Katlin aveva ragione, lei era cambiata, la morte di suo padre era stata lo spartiacque tra la sua vecchia vita e quella che avrebbe dovuto affrontare d'ora in avanti. Avvertiva un senso di vuoto, le sembrava di non avere più punti di riferimento.
E soprattutto, anche se non osava ammetterlo, si sentiva molto sola. Finirono di prepararsi aiutate dalle cameriere, che le sistemarono i vestiti e acconciarono i loro capelli. Furono truccate, incipriate e investite da una nuvola di profumo, poi indossarono scarpette con il tacco e guanti di morbido taffetà.
Il risultato era strabiliante, Hevonie lo notò quando fecero il loro ingresso nell'enorme sala da pranzo. Tutti gli occhi furono calamitati dalle due ragazze, in special modo quelli del pubblico maschile. Hevonie era solita essere al centro dell'attenzione, il suo ruolo di principessa l'aveva sempre posta in quella condizione.
Ma per la prima volta percepì che molti sguardi fossero di autentica ammirazione, non per il suo aspetto ma per quello che lei adesso rappresentava per il futuro del regno. Il tavolo principale era lungo dodici metri ed era già gremito da diversi ospiti, Hevonie e Katlin furono fatte accomodare alla sinistra della marchesa.
La marchesa, che sedeva a capotavola, stava parlottando e ridendo con un gentiluomo e nascondeva le sue risate con un leggero ventaglio di seta. Hevonie notò che il posto d'onore, quello direttamente al fianco destro della marchesa era ancora vuoto. Doveva essere riservato all'ospite più importante che in questo caso, non era lei. Hevonie non era abituata ad essere ignorata in questo genere di occasioni e una volta una cosa del genere l'avrebbe infastidita.
Ora invece, il fatto di passare in secondo piano, le permise di rilassarsi. Oltretutto cercò di non dimenticare che quello non era un soggiorno di piacere, ma un periodo di convalescenza. Quindi si sforzò di apprezzare la serata sperando di gustare del buon cibo e di conoscere persone simpatiche. Hevonie cominciò ad osservare gli ospiti e notò che nessuno si era risparmiato in quanto a lusso e sfarzo.
Le signore indossavano i loro abiti più belli e facevano sfoggio di un'incredibile quantità di gioielli. Anche gli uomini non erano da meno, da quando si era diffusa la moda di decorare i vestiti maschili con pietre preziose, il luccichio era impressionante. Tutti sfoggiavano il proprio status sociale, anche se Hevonie sapeva bene, che dietro questo fasto, alcuni nascondevano i propri problemi economici.
Questo stile di vita era stato sempre osteggiato da suo padre, a Kosworth si cercava di mantenere una condotta piuttosto sobria. Al contrario si preferiva investire nelle scienze e nell'arte, infatti il castello conservava degli autentici capolavori. Hevonie notò che la marchesa aveva gli occhi di un azzurro chiarissimo, color dell'acqua e solo qualche lieve ruga tradiva il fatto che avesse superato i cinquant'anni. La pelle del suo viso era liscia e compatta. Hevonie sapeva che la marchesa aveva avuto due mariti ed era madre di tre figli, tutto sommato era una donna ancora bella ed affascinante, oltre che molto ricca.
“Oh, mia cara,“ la marchesa le rivolse la parola, strappandola dalle sue considerazioni.
“Volevo farti sapere che la tua presenza qui, rappresenta un autentico piacere per tutti noi.”
Con lo sguardo cercò tra i suoi ospiti cenni di approvazione, che arrivarono puntuali.
“Domani sera ci sarà un ballo in occasione del mio compleanno, spero che ci allieterai con la tua partecipazione,” proseguì la marchesa con la sua voce cinguettante.
“Lo spero anch'io,” Towalce apparve all'improvviso a fianco della marchesa. Le prese la mano e la baciò, poi si mise a sedere al posto d'onore, che a quanto pareva, era stato riservato a lui, lasciando Hevonie sempre più perplessa.
“Allora mia cara? Possiamo contare su di te?” Le chiese la marchesa.
“Senz'altro, grazie,” bofonchiò Hevonie, mentre Towalce la guardava attento.
Poi alcuni musicisti, posti su un palco in fondo alla sala, cominciarono a suonare delle soavi melodie, il suono del pianoforte e del violino crearono un'atmosfera suggestiva.
Ci furono varie presentazioni tra gli ospiti, abbastanza informali, anche se era presente una buona fetta di nobiltà. Inoltre c'erano alcuni ambasciatori e altri personaggi non meglio identificati. Hevonie si guardava in giro, ma il suo sguardo veniva continuamente calamitato da Towalce.
Vide che la marchesa ascoltava attentamente le parole di Towalce. A volte il suo sguardo si faceva serio, il che suggeriva che parlavano di cose più importanti di quello che l'atmosfera superficiale della serata lasciava intendere.
Sembravano molto intimi, forse Towalce era il suo amante, ma scacciò quel pensiero come assai improbabile.
