò ad avere la vista annebbiata e si sentiva completamente disidratata. Ma la cosa peggiore avvenne quando ebbe la netta sensazione che si stavano muovendo in tondo. Si sentì afferrare dal panico.

Nella sua mente offuscata si fece strada la convinzione che la giungla fosse stregata e che non ne sarebbero mai usciti vivi.

Hevonie sedeva scoraggiata su un tronco caduto e guardava un piccolo serpente che strisciava in mezzo alle foglie.

All'improvviso si sentì solleticare il braccio nudo e vide muoversi sopra un ragno peloso grande come il palmo della sua mano.

Mentre lo guardava paralizzata dalla paura, un altro le cadde accanto. La loro vista la fece arretrare per il ribrezzo, si riscosse e scrollò energicamente il braccio, facendoli cadere entrambi. Doveva reagire, altrimenti ogni speranza sarebbe andata perduta, si alzò di scatto ma barcollò e cadde a faccia in giù nella viscida terra nera.

Tutto intorno a lei sembrava avvolto nella nebbia, cominciava a sentirsi pericolosamente debole e senza più energie. Towalce era seduto accanto ai cavalli e la guardava senza dire niente.

Avevano entrambi la bocca troppo secca per riuscire a parlare. Hevonie cercava di scacciare la miriade di mosche che la assillavano, agitando freneticamente le mani per proteggersi il viso. Dovettero fasciarsi la testa e le braccia con degli indumenti per proteggersi. Sapevano che non avrebbero resistito ancora a lungo.

Towalce ogni volta cercava di infondergli coraggio, ma Hevonie capiva che anche le sue forze si stavano esaurendo. Si trascinavano avanti per inerzia, ormai senza speranza.

Poi magicamente, incredibilmente, la giungla sparì, lasciando di nuovo il posto alla dolce frescura del bosco.

Corsero in avanti con la forza della disperazione, dovevano raggiungere quello che per entrambi rappresentava la salvezza. Towalce trainò con sé i cavalli che malgrado fossero estremamente debilitati, erano ancora vivi. Dopo il ronzio incessante di milioni d’insetti e i versi assordanti degli uccelli, il bosco sembrò assolutamente silenzioso.

Finalmente raggiunsero un ruscello, dove l'acqua scorreva fresca e pulita. Si dissetarono e si ripulirono di dosso tutto il fango e lo sporco che avevano accumulato.

Si occuparono anche dei cavalli, che grazie all'acqua e all'erba rigogliosa, si ripresero in brevissimo tempo. Quando si sentirono di nuovo in forma, montarono in sella e proseguirono il loro viaggio.

 

 

Capitolo 40


 

“Finalmente ci siamo, quella è Descot!” Esclamò Towalce.

Avevano viaggiato per altri due giorni di fila e si erano ripresi dalla estenuante esperienza nella giungla arrivando dritti alla loro meta.

Rallentarono l'andatura dei cavalli e si fermarono davanti alle mura che circondavano la residenza, dove in alcuni tratti erano ancora evidenti i segni dei danni subiti due secoli prima.

Era stata una delle roccaforti che aveva resistito meglio agli attacchi dei demoni durante la Grande Battaglia.

Alcune parti erano di recente costruzione, formate da massicce pietre che non erano ancora state ricoperte dalla patina del tempo.

Hevonie rimase impressionata dalla loro imponenza, anche Towalce le osservò con attenzione.

“Saremo al sicuro li?” Chiese Hevonie, che si sentiva tremendamente stanca.

“Questa è la dimora estiva di Oktar,” rispose Towalce. “E' protetta da centinaia di incantesimi. Non penso che Malwen si azzarderebbe mai ad attaccarla.”

“Speriamo,” si limitò a dire Hevonie, sollevata di essere giunta al termine del viaggio.

A guardia del cancello principale c'era una giovane soldatessa in divisa che teneva le mani appoggiate su una spada conficcata nel terreno. Hevonie notò che nonostante la giovane età, emanava una grande autorevolezza. Le si avvicinarono e smontarono da cavallo. La ragazza li scrutò con attenzione.

“Chi siete?” Chiese diffidente.

“Lei è la principessa Hevonie Heronberg e io sono il duca di Colwan,” rispose Towalce.

“E cosa volete?”

“Siamo qui per incontrare Oktar,” rispose Towalce.

“E lui vuole incontrare voi?”

“Spero di sì, perché abbiamo bisogno del suo aiuto,” s'intromise Hevonie.

La ragazza li squadrò e sembrò valutare le loro intenzioni.

“Seguitemi,” disse infine. ”Ma dovrete lasciare i cavalli in quella stalla laggiù.”

La ragazza indicò una costruzione alla loro sinistra. Entrambi si recarono nella scuderia e dopo avere lasciato i cavalli alle cure dello stalliere, tornarono indietro.

Il cancello era già aperto e la ragazza entrò per prima.

Hevonie si guardò intorno intimorita, all'interno delle mura c’erano tante piccole costruzioni, che facevano da degna cornice a quello che era il corpo principale, un vecchio maniero di notevole dimensione. Si diressero proprio lì ed entrarono dal maestoso portone principale.

“Aspettate qui, torno tra poco,” annunciò la ragazza, lasciandoli nell'ingresso.

Hevonie osservò l'ambiente e vide che la sala dove si trovavano era completamente rivestita di pannelli di legno intarsiati. Un enorme camino di pietra grigia era situato nell'angolo tra due pareti, il fuoco scoppiettante rendeva la sala accogliente. Si misero seduti ad aspettare, dopo alcuni minuti la ragazza tornò, accompagnata da una donna anziana.

“Oktar vi aspetta,” annunciò la donna squadrandoli da capo a piedi.

Hevonie e Towalce seguirono la donna, mentre la ragazza uscì dal palazzo.

Si fermarono davanti ad una porta, la donna la spinse e fece loro cenno di entrare, poi la richiuse dietro di sé.

Dentro c’era l'uomo più vecchio che Hevonie avesse mai visto. Era curvo e indossava un cappello che gli ricopriva la testa calva. Aveva un viso scheletrico e rugoso, la pelle quasi trasparente, il corpo esile era nascosto da una larga tunica nera.

Sedeva dietro ad una scrivania sulla quale poggiava un libro aperto che stava sfogliando con le sue lunghe dita ossute.

Hevonie vide nella luce soffusa delle candele, che i suoi occhi erano socchiusi, sembrava quasi cieco. Oktar si voltò verso di loro lentamente, ogni gesto sembrava costargli un grande sforzo.

“Ti porgo i miei omaggi, principessa Hevonie,” disse con voce flebile. ”E anche a te giovane cavaliere. Che cosa posso fare per voi?”

“Siamo qui per chiedere il vostro aiuto,” rispose Hevonie. ”Ho bisogno di riavere la pietra di Koltrane. Sappiamo che la custodite voi e che siete il più grande mago esistente.”

“Ti ringrazio cara ragazza, è vero che sono sensibile ai complimenti, ma purtroppo l'età non è una buona amica, ti accompagna fino ad un certo punto, poi ti abbandona,” fece una pausa poi proseguì. “Mi dispiace molto per la morte di tuo padre. Era un uomo onesto e ascoltava i suoi sudditi. E' stato il degno erede di quel grand'uomo di tuo nonno. Io ho conosciuto bene entrambi,” la guardò con gli occhi ridotti a fessure e aggiunse.

“Mi auguro che tu sia altrettanto abile e coraggiosa, giovane principessa.”

“E' quello che ho intenzione di dimostrare, infatti, sto andando a occupare il posto che mi spetta sul trono di Kosworth,” esclamò Hevonie con enfasi. “Malwen è un criminale che va fermato al più presto!”

“Hai lo spirito giusto e questo è un bene, ma so per esperienza che questo compito sarà estremamente gravoso. Oltre all'uso della magia dovrai avere una grande forza d'animo.”

“Voi sapete chi è Malwen?” chiese Hevonie.

“Quando tuo padre era un giovane principe, io ero al servizio di tuo nonno. Ho dedicato molti mesi a creare incantesimi per combattere la Magia Proibita. Il sogno di Malwen è quello di riportare in vita lo spirito di Darkebetz. Questo gli darebbe uno straordinario potere, che gli consentirebbe di dominare la maggior parte dei demoni, con conseguenze nefaste per tutti quanti.”

“Mio padre mi aveva dato uno specchio,” disse Hevonie. “Ma Malwen me lo ha sottratto e comunque non avrei neppure saputo come usarlo.”

Oktar si fece pensieroso.

“Si tratta sicuramente dello Specchio delle Anime,” disse infine.

“A cosa serve esattamente?” chiese Towalce.

”Venite a vedere voi stessi.” Oktar si voltò e invitò i suoi ospiti a seguirlo.

Insieme raggiunsero un globo di vetro, dove all'interno ardeva una fiamma, il mago fece cenno a Hevonie di appoggiarvi le mani sopra. Le punta delle dita toccarono la superficie che era molto calda. Hevonie guardò la fiamma che diventò rosso intenso e aumentò, poi diminuì e si divise in piccole lingue crepitanti.

Fissò il fuoco e il suo sguardo si fece sempre più preoccupato, poi staccò le dita, le cui punte erano arrossate dal calore della sfera.

Tornarono alla scrivania e si misero seduti. Hevonie era stranamente silenziosa.

“Che cosa hai visto?” Chiese Towalce impaziente.

“Un arcano,” rispose Hevonie. “Ho visto delle ombre avanzare che sembravano fissarmi, come se potessero vedermi al di là della sfera. Poi hanno visto lo specchio e sono scappate dissolvendosi nel nulla.”

“E questo, cosa significa?” Chiese Towalce guardando Oktar.

“Dentro la sfera sono racchiusi dei misteri e solo in parte possono essere svelati,” rispose Oktar. “Io penso che in questo caso il messaggio sia chiaro. Hevonie ha il potere di scacciare i demoni e di conseguenza fermare Darkebetz, ma per farlo ha bisogno dello specchio. La sfera ci ha dato la conferma.”

“Se Darkebetz era un essere umano, mi azzarderei a dire che certamente ora non lo è più,” disse Hevonie.

“Ha oltrepassato ogni limite, è diventata lei stessa una creatura demoniaca,” convenne Oktar. “Ma il suo problema è che per ora è solo uno spirito senza corpo e si starà dannando per trovarne uno.”

“A cosa serve lo specchio?” Chiese Towalce.

”Lo specchio ha il potere di intrappolare la sua anima immortale. Per questo ha incaricato Malwen di recuperarlo, è stato costruito con l'intento di racchiudere le anime degli spiriti dannati al suo interno. Lei lo teme perché è l'unico mezzo che può fermarla.”

“Ma come funziona esattamente?” Domandò Hevonie.

“Per poterlo usare bisogna prima imparare gli incantesimi giusti. Quelli che possono intrappolare il suo spirito,” rispose Oktar.

“E dove si trovano?” Chiese Hevonie.

“Sono contenuti nella tua pietra, sei tu che devi sbloccarli e apprenderli.”

Hevonie scosse la testa sconsolata.

“Il problema è che non ho più nessuno dei due.”

Oktar si alzò e si diresse verso una specie di cassaforte incassata nel muro.

Quando tornò, teneva in mano un grosso scrigno. Lo aprì e ne tirò fuori una pietra bianca e lucente.

Hevonie la riconobbe e la guardò con meraviglia, anche Towalce ne rimase affascinato.

Oktar si avvicinò a Hevonie e con una forza che la sorprese, le afferrò il polso. Inserì con precisione la pietra nel bracciale e mormorò alcune parole.

La pietra emise un lampo di luce e Hevonie avvertì immediatamente una vibrazione lungo il braccio. Si tastò il polso, senza riuscire a staccare gli occhi dalla pietra.

“Ti ringrazio,” disse Hevonie. ”Ora potrò usare la magia per combattere quell'orribile demone.”

“Ma non è finita qui,” proseguì Oktar. “C'è anche questo.”

Tra lo stupore generale estrasse dallo scrigno uno specchio, uguale a quello sottratto da Malwen.

“Come è possibile?” Chiese Hevonie incredula.

“Questo è il vero Specchio delle Anime,” spiegò Oktar. “Malwen ha rubato una copia che non ha nessun potere. Neppure tuo padre sapeva che in realtà è sempre stato qui.”

Hevonie non riusciva a credere a quello che aveva appena udito.

“Volete dire che mio padre è morto per difendere un oggetto senza valore?”

“Non la metterei in questi termini,” disse Oktar. “Tuo padre è morto per difendere il castello e la sua gente. Il ruolo dello specchio nella sua morte è stato secondario, Malwen e i suoi demoni hanno attaccato il castello per distruggerlo.”

“Come mai mio padre non sapeva che quello che possedeva era falso?”

“Perché il vecchio Concilio dei maghi aveva deciso così,” rispose Oktar. “Il motivo non lo so, mi hanno dato lo specchio da custodire e io non ho fatto domande. All'epoca dovevo sottostare agli ordini dei miei superiori senza discuterli.”

Hevonie si sentiva confusa, ma non fece altre domande. Pensò al fatto che adesso aveva l'arma che avrebbe potuto sconfiggere Darkebetz.

“Per prima cosa dovrai fermare Malwen,“ disse Oktar distogliendola dai suoi pensieri. “Perché una volta fermato, Darkebetz perderà un prezioso alleato e questo la renderà più vulnerabile.”

“Noi stiamo parlando del suo spirito, ma dove si trova il suo corpo?” S'intromise Towalce.

“Le mappe dell'epoca dicono che fu sepolto in qualche luogo a ridosso delle Grandi Montagne Nevose. Nessuno si avventura mai in quei luoghi impervi.”

“Ma è possibile arrivarci?” Chiese Hevonie.

“Si, ma il sepolcro è protetto da potenti incantesimi che lo rendono introvabile. E finora così è stato.”

“Dobbiamo recuperarlo prima che Malwen lo riunisca alla sua anima,” affermò Hevonie.

“Quella zona è stata considerata il posto più sicuro, dove nascondere il suo corpo,” disse Oktar. “Per raggiungerla bisogna intraprendere un viaggio molto rischioso. Il territorio è impervio e purtroppo la sua ubicazione è sconosciuta.”

“Davvero una situazione complicata,” convenne Hevonie. “Per riuscire in una simile missione, ci vorrebbe un mago con una grande esperienza. Non certo io.”

“Sarebbe molto difficile anche per un mago esperto ma questo compito lo puoi svolgere solo tu,” disse Oktar. “Vedo le venature dorate nei tuoi occhi, questi sono i segni rari e inconfondibili che contraddistinguono le persone dotate di poteri particolari. Inoltre indossi un anello speciale, io lo conosco è stato creato dal Concilio dei maghi dopo la Grande Battaglia due secoli fa.”

“Tu sai qual è il suo potere?” Domandò Hevonie.

“Purtroppo no,“ rispose il mago. “Era stato realizzato per essere usato insieme allo specchio, ma al giorno d'oggi il suo vero utilizzo non lo conosce più nessuno.”

“Allora cercherò di scoprirlo. Per adesso ti ringraziamo per il tuo prezioso aiuto. Posso fare qualcosa per te?” Chiese Hevonie alzandosi dalla sedia.

“Sì,” rispose Oktar. “Fai in modo che quel demonio lasci per sempre questo mondo.”

Hevonie annuì decisa.

“Per ora torniamo al Concilio, abbiamo bisogno anche del loro aiuto,” disse infine.

Oktar chiuse gli occhi, abbassò la testa e sembrò addormentarsi. Towalce e Hevonie uscirono dalla sala in silenzio, per paura di svegliarlo.

 

 

Capitolo 41


 

Mentre viaggiavano, il cavallo di Hevonie cominciò a zoppicare.

“Non penso che possa resistere ancora a lungo,” osservò Towalce. “Dobbiamo fermarci.”

“Guarda,” esclamò Hevonie. “Laggiù c'è qualcosa.”

Con la mano indicò una grossa torre che spiccava nel mezzo di diverse case.

“Questo è il primo luogo abitato che incontriamo da un po’ di tempo a questa parte,” disse Towalce. “Direi di approfittarne per fare una pausa.”

“Sono assolutamente d'accordo,” convenne Hevonie.

Oltrepassarono le mura del villaggio e Hevonie avvertì una resistenza magica nell'aria. Cercò di capire di cosa si trattasse ma Towalce le fece segno di sbrigarsi, così lo seguì senza dire niente.

Si diressero verso una costruzione di grosse pietre di granito, all'esterno c'era un'insegna con sopra scritto -Taverna della Quercia Reale-.

Arrivati davanti all'entrata, scesero dai rispettivi cavalli e dopo averli legati a un traliccio, Towalce bussò forte contro il portone di legno massiccio.

“Arrivo!” Una voce gracchiante proruppe dall’interno. Quindi la porta si aprì.

Apparve uno gnomo, che quando li vide, per prima cosa ebbe un moto di sorpresa, poi sul suo viso apparve un’espressione guardinga.

“Che cosa volete?” Domandò circospetto.

“Vorremmo mangiare qualcosa, se è possibile,” rispose Towalce.

“A quest'ora la cucina è chiusa,” lo gnomo disse secco. Poi sembro cambiare idea perché aggiunse. ”Comunque accomodatevi e siate i benvenuti, vedrò di trovarvi qualcosa. Io sono Monok, il proprietario di questo locale.”

“Fuori ci sono i nostri due cavalli che hanno bisogno di fieno fresco e di acqua,” disse Hevonie. “Se possibile, anche di una controllata agli zoccoli, per favore.”

“Avvertirò subito lo stalliere di provvedere,” rispose Monok.

Lo gnomo era piuttosto vecchio, aveva una massa di capelli bianchi, lunghi e scarmigliati. Era basso e tarchiato, ma gli occhi erano vispi e attenti.

Il posto era abbastanza pulito e ben tenuto. C’era una grossa sala con un caminetto e diversi tavoli apparecchiati.

Nell’aria aleggiava un odore stantio di minestrone misto a fumo. C’erano sei grandi finestre, ma purtroppo tutte ben chiuse, Hevonie resistette all’impulso di aprirne una.

“Prego, accomodatevi,” fece loro cenno di sedersi su due sedie poste intorno ad un tavolo. “Posso offrirvi qualcosa da bere? Una bella tazza di tè?”

Hevonie colse una nota di falsità nell’estrema gentilezza dello gnomo, ma i suoi impulsi scellerati l'avevano cacciata più volte nei guai, quindi decise di tenere per sé le sue sensazioni.

“Un tè andrà benissimo, grazie,” rispose altrettanto gentilmente Hevonie.

Gli occhietti dello gnomo si strinsero per un istante, ma il sorriso non scomparve dal suo volto rugoso.

“Bene, sarà pronto tra pochi minuti.” Monok si diresse in una stanza attigua e sparì.

“Speriamo che non ci metta dentro del veleno,” sospirò Hevonie. Towalce la fulminò con lo sguardo.

“Stai buona, questo è un villaggio di gnomi, sono convinti di essere la razza perfetta e disprezzano tutti gli altri. Anche se contemporaneamente non disdegnano di fare scambi commerciali con gli stessi che denigrano. Non mi sembra il caso di contrariarli, soprattutto in questo momento,” la redarguì Towalce.

Lo gnomo tornò, servì il tè e si recò in cucina. Dopo pochi minuti portò con sé del pane e delle fette di carne fredda.

Towalce e Hevonie cominciarono a mangiare di gusto, non si erano accorti di quanto fossero affamati. Quando ebbero finito, Monok sparecchiò la tavola e li scrutò.

“Cosa ci fate da queste parti, se posso chiedere?”

“Stiamo eseguendo un lavoro per conto dei maghi del Concilio,” rispose Towalce vago.

“Ah, il Concilio,” ripeté Monok con una smorfia.

“Mi scusi signore,” intervenne Hevonie. “C'è qualcosa che non va?”

“I maghi del Concilio sono degli incompetenti,” esclamò Monok risoluto. “Sono settimane che abbiamo problemi con i Troll e a nulla sono servite le nostre richieste d'aiuto. Abbiamo dovuto arrangiarci da soli.”

“Che problemi vi hanno dato i Troll?” Chiese Towalce.

“Girano nel bosco qui attorno spaventando a morte le persone. Da quando ci sono loro non siamo più liberi di muoverci,” asserì con veemenza Monok.

Mentre lo ascoltava Hevonie, percepì la menzogna nelle sue parole.

“Mi sembra strano che i Troll si aggirino intorno al vostro villaggio senza motivo,” disse decisa a smascherarlo. “Non è che per caso siete stati voi a provocarli?”

“Questa è un’infamia.” lo gnomo batté il pugno sul tavolo con violenza. Poi si ricompose e proseguì. ”Voglio dire noi non abbiamo attaccato nessuno. Al limite si potrebbe dire che ci siamo difesi.”

“Di solito ci si difende quando si viene attaccati,” disse Hevonie spazientita. “E' questo che è successo? I Troll vi hanno attaccato?”

“Non ho detto questo,” disse lo gnomo incollerito.

“Sapete che aggredire impunemente e senza motivo qualunque essere vivente è un reato gravissimo?” Chiese Hevonie.

“Certo che lo so!” Esclamò Monok offeso.

“Allora dovreste sapere che la preoccupazione principale del Concilio è quella di assicurarsi che tutte le creature del regno vivano in pace,” questa volta fu Towalce a parlare.

“D'accordo. In effetti ci sono stati degli incidenti, se così si possono chiamare,” spiegò lo gnomo cauto. ”Ma dovete capire che questi Troll girano da giorni intorno al villaggio, anche se non ci hanno mai attaccato, sicuramente prima o poi lo faranno. E comunque sono una presenza inquietante.”

“Che cosa fanno esattamente?” S'informò Towalce.

”Per ora si limitano a stare ai margini del villaggio perché c’è un incantesimo di protezione che ne impedisce l’accesso, ma il problema è che da quando sono comparsi nessuno si azzarda più ad andare nei dintorni.”

“Non vi siete chiesti il perché di questo comportamento?” Domandò Hevonie esasperata.

“Noi abbiamo tutto il diritto di fare quello che vogliamo sul nostro territorio,” sbottò Monok con veemenza. “E' sancito dalla legge.”

Hevonie stava per ribattere, ma Towalce la bloccò e parlò al posto suo.

“La legge assicura la libertà ad ogni essere vivente, anche se calpesta il territorio altrui, se questo non procura danni a cose o persone. Proprio perché esiste la legge, bisogna applicarla e non ci si può fare giustizia da soli.”

“Comunque giacché siamo qui, daremo un'occhiata alla situazione,” annunciò Hevonie.

Un silenzio gelido scese tra di loro. Hevonie avvertiva l’astio dello gnomo nei suoi confronti, lo stesso che aveva provato anche lei fin dall'inizio.

L’aria nella stanza si era fatta ancora più irrespirabile e Hevonie sentì il bisogno di uscire. “Se non vi dispiace, vado fuori a controllare come stanno i cavalli.”

Towalce la guardò indeciso, poi disse. “Come vuoi. Ma non allontanarti troppo.”

L’aria fresca la rinvigorì subito. Andò dai cavalli e li trovò in perfetta forma, notò che gli zoccoli erano stati ripuliti, quindi decise di dare un'occhiata in giro. Non c’era molto da vedere nel villaggio, se non le solite case tutte uguali.

L’unica peculiarità erano le dimensioni ridotte, che erano rapportate all'altezza dei suoi residenti. Anche se intorno c'erano diverse panchine e abitazioni più grandi, probabilmente predisposte per eventuali viaggiatori di passaggio.

Incontrò poche persone e la maggior parte tirava dritto senza guardarla, solo un paio di giovani gnomi e un cane, sembrarono notare la sua presenza.

Questo fatto le diede una sensazione strana. Le sembravano lontani i tempi durante i quali, la gente si spintonava per vedere la principessa da vicino.

All'improvviso decise che quel posto e i suoi abitanti non le piacevano. Era una sensazione che aveva percepito fin dal suo arrivo e quello che aveva visto confermò la sua prima impressione. Arrivò al limite del villaggio e se ne accorse perché sentì ancora l’energia magica, doveva essere la barriera di cui aveva parlato Monok.

Al di là c'erano solo alcuni campi coltivati e dietro di essi si estendeva, incombente, la foresta. Era tentata di attraversare la barriera, ma se avesse incontrato i Troll da sola, non avrebbe saputo come comportarsi, quindi rimandò a quando ci fosse stato anche Towalce. Un buon odore di tabacco le salì alle narici, si voltò e seduto su una panchina di pietra ai bordi di un giardino, c’era un vecchio gnomo che fumava la pipa.

I loro occhi s’incrociarono, lui fece un saluto con la mano e un mezzo sorriso. Hevonie fece un cenno con la testa e ricambiò il saluto. Lo gnomo aveva due lunghi baffi neri che facevano tutt’uno con le basette molto folte.

Mentre la testa era un groviglio di capelli scompigliati.

“Buonasera, signorina,” la salutò il vecchio. La sua voce era rauca.

Hevonie gli si avvicinò, accantonando definitivamente l’idea di andare nel bosco.

“Ho avuto l'impressione che volevate oltrepassare la barriera.”

Il fumo della pipa usciva dalla sua bocca insieme alle parole.

“In effetti, ci avevo pensato,” rispose Hevonie.

“Cattiva idea. Ci sono dei Troll la fuori che è meglio non incontrare,” disse lo gnomo inspirando lentamente il fumo dalla pipa.

“Lei li ha visti?”

“Certo, sono enormi, sembrano lenti, ma non lo sono affatto. Ti appaiono in un posto e pochi secondi dopo sono sul lato opposto. I Troll sono creature feroci.”

“Vi hanno mai attaccato?”

“No, ma se dovessero farlo conosco degli incantesimi con i quali posso sconfiggere ogni creatura magica della foresta. Troll, elfi, posso distruggerli tutti,” disse trionfalmente.

Hevonie pensò che quell’uomo avesse bevuto troppo vino. Cercò di aprire la bocca ma fu interrotta.

“E’ un grande momento storico per tutti, il giorno del giudizio è arrivato e noi potremo cominciare a vivere da uomini liberi, finalmente,” farneticò lo gnomo.

“Magnifico.” Hevonie si guardò intorno depressa.

“Vuoi cenare con me, signorina? Potrei trovare qualche avanzo di cibo.”

“No grazie, ho già mangiato.”

Hevonie si allontanò dal vecchio e si avviò verso la locanda, anche se non aveva nessuna voglia di tornare in quel posto maleodorante.

Quando rientrò nella taverna, incontrò uno gnomo basso e calvo, con la faccia arrossata.

Indossava una tunica porpora molto luccicante.

“Oh, eccoti tornata,” disse Towalce alzandosi. “Ti voglio presentare Trico, il mago del villaggio.”

Il mago le porse la mano e le diede una stretta vigorosa, ma subito dopo qualcosa attirò la sua attenzione, si avvicinò alla finestra e puntò il dito. “Eccolo!”

Hevonie guardò attraverso il vetro. Stagliato contro il cielo notturno, a pochi metri da loro, si ergeva in tutta la sua altezza, un grosso Troll.

A quella distanza si poteva vedere una sfilza di enormi denti posti in una bocca cavernosa. Era più grande dei Troll che aveva incontrato in precedenza.

“Accidenti, quanto è enorme!” Esclamò Hevonie sbalordita.

“È un Troll di montagna,” disse Towalce che si era avvicinato alla finestra. ”Da quello che ne so, sono creature molto timide, vivono nascosti nelle caverne. E' strano vederne uno intorno ad un posto abitato.”

“Forse sta cercando qualcosa o è stato disturbato,” suggerì Hevonie.

“È un essere disgustoso,” tagliò corto il mago. ”È una minaccia per tutti noi.”

“Bisogna capire perché si trova qui,” disse Hevonie contrariata. “Magari possiamo convincerlo a tornare nel suo habitat.”

“No, bisogna ammazzarlo, è l'unico modo per essere sicuri di eliminare il pericolo,” esclamò Monok con rabbia, che nel frattempo li aveva raggiunti.

Hevonie lo guardò con disprezzo, ma decise di non controbattere.

“Forza andiamo a vedere,” disse Towalce.

Hevonie lo seguì e lo stesso fecero i due gnomi.

Uscirono dalla locanda e si avvicinarono al Troll che stava fermo e si guardava intorno con sguardo inespressivo.

Facendosi largo tra gli gnomi, Hevonie avanzò tra la piccola folla che si era riunita per guardare quell'essere gigantesco. Quando lo raggiunse, vide che Trico l'aveva preceduta, teneva un bastone puntato davanti a sé e stava enunciando delle parole incomprensibili.

“Ma che diamine stai facendo?” Gli chiese Hevonie furiosa.

“Sto facendo quello che andava fatto da molto tempo,” rispose Trico.

“Aspetta. Voglio capire cosa sta succedendo.”

“Non abbiamo bisogno di te per sconfiggere i nostri nemici,” gridò il mago.

Puntò il bastone contro il Troll e lanciò un fascio di energia che lo colpì dritto sulla fronte.

Il Troll gettò la testa indietro, barcollò, ma rimase in piedi.

“Visto? Ancora un paio di colpi ed è bello e finito,” sorrise soddisfatto Trico.

Un altro fascio di luce colpì il Troll sul petto, che però non sembrava risentire più di tanto degli attacchi.

Hevonie pensò che tutta quella situazione era sbagliata.

“Smettila, finirai per irritarlo, non concluderai niente in questo modo.”

“Io voglio ucciderlo quel brutto bestione.”

“Perché ucciderlo? Non vi ha fatto niente.”

“E' una minaccia per tutti noi, potrebbe attaccarci da un momento all'altro,” rispose Trico.

“Questo lo dici tu. Dopo tutto non ha ucciso nessuno, può darsi che si sia solo perso. Lascia fare a me.”

“Non mi fido di te, principessa. Vattene!”

Il mago colpì per la terza volta il Troll che con una mossa fulminea schivò il colpo.

Il Troll avanzò velocemente attraverso la barriera e lo prese tra le enormi mani. Trico rimase scioccato e s’immobilizzò terrorizzato. Lo fissava incapace di dire qualsiasi cosa.

Quindi la barriera non funzionava! I Troll se avessero voluto sarebbero potuti entrare nel villaggio quando volevano. Il fatto che non l'avessero mai fatto convinse Hevonie che non erano loro gli aggressori, bensì le vittime.

Trico cominciò a urlare come un forsennato. Il Troll sembrava incuriosito da quella piccola creatura che si agitava tra le sue mani, ma Hevonie percepì che non gli voleva fare del male, si era solo difeso e aveva fatto smettere la cosa che lo colpiva. Hevonie incrociò lo sguardo del Troll e le sembrò spaventato e confuso. Quindi decise di intervenire. Richiamò un incantesimo dalla pietra e lo scagliò contro il mago che smise immediatamente di agitarsi.

Tutti rimasero attoniti, passarono dei lunghi istanti di tensione, durante i quali il Troll teneva tra le mani lo gnomo svenuto. Come se avesse perso interesse per lui, lo depose a terra e si voltò, era proprio quello che Hevonie si aspettava facesse. Rivolgendosi a Towalce gli disse. ”Occupati di quel mago da strapazzo, l'ho solamente stordito, niente che non possa essere curato con un tonico, io vado dal Troll.”

Towalce non riuscì nemmeno a rispondere che Hevonie si era già allontanata a cercare il Troll che stava tornando nella foresta. Ma Monok le si parò davanti fermandola.

“Cosa credi di fare?” Disse risoluto.

“Questo Troll non ha mai ferito nessuno, si è solo smarrito, vado ad aiutarlo a ritrovare la sua strada.”

“E’ un essere abietto e le persone hanno paura. Deve morire.”

“Che idea assurda. Allora cosa succederà? Tutta questa gente andrà in giro ad eliminare ogni creatura che non sia di vostro gradimento?” Hevonie si stava veramente arrabbiando.

“Noi abbiamo il diritto di difenderci,” insistette Monok e alcune voci di approvazione si levarono dietro di lui.

“E quel Troll ha diritto di vivere esattamente come voi,” ribatté Hevonie.

Uno gnomo saltò fuori dalla folla e cominciò a colpire il Troll con una freccia, subito seguito da un altro che fece altrettanto, Hevonie pensò che fossero tutti impazziti.

Si piazzò davanti al Troll ed evocò un incantesimo difensivo. Una barriera di luce li circondò e le frecce s’infransero contro lo scudo protettivo. Tutti gli gnomi inveirono contro Hevonie.

“Che cosa stai facendo? Difendi quel mostro? Togliti di li.” Gridò Monok.

Per tutta risposta Hevonie lo colpì in pieno petto e lo gnomo cadde a terra stordito. Tutti gli altri la guardarono esterrefatti.

“Questo è quello che succederà a chiunque tenti di colpire questo Troll o qualunque altra creatura,” gridò Hevonie. “Siete un popolo ignorante e arrogante, non avete neanche la capacità di pensare prima di agire.”

Hevonie li minacciava tenendo la pietra puntata contro di loro. Towalce le si avvicinò di corsa.

“Non puoi fare così, ti stai cacciando in un guaio infinito. Smettila.”

“Prima accompagno il Troll nella foresta e mi assicurerò che non faccia ritorno in questo paese indegno.”

“Tu sei pazza.” Towalce scosse la testa esausto.

Hevonie si accertò che tutti fossero fermi, poi si rivolse al Troll dicendo.

“Non ti preoccupare, ti riaccompagno a casa.”

S’incamminò con il Troll al suo fianco. Era agitata sapeva che aveva commesso un’altra intemperanza, ma non gliene importava niente.

Non avrebbe lasciato uccidere da un gruppo di esaltati, una creatura innocente, per quanto spaventosa potesse apparire. Un rumore fortissimo la fece trasalire, si voltò verso il Troll e con orrore vide una grossa chiazza di sangue sulla sua nuca.

Il Troll vacillò e cadde pesantemente a terra sulla schiena, facendo tremare il terreno.

“No!” Urlò Hevonie che gli si gettò a fianco, lui mosse la testa e la guardò con i grossi occhi mansueti e umidi, la sua faccia era contratta in una smorfia di dolore.

“Aspetta, adesso ti aiuto,” Hevonie mise le mani sulla ferita, ma trovò un buco dietro la sua testa, ritirò le mani grondanti di sangue. Comprese che non avrebbe mai potuto salvarlo.

Guardò negli occhi il Troll, disperata e impotente.

“Scusami, non sono riuscita a proteggerti da questa gente.”

Lacrime amare le bagnarono le guance e il Troll sembrò capire. Annuì leggermente poi abbassò le palpebre, ma le riaprì.

“Tu sei buona sei diversa da loro” disse il Troll. “Mio figlio, sto cercando mio figlio. Una settimana fa gli abitanti di questo villaggio hanno appiccato il fuoco alle nostre capanne. Ci hanno cacciato perché dicevano che eravamo una minaccia. Ma noi non abbiamo mai fatto niente a nessuno di loro. Nella confusione alcuni di noi si sono dispersi e ho perduto mio figlio. Lo sto cercando da allora e non so dove sia finito. Ti prego, aiutami cerca mio figlio. Si chiama Sakan.”

“Va bene, lo cercherò” disse Hevonie piangendo.

“Grazie,” sussurrò il Troll chiudendo gli occhi. Hevonie non poté fare altro che constatarne la morte.

Quando si rialzò, guardò le facce degli gnomi che fissavano la scena ammutoliti. Tra di esse vide uno gnomo che sorrideva soddisfatto, con ancora in mano il piccolo cannone che aveva appena ucciso il Troll. Hevonie si lanciò contro di lui, ma Towalce la trattenne per un braccio e disse.

“Calma, non puoi farci niente, non peggiorare la tua situazione.”

“Perché l’ha ucciso? Non aveva fatto niente!” Gridò Hevonie furente.

Cercò di divincolarsi ma la stretta di Towalce glielo impedì.

“Era suo diritto, in questo posto la legge glielo permette. Ti prego, per una volta, cerca di essere ragionevole.”

Intanto la folla si era accalcata intorno al Troll, c’era chi lo toccava, chi gli tirava i capelli, chi dei calci. Mentre altri esaltavano lo gnomo che lo aveva ucciso, proclamandolo il loro salvatore.

Trico nel frattempo si era ripreso e si avvicinò a Towalce.

“Volete unirvi ai festeggiamenti per la sconfitta del mostro?” Chiese con un sorriso di trionfo dipinto sulla faccia.

Hevonie stava per aprire bocca ma Towalce le strinse forte il braccio, malgrado questo riuscì a liberarsi dalla presa e si allontanò.

“No, partiamo subito,” rispose Towalce frustrato.

“Che peccato,” disse il mago. “Volevo comunque dirvi che sono così contento della morte di quell'abominevole creatura, che ho deciso di perdonare la principessa per quello che potremmo chiamare incidente, quindi non sporgerò denuncia alle autorità.”

Towalce fece un vago cenno con la testa e se ne andò.

Raggiunse Hevonie che stava con le braccia incrociate sul petto e le labbra strette per la rabbia.

“Se vuoi, possiamo andarcene anche subito,” le disse Towalce.

“Ho bisogno di stare da sola per un po’.”

“Dove vuoi andare?”

“Nel bosco,” sbottò Hevonie. “Ho bisogno di respirare dell'aria pulita. Magari ho la fortuna di incontrare un branco di lupi famelici o qualche gigante cannibale. Chiunque incontrerò dentro quella foresta, sarà sempre meglio di questi selvaggi.”

Towalce non poté fare altro che lasciarla andare, augurandosi che prima o poi si calmasse.

 

 

Capitolo 42


 

Seduta sotto un cespuglio sul bordo di una piccola radura, Hevonie ripensava alla scena alla quale aveva appena assistito.

Una folla guidata da una paura ingiustificata aveva ucciso un essere vivente solo perché era diverso da loro, l’ignoranza unita al timore aveva generato l'odio. La brezza della sera trasportava con sé i suoni attutiti della festa che si stava svolgendo al villaggio. Hevonie trovava terribile che si festeggiasse la morte di un Troll innocente. Li paragonò ad un branco di lupi con le fauci ancora grondanti di sangue, dopo avere divorato la loro preda.

Magari potevano trasformare quel giorno in una ricorrenza, così avrebbero avuto l'occasione di festeggiarla per tutti gli anni a venire. Hevonie non voleva vedere nessuno, perfino Towalce le era sembrato un estraneo, con il suo modo di fare sempre così equilibrato. Non prendeva mai una posizione, la sua impassibilità e imparzialità a volte la facevano imbestialire.

Il buio si stava intensificando, quindi si preparò a tornare al villaggio per recuperare Towalce e andarsene da quel posto orribile. Un giorno gliela avrebbe fatta pagare a quegli gnomi spregevoli.

Adesso si sentiva un po’ meglio, il contatto con la natura le faceva sempre un benefico effetto.

Mentre si apprestava a tornare indietro, si accorse che qualcosa non andava. Sentì dei forti rumori provenire dal sentiero percorso all’andata. Per evitare spiacevoli incontri deviò leggermente il tragitto.

Sorpassò dei cespugli e alcuni alberi, ma più camminava e più non riconosceva i luoghi. Dopo diversi minuti, le ombre della sera divennero sempre più scure e alla fine dovette ammettere di essersi persa.

Stanca di camminare, si mise seduta sotto un albero e cercò di pensare a cosa fare. Dopo qualche minuto il buio calò del tutto, solo una pallida luna gettava una tenue luce a rischiarare un po’ l'ambiente circostante.

L’odore della vegetazione s’intensificò e l’umidità della sera cominciò a pervadere l’aria della foresta.

Hevonie si sdraiò su un fianco, chiuse gli occhi e si rassegnò a passare la notte all'aperto, sperando che l'alba arrivasse presto.

Creò un incantesimo di protezione e inaspettatamente si addormentò.

Quando si svegliò la mattina seguente, il sole era ormai alto nel cielo e filtrava attraverso le fronde degli alberi, sotto i quali si era sdraiata.

Si stropicciò gli occhi e sbadigliò, cercò di tirarsi su la coperta, ma le sue mani non trovarono nulla e si rese conto di dove si trovava. Aveva dormito sul nudo terreno, avvolta dall’umidità della notte e il suo corpo stava pagandone le conseguenze con indolenzimenti vari.

Improvvisamente la terra tremò sotto di lei, si mise a sedere e vide una lepre passarle davanti di corsa.

Poi ne vide una seconda. “Ma che succede?” Hevonie sentì dei fruscii intensificarsi che provenivano dalla stessa direzione da cui erano arrivate le due lepri.

Evidentemente stavano scappando da qualcosa e quel qualcosa stava venendo verso di lei.

Si alzò in piedi alla svelta e puntò la spada davanti a sé. Un enorme Troll sbucò da dietro un cespuglio. Dietro il primo ne apparvero altri due. Alla fine si trovò di fronte tre Troll alti quasi quattro metri che la fissavano.

Hevonie pensò che probabilmente stavano cercando il loro compagno morto, li immaginò arrabbiati e furenti e ora volevano vendicarsi su di lei. Cercò di evocare un incantesimo d'attacco dalla pietra e si preparò a un inevitabile scontro.

Rimasero diversi istanti a fronteggiarsi ma Hevonie notò che non c’era cattiveria nei loro occhi ma paura. Senza fare niente i Troll si voltarono e si dileguarono nella foresta.

Hevonie rimase da sola con la spada in mano, ancora puntata e il cuore che le batteva all’impazzata.

Ma un altro rumore la colse di sorpresa, un Troll, nettamente più piccolo la stava spiando da dietro un cespuglio.

Restò ferma per vedere che intenzioni avesse, ma anche il Troll rimase in attesa e alla fine Hevonie capì che era solo spaventato.

“Non avere paura, vieni fuori, non ti farò del male,” gli sussurrò dolcemente.

Il piccolo Troll esitò un po’, poi venne fuori dal suo nascondiglio e la guardò con i suoi grandi occhi spalancati.

“Come ti chiami?” Gli chiese rimettendo via la spada per non intimorire ulteriormente il piccolo Troll, anche se era alto più di lei.

“Sakan,” rispose il Troll con voce tremante.

A sentire quel nome a Hevonie si strinse il cuore, era il figlio del Troll che era stato ucciso. Aveva promesso al padre di aiutarlo e le fu di conforto sapere che almeno lui stava bene.

“Io mi chiamo Hevonie. Cosa ci fai qui da solo?”

“Sto cercando il mio papà. Non è tornato a casa e sono andato a cercarlo.”

“Anche gli altri Troll lo stanno cercando?” Gli chiese.

“No, loro stanno cercando me. Loro non vogliono che vada in giro da solo. Ma io non tornerò a casa finché non lo avrò trovato,” annunciò deciso il piccolo Troll. “Tu lo hai visto?”

Hevonie non sapeva cosa rispondere, dire la verità o una bugia? Non voleva essere lei a comunicare la terribile notizia a quel piccolo, non ci riusciva.