Anche se ultimamente si era diffuso il vezzo tra le nobildonne di prendersi dei cavalieri serventi molto giovani.
Quasi certamente la marchesa si sentiva lusingata di ricevere le attenzioni di un ragazzo così affascinante.
Hevonie distolse lo sguardo e si concentrò sulla cena che stava per essere servita. Notò che più il vino veniva versato, più la conversazione si faceva allegra e rumorosa.
A differenza della marchesa, Towalce non aveva toccato nessun tipo di bevanda alcolica. Malgrado cercasse di non farlo, Hevonie continuava a lanciare sguardi furtivi verso Towalce, che invece sembrava ignorarla.
La conversazione durante la cena si fece leggera e divertente, nessuno aveva voglia di affrontare argomenti troppo seri. La musica era un piacevole sottofondo a un costante chiacchiericcio, che veniva interrotto spesso da risate e frequenti brindisi. Hevonie scambiò poche parole con i suoi vicini di posto, mentre Katlin sfoggiava la sua parlantina e la sua capacità d’intrattenimento.
Quando la cena finì, la marchesa invitò tutti a seguirla in un altro salone, per proseguire la serata ascoltando una nota cantante e a degustare dolci e caffè.
Nel movimento generale, Hevonie quasi si scontrò con Towalce, anche se in realtà, aveva avuto la netta impressione che la stesse aspettando volutamente.
“Scusa,” disse Hevonie.
“Ti stai divertendo?” Le chiese sorridendo.
“Sì, abbastanza,” rispose Hevonie che in realtà si stava piuttosto annoiando.
“Oh, eccovi qui,” si avvicinò la marchesa. “Tutto bene, cara?”
“Sì, benissimo, vi ringrazio.”
“Mi sembri un po' pallida, Towalce perché non accompagni la principessa a fare un giro fuori, magari un po' d'aria fresca le farà bene.”
“Ma io...” Hevonie non fece in tempo a terminare la frase, che Towalce le aveva già teso la mano.
“Se la principessa mi concede questo onore, molto volentieri.”
Hevonie non poté fare altro che prendere la sua mano e seguirlo.
Towalce la guidò attraverso gli invitati e improvvisamente si ritrovarono in una sala quieta, dalle luci soffuse. La musica risuonava lontana, così come le voci e tutto il resto.
“Sei già stata nel giardino delle rose?” Le chiese Towalce.
“No, anche se sono qui da una settimana, oggi è il primo giorno che esco dalla mia stanza.”
“Allora, devi proprio vederlo, è un autentico paradiso, ci sono le rose più belle e più rare.”
Si recarono all'ingresso, dove alcuni domestici in livrea stavano impettiti ai loro posti, quando li videro, fecero un inchino e si affrettarono ad aprire il portone.
Passeggiare in mezzo ai magnifici giardini illuminati dalla luce dorata dei lampioni, che rendevano l'atmosfera intima e romantica, a Hevonie fece uno strano effetto.
“Prima non sei stata sincera, vero?” Chiese Towalce.
“Riguardo a cosa?”
“Ti ho osservata durante la cena e avevi un'espressione smarrita, per questo sono venuto a salvarti,” le disse con aria complice.
“Davvero?” Domandò Hevonie, vergognandosi un po’ per avere esternato così chiaramente il suo stato d'animo.
Towalce si avvicinò e lei si sentì sopraffatta dalla sua presenza, alzò lo sguardo su di lui e fu subito catturata dai suoi intensi occhi azzurri. Si accorse di trattenere il respiro.
“Ah, eccovi qui!”
Katlin balzò fuori dal nulla e si avvicinò a Hevonie con passo deciso. Fece un inchino all'indirizzo di Towalce, che ricambiò con garbo.
“È da un po' che ti sto cercando, adesso iniziano le danze e ci sono alcuni cavalieri che sono impazienti di ballare con te,” annunciò Katlin, cercando di trascinare via l'amica.
“Immagino che non vedevi l'ora, vero?” Towalce commentò con ironia.
Hevonie era riluttante a seguire Katlin, ma lei sembrò non accorgersene.
“Tu non vieni?” Chiese infine a Towalce.
“No, resto qui, voi andate, magari ci vedremo più tardi.”
Si salutarono e Katlin si avviò con Hevonie verso la sala da ballo.
“Raccontami cosa vi siete detti,” esordì Katlin tutta eccitata.
“Niente di speciale, stavamo solo chiacchierando.”
“Ti ha parlato di me?”
“Sinceramente no,” rispose Hevonie, poi aggiunse. “Ma solo perché non ne ha avuto il tempo.”
“Come no! Ho capito che non gli interesso affatto,” sbuffò Katlin. ”Comunque stasera ho conosciuto un visconte niente male e gli ho promesso un ballo.”