“Io, no, non l’ho visto,” mentì Hevonie.

“Mi stava cercando. Mi ero perso, mentre scappavamo dagli attacchi di quegli gnomi cattivi. E lui si è spinto fino al villaggio per cercarmi, forse pensava che mi avessero catturato. Poi ho incontrato gli altri Troll che mi hanno riportato a casa. Aspettavamo il suo rientro per dargli la bella notizia, ma ieri sera non è tornato, ho paura che gli sia successo qualcosa.”

Hevonie ascoltava ammutolita.

“Tu non sei cattiva, vero?” Balbettò il Troll impaurito.

“Credo di no,” rispose disorientata.

All’improvviso altri due Troll sbucarono dalla vegetazione e si avvicinarono al piccolo, lo presero per le braccia e lo costrinsero a seguirli.

“Ehi, aspettate, vorrei parlarvi!” Gridò Hevonie.

“Noi non parliamo con te, tu potresti essere un pericolo per noi,” rispose uno dei Troll con voce profonda.

“No, io voglio essere vostra amica, non voglio farvi del male.”

“Tu sei come quegli gnomi, loro ci cacciano, ci odiano, noi non gli abbiamo mai fatto niente di male. Per colpa loro adesso siamo costretti a vivere nascosti nella foresta.”

“Perché vi odiano, cosa è successo?”

“Una volta vivevamo vicino a loro, ci rispettavamo a vicenda. Poi hanno cominciato ad accusarci di occupare il loro territorio e di tante altre cose non vere. Ci hanno attaccato con le loro magie e ci hanno scacciato. Hanno anche ucciso alcuni di noi. Da allora continuiamo a scappare, ma loro vengono a cercarci tutte le volte. Anche se ora viviamo lontano da qui, non smettono di perseguitarci.”

“Io non sono come loro,” disse Hevonie con impeto.

“Mi spiace, ma non possiamo fidarci di te,” ribadì uno dei Troll.

I Troll se ne andarono lasciando Hevonie frustrata e furiosa. Il piccolo le gettò un ultimo sguardo. La sola idea che potesse scoprire la sorte di suo padre le spezzava il cuore.

“Aspettate, dove andrete ora?” Non poteva lasciare che una simile ingiustizia continuasse, non nel suo regno.

“Non lo sappiamo, ormai non abbiamo più un posto dove stare, ci spostiamo in continuazione.”

“Posso venire con voi?”

Il Troll la guardò perplesso. ”Perché?”

“A essere sincera mi sono persa e devo trovare al più presto il mio amico Towalce, si sarà preoccupato non vedendomi tornare.”

I Troll si guardarono esitanti.

“Vi prego,” supplicò Hevonie.

“D’accordo, seguici,” disse uno dei Troll. ”Ma se osi puntare quella spada, o fare qualsiasi magia contro uno di noi, ne pagherai le conseguenze. Non avremo pietà.”

“Lo giuro,” Hevonie annuì e li seguì.

Passarono l'ora seguente a camminare. La mole enorme dei Troll, che poco prima la spaventava, adesso le infondeva un senso di sicurezza. Le sembrava di camminare in mezzo ad un branco di elefanti. Il piccolo raccolse delle more e le offrì a Hevonie, che lo ringraziò con un sorriso.

Si fermarono in un ampio spiazzo, dove altri Troll erano affaccendati nelle più diverse mansioni. C’erano un paio di fuochi accesi e dei ripari costituiti da rami e foglie.

A Hevonie venne una tristezza infinita.

Il canto degli uccelli e la vista del sottobosco rigoglioso non erano sufficienti ad allietare quella situazione penosa.

“Cos’è quello?” Hevonie chiese guardando uno strano bagliore che attraverso gli alberi si dirigeva verso di loro.

“Spostiamoci, presto!” Gridò uno dei Troll.

Hevonie non se lo fece ripetere due volte e si gettò di lato.

La luce divenne sempre più chiara e brillante, poi con stupore vide che si trattava di un piccolo esercito di strane creature a cavallo.

Erano eleganti e montavano cavalli agili e snelli di un bianco abbagliante. Tutto in loro ispirava armonia e magnificenza.

“Chi sono?” Domandò Hevonie.

“Sono elfi,” rispose il Troll.

Gli elfi oltrepassarono Hevonie e i Troll senza degnarli di uno sguardo, proseguendo imperterriti per la loro strada. Solo l’ultimo elfo lanciò uno sguardo a Hevonie, ma si voltò subito dopo.

“Dove vanno?” Hevonie chiese ancora affascinata da quella visione eterea.

“Vanno a est, nei loro territori. Sono molto temuti, per questo motivo gli gnomi li lasciano in pace.”

“Quei mostriciattoli sono pure dei vigliacchi,” commentò Hevonie con acredine.

“Gli elfi sono vendicativi e non esitano a uccidere, quindi sono rispettati da tutti.”

Hevonie ripensò a Towalce che avrebbe voluto incontrarli.

Le nuvole coprivano il cielo e a tratti facevano penetrare deboli raggi di sole, ma più il tempo passava e più lo schermavano.

Alla fine, quando la minaccia di un temporale divenne reale, trovarono un rifugio sotto delle sporgenze rocciose. Si erano appena messi sotto queste rientranze, quando ampi scrosci d'acqua cominciarono a scendere.

Stavano seduti con la schiena appoggiata alla roccia a guardare la pioggia che ricopriva di un velo grigio la foresta tutto intorno.

Hevonie pensò a quanto dovesse essere disagevole vivere in quell’ambiente umido per la maggior parte del tempo. Osservò i Troll che mantenevano una grande dignità nonostante la loro sfortunata situazione.

“Mi dispiace per quello che vi è successo,” disse titubante.

Uno dei Troll la guardò e rispose. ”Ti credo, tu sei diversa da quegli gnomi. Da quando ci siamo incontrati, ci hai dimostrato gentilezza e benevolenza. Tu non sei come loro, comunque non è colpa tua.”

“Mio padre mi ha insegnato il rispetto per ogni essere vivente,” disse Hevonie. “Anche quando uccidi un animale per sfamarti dovresti dispiacerti della sua morte.”

“Purtroppo non tutti la pensano come te e quegli gnomi hanno dimostrato di essere egoisti e prepotenti,” proseguì il Troll.

“Le cose possono cambiare, è un popolo che non ha avuto la necessaria educazione e vive nell’ignoranza. Anche se è sempre stato così, non è detto che dovrà esserlo ancora a lungo.”

“Non fanno nessuna distinzione, uccidono chiunque sia diverso da loro.”

“E’ perché hanno paura, non conoscono le cose, temono l'ignoto e reagiscono d’istinto,” affermò Hevonie.

“Però non è giusto che dobbiamo pagare noi le conseguenze della loro stupidità.”

La pioggia gradatamente smise di cadere. Il sole era apparso all'orizzonte e dipingeva le nuvole di rosa e violetto con i suoi raggi morenti.

Le foglie sugli alberi luccicavano, tempestate da piccole gemme brillanti. Le ombre della sera stavano già spegnendo quel momento magico.

“Sta diventando troppo buio per camminare ancora,” fece notare Hevonie. ”Sembra che dovremo passare la notte qui.”

Si guardò intorno in cerca di fogliame per preparare un giaciglio, ma tutto era inzuppato e fangoso, inoltre il terreno era roccioso e duro.

“Prevedo che questa sarà una nottata alquanto lunga e disagiata,” disse rassegnata.

“Salvo che tu non voglia accettare il mio aiuto, principessa Hevonie,” annunciò una voce flautata dietro di lei.

 

 

Capitolo 43


 

Hevonie si voltò e vide un elfo in piedi sulla sporgenza di una roccia. Era alto e snello come un giunco e la sua pelle era azzurrina come l’acqua di sorgente.

I lunghi capelli biondi erano racchiusi in una treccia. Dava l'idea di potere scattare veloce come una molla. Portava un arco appeso alla spalla e una faretra colma di frecce a tracolla.

“Come fai a conoscere il mio nome?” Chiese Hevonie sorpresa.

“Non essere modesta, sei abbastanza famosa,” rispose l'elfo serafico. “Abbiamo incontrato un certo Towalce ai margini della foresta. Ti sta cercando ed è molto preoccupato per te, ci ha raccontato di come gli gnomi abbiano ucciso un Troll.”

Hevonie aveva quasi dimenticato Towalce, si era così immersa in quella nuova realtà che tutto il resto le sembrava appartenere a un’altra dimensione.

“Gli gnomi ne volevano bruciare il corpo ma Towalce li ha convinti a lasciarlo nella foresta,” proseguì l'elfo. “Lo abbiamo trasportato e sepolto in una radura ai piedi di una quercia. So che è la loro usanza.”

“E’ stato un gesto encomiabile da parte vostra,” riconobbe Hevonie. All'improvviso un pianto disperato scoppiò dietro di lei. Non si era accorta che i Troll avevano ascoltato la conversazione e Sakan aveva così appreso della morte del padre.

“Il mio papà è morto!” Gridò tra le lacrime.

Gli altri Troll cercarono di consolarlo, malgrado la notizia avesse rattristato allo stesso modo anche loro.

Dopo svariati minuti il piccolo, si calmò.

“Noi dobbiamo andare, non possiamo restare qui,” annunciò uno dei Troll.

“Dove andrete?” Chiese Hevonie.

“Non lo sappiamo ancora, dobbiamo riportare questo piccolo dalla madre e dirle quello che è successo,” rispose il Troll. “Adesso hai trovato chi ti può aiutare e se un giorno avrai bisogno, potrai sempre contare su di noi.”

Hevonie abbracciò forte Sakan e strinse le grosse dita degli altri Troll con entrambe le mani. Se ne andarono tenendo tra loro il piccolo Troll ancora scosso dai singhiozzi.

L'elfo che fino a quel momento era stato in silenzio a osservare la scena disse.

“Se devo essere sincero, ti immaginavo diversa.”

”Che cosa intendi dire?” Chiese Hevonie diffidente.

“Su di te sono corse voci poco lusinghiere e non tutti ti vogliono bene, anzi,” disse l'elfo. “Ma adesso che ho visto quello che hai fatto per quei Troll, mi devo ricredere.”

Hevonie ascoltò senza dire nulla.

“Towalce era molto contento di conoscermi, mi ha spiegato che ha sempre desiderato incontrare gli elfi, perché è un nostro estimatore. E questo ha appagato la mia vanità e me lo ha reso simpatico,” disse l'elfo. “A quanto pare ci tiene molto a te, inoltre mi ha raccontato che tu giochi un ruolo importante nella lotta contro i demoni comandati da Malwen.”

“Quel dannato mago vuole scatenare una guerra,” affermò Hevonie.

“Non penso che guerra sia la parola giusta, direi piuttosto sterminio,” rispose l'elfo. ”Se grazie a Malwen, Darkebetz dovesse ritornare al potere, vorrà distruggere tutte le creature magiche che non si piegheranno al suo volere.”

“Non glielo permetterò mai!”

Hevonie si sentì improvvisamente stanca, come se avesse sulle spalle il peso del mondo intero. Doveva assolutamente sbrigarsi, a quanto pareva molti contavano su di lei.

L’elfo percepì il suo stato d’animo e disse.

“Sappi che in noi avrai sempre degli alleati fedeli,” poi aggiunse. ”Se vuoi, ti accompagnerò dal tuo amico, con me al tuo fianco sarai più al sicuro.”

“Ti ringrazio, è un grande conforto saperlo,” affermò Hevonie. “Tornerò al Concilio e vedrò di organizzare un piano d'attacco quanto prima.”

“Una decisione saggia, ti stai assumendo una grave responsabilità,” mormorò l'elfo. “Conosco Delmus e sarà contento di te.”

“Non penso proprio, non ho ancora dato prova di essere degna della sua fiducia,” confessò Hevonie.

L’elfo sorrise e scosse la testa.

“Deduco che tu abbia un carattere impulsivo e questo non ti fa pensare prima di agire, ma in compenso hai un grande cuore e rispetti chi è diverso da te.”

“Come hai saputo, il Troll che è stato ucciso era il padre del piccolo che era con me questa sera,” disse Hevonie con rammarico. ”Quelle creature sono perseguitate dagli gnomi. Potresti aiutarli in qualche modo?”

“Ogni creatura della foresta d’ora in avanti farà parte di un’unica alleanza, metteremo da parte i vecchi rancori per affrontare insieme questa terribile minaccia,” rispose l'elfo. “Per quanto riguarda i Troll, non ti preoccupare ce ne occuperemo noi.”

“Ti ringrazio, mi sento in qualche modo responsabile per loro e a dire il vero per tutti.”

“Resteranno sotto la mia protezione, quello che una volta sarebbe stato impensabile, ora a causa di questo pericolo, è finalmente possibile. Se una cosa positiva questo conflitto sta creando, è la solidarietà tra noi, ci ha fatto mettere da parte le nostre antiche rivalità.”

“Non si può dire lo stesso per gli gnomi,” osservò Hevonie.

“Gli gnomi sono testardi e abbastanza stupidi,” convenne l'elfo. ”Ma cambieranno anche loro, vedrai. Con le buone o con le cattive.”

“Devo dire che anche voi elfi siete diversi da come vi immaginavo,” sorrise Hevonie.

L'elfo s'irrigidì e sembrò soppesare quell'affermazione.

“Comunque apprezzo molto la tua offerta d'aiuto,” si affrettò a dire Hevonie, cercando di deviare il discorso.

“Bene, allora conviene incamminarci subito,” la esortò l'elfo. “A proposito io mi chiamo Gabin. Mi sembra giusto che tu sappia il mio nome, visto che dobbiamo percorrere un tratto di strada insieme.”

“Piacere di conoscerti Gabin,” disse Hevonie.

Per la prima parte del viaggio camminarono fianco a fianco, senza scambiarsi molte parole.

A un tratto Gabin si fermò bruscamente e lo stesso fece Hevonie. Fresche tracce di enormi artigli si stagliavano sul terreno fangoso.

“Di chi sono queste orme?” Chiese Hevonie allarmata.

“Droby,” rispose l'elfo. “E' un animale gigantesco, un feroce predatore. Dobbiamo stare attenti.”

“Allora cosa facciamo?”

“Niente, proseguiamo.”

Camminarono cercando di ignorare la tensione che la presenza del Droby aveva creato, anche se erano coscienti che il pericolo era in agguato. Hevonie sentì aumentare il disagio dentro di sé, rimase in silenzio, stando attenta al minimo rumore.

Scrutava le ombre nella vegetazione che ora le sembrava sinistra, il luogo ideale dove qualcuno o qualcosa avrebbe potuto nascondersi.

Il terreno era sempre più fangoso per via dell'umidità che aumentava e rendeva il terreno scivoloso. Più volte si dovettero fermare per cercare il sentiero migliore, a causa dei rami spezzati che ostruivano il passaggio.

Arrivarono a un punto, dove un albero di media grandezza giaceva di traverso davanti a loro impedendo di proseguire oltre. L'elfo s’insospettì e fece segno a Hevonie di fermarsi.

“Aspetta,” disse sottovoce. “Questa è una trappola. Il tronco è stato abbattuto, non è caduto da solo.”

Hevonie non fece in tempo a parlare che improvvisamente qualcosa la colpì alla schiena, gettandola a terra violentemente. La caduta le fece sbattere la faccia sul terreno melmoso.

Con il volto affondato nella fanghiglia, le sembrò di non riuscire a respirare, si sollevò facendo leva con le mani e si levò via la terra dal viso.

Fece un profondo respiro e guardò in alto.

Vide Gabin incoccare una freccia e trafiggere un piccolo essere ossuto che assomigliava a una scimmia senza pelo. Aveva una grossa testa con quattro piccole zanne che gli uscivano dalla bocca. L’elfo recuperò la freccia e la ripulì sfregandola in mezzo all'erba, poi si avvicinò a Hevonie.

“Tutto a posto?” Gli chiese porgendole una mano per aiutarla a rialzarsi.

“Penso di sì,” rispose Hevonie sentendosi la bocca impastata di fango.

Una volta in piedi, si tastò le braccia e le gambe. A parte il dolore che sentiva sulla schiena a causa della botta e alcuni graffi sulle mani, stava bene.

“Che cosa è successo?” Chiese infine.

“Uno Spitz è saltato giù dall'albero,” spiegò l'elfo. “Per fortuna è riuscito solo a colpirti sulla schiena facendoti cadere. Ma adesso è morto.”

Hevonie si avvicinò al piccolo cadavere e vide che aveva tozzi arti, dotati di robusti artigli.

Nel corto corpo peloso risaltava la ferita mortale, dalla quale usciva un denso sangue rosso.

“Forza andiamo via, potrebbero essercene altri nei dintorni,” la sollecitò Gabin.

“Che cosa sono esattamente gli Spitz?” Chiese Hevonie.

“Sono creature piccole ma feroci, assaltano le loro prede con questa tecnica di caccia. Stanno nascosti tra i rami degli alberi e poi si gettano addosso al malcapitato. Proprio come hanno fatto con te. Con i loro artigli sono in grado di sventrare la preda o squarciargli la gola.”

Hevonie deglutì al pensiero del pericolo scampato.

“È strano che fosse solo,” proseguì l'elfo. ”Essendo così piccoli preferiscono cacciare in gruppo. In questo modo compensano le loro ridotte dimensioni con la forza del branco. Di conseguenza le probabilità di catturare prede anche piuttosto grosse aumentano.”

Proseguirono facendo ancora maggiore attenzione a qualsiasi rumore strano.

Fortunatamente non incontrarono altri ostacoli e il resto del viaggio trascorse tranquillo.

Infine si fermarono ai piedi di una collina ricoperta da una fitta distesa di pini.

“Purtroppo non posso proseguire oltre,” disse Gabin. ”Se costeggi la collina ti ritroverai diretta verso il villaggio degli gnomi. Una volta arrivata troverai sicuramente Towalce ad aspettarti.”

“Ti ringrazio per avermi scortato fin qui,” rispose Hevonie.

“Mio dovere, principessa,” disse l'elfo con un inchino.

“Allora a presto.”

“Un ultimo consiglio,” aggiunse l'elfo. “Cerca di non farti ammazzare, tutti noi contiamo su di te.”

“Ci proverò,” sorrise Hevonie.

Si congedarono con una stretta di mano e ancora una volta, Hevonie si ritrovò a camminare da sola nella foresta umida e scura. Almeno un problema era risolto, ora doveva solo cercare di andarsene da li. Marciò a fianco della collina e incontrò una specie di caverna.

La sorpassò velocemente, non volendo indagare sul fatto se fosse abitata o meno. A un tratto avvertì una serie di forti sibili e guardò in alto, sotto le nuvole scure vide delle ombre sfrecciare nell'aria.

Riconobbe le Riaghe che solcavano il cielo. Spaventata, Hevonie si diresse verso la caverna ed entrò, si nascose in un piccolo anfratto cercando di farsi sempre più piccola.

Doveva assolutamente evitare di attirare la loro attenzione.

Attese un po’ di tempo, poi si alzò e diede un'occhiata fuori dalla grotta, ma le Riaghe erano ancora in vista, anzi si erano abbassate e volavano radenti sopra gli alberi.

Se fosse uscita, l'avrebbero individuata sicuramente.

Hevonie indietreggiò e decise di scoprire se nella caverna, c'era un'altra via d'uscita. Non riusciva a vedere niente per via del buio, ma si ricordò di avere i fiammiferi di Towalce.

Ne accese uno e guardandosi attorno scorse dei rami per terra, ne raccolse uno e gli diede fuoco, ottenendo così una torcia. Tenendola in mano davanti a sé, s'incamminò all'interno della grotta.

La caverna si rivelò essere molto più profonda di quello che sembrava. Quando raggiunse la parete di fondo, Hevonie notò che era formata da una moltitudine di rocce franate.

Cercò di togliere alcune delle pietre più piccole e guardò attraverso il varco che si era creato, ma non vide nulla. Ne tolse ancora finché riuscì a formare un'apertura tale che le permise di passarci attraverso. Si trovò in un'ampia area e sentì il suono dell'acqua alla sua destra, si mosse in quella direzione e si trovò di fronte ad un piccolo laghetto.

Ai bordi giaceva uno scheletro ricoperto in alcuni punti da brandelli di vestiti e di fianco a lui c'era una magnifica spada che sembrava molto preziosa. La raccolse, ma era troppo pesante per lei, allora la rimise a posto.

Si chiese chi fosse quell'individuo, ma non poteva perdere altro tempo, anzi doveva sbrigarsi a uscire da lì. Costeggiò il lago e finalmente trovò una stretta galleria, la percorse fino in fondo e con suo sollievo si ritrovò all'aria aperta.

Guardò il cielo e vide che era sgombro da minacce. Scoprì di essere ancora sotto la collina ma questa volta dalla parte opposta. Prese un sentiero che recava tracce recenti di passaggio e infine raggiunse il limite della foresta.

 

 

Capitolo 44


 

Da dove si trovava Hevonie intravide in lontananza il villaggio degli gnomi. Ma subito si accorse che qualcosa non andava.

Tutto si era fatto silenzioso, la foresta sembrava essersi immobilizzata. A un tratto sentì un odore acre che le fece bruciare le narici e la gola.

Avvertì un senso di nausea e la testa le divenne pesante, tutto intorno a lei cominciò a ruotare. Un senso di vertigine la fece prima vacillare e poi cadere a terra.

Si prese la testa tra le mani e cercò di riprendere il controllo.

Quando rialzò lo sguardo, trovò Malwen Rakomar che la fissava sogghignando. Accanto a lui c'era un uomo che le puntava contro una spada. Lo riconobbe immediatamente, era il capo dei banditi che avevano assaltato la carrozza.

“Vedo con piacere che il gas tossico, che ho estratto dalle piante carnivore, ha avuto effetto anche su colei nel cui sangue scorre la Pura Magia,” disse Malwen beffardo.

Poi fece un cenno e l'uomo al suo fianco si avventò su Hevonie, che però malgrado si sentisse intontita, raccolse tutte le sue energie e con uno scatto laterale riuscì a sfuggirgli.

I due uomini rimasero disorientati dalla sua rapidità e prima che potessero reagire, Hevonie stava già guadagnando terreno.

Le lunghe camminate insieme a Towalce in mezzo alla foresta, avevano temprato il suo fisico, rendendola agile e svelta. Respirò a pieni polmoni l'aria pulita e la sua mente si schiarì del tutto, eliminando ogni residuo della sostanza tossica inalata.

“Prendila!” Gridò Malwen furioso al capitano Torn.

Ma Hevonie era già fuori dalla loro portata e correva all’impazzata per salvarsi la vita. Si nascose dietro ad un albero, ma un fulmine di luce esplose a pochi metri da lei. Stava per scivolare, ma mantenne l’equilibrio, mentre i due uomini avanzavano veloci.

Cercò un incantesimo nella pietra, ma non lo trovò, la pietra sembrava essere stata bloccata o peggio svuotata. Cos'era successo? Riprese a correre senza meta, percorrendo un sentiero dopo l'altro, cercando di non perdere la lucidità. Non riusciva a orientarsi, le sembrava di girare in tondo. Dietro di lei i passi non si arrestavano, a volte sembravano più vicini, a volte più distanti, ma sempre presenti.

Hevonie con il fiatone, si ritrovò in mezzo ad un bivio da dove si diramavano due sentieri e senza pensare, prese quello alla sua destra. Corse come una forsennata lungo il tragitto che man mano si restringeva, ma quando giunse alla fine, si ritrovò davanti ad un burrone.

Non potendo proseguire oltre si voltò alla svelta e tornò indietro. Ormai era esausta, avvertì un dolore al fianco che non fece altro che peggiorare la situazione.

Si ritrovò all’incrocio iniziale e questa volta prese il sentiero di sinistra, per ora i suoi inseguitori non erano ancora in vista. A metà strada intravide una specie di passaggio stretto e nascosto. Si chiese se fosse la scelta giusta. Proprio in quel momento sentì dei passi alle sue spalle.

I due uomini la stavano raggiungendo, se avesse proseguito dritto lungo il percorso principale e avesse trovato un altro ostacolo, sarebbe finita in trappola. Fece un grosso respiro e svoltò in quello laterale, continuò di corsa e cercò di adattare gli occhi all’ambiente buio creato dalla fitta vegetazione.

I rami le graffiavano le vesti e le mani, doveva tenere le braccia chiuse al petto per proteggersi e per non rimanere impigliata negli arbusti spinosi.

Poi il sentiero si fece più largo e la vegetazione si diradò. Affrettò i passi e si ritrovò in un'ampia radura, finalmente fuori dalla foresta. In lontananza vide le luci di quella che pareva, essere una piccola cittadina. Ormai era sera e le nuvole nascondevano la luna, rendendo difficile la visuale.

Hevonie non rallentò e corse verso il centro abitato, tenendosi la mano sul fianco, ma il dolore era ormai diventato insopportabile. Non riuscendo a muovere un passo di più si fermò, lasciandosi cadere a terra stremata.

Sentì sopraggiungere i due uomini, quindi cercò di rialzarsi, ma un forte colpo alla testa glielo impedì. Si tastò la nuca con la mano e quando la ritirò, vide che era sporca di sangue.

Alzò lo sguardo e si trovò davanti Malwen che la guardava con un ghigno crudele.

 

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“Hai perso Hevonie?” Delmus era sbalordito. ”Che cosa intendi dire che l’hai persa?”

“E’ andata nella foresta e non è più tornata, l’ho cercata tutta la notte ma è sparita,” raccontò Towalce mortificato.

“E te ne sei andato, lasciandola lì da sola?”

Towalce esitò. “Cosa dovevo fare? L’ho cercata per ore fino all’alba. Non l’avrei mai trovata da solo, allora ho pensato di tornare e chiedere il vostro aiuto.”

“Così, se ne è andata nel bosco da sola. E il perché te l’ha spiegato?”

“Era molto arrabbiata con gli gnomi per avere ucciso un Troll. Ha cercato in tutti i modi d'impedirlo, ha perfino rischiato il linciaggio per difenderlo, ma loro non hanno voluto ascoltarla. L’avrei seguita, ma ce l’aveva con il mondo intero, anche con me. Non c’è stato modo di farla ragionare, mi dispiace.”

“Lo so, non è colpa tua. Quella ragazza è testarda e non c’è verso di farle cambiare idea,” sospirò Delmus. “Adesso che ha recuperato la pietra dovrebbe essere in grado di badare a se stessa, anche se devo ammettere che la cosa non mi piace. Per quanto riguarda te, immagino che tu abbia fatto quello che potevi.”

“Sì, ma sono preoccupato e desidero tornare a cercarla,” annunciò Towalce.

Delmus si mise a guardare fuori dalla finestra le nuvole grigie che ricoprivano il cielo. Si lisciò i baffi grigi con la mano e disse.

“D’accordo, torna a cercarla, ma questa volta andrai con Korban, così potrete usufruire del suo drago e individuarla più facilmente dall’alto.”

“Bene, vado subito ad avvisarlo,” rispose Towalce.

Delmus pensò che fosse ora di convocare i maghi per una riunione d'emergenza.

 

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Hevonie si guardò intorno disperata. Era sola e Malwen le stava puntando contro il suo bastone magico, pronto a usarlo.

“Che cosa volete da me?” Chiese per cercare di guadagnare tempo.

“Lo vuoi proprio sapere?” Malwen la guardò meravigliato. “Ebbene, tu rappresenti un qualcosa che serve a completare il mio progetto.”

“E quale sarebbe il tuo progetto?” Chiese Hevonie mostrandosi sprezzante.

“Aspetta e vedrai,” rispose Malwen. ”Intanto ti presento il capitano Torn, o forse vi conoscete già?”

Hevonie ricordò quei momenti terribili, le guardie uccise e soprattutto la morte di Rosik. Sentì la rabbia montarle dentro e lanciò a entrambi uno sguardo carico d'odio.

“Allora, procediamo?” Chiese il capitano con una voce che la fece rabbrividire.

Hevonie si accorse che c'era qualcosa di innaturale in lui.

Oltre a ciò si rese conto che non avrebbe mai potuto affrontare quei due uomini da sola. Cercò gli incantesimi nella pietra, ma tutto era offuscato. Come se ci fosse un'interferenza che le impedisse di accedervi.

Osservò il mercenario che aveva degli occhi neri come il carbone e un naso dritto e affilato. Aveva la pelle del viso orribilmente butterata e sentì un’immediata repulsione nei suoi confronti.

“Non ti ucciderò, se è questo che vuoi sapere, se avessi voluto farlo, a quest'ora non saresti ancora viva,” disse Malwen. ”La regina nera ha bisogno di te. Purtroppo non sono ancora riuscito a individuare il suo sepolcro e finché non lo troverò, non potrà tornare la maga potente di un tempo. Ma a quanto pare tu possiedi le caratteristiche necessarie perché il suo spirito possa dimorare dentro di te, in questo modo potrà di nuovo tornare ad esistere.”

Hevonie strinse forte i pugni e cercò disperatamente un modo per fuggire.

“Anche se devo dire che si è molto arrabbiata quando ha scoperto che lo specchio che le ho portato non era quello originale,” proseguì Malwen. “E non è stato un bello spettacolo, ti assicuro. Però ha voluto concedermi un'altra possibilità e questa volta non la deluderò. Pensavi davvero di potermi sfuggire? Ci sei già riuscita una volta a causa di questo capitano incapace. Ha cercato pure d'ingannarmi facendomi credere di averti nascosto in un luogo segreto. Voleva prendersi tutto il denaro e scappare. Povero idiota!”

Malwen girò intorno a Torn e lo guardò con disprezzo. “Ma l'ha pagata cara. Quello che vedi qui è lui, ma nello stesso tempo non è lui,” nel dire questo il mago sorrise. “Diciamo che il suo corpo è qui, ma è posseduto da uno dei demoni che servono la nostra regina. Il capitano Torn non esiste più. Mentre i suoi scagnozzi ora giacciono in fondo al lago e nessuno li troverà mai più.”

Il mago fece un passo di lato e passò il suo bastone magico all'essere che possedeva il corpo del capitano.

“Non è niente di personale principessa,” disse l'uomo preparandosi a colpire.

Malwen era silenzioso e si limitava a guardare la scena senza intervenire.

Hevonie notò che le iridi degli occhi del capitano erano nere, poi sussultò nel vederle per un attimo diventare rosse.

Distolse lo sguardo immediatamente.

“Che cosa volete farmi?” Chiese spaventata.

“Vedo che sei curiosa,” rispose Torn, facendo un ghigno che mise in mostra i denti marci.

Hevonie si guardava attorno freneticamente, ma erano soli e la cittadina era ancora troppo distante. Questa volta era davvero finita, pensò.

“Sei graziosa,” disse il capitano. “Quasi mi dispiace, cercherò di non farti troppo male.”

“Adesso basta,” esclamò Malwen. ”Facciamola finita, sbrigati!”

Torn impugnò il bastone e lo sentì caricarsi d'energia, ma invece di rivolgerlo contro Hevonie, lo puntò a terra.

Si formò una grossa scintilla dalla quale prese forma una entità immateriale. Era fatta di una sostanza impalpabile, sembrava pura energia esplosiva.

La cosa si avventò su Hevonie che si sentì soffocare, non riusciva più a respirare, la stava fagocitando completamente e non c’era niente che lei potesse fare.

Tutti i suoi sforzi risultarono inutili, le sembrava di lottare contro il nulla.

Cercò di evocare un incantesimo, qualsiasi cosa la potesse liberare da quell’essere, ma non aveva la forza, la sua mente era annebbiata.

Poi sentì un frastuono, voci, urla e finalmente riuscì a inspirare una boccata d’aria.

Le sembrò la cosa più bella del mondo e ne inspirò ancora, il suo corpo stava reagendo, la sua mente si stava schiarendo.

Realizzò cosa stava succedendo e riconobbe Lilo, che insieme con una trentina di folletti avevano assalito i due uomini.

Lilo cominciò a pronunciare delle parole incomprensibili e fece dei gesti con le mani. Il capitano impugnò subito la spada ma non riuscì a muoversi. Allora Malwen recuperò il bastone dall'uomo e si avvicinò a Hevonie, pronto a colpirla. Quando lo vide avventarsi su di lei lanciò un urlo.

Uno scudo di energia si materializzò a proteggere Hevonie, che si voltò e vide il folletto che volgeva le mani verso di lei.

“La nostra magia non ha potere su di lui,” disse Lilo. “Ma possiamo usarla per difenderci.”

Malwen sembrò stupito, poi guardò il folletto e fece un ghigno. “Ridicole creature, non riuscirete a salvarvi.”

Alzò le braccia e fece roteare il bastone, poi lo puntò contro lo scudo che cominciò a dissolversi. Al suo posto si formò una nebbiolina simile a una nuvola. Poi con il bastone compì un altro gesto verso se stesso e sparì alla vista. Tutti i folletti si guardarono attorno smarriti, chiedendosi dove fosse finito. Intanto il capitano Torn si dibatteva e sembrava lottare contro una forza invisibile.

Alla fine crollò a terra mentre un'ombra nera si levò sopra la sua testa e si scagliò contro Hevonie, ma lo scudo di luce resisteva ancora, quindi non poté raggiungerla.

Con un suono strisciante, quasi un enorme sospiro, l'ombra svanì nel nulla.

Malwen approfittò di quel momento per attaccare. Malgrado fosse invisibile, colpì alcuni folletti con un potente raggio di energia. Due di loro morirono all'istante mentre altri rimasero leggermente feriti.

“È laggiù!” Urlo Hevonie indicando il punto nell'aria da dove era scaturito il raggio.

Lilo corse in quella direzione e buttò una manciata di polverina bianca davanti a sé e lentamente Malwen riapparve. La polvere aveva spezzato il suo incantesimo d’invisibilità. Lilo e altri folletti lo accerchiarono e gli gettarono addosso altra polvere per offuscargli la vista.

Malwen cominciò a tossire e a strofinarsi gli occhi con forza.

Dopo il primo attimo di smarrimento cercò di riprendere il controllo, ma non ci riuscì. Cadde in ginocchio e sembrò avere problemi a coordinarsi, non riusciva neppure a parlare.

I folletti armati di pugnali e bastoni stavano per sopraffarlo, ma Malwen con un ultimo colpo di bastone evocò una densa nebbia nera che lo inghiottì completamente.

Questa volta furono i folletti ad arretrare per difendersi dalle esalazioni velenose di quella sostanza tossica. Quando il fumo si diradò, Malwen era scomparso.

Il silenzio cadde su tutti loro e Hevonie guardò i folletti con gratitudine.

Malwen era riuscito a fuggire, mentre il capitano Torn giaceva a terra, morto.

Non provò nessuna pietà per lui e distolse lo sguardo nauseata. Due folletti la aiutarono a rialzarsi e a parte qualche ammaccatura, era ancora intera.

“Te l'avevo detto che ci saremmo rivisti,” disse Lilo.

“Che cosa vi è successo?”

“Ci siamo ribellati agli Onsin. Alcuni di noi purtroppo sono morti, ma adesso siamo di nuovo liberi. Grazie a te.”

“Sono io che devo ringraziarvi, se non foste intervenuti, non so che fine avrei fatto.”

Si abbracciarono forte, poi alcuni di loro scortarono Hevonie fino al confine della città.

Dopo essersi salutati caldamente, i folletti tornarono nella foresta, mentre Hevonie si avviò in quella che sembrava la strada principale.

Scorse alcuni individui e si appiattì contro i muri delle case, stabilì che era meglio scegliere strade secondarie. Girava senza meta, sperando di trovare un nascondiglio per la notte.

Corse furtivamente lungo alcune stradine, le case erano tutte silenziose. Si sentì svenire dalla stanchezza, quando vide una casa con una stalla appresso, scavalcò il recinto e si gettò in un angolo sopra il fieno.

Fece dei profondi respiri e cercò di calmarsi. Sperò che in quell’angolo buio e nascosto potesse restare al sicuro per un po’. Un paio di grossi occhi emersero dal buio.

Hevonie sussultò e si preparò a fuggire, ma quando guardò meglio, vide che si trattava di una mucca che la guardava con i suoi occhi liquidi e inespressivi. Tirò un sospiro di sollievo e si rimise sdraiata sulla paglia. Dopo avere fatto trascorrere un po’ di tempo, guardò fuori.

Le strade erano deserte, si spinse ancora di più sotto il fieno e chiuse gli occhi, il tepore la confortò e nel giro di pochi minuti si addormentò.

Si svegliò all’alba e alla luce del giorno vide che nella stalla con lei c’erano una decina di mucche. Con ogni probabilità a quell’ora sarebbe venuto il contadino a mungerle.

Pensò che non fosse il caso di farsi trovare li.

Giunta in strada cercò di orientarsi.

Non c’era ancora nessuno in giro quindi s’incamminò a testa bassa cercando di uscire dalla cittadella.

Ma all’improvviso vide due figure in lontananza che si aggiravano guardinghi, Hevonie si appiattì contro la parete di una casa per nascondersi.

Con la coda dell’occhio vide che si dirigevano verso di lei, anche se non sembravano averla vista, perché il loro passo era lento e regolare. Se si fosse mossa, l’avrebbero sicuramente notata, si appiattì ulteriormente contro la parete e con la mano tastò una maniglia, fece forza finché la porta dietro di lei si aprì. Senza pensarci due volte la spinse indietro con la schiena e la richiuse subito, si voltò a guardare la stanza dove si trovava e le parve in rovina e disabitata.

Notò una scala e si precipitò su per i gradini di legno, che erano per la maggior parte marciti, rallentò per evitare di mettere un piede su un asse rotta e cadere. Arrivò ad un sottotetto e guardò giù dalla finestra sporca e circondata da ragnatele. Vide i due uomini che adesso si trovavano quasi all’altezza della porta e s'irrigidì.

Ma fortunatamente proseguirono il loro cammino.

Decise di aspettare un po’, poi sarebbe uscita e andata nella direzione opposta a quella di quei due tizi.

Dalla finestra inoltre notò tre torri e una montagna sullo sfondo. La località sembrava ricoperta da uno spesso strato di polvere, le costruzioni erano di roccia nera e le montagne che la circondavano sembravano dei grossi spettri che gettavano le loro ombre funeste sopra l’intera città.

Si accorse che la maggior parte dei palazzi erano ormai distrutti e abbandonati e il senso di desolazione era palpabile.

Sembrava una città fantasma, probabilmente si era trovata al centro della Grande Battaglia e negli anni nessuno si era più curato di ricostruirla. Hevonie notò alcune persone girovagare nelle strade deserte, forse la città era diventata una sorta di rifugio per sbandati e fuorilegge.

Quegli individui sicuramente non l’avrebbero aiutata, quindi era meglio non farsi vedere da nessuno.

Se avesse potuto usare la magia, avrebbe evocato un incantesimo per tornare a casa, invece doveva contare solo sulle sue forze. Malwen doveva avere usato la Magia Proibita per creare una sorta di barriera che le impediva di usare la pietra. Uno spiffero di vento soffiò dalla finestra rotta, Hevonie si ritrasse e aspettò il momento propizio per andarsene da li.

Un trambusto nella strada attirò la sua attenzione, vide due uomini che si agitavano e parlavano ad alta voce.

“E’ da questa parte,” uno dei due gridò.

“Deve essere qui vicino,” replicò l'altro.

Il cuore di Hevonie cominciò a martellarle in gola.

Sentì dei passi che si muovevano in fretta e voci concitate, sembravano lupi che avessero fiutato la loro preda.

Era talmente agitata che non sentiva il freddo che si insinuava dalla finestra. Guardò giù e vide che il gruppo si era allontanato in un'altra direzione.

Nella strada tornò la calma, quindi Hevonie decise che era giunto il momento di andare. Lentamente e con cautela discese le scale e tornò nell’ingresso. Aprì piano la porta e uscendo vide che la via era libera. A passi veloci si diresse verso il bosco che circondava la città.

Ma prima di raggiungerlo fu costretta a camminare attraverso piccole vie strette.

Sentiva i suoi passi rimbombare, quindi cercò di appoggiare solo le punte dei piedi per attutirne il suono.

Ad ogni angolo si fermava ed ascoltava, ma per ora il silenzio era assoluto. Arrivò ad un incrocio e sentì un rumore, si bloccò e si appiattì nell’ombra.

Qualcuno stava avanzando verso di lei, non poteva muoversi altrimenti si sarebbe esposta troppo. A questo punto non aveva scelta, afferrò il pugnale e si preparò a difendersi.

Nuvolette di aria fredda uscivano dalla sua bocca a ogni respiro. Una figura le si parò davanti, Hevonie alzò il pugnale pronta a colpire.

Ma quando si trovò faccia a faccia con lo sconosciuto, trattenne a stento un urlo.

 

 

Capitolo 45


 

Towalce prese Hevonie per un braccio e la trascinò all’interno di un edificio diroccato.

“Dove diamine eri finita?” La sua voce lasciava trapelare tutta l'ansia e la preoccupazione che aveva accumulato fino a quel momento.

“Non sai come sono contenta di vederti.” Hevonie lo abbracciò, sentiva il bisogno di un po’ di conforto dopo quello che aveva passato.

Towalce si staccò con decisione dall’abbraccio e disse.

“Sono tutti preoccupati, pensavamo fossi morta e il tuo cadavere giacesse da qualche parte nella foresta, mezzo mangiucchiato da animali selvatici.

“Stavo tornando a casa, ma sono stata inseguita da Malwen e da un mercenario, un certo capitano Torn.”

“Malwen? E' riuscito a trovarti?” Chiese Towalce.

“A quanto pare sì, per fortuna grazie all'aiuto dei folletti sono riuscita a fuggire.”

“I folletti?”

“Dopo ti spiego tutto,” rispose Hevonie.

“Va bene, adesso dobbiamo tornare da Delmus al più presto. Cerchiamo di uscire da questa dannata città.”

“Non sarà facile, oltre ai demoni e agli uomini della Legione Oscura, girano altri brutti ceffi.”

Towalce sbirciò fuori da una delle finestre e non vide anima viva. Poi guardò il cielo che si stava caricando di nuvole grigie, annunciando la pioggia.

Quando riabbassò lo sguardo, notò alcuni individui che camminavano lungo la strada, sembravano in cerca di qualcosa.

“Sarà meglio aspettare, vedo del movimento la fuori, non è il caso di rischiare,” suggerì Towalce.

“Come hai fatto a trovarmi?” Chiese Hevonie.

“Io e Korban siamo venuti a cercarti, lui è rimasto alle porte della città con Kluzel mentre io sono giunto a piedi. Grazie all'anello che ti ha dato Delmus, sono riuscito a rilevare la tua presenza quaggiù.”

“Allora adesso bisognerà avvisare Korban che mi hai trovato.”

“Si, hai ragione, lui non può certo venire qui a prenderci con il drago. Gli mando un segnale.”

“No, aspetta, temo che verrebbe immediatamente intercettato da Malwen, potrebbe essere ancora nei dintorni. E’ meglio non usare la magia, per ora.”

“D’accordo. Allora dobbiamo cercare di allontanarci il più possibile da qui,” disse Towalce. ”Prima però, aspettiamo che la strada sia sgombra.”

Si misero seduti per terra con la schiena appoggiata alla parete.

“Posso chiederti una cosa?” Chiese Hevonie.

“Certo.”

“Ho una fame pazzesca. Non è che per caso hai qualcosa da mangiare?”

Towalce sorrise. “Mi dispiace, ma non ho proprio niente. Ho paura che dovrai aspettare.”

“Grazie lo stesso,” il suo stomaco aveva cominciato a brontolare da parecchie ore ormai.

Stanca di stare seduta a far niente, Hevonie si alzò e cominciò a rovistare nella stanza. In giro c'erano disseminati mobili rotti. La polvere regnava ovunque, insieme ad alcuni oggetti non meglio identificati.

Hevonie notò un armadio con le ante aperte e penzolanti, guardò dentro e vi trovò molti vestiti ormai ridotti a stracci.

“Se stai cercando del cibo, ti consiglierei di non mangiarlo,” scherzò Towalce.

“Perché no? Dopo avere provato la cucina dei Troll, sono pronta a tutto.”

“Perché non prendi qualcuno di quegli stracci e li porti qui? Sto morendo di freddo.”

Hevonie scelse delle coperte che sembravano abbastanza in buono stato. Si sistemò vicinò a Towalce e si coprirono fino al naso, il tepore li ritemprò immediatamente.

Si distesero a terra, Hevonie prese altri stracci e li arrotolò per formare una specie di cuscino, che poi appoggiò dietro le loro teste. In quel giaciglio improvvisato, Hevonie sentiva il corpo di Towalce aderire al suo e questa vicinanza la mise a disagio. Si chiese se anche lui provasse le sue stesse sensazioni.

Ma pochi istanti dopo sentì un lieve russare e sorrise tra sé. Towalce doveva essere stanco morto e l’ultimo dei suoi pensieri era che lei si trovasse stesa al suo fianco. Si rilassò e pensò che un po’ di riposo non avrebbe fatto male neppure a lei, chiuse gli occhi e si addormentò.

Delle voci nella stanza la svegliarono.

Towalce era sparito e lei si trovava sotto il groviglio di coperte che la nascondevano alla vista. Sbirciò tra una fessura e vide due uomini che indossavano dei mantelli neri.

“Ti dico che è qui,” disse uno dei due uomini. ”Sento l’odore.”

Alzò il viso ad annusare l’aria come un cane segugio. La sua testa si girò proprio nella direzione di Hevonie, che rimase immobile incapace perfino di respirare.

“Forse, era qui,” lo corresse l’altro. ”Nella stanza non c’è nessuno. O pensi che si sia resa invisibile?”

L’altro uomo fece un gesto con la mano nell’aria e disse. ”No, non c’è aria di magia qui dentro.”

Hevonie ringraziò il cielo che Towalce non avesse usato il dispositivo di richiamo.

L'uomo più basso sbuffò impaziente.

“Stiamo perdendo tempo, non vedi che non c’è nessuno, pile di stracci ovunque, lascia stare e andiamocene.”

L’altro lo guardò irritato. “Eppure sono sicuro che è stata qui.” Gettò un ultimo sguardo in giro, poi riluttante, seguì il compare fuori dalla stanza.

Passarono diversi minuti prima che Hevonie trovasse il coraggio di uscire dal suo nascondiglio.

Fortunatamente il forte odore degli stracci aveva coperto il suo, anche se una piccola scia era stata percepita da quell'individuo.

Si mise in ascolto vicino alla porta, dopo qualche minuto udì dei passi frettolosi dirigersi verso la stanza. Si rintanò sotto le coperte, sperando che non fossero ancora quei tizi che avessero cambiato idea.

Ma questa volta, quando la porta si aprì, comparve Towalce da solo, quindi Hevonie uscì allo scoperto.

“Ma dove sei stato? Due individui sono entrati qui, mentre tu eri via,” disse Hevonie con foga.

Towalce si bloccò e un misto di spavento e preoccupazione si dipinse sulla sua faccia.

“Come hanno fatto a non trovarti?”

“Che ne so, mi hanno fiutato, ma ero nascosta sotto quelle coperte e non mi hanno visto, non hanno pensato che sotto quei cenci puzzolenti ci potesse essere qualcuno.”

Towalce sembrò sollevato, prese un pacchetto da sotto il mantello e lo mise sul tavolo.

“Sono andato a cercare qualcosa da mangiare, ho trovato una specie di carretto ambulante. Visita tutti i giorni la città, così ho comprato del pane, un pezzo di formaggio e due mele.”

Hevonie era così affamata che si gettò sui viveri, prese un pezzo di pane e lo addentò con vigore.

Assaporò il cibo e lo spavento di poco prima lasciò il posto ad una sensazione di rinnovato benessere.

“Grazie, sei stato gentile, ma non vedendoti, ho pensato che te ne fossi andato via.”

“Certo, come no. Sono venuto fin qui rischiando la vita, ti trovo e poi me ne vado. Non mi sembra molto logico,” disse Towalce aggrottando le sopracciglia.

Hevonie alzò le spalle e diede un morso al formaggio.

“Mi sembra di tornare a vivere,” bofonchiò con la bocca piena.

“Comunque finito di mangiare dobbiamo lasciare subito la città, se ti hanno captato e sanno che sei qui, li avremo presto addosso.”

Hevonie annuì, Towalce mangiò anche lui la sua parte e subito dopo furono pronti a partire. Guardando fuori dalla finestra, videro che la strada era deserta.

Ormai era pieno giorno, uscirono dalla casa e stando radenti ai muri degli edifici, si avviarono verso la periferia.

“Dobbiamo raggiungere una zona sicura così potrò comunicare a Korban la nostra posizione, sperando di non essere individuati.”

Affrettarono il passo e le case cominciarono a diradarsi finché si ritrovarono in aperta campagna a ridosso del bosco. S’infilarono in mezzo agli alberi e Towalce tirò fuori il suo dispositivo di richiamo. Ma quando lo attivò, l'oggetto non diede alcun segno di vita.

 

<><><>

 

Korban si trovava in volo sopra la città per un giro di ricognizione e dato che Towalce non lo aveva ancora chiamato, pensò di scendere e fare riposare Kluzel.

Atterrò in un ampio campo erboso e si sgranchì un po’ le gambe. A un tratto avvertì un movimento alla sua destra e impugnò la spada. Poteva trattarsi di un animale ma il suo istinto gli diceva che non lo era. Un piccolo Troll sbucò dai cespugli, Korban gli puntò la spada dritta contro il petto.

“Non farmi del male,” la voce tremante del Troll contrastava con la sua mole imponente.

“Certo che non te ne farò,” Korban abbassò con calma la spada.” Scusami piccolo, ma mi hai spaventato.”

“Non volevo spaventarti,” disse il Troll. “Tu chi sei?”

“Mi chiamo Korban, sto cercando una ragazza, non è che per caso l’hai vista?”

“Chi, Hevonie?”

“Proprio lei, la conosci?”

“Sì, ci ha aiutato in una brutta situazione, ma adesso non so dove si trovi, l’abbiamo lasciata insieme ad un elfo.”

“E dove si trova questo elfo?”

“Devi raggiungere il fiume e vedrai una radura, troverai una costruzione di pietra, li inizia il loro territorio.”

“Grazie, piccolo. Mi sei stato di grande aiuto,” Korban lo salutò e aggiunse. “Scusami ancora per prima.”

Il piccolo Troll accennò un timido sorriso e scappò rifugiandosi dentro il bosco.

Korban lasciò Kluzel a riposare e si diresse lungo il fiume, dopo un quarto d’ora di cammino, si trovò di fronte ad un grosso fortino di pietra. Ci girò intorno e non vide l'entrata, sembrava un grosso cubo, le cui uniche aperture erano delle piccole feritoie.

Dopo averci pensato un po’, gridò ad alta voce.

“Desidero parlare con il capo degli elfi!”

Non ci furono nessuna risposta e nessun movimento. Korban si sentì ridicolo a parlare da solo davanti a un muro.

Non sapeva se insistere, perché avrebbe potuto irritare i suoi abitanti, gli elfi erano famosi per essere permalosi e vendicativi. Ma doveva trovare Hevonie, quindi riprovò e gridò.

“Desidero parlare con…”

“Ho sentito, non sono mica sordo!”

Una porta spuntò magicamente nel muro e quando si aprì, apparve un giovane elfo.

Korban rimase stupito, ma non disse niente. Invece sfoderò uno dei suoi più cordiali sorrisi, cosa che provocò una smorfia altezzosa sulla faccia dell’elfo.

Korban ignorò la sua scortesia e andò subito al punto.

“Mi spiace disturbarvi, ma ho urgenza di parlare con uno di voi.”

“A che proposito?”

“Sto cercando la principessa Hevonie, so che ha parlato con un elfo.”

“E se anche fosse?” Chiese sospettoso l'elfo.

“Vorrei sapere dove è andata,” rispose Korban seccato. ”E' molto importante.”

“Provo a chiedere,” disse l'elfo. “Aspettate qui.”

Korban fece un cenno di assenso con la testa e attese.

Dopo un paio di minuti un elfo sinuoso ed elegante comparve sulla soglia della porta. L’elfo lo squadrò con interesse ma senza alcuna cordialità nello sguardo.

“Siete voi che cercate Hevonie?”

“Si signore, ho bisogno di trovarla al più presto. Avete idea di dove si possa trovare?”

L’elfo lo guardò perplesso. “Perché dovrei aiutarvi, non so nemmeno il vostro nome.”

Korban cercò di mantenere la calma, tutti questi stupidi convenevoli ai quali gli elfi tenevano tanto, lo irritavano.

Resistette alla tentazione di prenderlo per una delle sue orecchie appuntite e scuoterlo.

“Mi chiamo Korban e sto cercando la principessa. Collaboro con i maghi del Concilio.”

L’elfo fece un gesto languido con la mano e disse.

“In effetti ho avuto l'onore d'incontrare la principessa, l'ho scortata fino al limite della foresta. L'ho indirizzata verso il villaggio degli gnomi, dove avrebbe dovuto rintracciare il suo amico Towalce. Altro non so.”

Questa sembrava essere la fine della conversazione, l’elfo sembrava annoiato e Korban capì che usando le maniere forti, non avrebbe ottenuto altre informazioni da lui. Fu in quel momento che gli venne un’idea.

“Allora non vi recherò altro disturbo, signore, riferirò a Delmus le vostre parole, così tutti sapranno che Hevonie è scomparsa dopo avervi incontrato.”

L’elfo gli lanciò uno sguardo gelido. Per un attimo Korban pensò che si fosse offeso e che reagisse di conseguenza, invece disse. “Io non c’entro con la sua scomparsa, anzi le ho offerto il mio sostegno.”

“Infatti, sono sicuro che nessuno collegherà la sua scomparsa con gli elfi, anche se magari qualche voce maldicente, non mancherà certo di farlo.”

Korban sapeva che gli elfi avevano caro l’onore più della loro stessa vita. Per questo il loro nome non veniva mai associato a fatti spiacevoli.

“State insinuando che questa faccenda rovinerà la mia reputazione?”

“Non mi permetterei mai, signore, ma sapete come sono le persone, le voci corrono di villaggio in villaggio e potrebbero arrivare distorte.”

“State attento a come vi esprimete. Non mi piace quello che dite.”

“Non era mia intenzione offendervi. Mi limiterò a riferire a Delmus le vostre parole.”

Korban fece un inchino e indietreggiò deferente, quando l'elfo parlò.

“Comunque anche se volessi, non potrei aiutarvi.”

“Perché?’ Chiese Korban cercando di approfittare di quell’inaspettata disponibilità da parte dell'elfo.

“Sono disposto a collaborare, ma non posso mettere in pericolo il mio popolo.”

“Ma almeno avete idea di dove potrebbe essere andata Hevonie?”

“Posso solo dirvi che c'è una città abbandonata a poca distanza da qui. Io se fossi in voi andrei a dare un'occhiata laggiù.”

“Grazie, apprezzo molto il vostro aiuto.”

L'elfo fece un lieve cenno di saluto con la testa e si dileguò all’interno del palazzo.

Insieme con lui scomparve anche la porta, lasciando la parete di mattoni intatta.

Korban raggiunse Kluzel, che lo aspettava impaziente e vi salì sopra.

“Forza bello, abbiamo una nuova meta,” gli disse spronandolo a partire.

 

 

Capitolo 46


 

“Chissà dove si trova Korban,” si chiese Hevonie, mentre insieme a Towalce percorrevano la foresta, in cerca di un posto dove potere azionare il dispositivo per chiamarlo.

“Cercherò di creare una comunicazione, ma c’è qualcosa che blocca,” disse Towalce mentre manovrava il segnalatore.

“Deve essere stato Malwen,” affermò Hevonie. ”Anche la mia pietra è bloccata, è riuscito a creare qualcosa che ci impedisce di usare la magia.”

“Per riuscire in una simile impresa deve essersi avvalso dell'aiuto di Darkebetz.”

“Forse dovremmo spostarci più avanti e riprovare,” suggerì Hevonie.

“Accidenti a questo aggeggio, lo sapevo che non c'era da fidarsi,” sbottò Towalce frustrato. “Adesso dovremo cercare di raggiungere Korban a piedi, sperando di trovarlo il prima possibile.”

Stavano per mettersi in cammino quando udirono delle voci che si avvicinavano velocemente verso di loro.

Si nascosero dietro ad alcuni alberi e attesero. Videro Malwen seguito da una dozzina di uomini vestiti di nero.

“Non deve essere lontana, ho percepito dell’attività magica proprio in questa zona, vedrai che la troveremo,” esordì uno degli uomini.

“Penso proprio che sia ancora qui,” disse Malwen. “E che non sia sola.”

Hevonie e Towalce si strinsero l'uno contro l'altra, impugnando le loro armi, pronti ad ogni evenienza.

“Bravi, siete stati abili a nascondervi,” esclamò Malwen ad alta voce. “Ma non avete la minima idea di chi vi trovate di fronte!”

Malwen alzò il braccio e indicò proprio gli alberi dietro i quali Hevonie e Towalce erano nascosti. Tutti gli uomini si precipitarono verso di loro, ma vennero subito colpiti da potenti colpi di bastone, che li buttarono a terra, storditi.

Hevonie vide che a colpirli era stato un gruppo di Troll inferociti, tra di essi riconobbe i suoi amici. Approfittò di quell'aiuto insperato per lasciare il nascondiglio, Towalce la seguì con la spada in pugno.

I Troll e gli uomini si stavano fronteggiando, mentre Malwen infuriato per quell'attacco a sorpresa stava preparandosi a sferrare uno dei suoi incantesimi.

“Siete solo degli esseri mostruosi e inutili,” gridò Malwen ai Troll. “Preparatevi a morire.”

Ma i Troll si buttarono in avanti tutti insieme e malgrado gli uomini si difendessero, la loro mole li sopraffece. Hevonie si sentì strattonare, era Towalce che la stava trascinando via, al riparo.

Malwen era circondato da tutti i lati e sembrava indeciso su chi colpire per primo. I Troll avanzavano minacciosi verso di lui precludendogli ogni via di fuga.

Il mago alzò il bastone e facendolo roteare intorno a sé, fece scaturire un fascio di energia accecante che colpì i Troll in sequenza. Fu in quel momento che Towalce uscì dal suo nascondiglio e gli diede uno spintone, gettandolo a terra.

Malwen nella caduta perse il bastone che fu raccolto rapidamente da Hevonie. Il mago rimase steso a terra sulla schiena e i suoi occhi erano carichi d'odio.

“Se anche fermerai me,” disse beffardo. “Darkebetz è tornata. E anche i demoni che ho liberato vi stanno cercando. Cara principessa penso che presto andrai a raggiungere tuo padre.”

Hevonie lo guardò sprezzante, gli puntò contro il bastone e con uno scatto del polso ne fece scaturire un raggio infuocato che lo colpì in pieno petto.

Il suo corpo prese fuoco e s'incenerì all'istante. Malwen Rakomar era morto.

Hevonie non provò nessun rimorso, aveva vendicato tutte le persone a lei care che a causa di quell'essere malvagio avevano perso la vita.

“Grazie di averci aiutato,” disse infine Hevonie rivolgendosi ai Troll.

“Queste persone erano cattive,” replicò uno dei Troll. ”Hanno avuto quello che si meritavano.”

“Purtroppo la minaccia non è ancora finita,” annunciò Towalce. “Ora bisogna affrontare Darkebetz.”

“Se avrete bisogno di noi, saremo sempre a vostra disposizione,” dissero i Troll in coro.

“Vi ringrazio, lo terrò a mente,” rispose Hevonie.

Si salutarono frettolosamente e osservarono i Troll addentrarsi nella foresta.

“Presto cerchiamo Korban,” disse Towalce.

Le ombre della sera stavano ormai scendendo e Hevonie e Towalce erano stanchi.

Mentre camminavano, dei fruscii li misero in allarme, non fecero in tempo a voltarsi che si ritrovarono circondati da quattro centauri.

“E adesso cosa facciamo?” Chiese Hevonie.

Era la prima volta che si trovava di fronte a quelle creature leggendarie.

“Non lo so,” rispose Towalce cauto.

I quattro centauri parlavano tra di loro una strana lingua, assolutamente incomprensibile. Hevonie puntò davanti a sé il bastone di Malwen e li fronteggiò. Towalce cercò di trattenerla, lei lo scostò, ma lui riuscì lo stesso ad afferrarla.

“Che cosa pensi di fare?” Le chiese mentre le stringeva il polso.

“Sono stufa di fuggire, se non ci lasciano in pace, dovranno vedersela con me,” con uno strattone Hevonie si liberò dalla presa di Towalce.

“Non puoi usare la magia, indicherai la nostra posizione.”

“Non ti preoccupare, mi limiterò a creare un fuoco. Tutti gli animali hanno paura del fuoco, questo li metterà in fuga e nessuno si farà del male.”

“No, non farlo!” Gridò Towalce.

Ma Hevonie aveva già alzato il bastone e da esso apparvero delle lingue di fuoco che andarono ad infrangersi ai piedi dei centauri.

Non solo le creature dimostrarono di non avere paura, ma addirittura avanzarono minacciose contro di lei. Intimorita, continuò ad agitare il bastone, ma urtò il centauro più vicino a lei, che colpito da una fiammata, emise un gemito e si bloccò spaventato.

Hevonie avvertì il puzzo di pelo bruciacchiato.

“Non voglio farvi del male, lasciateci andare e sarà meglio per tutti,” strillò isterica.

Ma i centauri rimasero immobili a valutare la situazione, indecisi sul da farsi.

“Non penso che ti capiscano, presto vieni via!” Urlò Towalce afferrando per un braccio Hevonie e trascinandola con sé.

Mentre scappavano, sentirono dietro di loro gli zoccoli dei centauri che li seguivano, adesso erano veramente nei guai.

“Bella idea hai avuto, non potevi aspettare di vedere che intenzioni avessero prima di provocarli in quel modo?” Chiese Towalce mentre correvano.

“Non pensavo fossero così permalosi, volevo solo che se ne andassero, se permetti, sono arcistufa di scappare continuamente.”

Sentirono dei versi acuti, una sorta di richiamo che pervase tutta la foresta, nel giro di pochi minuti si trovarono la strada sbarrata da altri centauri. Fecero per cambiare percorso ma si resero conto di essere completamente circondati.

Hevonie non avrebbe avuto il coraggio di colpire quelle creature mitiche e abbassò il bastone costernata, ma all'improvviso un ombra ricoprì le loro teste.

Sopra di loro si sentì il suono di grosse ali, ali di drago.

Korban esaminò la scena sotto di lui. Sembrava esserci un raduno di centauri. Si chiese cosa stessero facendo, quando al centro vide due piccole figure.

Hevonie e Towalce! Finalmente li aveva trovati. Anche se non sembravano in una situazione molto felice.

Un cospicuo gruppo di centauri da mettere in fuga, era da un po’ che non gli accadeva una situazione simile. L'unica cosa che sapeva di quei bestioni era che come tutte le creature che popolavano la foresta, avevano paura dei draghi.

Vide che Hevonie e Towalce lo guardavano e muovevano le braccia freneticamente, lui fece cenno di smetterla per non irritare ulteriormente i centauri, ma loro non si fermarono.

“Va bene ragazzi, ci penso io,” disse tra sé. Con il drago planò sulle teste dei centauri che presero ad agitarsi come forsennati, ma non si mossero.

Allora il drago sputò una lunga lingua di fuoco contro un albero che s’incendiò. Spaventati, questa volta i centauri cominciarono a scappare, lasciando Hevonie e Towalce soli e stremati. Korban atterrò e vide che fortunatamente le fiamme si stavano già estinguendo.

Scese da Kluzel e si avvicinò a Hevonie.

“Alla fine ti abbiamo ritrovata principessa,” disse Korban porgendole la mano.

“Non sai quanto sono felice di vederti,” rispose lei abbracciandolo.

 

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Joleen aveva sistemato Hevonie e Towalce ognuno in una stanza da letto calda e confortevole. Dormirono tutta la notte e quando si svegliarono la mattina seguente, raggiunsero la cucina, dove era stata servita un'abbondante colazione.

Mentre erano seduti al tavolo e stavano mangiando di gusto, fecero il loro ingresso Delmus e Korban.

“Spero stiate bene entrambi,” li salutò Delmus di buonumore.

Joleen gli lanciò uno sguardo severo e disse.

“Non vorrai farla partire di nuovo. E’ già un miracolo che sia tornata sana e salva.”

Vedendo che Delmus non rispondeva, Joleen si avvicinò a Hevonie e la guardò negli occhi.

“Sembra proprio che dovrai tornare a rischiare l’osso del collo ancora una volta.”

Joleen sospirò alzando gli occhi al cielo, mentre Hevonie le sorrideva grata, per essersi presa cura così amorevolmente di lei.

In quel momento le venne in mente Zoelle, la sua governante, le sembrava passato un secolo da quando l’aveva lasciata e si chiese se stesse bene.

“Lo so, Joleen, l’ultima cosa di cui Hevonie ha necessità è un'altra avventura, ma noi abbiamo bisogno di lei. Se potessi farla riposare e lasciarla fuori da tutto questo, credimi lo farei volentieri,” disse Delmus contrito.

Korban assisteva in silenzio, poi tirò fuori un sigaro dalla tasca, ma quando incrociò lo sguardo di disapprovazione di Joleen, lo rimise via.

“Lo so, ho ancora molte cose da fare, il mio compito non è finito,” ammise Hevonie.

Delmus annuì e disse. “Se permetti, vorrei parlare con te.”

“Allora vi lascio soli,” disse Joleen uscendo dalla sala. “Devo andare a controllare se il fabbro ha sistemato alcune serrature. Anche se io non è che me ne intenda molto.”

“Se vuoi, vengo con te,” si offrì Towalce. “Ti aiuterò ad appurare se tutto è a posto.”

“Magari! Mi faresti un grande favore,” s'illuminò Joleen. Poi rivolgendosi a Delmus chiese. “Ti dispiace se te lo porto via?”

“No, per ora non ho bisogno di lui, andate pure,” rispose Delmus.

Joleen e Towalce uscirono dalla stanza e Delmus parlò a Hevonie.

“Lo so che avresti bisogno di più riposo, ma ho paura che gli eventi stiano precipitando.”

“Sto bene, è Joleen che si preoccupa troppo.”

“Se te la senti di raccontarmi quello che ti è capitato durante il tuo viaggio, sarei ben lieto di ascoltarti.”

Hevonie gli raccontò i principali avvenimenti che le erano accaduti e soprattutto della morte di Malwen.

L’espressione di Delmus si era fatta sempre più preoccupata e alla fine del racconto disse.

“Probabilmente Darkebetz sta riacquisendo il suo potere. Per questo devi imparare a usare lo Specchio delle Anime. Ho una proposta da farti, mia cara,” disse lisciandosi i lunghi baffi. “Non pensi sia arrivata l'ora di imparare seriamente la magia?”

Hevonie sedeva con la schiena dritta sulla sedia e sembrò valutare le parole di Delmus.

“Pensi che sono ancora in tempo per farlo?” Chiese infine.

“Certamente,” rispose Delmus. ”Dobbiamo solo determinare la reale capacità del tuo potere. Ti farò io da insegnante se prometti di impegnarti.”

“Non chiederei di meglio,” rispose Hevonie. “Anche se ho così tante domande da fare che non so da dove cominciare. Mi piacerebbe che qualcuno mi raccontasse la storia dall'inizio.”

Delmus alzò un sopracciglio e disse. “Si tratta della profezia di Koltrane e della pietra che ha creato.”

“Anche se è difficile da spiegare, cercheremo di farlo,” intervenne Korban.

“Tu sai chi è Darkebetz?” Chiese Delmus rivolgendosi a Hevonie.

“Si, mi è stato detto che è un potente spirito malvagio,” rispose Hevonie. “Anche se non ho ancora capito che cosa significhi.”

“Significa principalmente che rappresenta il lato oscuro della magia,” Delmus spiegò. “Sono due secoli che è scomparsa, ma il suo spirito immortale è ancora vivo. Mentre si dice che il corpo giace incorrotto, sepolto da qualche parte nei dintorni delle Montagne Nevose.”

“Darkebetz riguadagnerà presto la sua forza,” affermò Korban. “Abbiamo poco tempo prima che ritorni ad essere potente come una volta.”

“Ma perché vuole me?” Chiese Hevonie.

“Nel tuo sangue scorre la Pura Magia,” spiegò Delmus. “Le venature dorate che solcano le tue iridi azzurre, lo dicono chiaramente. E da quanto ne sappiamo solo altre due persone le possedevano.”

Hevonie lo ascoltava senza fiatare.

“Una era tua madre e l'altra era Darkebetz,” proseguì Delmus. “È per questo che ti cerca, vuole impossessarsi di te. Da questo ne trarrebbe un grande potere, non potendo recuperare il suo corpo ha bisogno del tuo. Per lo stesso motivo tu sei la chiave per fermarla e noi dobbiamo prepararti meglio che possiamo.”

“A essere sincera, questa cosa mi terrorizza,” mormorò Hevonie. “Ma se questo è il mio destino non mi tirerò certo indietro.”

“Non mi aspettavo niente di meno dalla principessa di Kosworth,” sorrise Delmus. “Faremo il possibile perché tu possa affrontare Darkebetz, ma per questo devi essere adeguatamente preparata.”

“Ho ancora un dubbio. Non può impossessarsi del corpo di una persona qualunque?”

“Certo,” rispose Delmus. “Ma non durerebbe a lungo. Il suo spirito è talmente potente che anche il corpo di un mago non lo sopporterebbe, sarebbe disintegrato entro breve tempo.

“Se ha tanto bisogno di me, perché quella sera alla festa in maschera, qualcuno ha tentato di uccidermi?”

“In quel caso Malwen non c'entra. Dimenticavo che tu non sei ancora al corrente degli ultimi avvenimenti,” disse Delmus. “E' stato Miklos a uccidere Katlin, anche se in realtà eri tu il suo obiettivo.”

“Miklos?” Esclamò Hevonie. “Vuoi dire quel vecchio che ho incontrato una volta sola a casa di Joleen? È vero che ha passato tutto il tempo ad insultarmi, ma io non gli ho fatto niente, perché avrebbe voluto uccidermi?”

“Joleen mi ha riferito del vostro incontro non proprio amichevole,” disse Delmus. ”Devi sapere che Miklos ha sempre avuto un odio particolare verso Darkebetz, a causa del figlio che ha scelto di seguire la Magia Proibita.”

“E io cosa c'entro?”

“Lui voleva ucciderti per impedire che Darkebetz potesse usarti per tornare,” spiegò Delmus. “Eliminando te pensava di poterla fermare. Inoltre ha confessato di avere attentato alla tua vita altre due volte. Quando il barone De Galden, suo amico, ha riconosciuto l'anello che ti aveva dato Towalce da parte mia, ha capito che il pericolo di un suo ritorno era reale e lo ha avvisato, per cui Miklos è passato all'azione. Purtroppo il barone aveva già visto l'anello e sapeva che aveva a che fare con l'imminente ricomparsa di Darkebetz. Ammetto che è stata una mossa azzardata dartelo, ma contavo sul fatto che solo pochissimi sapevano a cosa era destinato.”

“Vecchio pazzo furioso,” commentò Hevonie incredula. “Adesso finalmente so chi ha cercato di trascinarmi nel burrone e chi ha fatto cadere il masso dall'alto.”

“Una volta Miklos era un mago rispettabile, poi dopo la vicissitudine del figlio è cambiato,“ affermò Delmus. “Adesso languirà per il resto dei suoi giorni in prigione e il suo unico rammarico è di non essere riuscito a eliminarti.”

Hevonie rimase in silenzio a riflettere su quella rivelazione clamorosa e ancora non si capacitava di quello che era successo.

“Lo so, non è facile,” la confortò Delmus. “Ora devi reagire e pensare alle tue prossime mosse.”

”Un'ultima cosa,” disse ancora Hevonie. ”Quello che non capisco è che quando cercavamo di tornare, la pietra non funzionava e anche il congegno di Towalce era bloccato.”

“E' stata opera di Malwen,” rispose Delmus. “È riuscito a interferire, con l'ausilio della Magia Proibita sulla vostra capacità di manipolare oggetti magici. Adesso che è morto questa specie di barriera, chiamiamola così, è stata annullata.”

“Con la scomparsa di Malwen, Darkebetz ha perso un prezioso alleato,” puntualizzò Korban. “Dobbiamo approfittare di questo vantaggio.”

“Cercherò d'imparare alla svelta,” esclamò Hevonie decisa. “Questa minaccia va fermata al più presto.”

“Allora non perdiamo tempo,” disse Korban. “Mettiamoci subito al lavoro.”

Tutti e tre si alzarono e si avviarono nello studio di Delmus, in una stanza posta al primo piano del palazzo.

Korban li lasciò soli. Delmus fece cenno a Hevonie di sedersi.

“Mettiti comoda,” le disse. “Abbiamo molte cose da fare.”

“Sono pronta,” rispose Hevonie.

“La magia dipende dalla propria volontà,” esordì Delmus. “Per prima cosa devi imparare a controllare la forza degli elementi e a focalizzarli. Allora sarai in grado di formulare degli incantesimi e ad usarli con criterio.”

Hevonie ascoltava con attenzione le parole di Delmus.

“Se riuscirai a manipolare i componenti della magia avrai tutti gli strumenti che ti permetteranno di raggiungere un grande potere.”

“Ho capito. Da dove cominciamo?” Chiese Hevonie ansiosa di iniziare.

“Posso iniziare a insegnarti gli incantesimi che attiveranno lo specchio,” disse Delmus. ”Lo specchio da solo non basta, mentre lo usi, devi pronunciare una sequenza di formule magiche.”

Hevonie stese le mani davanti a sé e mostrò la pietra di Koltrane che adornava il bracciale al suo polso.

“Ma questa pietra a cosa serve realmente?” Gli domandò.

Delmus la osservò attentamente e rispose.

“La pietra che possiedi è un artefatto magico che contiene numerosi incantesimi, ma nasconde molti segreti. Ed essi sono morti insieme a Rawim di Koltrane, colui che la creò.”

“D'accordo,” disse Hevonie. ”Spiegami cosa devo fare.”

“Devi imparare a memoria le giuste formule contenute nella tua pietra, saranno loro ad attivare lo specchio,” spiegò Delmus. “Lo so non è facile. Ci vorrebbe più tempo, ma come ben sai non ne abbiamo. Posso darti questi fogli sui quali troverai molte informazioni scritte di proprio pugno dal mago di Koltrane e che dovrai studiare attentamente.”

Hevonie li prese e rimase sbalordita dalla quantità di appunti che avrebbe dovuto apprendere.

“Vuoi dire che pronunciando le giuste parole, queste sbloccheranno gli incantesimi della pietra e io potrò usarli?” Chiese Hevonie.

“Esatto. Adesso facciamo una prova, concentrati,” proseguì Delmus. “Fissa la pietra e segui attentamente le mie istruzioni.”

Hevonie cercò di isolarsi completamente. All'inizio lo trovò difficile, ma lentamente la voce ipnotica di Delmus fece il suo effetto. Cominciò a sentirsi distaccata come se osservasse la scena dall'alto, una sensazione che aveva già vissuto.

“Cerca il potere dentro di te,” sussurrò Delmus.

Hevonie spostò la sua attenzione nella parte più profonda della sua mente. Le sembrò subito di fluttuare in una nebbia sottile in mezzo alla quale intravide una luce brillare. La maggior parte della sua concentrazione si stava spostando sulla scena che si stava creando davanti a lei.

Un paesaggio fitto di piante colorate e una miriade di fiori lucenti costituivano uno scenario da favola. Trovò un sentiero e cominciò a percorrerlo, si mise a correre su e giù in mezzo a quella natura fantastica e incorporea. Tutto appariva leggero e un dolce aroma di fiori pervadeva tutta l'aria intorno.

Sapeva che quello che vedeva non era reale, ma solo il frutto della sua immaginazione.

La sua mente non era cosciente di dove stava andando, ma una forza irresistibile la trascinava in quella direzione e lei non riusciva a opporsi.

Finché improvvisamente si trovò la strada sbarrata da un’enorme roccia, cercò di evitarla ma il suo corpo era lanciato e non poté fare altro che sbatterci contro. Lanciò un urlo spaventoso e sentì il suo cuore battere all'impazzata. Immediatamente riprese coscienza di dove si trovasse, guardò la pietra che emetteva un bagliore luminoso e la sentì scottare.

“Che cosa è successo?” Chiese a Delmus che la guardava con attenzione.

Senza parlare Delmus le tese una tazza di tè che Hevonie prese e sorseggiò lentamente. Dopo averla riappoggiata sul tavolo, tornò a rivolgergli uno sguardo interrogativo.

“Sei andata molto bene con l'esercizio di concentrazione,” rispose il mago. “Sei riuscita a raggiungere la parte più profonda della tua mente e ad entrare in contatto con il potere racchiuso nella pietra.”

“Infatti, mi sono sentita trascinare, come se cadessi all'indietro in un vuoto senza fine,” spiegò Hevonie.

“Questo significa che non hai ancora il pieno controllo dei tuoi mezzi,” spiegò Delmus. “Dobbiamo lavorarci sopra, ma penso che per ora sia sufficiente così. Proseguiremo domani.”

“Ma io mi sento benissimo,” protestò Hevonie.

“Allora approfittane per andare a studiare gli incantesimi. Ti serviranno quando ti troverai davanti Darkebetz,” proseguì Delmus. “Non sappiamo ancora dove si nasconde. Ma nel perquisire gli alloggi di Malwen, abbiamo scoperto una mappa dove è indicato un edificio.”

“Dovevo immaginare che quel verme disponesse di un nascondiglio,” constatò Hevonie.

“Già, dovrebbe trattarsi di un vecchio maniero abbandonato, posto in una radura a ridosso delle colline di Wolyrood. A cavallo s'impiegherebbero un paio di giorni di viaggio. Stiamo preparando una spedizione per recarci sul posto e capire dove potrebbe essere nascosta Darkebetz.”

“Io lo conosco!” Esclamò Hevonie.

“Quel maniero apparteneva a mio padre, ci andavamo spesso quando ero piccola. Poi scoppiò un incendio che lo distrusse in parte e lo rese inagibile. Non so perché, ma non fu più ricostruito. Peccato perché era molto bello.”

“Probabilmente Malwen ne ha intuito le potenzialità,” disse Delmus. “Li poteva agire indisturbato.”

“Se vuoi, posso andarci io,” si offrì Hevonie. “Visto che conosco il posto.”

“Potrebbe essere pericoloso,” l'ammonì Delmus.

“Si tratta solo di perlustrare delle stanze,“ disse Hevonie. “Non dovrebbe essere un compito difficile. In questo modo voi potete impiegare le vostre energie per cercare dove si trova Darkebetz.”

Delmus si accarezzò i lunghi baffi, poi disse.

“In effetti non dovresti incontrare troppe difficoltà, anche se non sono ancora convinto. Chi ci dice che non sia proprio lì che Darkebetz si nasconda?”

“A questo non avevo pensato, ma mi sembra alquanto improbabile,” affermò Hevonie. ”Per ogni evenienza porterò con me lo specchio ed essendo l'unica in grado di usarlo, a maggior ragione ci devo andare io.”

“D'accordo,” acconsentì Delmus. “Ti accompagneranno Towalce e Korban. Il luogo potrebbe essere protetto da trappole e incantesimi. Ti darò gli strumenti necessari per superarli.”

“Perfetto,” annuì Hevonie.

“Adesso ti lascio studiare gli incantesimi, ti conviene iniziare subito,” le disse. “Ci vediamo più tardi nella sala del Concilio, dobbiamo organizzare la vostra partenza.”

Rimasta sola, Hevonie finì di bere la sua tazza di tè e pensò a quello che la aspettava. Diede un'occhiata alla lunga lista di incantesimi che doveva memorizzare e ripetere.

A prima vista le sembrò terribilmente complicata da imparare, si armò di pazienza e cominciò a studiarla. Dopo un paio d'ore sapeva ripetere a memoria, i cinque incantesimi che formavano la sequenza che attivava lo specchio.

Si meravigliò di esserci riuscita in così poco tempo. Quando la sera incontrò Delmus, ripassarono ulteriormente le formule e anche lui rimase sorpreso dalla sua capacità di apprendimento.

“Sono sbalordito,” disse il mago. “Non mi aspettavo che imparassi così rapidamente. Mi congratulo con te.”

Hevonie si sentì lusingata, ma nello stesso tempo anche spaventata all'idea di ripetere quelle formule quando si sarebbe trovata davanti Darkebetz.

“Il punto è se sarò in grado di mantenere il sangue freddo e la concentrazione necessaria quando arriverà il momento di affrontare quell'essere demoniaco,” disse mestamente.

“Lo so, non sarà facile,” ammise Delmus. “Comunque è un problema che affronteremo più avanti. Per ora la cosa più importante è quella di andare al nascondiglio di Malwen.”

“D'accordo, quando partiremo?”

“Domani mattina, se per te va bene,” rispose Delmus. “Ho già dato le mappe del percorso a Korban. Le sta esaminando insieme a Towalce proprio in questo momento.”

“Bene, allora vado a prepararmi per il viaggio e studierò ancora un po',” disse Hevonie.

“Brava, ma non stancarti troppo,” le raccomandò Delmus. “Domani ti aspetta una dura giornata.”

Dopo essersi salutati, Hevonie tornò nella sua camera rimuginando su quello che aveva appena imparato.

 

 

Capitolo 47


 

Hevonie, Towalce e Korban lasciarono il palazzo del Concilio all'alba.

Cavalcarono attraverso una pioggia battente, cercando di tenere la strada nonostante la visibilità limitata.

Le pozzanghere rendevano il percorso ancora più difficoltoso, quindi si trovarono spesso a rallentare, per non rischiare che i cavalli si infortunassero.

Dopo due giorni di viaggio, durante il quale non ci furono contrattempi, giunsero a Wolyrood.

Risalirono una collina e videro che sotto si estendeva una piccola valle, in mezzo alla quale sorgeva una fortezza dall'aspetto imponente.

Si fermarono a scrutare l'orizzonte, ma il luogo sembrava deserto e non si percepivano segni di vita.

“Sei pronta?” Chiese Towalce.

“Più che mai,” rispose Hevonie risoluta.

Spronarono i cavalli e insieme percorsero l'ultimo tratto che li separava dal nascondiglio segreto di Malwen.

Si avvicinarono lentamente, mentre un vento forte aveva preso a soffiare, provocando a tutti e tre, brividi di freddo. Discesero la collina e raggiunsero il cancello d'ingresso che trovarono spalancato.

Lo oltrepassarono e Hevonie vide che tutto appariva come congelato, ricoperto da uno spesso strato di brina. Un senso di angoscia si insinuò dentro di lei.

Proseguirono nell'ampio cortile fino all'entrata del maniero.

Rallentarono il passo e si fermarono davanti ad una scalinata, Hevonie notò che il volto di Towalce era teso, mentre Korban si guardava in giro circospetto.

In silenzio smontarono da cavallo e risalirono i gradini fino ad arrivare davanti al grande portone di legno massiccio.

Era socchiuso, ma prima di entrare, Hevonie guardò attraverso i vetri appannati di una finestra, però non riuscì a vedere granché per via dell'oscurità.

Quando Towalce aprì il portone, Hevonie rimase stupita nel trovare al suo interno delle statue di cristallo, raffiguranti delle persone a grandezza naturale.

“Che cosa sono?” Chiese rivolgendosi a Korban che era dietro di lei.

“Dalla precisione dei dettagli, non penso siano opera di qualche scultore. Ho paura che quelle statue una volta erano delle persone,” rispose Korban mesto. “La cosa non mi piace. Facciamo così, voi due entrate mentre io resto qui di guardia.”

“D'accordo,” annuì Towalce.

I due s'inoltrarono nella grande sala che aveva le pareti scrostate, una patina bianca e polverosa regnava dappertutto.

Hevonie stentava a riconoscere in quell'edificio, il posto dove aveva trascorso parte della sua infanzia. In alcuni punti si notavano ancora gli stucchi dorati e pannelli di legno decorati lungo le pareti.

Attraversarono diverse sale e avvertirono un freddo pungente che penetrava nelle ossa.

Poi arrivarono davanti ad una porta chiusa, Hevonie guardò negli occhi Towalce che annuì. Quindi ruotò verso il basso la maniglia, aprì la porta ed entrò.

Si ritrovarono entrambi in un'enorme sala che sembrava vuota, ad eccezione di altre statue di cristallo. Nella stanza l'aria era sempre gelida e i loro passi echeggiavano contro le pareti spoglie. Appeso al centro del soffitto, scendeva un lampadario di cristallo dalle proporzioni smisurate che scintillava come un agglomerato di ghiaccioli.

Il vento glaciale che penetrava dai vetri rotti delle finestre lo faceva oscillare leggermente, creando sfaccettature di luce colorata che si riflettevano sulle ricche decorazioni d'ottone del parafuoco, posto davanti al camino di marmo bianco.

Una fioca luce, prodotta da alcune candele accese, illuminava il velluto cremisi e le dorature di un trono che si ergeva su una piattaforma di legno, in fondo alla sala.

Con stupore Hevonie si accorse che sopra c'era seduto qualcuno.

Riconobbe Lisian, vestita con un lungo abito nero, il cui viso era di un pallore lunare.

Per un lungo sorprendente momento, Hevonie si ritrovò a fissarla negli occhi.

“Perché ci hai messo così tanto?” Domandò Lisian sorridendo. ”È da parecchio che ti aspetto.”

Si alzò dal trono e fece un passo in avanti.

“Lisian, cosa ci fai qui?” Hevonie la guardava confusa.

“Non hai ancora capito? La tua amica non c’è più.” Lisian aveva parlato con una voce metallica dall'accento arcaico.

“Questo non è affatto divertente,” disse Hevonie spaventata. “Smettila!”

“Io ti appaio come la tua amica, perché sono nel suo corpo. Credimi, lei adesso non è qui ad ascoltarti.”

“Ma allora tu chi sei?” Chiese Towalce intuendo già la risposta.

“Penso che tu sappia perfettamente chi sono, altrimenti saresti molto stupido.”

“Darkebetz!” Esclamò Hevonie.

“Esatto, finalmente ci incontriamo principessa Hevonie.”

“Non è possibile,” sussurrò Towalce.

“E questo è niente,” proseguì Darkebetz con un ghigno malvagio. ”Adesso che sono tornata, le cose cambieranno completamente.”

“No, Lisian devi ascoltarmi!” Gridò Hevonie.

”Tu devi chiamarmi Darkebetz. Lisian è morta ormai, dimenticatela!” La sua voce era tagliente come un rasoio.

Dall'ombra apparve una Muriena che spinse con forza Hevonie da dietro, facendola cadere in ginocchio ai piedi di Darkebetz, che le sollevò il mento con un dito e la osservò attentamente.

“Peccato che tu debba morire così presto. Sei davvero bella,” disse caustica. “Ma non ti preoccupare quando tutto sarà finito, il tuo bel corpo non andrà sprecato. Lo userò al posto di questo, che è stato solo un ripiego.”

“Prima dovrai vedertela con me!” Towalce le si parò davanti con la spada in pugno.

Darkebetz scoppiò in una risata stridula.

Poi cominciò a fissare negli occhi Towalce, che cercò disperatamente di distogliere lo sguardo, ma non ci riuscì. Sentiva la testa stretta in una morsa, come se stesse per esplodere. Aveva la sensazione che le sue ossa si stessero sciogliendo velocemente e sentì i muscoli bruciare. Cercò di gridare, ma dalla sua bocca tutto quello che uscì, fu un debole lamento.

Il suo corpo stava diventando trasparente e nel giro di pochi istanti si mutò in una statua di cristallo.

Hevonie si scagliò contro Darkebetz, che la respinse lanciandole addosso un potente fascio di energia.

“Così questa è opera tua.” Urlò Hevonie furiosa. “Ti sei divertita a trasformare tutte queste persone in statue!”

“Tu ti ostini a non vedere le cose dalla giusta prospettiva,” rispose sdegnata Darkebetz. “Questa è magia di alto livello. Tu per prima dovresti essere in grado di apprezzarla.”

“Mi fai ribrezzo,” mormorò Hevonie tra i denti.

“Davvero? Mi dispiace che tu non capisca la bellezza della Magia Proibita.”

Darkebetz prese un pugnale dal fodero che portava appeso al suo fianco e lo puntò contro una delle statue che rappresentava una donna. Lentamente cominciò a scalfire il cristallo con la punta della lama.

Hevonie davanti a quel gesto inorridì.

“Ferma!” Gridò.

Poi usando un tono più sommesso, aggiunse. “Ti prego, non farlo.”

“Perché no?” Con un gesto veloce Darkebetz alzò la mano e con un fendente colpì il cristallo che si frantumò in mille pezzi.

“Vediamo come te la cavi di fronte ad un avversario in carne e ossa!”

Korban comparve all'improvviso impugnando la spada e puntandola dritta davanti a sé.

Hevonie prese coraggio e si avventò contro Darkebetz.

“Fermati!” Urlò Korban.

“Ascolta il tuo amico,” disse calma Darkebetz.” Ti risparmierai un'esperienza molto spiacevole.”

Hevonie rimase immobile, il suo sguardo continuava ad essere attirato dalla statua di Towalce e pensò ad un modo per rompere l'incantesimo.

Darkebetz se ne accorse, si avvicinò alla statua e indicandola disse.

“Vedo che ci tieni a questo bel cavaliere.”

Hevonie deglutì, Towalce era lì davanti a lei, imprigionato nel cristallo ma ancora vivo.

Questo pensiero la fece infuriare e alzò la spada contro Darkebetz, che a sua volta puntò il pugnale contro la statua.

“Ma come? Vuoi davvero che il tuo amico muoia?”

Darkebetz con la punta del pugnale accarezzò i lineamenti del volto di Towalce.

“No, ti prego fermati!” Supplicò Hevonie disperata.

Darkebetz si allontanò di qualche passò e affondò il pugnale contro un'altra statua posta al suo fianco, mandandola in frantumi.

“E' questo che vuoi che gli accada?” La voce di Darkebetz si era di colpo irrigidita.

Hevonie comprese che non doveva contrariarla, altrimenti Towalce sarebbe morto.

“Che cosa devo fare per riportarlo in vita?” Si arrese Hevonie con voce tremante.

“Bene, vedo che sei diventata ragionevole,” annunciò Darkebetz soddisfatta. “Per prima cosa dammi la tua pietra.”

Hevonie esitò un istante ma ubbidì, sfilò la pietra dal bracciale e la lasciò cadere a terra spingendola verso Darkebetz con il piede, il rumore rimbombò in tutta la sala.

“Se non opporrai resistenza, Towalce e tutte queste persone saranno salve.” Darkebetz si chinò a raccogliere la pietra.

“Non mi fido di te. Chi mi assicura che lo farai,” esclamò Hevonie. “Tu ci ucciderai tutti!”

“Può darsi, ma non mi sembra che tu possa scegliere,” puntualizzò Darkebetz.

“No, ma posso dettare una condizione.”

“E quale sarebbe?”

“Devi liberare Towalce dall'incantesimo, adesso.”

Darkebetz scosse la testa e i lunghi capelli castani ondeggiarono sulla sua figura.

“Forse tu non ti rendi conto che potrei uccidervi tutti, solo schioccando le dita.”

“E perché non lo fai allora?” La sfidò Hevonie.

“Perché tu mi servi viva.”

Hevonie con uno scatto prese il pugnale che teneva nascosto nello stivaletto e se lo puntò alla gola.

“Se non liberi Towalce immediatamente, io non ti servirò più a niente e i tuoi piani falliranno.”

Darkebetz ebbe un sussulto, ma si ricompose subito.

“Non lo farai,” disse calma. “Non ne hai il coraggio.”

“Mettimi alla prova,” rispose Hevonie provocandola.

Darkebetz sembrò rifletterci sopra, poi annunciò.

“D'accordo, accetto la tua proposta. Ma sappi che ti farò pentire amaramente di questo affronto.”

Dopo di che si mise davanti alla statua di Towalce e fece un ampio gesto con le braccia e un fascio di luce scaturì dalle sue mani. Colpì con forza la statua che mandò mille bagliori colorati, Hevonie dovette chiudere gli occhi per non rimanere accecata. Dopo qualche istante, quando li riaprì, Towalce si trovava davanti a lei.

“Come stai?” Sussurrò incredula.

Towalce si guardò intorno frastornato, si tastò le braccia e mosse le gambe lentamente.

Hevonie gli gettò le braccia al collo, aveva davvero temuto che morisse.

“Molto commovente!” Darkebetz afferrò per un braccio Hevonie e li separò bruscamente. ”Ma adesso basta.”

“Non osare toccare Hevonie!” Gridò Korban, avanzando verso di lei con la spada in pugno.

“Ricordati che non sei nella condizione di dare ordini,” rispose Darkebetz gelida.

Veloce come un lampo, prese il polso di Korban e gli piegò il braccio dietro la schiena provocandogli una fitta di dolore, che gli fece cadere la spada di mano. Poi impugnò il coltello e glielo puntò alla gola.

Towalce avanzò a sua volta con la spada sguainata.

“Fermati,” gli ordinò Darkebetz. “Altrimenti il tuo amico morirà.”

“Uccidila!” Gridò Korban con voce strozzata.

Towalce esitò un istante, ma poi si lanciò verso Darkebetz e con la spada le attraversò il ventre da parte a parte. Darkebetz ebbe un violento spasmo che la immobilizzò.

Towalce cercò di estrarre la spada, ma inutilmente, quindi lasciò la presa e si allontanò indietreggiando.

Capì troppo tardi che Darkebetz era uno spirito incorporeo, la cui sostanza non era vitale ma morta, lottare con le armi sarebbe stato inutile.

Korban si divincolò e si liberò dalla presa di Darkebetz. Raccolse da terra il coltello che ella aveva lasciato cadere. Lo passò a Towalce che lo afferrò e con un balzo si scagliò contro la Muriena, che apparve all'improvviso, tagliandole la gola di netto. Prima di toccare terra era già morta.

Intanto Darkebetz afferrò la lama con entrambe le mani, stringendo le nocche pallide contro l'acciaio che le trafiggeva l'addome.

“Nessuna spada può uccidermi!” Esclamò beffarda.

Per alcuni istanti nessuno si mosse, Darkebetz estrasse la spada dal suo ventre e la gettò a terra. Sembrò valutare i danni che il corpo di Lisian aveva subito. Dalla ferita non uscì che qualche rivolo di sangue rosso scuro. Il suo volto assunse un'espressione feroce, quindi cominciò a roteare le mani, producendo delle scie luminose nell'aria.

Stava evocando altre Muriene che lentamente si materializzarono davanti a loro.

Ma questa volta erano diverse, non avevano l'aspetto di bambine innocenti. La loro pelle era grigiastra e il corpo era deforme, in entrambe le mani tenevano delle corte spade affilate.

“Sta creando delle Muriene soldato!” Gridò Korban.

Hevonie approfittò di quel momento per correre vicino a Towalce.

Anche Korban li raggiunse e rivolgendosi a Hevonie disse.

“Penso che sia arrivato il momento di usare lo specchio.”

Hevonie lo tirò fuori dal suo involucro e lo osservò pensierosa.

“Conosci il suo segreto? Sai come usarlo per distruggere Darkebetz?” Chiese Korban.

“Non ne sono sicura,” rispose Hevonie. “Sento che lo specchio assorbe le mie energie e le usa contro un bersaglio. Ma c'è qualcosa che mi sfugge. Probabilmente ha qualcosa a che fare con la pietra.”

“Stai parlando di questa?” Korban le porse la mano aperta, sul cui palmo appoggiava la pietra di Koltrane.

“Come hai fatto a prenderla?” Chiese Hevonie sorpresa.

“Ho anch'io i miei segreti,” replicò Korban sibillino.

“Sbrighiamoci,” esclamò Towalce. ”Le Muriene si stanno avvicinando.”

Hevonie infilò la pietra nel bracciale e riesaminò la situazione di fronte a lei, le Muriene stavano avanzando e lei doveva trovare un modo per fermarle. Evocò un incantesimo dalla pietra e lo scagliò davanti a sé. Un muro di fuoco apparve all'improvviso a formare una barriera tra loro tre e le Muriene soldato, che si bloccarono immediatamente.

L'aria era diventata brillante attraversata da onde di calore che si irradiavano dal pavimento per dissiparsi nel soffitto a volta. Il calore formava un muro trasparente e tutta la sala era illuminata a giorno, malgrado fuori regnasse un buio profondo.

Darkebetz era poco visibile dietro le fiamme e per il momento nessuno sarebbe stato in grado di attraversare la linea di fuoco che li divideva.

“Lavoro magnifico,” esclamò Towalce. ”Questo ci darà il tempo per preparare un nuovo piano d'attacco.”

Hevonie si voltò a guardarlo e gli appoggiò una mano sulla spalla.

“Questa potrebbe essere la nostra unica occasione.”

”Allora non possiamo permetterci di sbagliare,” le disse.

“E non sbaglieremo,” aggiunse Korban con convinzione.

“Anche senza l'enorme forza di Darkebetz, le possibilità sono senza speranza,” Hevonie ammise.

“Possiamo andare a chiamare rinforzi al Concilio,” suggerì Towalce.

“No,” disse Hevonie. ”Non arriverebbero mai in tempo. Ma soprattutto sento che devo farlo da sola.”

“Stai pur certa che noi saremo con te,” la rassicurò Korban.

“D'accordo, ma stiamo attenti.”

 

 

Capitolo 48


 

Hevonie si voltò e cominciò ad avvicinarsi al centro della sala, seguita sia da Korban che da Towalce. Il muro di calore cominciò a perdere la sua intensità, si era abbassato, ma formava comunque una barriera invalicabile.

Hevonie guardò la scena che si presentava davanti a loro, la figura scura che si ergeva dietro la parete di fuoco. Poteva vedere il vestito nero di Darkebetz e le sagome delle Muriene soldato accanto a lei. Si concentrò sulla sua figura, fissandola negli occhi, quindi sussurrò le giuste parole.

Darkebetz cominciò a contorcersi e dopo pochi istanti rivelò la sua vera natura. Una bestia immonda, molto più grande di come Hevonie se l'era immaginata, fatta di materia nera e dalla pelle ruvida e grinzosa.

Aveva dei grandi denti affilati che scintillavano quando apriva la bocca senza labbra. Urlò mentre lottava per mantenere la sua anima all'interno del corpo di Lisian, un suono mostruoso raggiunse le orecchie di Hevonie.

“La sua rabbia potrebbe rivelarsi la nostra fortuna,” disse Korban. ”Ma non durerà a lungo.”

“È ora.” Annunciò Hevonie mentre alzava lo specchio.

Lo teneva con tutte e due le mani e cominciò a recitare tutti gli incantesimi senza interruzione. Darkebetz urlò e si diresse verso loro tre, un lampo di luce rossa scaturì dalle sue mani.

Hevonie sentì la propria forza sfaldarsi contro l'attacco, i suoi limiti stavano per cedere, ma cercò in tutti i modi di resistere.

Sollevò lo specchio e pronunciò l'ultima frase dell'incantesimo.

Immediatamente un violento getto di energia blu e verde fuoriuscì da esso. Si trattava di un'energia immane, aveva l'intensità di cento fulmini tutti insieme, in un unico flusso.

Hevonie fu sommersa dall'improvvisa ondata di dolore che la attraversò in ogni parte del suo corpo e della sua mente.

Si era aspettata qualcosa del genere fin dal suo primo contatto con lo specchio, ma quello che le stava succedendo era molto più intenso di come se lo era immaginato.

Comprese che non c'erano limiti alla potenza di quell'oggetto, una volta attivato, era in grado di consumare tutta l'energia vitale del suo possessore.

Ma Hevonie era decisa a proseguire ugualmente.

Lentamente la carica d'energia dello specchio svanì, ma il dolore rimase. Hevonie sentì migliaia di pugnali affondarle nella carne, infilzandosi sempre più a fondo. Cercò di sfuggire a quel tormento che non le lasciava tregua. Poi quando sembrò essere arrivata al culmine, la sofferenza cominciò a svanire. Hevonie, che fino a quel momento era rimasta in piedi, si sentì cedere le gambe e cadde a terra. Lo specchio le scivolò dalle mani.

Per qualche attimo rimase semplicemente stesa sul pavimento, con la guancia sinistra attaccata alla fredda mattonella, sentendo il suo corpo molle, senza forza. I muscoli erano doloranti e non riusciva a muoversi, la sua vista si era offuscata, chiuse gli occhi e attese.

Infine provò a rialzarsi, il dolore era diminuito e anche la sua vista era più nitida. Si fermò a respirare profondamente per quanto il suo torace bruciante glielo permettesse. Quindi si appoggiò ad un gomito, il dolore era ancora intenso ma sopportabile, poi si guardò attorno.

Il muro di calore si era dissolto, ma l'aria era densa di fumo e non poteva vedere chiaramente davanti a sé. Lentamente girò la testa per cercare Towalce e Korban.

Li vide dirigersi verso di lei, quindi fece uno sforzo e si rimise in piedi. Si sentì tremare le gambe, come se un forte vento la stesse spazzando via, ma non cadde.

Guardò verso Darkebetz e con orrore vide che si trovava ancora al suo posto. Lo specchio non aveva funzionato. Un forte senso di frustrazione esplose dentro di lei. Pensò che era stato tutto inutile e che non c'era nessuna speranza di poterla fermare.

“Ho fallito,” disse Hevonie con un colpo di tosse che le squassò il torace.

“Hai fatto tutto il possibile,” la rincuorò Towalce.

“Ma non è servito a niente,” esclamò Hevonie. “La verità è che non so cosa devo fare.”

Guardò Darkebetz e poi lo specchio che giaceva a terra, una sensazione di rimpianto le fece salire le lacrime agli occhi. Ma le ricacciò subito indietro e nel farlo sentì la testa scoppiarle. Era furiosa con se stessa ed anche con lo specchio. Perché non aveva funzionato?

I suoi pensieri correvano a folle velocità, in cerca di risposte che non arrivavano. Come doveva usare la forza dello specchio? Dove aveva sbagliato?

“E tu saresti colei nel cui sangue scorre la Pura Magia?” Gridò Darkebetz con scherno.

Proprio in quel momento a Hevonie tutto divenne chiaro, la soluzione le si palesò davanti, l'ultimo pezzo del puzzle andò al suo posto. Vide che non c'era nessun'altra risposta possibile, se non quella che le apparve improvvisamente e chiaramente nella mente.

“Il sangue! La pietra ha bisogno del mio sangue,” esclamò Hevonie.

“Che cosa intendi dire?” Chiese Towalce.

“Dammi qua,” Hevonie prese la spada dalla mano di Towalce e fece una leggera incisione sul proprio palmo. Dalla ferita scaturì una striscia di sangue rosso acceso.

Strofinò la ferita sulla pietra, che a contatto con il sangue cominciò a brillare.

“Penso che adesso sia pronta,” concluse Hevonie.

“Stanno arrivando!” Gridò Towalce, indicando le Muriene soldato. Ora che il muro di fuoco era scomparso, si erano disposte in una linea compatta, pronte a riversarsi su di loro.

Towalce, guardando le Muriene, disse. ”Verremo sopraffatti.”

Darkebetz stava avanzando verso di loro, non c'era più tempo da perdere.

Hevonie raccolse lo specchio da terra.

“Adesso dovete fare quello che vi dico e alla svelta,” disse decisa.” Dovete cercare di distrarre le Muriene, mentre io attiverò di nuovo lo specchio.”

“D'accordo, io mi occuperò di quelle creature, mentre Towalce ti aiuterà a tenere a bada quell'essere immondo,” disse Korban.

Si voltò e raggiunse le Muriene più vicine che lo attaccarono immediatamente. Con la spada sguainata cominciò a colpirle, ferendone alcune. Indietreggiò per farsi seguire e le trascinò dietro di sé.

“Presto, fermiamo quel demonio,” mormorò Towalce.

Hevonie annuì e alzò lo specchio con tutte e due le mani, lo puntò dritto verso Darkebetz e cominciò ad evocare il primo incantesimo. Tutta la sequenza era formata da cinque formule e sapeva che per portarla a termine, il suo alleato più prezioso era il tempo. Quando Darkebetz si accorse che Hevonie portava al polso la pietra di Koltrane, ebbe una reazione violenta, la sua sicurezza sembrò vacillare.

“Maledetta!” Gridò inorridita.

Aveva davanti l'oggetto che temeva di più al mondo ed era cosciente che doveva fermare Hevonie prima che portasse a termine l'intera sequenza magica. Le Muriene erano quasi tutte assiepate intorno a Korban e Hevonie diede un'occhiata dietro di sé per assicurarsi che fosse in grado di mantenere la situazione sotto controllo. Towalce allontanava con la spada le poche Muriene rimaste che cercavano in tutti i modi di assalirli. Hevonie si concentrò maggiormente e cominciò ad enunciare il secondo incantesimo.

La pietra di Koltrane emanava una luce che andava gradatamente intensificandosi.

Darkebetz era a pochi metri da lei, ma sembrava già subire l'influsso dello specchio. Con un gesto repentino evocò un cerchio di fuoco che avvolse lei e Hevonie, escludendo Towalce.

“Ma cosa?” Towalce si ritrovò scagliato di lato, lottò per mantenere l'equilibrio e per non farsi sopraffare dalle Muriene, che svelte gli si erano gettate addosso. Con la spada sguainata ne abbatté due, ma le altre non accennavano a fermarsi.

Intanto Hevonie era giunta al terzo incantesimo, scandiva ogni parola per paura di sbagliare qualcosa. Sentiva lo specchio scaldarsi nelle sue mani, inoltre emanava una debole luce che con un moto ondulatorio si protendeva verso Darkebetz.

“Adesso siamo sole,” mormorò Darkebetz. “Tu ed io. Vediamo chi è la più forte.”

Hevonie concentrò la sua mente sul quarto incantesimo ma Darkebetz stava avanzando verso di lei con le mani protese, dalle quali fuoriuscivano scintille infuocate.

Hevonie girava lungo il cerchio di fuoco che creava un calore insopportabile ed ebbe l'impressione che si stesse stringendo intorno a loro due. Velocemente iniziò ad evocare il quinto incantesimo sforzandosi di restare concentrata. Darkebetz stava per afferrare lo specchio quando Hevonie finalmente pronunciò l'ultima parola.

Un raggio incandescente uscì dallo specchio. Più la forza aumentava, più la luce diventava accecante, quasi impossibile da guardare.

Hevonie sentì Darkebetz indietreggiare e respingere l'incantesimo con uno sforzo supremo. Ma Hevonie riuscì a mantenere il controllo, lo specchio la schermava.

Il calore estremo dell'energia dello specchio rischiava di bruciarle la pelle delle mani. Lo sentiva anche sulla faccia, il dolore cominciò a invaderla, ma era differente, più sopportabile.

Hevonie riuscì a resistere, se non avesse avuto la protezione della pietra, sarebbe già morta.

Chiuse gli occhi e malgrado sentisse il dolore crescere, riuscì a tollerarlo, anche se non avrebbe resistito ancora per molto, il calore era troppo intenso.

Quindi sentì Darkebetz urlare oltre il limite di un orecchio umano, un suono che rimbombò in tutta la sala.

Hevonie non si mosse fino a che vide l'orrenda anima nera di Darkebetz abbandonare il corpo di Lisian e fluire completamente nello specchio.

Poi calò il silenzio, attese qualche minuto, era ancora riluttante a credere che tutto fosse finito. Si sentiva strana, non riusciva a scacciare la paura, finché un improvviso dolore esplose dentro di lei.

Sentì il suo corpo tremare, abbassò lo specchio e cadde sulle ginocchia, poi aspettò che l'angoscia passasse. Aveva ancora le immagini abbaglianti negli occhi e attese che svanissero. Lentamente cominciò a riprendersi e alla fine la sua vista tornò normale. Il cerchio di fuoco era svanito e l'aria era intrisa di fumo e di un intenso calore.

Hevonie guardò lo specchio che adesso custodiva l'anima di Darkebetz e quel pensiero le diede i brividi.

Notò uno scintillio, sulla sua superficie si era creato un alone iridescente che sembrava volere staccarsi. Hevonie si spaventò, Darkebetz stava cercando di uscire.

Non sapendo cosa fare, lo guardò meglio e si accorse che nel manico di metallo si era creato un piccolo foro che non aveva notato prima.

Lo sfiorò con la mano e avvertì un forte calore nel dito sul quale indossava l'anello di Delmus. Nello stesso momento il foro si allargò e Hevonie vi scorse all'interno una sorta di luccichio. Sentì il dito scottare sempre più, quindi realizzò cosa doveva fare. Senza neppure sfilarselo, Hevonie incastrò l'anello nel foro e udì uno scatto. Immediatamente lo specchio cessò di brillare e quando ritirò la mano, la pietra si era staccata dall'anello rimanendo incastonata nel manico.

Aveva funzionato come un sigillo.

Hevonie si rialzò in piedi e guardò lo specchio che rifletteva il soffitto, inerte, uguale a qualsiasi altro specchio. Aveva intrappolato lo spirito di Darkebetz, ora il suo compito era finito.

Si avvicinò al corpo di Lisian, che giaceva a terra inerme e fragile. La sua vista le procurò una tristezza infinita.

Ma trasalì quando vide le Muriene che erano tornate ad aiutare la loro padrona, seguite da Korban e Towalce che lottavano strenuamente per fermarle. Ma le Muriene erano tante e loro tre, da soli, non sarebbero riusciti a fermarle. Una di esse le si avventò contro, travolgendola e gettandola a terra. Hevonie cercò di proteggere con il suo corpo lo specchio, se glielo avessero sottratto, sarebbe stato tutto inutile.

Cercò un incantesimo nella pietra ma la trovò vuota, probabilmente aveva esaurito la sua energia nella lotta contro Darkebetz. Stava per rialzarsi quando sentì qualcosa di duro premerle contro il fianco.

Si fece forza e infilò la mano nella tasca del suo giubbetto e ne tirò fuori la sfera Porcospino che le aveva dato Rosik prima di morire. Si ricordò improvvisamente che serviva ad uccidere i non morti e le Muriene erano per certi versi simili agli Hinumati. Erano creature senza anima, tenute in vita dagli incantesimi della Magia Proibita.

Senza pensarci due volte, Hevonie sgusciò via dalla Muriena e si piazzò in un punto della sala, dove rimase ferma ad aspettare.

“Scappa!” Gridò Towalce, vedendo che le Muriene stavano dirigendosi in massa verso di lei. Evidentemente volevano riprendersi lo specchio che conteneva lo spirito della loro padrona.

Ma Hevonie non si mosse, teneva lo specchio davanti a sé con la mano sinistra, come se volesse attirarle, mostrando loro l'oggetto che tanto bramavano. Mentre nella mano destra chiusa a pugno, stringeva la sfera di Rosik, pronta a lanciarla.

“Che cosa pensi di fare?” Urlò Korban.

“Solo uno stupido tentativo,” rispose Hevonie ostentando una sicurezza, che forse per la prima volta possedeva.

Ignorando le proteste, aspettò che le Muriene si collocassero a semicerchio intorno a lei, quindi gettò in mezzo a loro la sfera, che appena toccò terra, esplose. Dai suoi minuscoli forellini vennero sparate decine di aghi che si conficcarono nelle carni delle Muriene.

Hevonie si piegò sulle ginocchia, tenendosi la testa tra le mani. Alcuni aghi la colpirono, ma su di lei non ebbero alcun effetto, tranne il lieve bruciore dato dalle punture.

Quando si rialzò, rimase sbalordita dalla scena che si presentava davanti a lei. Tutte le Muriene erano sdraiate a terra e si contorcevano in una terribile agonia.

I loro corpi si stavano sgretolando mentre il sortilegio che le teneva in vita defluiva da ognuna di esse. Questa volta l'invenzione di Rosik aveva funzionato e dentro di sé Hevonie lo ringraziò di cuore.

Contemporaneamente le statue di cristallo si dissolsero e il loro posto fu preso da persone in carne e ossa. L'incantesimo era stato spezzato.

Le mani le bruciavano molto, ma non era nulla di grave. Si voltò e vide Korban e Towalce che nonostante fossero feriti, correvano verso di lei. Nonostante il dolore e la stanchezza, Hevonie trovò la forza di sorridere.

 

 

Capitolo 49


 

Hevonie era tornata a Kosworth, dove aveva ritrovato Zoelle, Lord Kerris e diverse altre persone che fortunatamente erano sopravvissute all'assalto.

Il Concilio dei maghi era riuscito a ricacciare i demoni all'interno del vulcano di Overlack. Senza un capo che li guidasse, si erano disgregati e questo aveva facilitato la loro cattura.

Si era scoperto che Malwen aveva dei seguaci tra i fedeli del re, alcuni di loro erano stati arrestati con l'accusa di alto tradimento, mentre altri erano sfuggiti alla cattura.

Anche tra i membri della Legione Oscura si erano verificati degli arresti, ma anche in quel caso molti componenti si erano dileguati e sicuramente avrebbero tenuto viva la loro congrega dedita al culto di Darkebetz.

Lo specchio che conteneva l'anima di Darkebetz era stato sigillato e nascosto in un luogo segretissimo, dove sarebbe rimasto sepolto per sempre.

Era uno strumento temibile ma nello stesso tempo non poteva essere distrutto, altrimenti l'anima racchiusa al suo interno sarebbe stata di nuovo libera.

Il trono era vacante da troppo tempo ormai, quindi si decise di procedere al più presto all'incoronazione di Hevonie. La notizia era stata diffusa in tutti i regni confinanti e le maggiori personalità erano state invitate.

La preparazione della cerimonia avrebbe richiesto molto tempo, ogni dettaglio doveva essere curato nei minimi particolari.

Tutti avevano accettato l'invito, nessuno voleva mancare a un avvenimento di così straordinaria importanza, perché ognuno voleva ammirare la nuova regina.

Colei nel cui sangue scorre la Pura Magia.

Hevonie si era prodigata affinché i rappresentanti di tutti i popoli fossero invitati.

Ormai mancavano pochi giorni all’incoronazione e Hevonie non riusciva ancora a credere di come la sua vita fosse cambiata negli ultimi mesi.

Gli avvenimenti si erano succeduti senza sosta e solo quel pomeriggio per la prima volta si ritrovò ad avere un po' di tempo libero. Era stata dura riprendersi da tutti i patimenti subiti, ancora portava i segni dello scontro con Darkebetz, ma lentamente tutto stava tornando alla normalità.

Per rilassarsi, Hevonie decise di fare una passeggiata a cavallo, quindi si recò nelle stalle reali. Quando vi giunse, trovò all'interno Towalce che stava spazzolando Monsieur Zacò.

”Allora, sei contenta del regalo?” Le chiese vedendola.

“Certo, non mi sarei mai immaginata che Delmus si privasse di un Cavaldedro,” rispose Hevonie. “Ha detto che l'intero Concilio ha votato all'unanimità e hanno deciso che grazie al mio spirito di sacrificio, mi meritavo questa magnifica creatura.”

“Sì, ma adesso non ti montare la testa,” la schernì Towalce.

“Vedremo. Tu piuttosto, adesso cosa farai?”

“Tornerò a casa ad aiutare mio padre, ultimamente l'ho un po' trascurato. Inoltre ci sono parecchi villaggi da ricostruire, c'è molto lavoro da fare,” poi la guardò negli occhi e aggiunse. “Se Sua Altezza me lo permette.”

“Sua Altezza?” disse Hevonie. ”Mi stai prendendo in giro?”

“Bè, è quello che stai per diventare, la regina di Kosworth, mentre io sono e sarò sempre un semplice duca.”

“Se le cose stanno così, allora ho già un ordine per te,” Hevonie si schiarì la voce e annunciò. ”In qualità di tua regina, ti ordino di comparire al mio fianco durante la solenne cerimonia d'incoronazione. Tutti devono sapere chi mi ha aiutato a salvare il regno.”

Towalce la guardò incredulo. “Dici davvero?”

“Voglio che tu sia presente all'incoronazione più di chiunque altro.”

“Non so cosa dire. E' un grande onore.”

Towalce la fissò intensamente e Hevonie avvertì delle emozioni contrastanti dentro di lei. Per un momento si perse nei suoi occhi azzurri e sentì affiorare un sentimento nuovo, forse a lungo represso.

Distolse lo sguardo imbarazzata.

Ma Towalce l'attirò a sé e lentamente posò le labbra sopra le sue. La mano di lui cominciò a risalire il braccio di Hevonie, premendo sulla pelle morbida. Il suo palmo era caldo, le dita forti e la sua carezza delicata.

“Ho sbagliato?” Sussurrò Towalce, guardandola negli occhi.

Hevonie scosse la testa e sorrise.

”Il fatto è che non me lo aspettavo.”

Towalce si staccò da lei con riluttanza.

“Se devo essere sincero neanch'io.”

“E adesso?” Chiese Hevonie.

“Immagino che ci dovremo fidanzare,” Towalce assunse un'aria pensierosa.

Hevonie scoppiò a ridere, ma quando vide che Towalce restava serio, smise.

“Stai scherzando, vero?”

“Ti dispiacerebbe?” Le chiese. “In effetti la nostra unione sarebbe impossibile. Tu sei la regina ed io dovrei ricoprire il ruolo di principe consorte. Forse hai ragione, io sarei sempre un passo dietro a te e la cosa non mi piacerebbe affatto.”

“E cosa dovrei fare secondo te?” Protestò Hevonie. ”Abbandonare il trono per amore? Il mio ruolo è questo e non intendo certo rinunciarvi.”

“Non te lo chiederei mai,” rispose Towalce. “Il regno ha bisogno di una guida e penso che tu sia la persona più adatta per questo compito.”

“Allora non c'è via d'uscita,” disse Hevonie imbronciata.

“Lasciamo le cose come stanno.”

“E' la soluzione migliore,” convenne Towalce.

Hevonie non disse niente, lo vide voltarsi e sapeva che stava per andarsene. Ma allo stesso tempo riusciva ad avvertire l'esitazione di lui.

“Aspetta!” Lo chiamò.

Towalce si fermò, ma rimase voltato, dandogli le spalle.

“Volevo dirti che grazie a te ho potuto sconfiggere la minaccia che rischiava di distruggere il regno intero,” disse Hevonie. “Sei la persona di maggior valore che abbia mai conosciuto. E devi sapere che stando al mio fianco potresti realizzare molti progetti e avere maggiore libertà di quanto tu creda.”

Towalce si girò verso di lei e si avvicinò.

“Non devi sentirti in obbligo nei miei confronti, io ti ho aiutato perché volevo farlo. Non devi offrirmi il trono solo per riconoscenza.”

Hevonie non sapeva come esprimere quello che provava e abbassò lo sguardo.

“Cosa c'è?” Le chiese Towalce alzandole con delicatezza il mento con la mano.

Lei lo fissò negli occhi ma non riusciva a trovare le parole adatte.

“Ho paura di perderti,” confessò infine.

Towalce la prese per le braccia e la strinse forte a sé. Sfiorò con la guancia il suo viso e poi cercò le sue labbra morbide, sulle quali posò un lievissimo bacio.

Monsieur Zacò scelse quel momento per lanciare un forte nitrito. Vedendosi ignorato, ne lanciò un altro.

“Sembra che qualcuno voglia fare una passeggiata,” disse Towalce ridendo.

“Allora, non possiamo deluderlo,” concordò Hevonie.

All'improvviso fece la sua comparsa Otto, che si mise ad abbaiare allegramente.

“Ci mancava solo lui,” esclamò Towalce alzando gli occhi al cielo.

“A quanto pare ha deciso di vivere qui,” rispose Hevonie. “E io sono contenta di questo. Gli voglio molto bene. Spero che non ti dispiaccia.”

“Assolutamente no, lui era molto affezionato a mio cugino Liron e ha sofferto molto per la sua scomparsa. Qui sarà sicuramente felice,” disse Towalce. “È un bravo cane, se lo merita.”

“Ci stiamo dimenticando di Monsieur Zacò,” esclamò Hevonie.

Lo sellarono e salirono entrambi in groppa al Cavaldedro, nel giro di pochi minuti si trovarono in volo sopra Kosworth.

Quando Hevonie ripensò al pericolo che il regno aveva corso, rabbrividì. Si ripromise di garantire la sicurezza e contemporaneamente la libertà a tutto il suo popolo.

Il vento le scompigliava i capelli mentre ammirava il paesaggio sottostante.

“Sai, adesso che ci penso c'è una cosa che non sono riuscita a concludere,” gridò Hevonie per sovrastare il rumore del vento.

“Che cosa?” Chiese Towalce.

“Non ho ancora catturato il negromante che manovrava gli Hinumati,” rispose Hevonie. “Ero ad un passo dallo scoprire chi fosse, quando gli eventi sono precipitati.”

“Quando deciderai di andare a cercarlo, se vuoi, ti aiuterò anch'io.”

Hevonie si strinse forte a Towalce e per la prima volta in vita sua, si sentì veramente felice.

 

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Towalce, nonostante le sue proteste, era stato investito di un titolo onorifico per i valorosi servigi che aveva prestato al regno di Kosworth.

Poi fu la volta di ufficializzare il fidanzamento.

La cerimonia fu semplice. Gli invitati erano pochi e molti si lamentarono per essere stati esclusi. A Korban fu offerto un ruolo di rilievo nell'amministrazione degli affari interni del regno, ma lui rifiutò. Voleva rimanere un uomo libero, promise però di restare a disposizione in caso di bisogno.

Il posto vacante di mago di corte, occupato in precedenza da Malwen Rakomar fu affidato a Oktar.

Hevonie dovette insistere parecchio, perché il vecchio mago accettasse quel ruolo, alla sua età preferiva vivere tranquillo. Ma Hevonie lo pregò di aiutarla. Lei era giovane e senza esperienza, mentre lui, che aveva ricoperto quel ruolo quando regnava suo nonno, era la persona ideale.

Alla fine, nonostante le sue remore, Oktar accettò di buon grado di tornare a corte. Ma solo temporaneamente, in attesa di trovare un mago all'altezza del compito.

Il giorno dell'incoronazione giunse in fretta e ormai tutti i preparativi erano terminati.

La vestizione, con tutti i suoi ornamenti, aveva richiesto diverse ore di lavoro.

L'evento avrebbe avuto luogo nella sala del trono, a Kosworth, a cui sarebbe seguita la sfilata del corteo lungo la strada principale della città per permettere a tutti di vedere da vicino la nuova regina.

Hevonie era emozionata e raggiunse Towalce che si mise al suo fianco e le lanciò uno sguardo pieno di ammirazione e nel contempo di sostegno. Salì da sola sul palco rivestito di drappi preziosi e contornato da magnifici fiori.

Davanti a lei si estendeva una platea di personaggi seduti su comode sedie imbottite. Tutti sfoggiavano i loro abiti migliori e nessuno si era risparmiato in quanto ad ori e gioielli.

Quando tutto fu pronto, il gran cerimoniere alzò la corona con entrambe le mani e la folla si zittì immediatamente.

Le luci si riflettevano sull'oro scintillante e sulle pietre preziose di cui era tempestata.

Con voce forte e chiara il gran cerimoniere pronunciò le promesse che Hevonie doveva ascoltare e accettare.

“Per il potere della spada che combatte le ingiustizie su questa terra. Per il potere dello scudo che difende il nostro popolo. Per il potere dello scettro che rappresenta la magia. Grazie all'autorità a me conferita dalla legge di Kosworth, consegno a te Hevonie Heronberg, la corona del potere reale affinché tu possa onorare gli impegni e i doveri imposti dal tuo ruolo di regina.”

L'uomo fece una pausa, poi concluse dicendo.

“Che tu possa regnare con la stessa saggezza e lungimiranza dei tuoi predecessori.”

Hevonie si inginocchiò e il gran cerimoniere le posò la corona sulla testa, subito dopo, un applauso fragoroso esplose nella sala.

Hevonie era così emozionata che quando si rialzò le tremavano le gambe.

Adesso toccava a lei parlare, fece un respiro profondo e cercò di tenere a bada l'agitazione.

“La mia incoronazione non vuole essere il simbolo di un potere fine a se stesso,” esordì rivolgendosi agli invitati. “Ma vuole rappresentare una speranza per il futuro del regno. Nessuna minoranza verrà dimenticata e farò in modo di assicurarmi personalmente che i diritti di tutti vengano rispettati.”

Proseguì il discorso che aveva preparato con l'aiuto di lord Kerris. Anche se aveva accuratamente tagliato tutte le parole pompose tipiche dello stile del gran consigliere.

Quando ebbe finito, scoppiò un altro applauso, quindi raggiunse Towalce che la aspettava in piedi, di fianco al trono.

“Sarai la migliore regina mai esistita,” le disse con orgoglio.

“Lo spero proprio, farò tutto quello che potrò per riuscirci,” la voce di Hevonie si sentiva appena, sovrastata dalle grida entusiastiche della gente.

“Se avrai bisogno di me, io ci sarò sempre, ricordatelo.”

“Grazie, è importante per me saperlo,” mormorò Hevonie.

Quando l'incoronazione terminò, un numero impressionante di persone attendeva la nuova regina fuori dal palazzo. Nel momento in cui apparve davanti alla folla, un coro di grida festose esplose insieme con una moltitudine di applausi.

Hevonie e Towalce salirono sulla carrozza reale e sfilarono davanti alla gente, che lungo la strada, li salutava con grida e urli di gioia. Molte bandiere sventolarono al loro passaggio, accompagnate da lanci di fiori.

Attraversarono la Piazza d'Arme e Hevonie osservò la targa posta in memoria di Rosik, il suo caro amico morto per difenderla. Quando ebbe l'occasione d'incontrare il padre, gli ribadì quanto doveva essere fiero di suo figlio. Essendo un ufficiale dell'esercito, il colonnello capì l'importanza del gesto di Rosik. Nonostante l'immenso dolore per la sua morte, ebbe un moto di orgoglio per il coraggio che aveva dimostrato.

Mentre la carrozza proseguiva lungo il corteo, Hevonie continuava a salutare la folla festante. Riconobbe i Troll, gli elfi, i folletti e anche gli Onsin con i quali c'era stata una riconciliazione. Avevano capito che il loro atteggiamento schiavista nei confronti dei folletti era profondamente sbagliato.

Solo gli gnomi non erano stati invitati a causa dei loro atti persecutori ai danni dei Troll. Hevonie aveva già stilato un editto, dove si applicavano pene severissime a chiunque commettesse questo genere di reati. Aveva inoltre insistito perché i colpevoli che si fossero macchiati di tali crimini, fossero immediatamente arrestati e processati.

Un fiore le cadde in mano, era una rosa bianca.

Hevonie era profondamente colpita e nello stesso tempo commossa nel vedere tutte quelle dimostrazioni d'affetto da parte della gente.

Si chiese se suo padre, vedendola, sarebbe stato orgoglioso di lei e solo in quel momento realizzò quanto gli mancasse.

Avrebbe voluto raccontargli tante cose, dirgli che malgrado tutti gli ostacoli alla fine c'era riuscita, aveva mantenuto la promessa.

Darkebetz era stata sconfitta e il regno era salvo.

Durante tutta la parata Hevonie mantenne un comportamento di apparente serenità, anche se i suoi occhi continuavano a riempirsi di lacrime.

“C’è qualcosa che non va?” Le domandò Towalce.

“No, non c'è niente,” rispose Hevonie sorridendo. “Davvero, va tutto bene.”

 

 

 

FINE

 

 

 

 

Oak – Il regno magico

 

Romanzo fantasy

 

 

James Oak non sa che la sua vita cambierà per sempre.

Una sera mentre sta tornando a casa si imbatte in un ragazzo, che per salvargli la vita lo trasporta con lui a Tollock, una città magica e completamente invisibile agli esseri umani.

Dopo lo shock iniziale, James inizia a conoscere un mondo misterioso e scoprirà che l’unico modo per tornare indietro è quello di ritrovare un prodigioso bastone magico.

Ma per riuscirci dovrà intraprendere un viaggio ricco di fantastiche avventure e verrà trascinato in un mondo popolato da una miriade di incredibili personaggi.

 

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