Entrarono nella grande sala gremita di gente e Hevonie malgrado non ne avesse assolutamente voglia, cominciò a ballare con un cavaliere, poi con un secondo e con un altro ancora, in un turbine senza sosta. Poi il suo fisico provato la costrinse a smettere e si mise seduta a riprendere fiato. Il suo sguardo vagò per tutta la sala, sperando di trovare Towalce, ma si rassegnò al fatto che per quella sera, non lo avrebbe rivisto.
La mattina seguente Katlin raggiunse Hevonie nella sua camera, erano ancora assonnate per essere andate a letto tardi.
Però la buona etichetta richiedeva ugualmente che si rispettassero gli orari stabiliti dalla padrona di casa.
Fuori dalla finestra il sole faceva risplendere con i suoi raggi le magnifiche piante del parco.
“E allora, cosa mi dici di ieri sera?” Chiese Katlin.
“Che cosa ti dovrei dire?”
“Non so, c'erano tanti ragazzi, possibile che nessuno di loro ti abbia colpito?”
“A dire la verità, no,” rispose Hevonie.
“Ho capito, ti piace Towalce, te lo si legge in faccia!” Esclamò Katlin.
“Figurati, siamo solo amici, ogni volta che restiamo insieme finiamo sempre per litigare,” sbottò Hevonie seccata.
“Comunque non ci sarebbe nulla di male se ti piacesse.”
“Lo so, ma si dà il caso che le cose non stanno così,” sbuffò Hevonie.
“Va bene, ti credo,” sorvolò Katlin. “Abbi pazienza, vedrai che alla fine troverai qualcuno d’interessante.”
“Oh, sei impossibile!” Esclamò Hevonie alzandosi dal letto e cercando qualcosa da mettere.
“Fai come vuoi, io cercò solo di tirarti su il morale.”
“Apprezzo il tuo impegno, ma se permetti, preferirei sbrigarmela da sola.”
“Questo è il ringraziamento, dopo che io mi preoccupo tanto per te,” piagnucolò Katlin.
“Dai, non fare così,” Hevonie cinse con un braccio le spalle dell'amica. “Ma devi capire che non voglio più vivere sotto una campana di vetro. L'ho fatto per ben diciotto anni. E questo mi ha portata ad ignorare molte cose che hanno causato queste rovinose conseguenze. Da adesso in poi voglio decidere da sola ed assumermi le responsabilità delle mie azioni.”
“Questo tuo nuovo atteggiamento, quasi mi spaventa,” disse Katlin sorpresa.
“Non devi dire questo, sono sempre io, soltanto che adesso ho qualche cicatrice in più, sia nell'anima che sul corpo,” si schernì Hevonie.
Si abbracciarono e la tensione fu spazzata via del tutto.
“Che cosa indosserai per il ballo di questa sera?” Chiese Katlin ravvivata.
“Non farmici pensare, l'idea di affrontare un altro ballo mi fa star male.”
“Sei impazzita? Ci sarà tutto il bel mondo, avrai modo di stringere molte amicizie importanti e dimostrare che sei cambiata. Che non sei più la principessa scapestrata di una volta.”
“Già, ma immagino che non sarà facile.”
“Cosa c'è che non va?”
“Mi sento come una girandola, senza punti fermi. Sono venuta qua per riposarmi e riflettere sul mio futuro. Devo prendere delle decisioni importanti, ma sembra che sia il luogo meno adatto per queste cose.”
“Sciocchezze, qui avrai modo di conoscere molte persone utili alla tua causa e capire chi è dalla tua parte e chi no. Sai bene come funzionano gli intrighi di corte.”
“Purtroppo sì,” convenne Hevonie.
“Adesso andiamo però,” disse Katlin. “La colazione ci aspetta.”
Hevonie passò la giornata in compagnia di Katlin e si ritrovarono a fare le perfette sfaccendate. Non avere niente da fare, lasciò a Hevonie il tempo di pensare a Towalce.
In cuor suo avrebbe tanto desiderato rivederlo, ma sembrava sparito e lei non osava chiedere dove fosse. Sperava di rincontrarlo al ballo quella sera, ma lui le aveva esplicitamente detto che non amava i balli, quindi dubitò che venisse. Prima di cena Hevonie sedeva svogliata davanti al tavolino pieno di trucchi e accessori.
Giocherellava con dei nastrini e guardava fuori dalla finestra la luna, che brillava nel cielo. La cameriera stava dando gli ultimi ritocchi al suo vestito, quando Katlin fece il suo ingresso già pronta di tutto punto.
“Sei bellissima,” disse Hevonie osservando l'immagine di Katlin riflessa nello specchio.
Si alzò dalla sedia e le andò incontro ammirando il suo aspetto smagliante.
“Grazie, mia cara. E' da circa un'ora che mi sto preparando. Purtroppo vedo che tu non hai fatto lo stesso. Lo sai che se non ti sbrighi arriverai in ritardo.”
“Hai ragione, mi darò una mossa.” Hevonie sospirò e per non deludere Katlin, si vestì aiutata dalla cameriera e in pochi minuti, fu pronta.
“Che ne dici?” Chiese a Katlin.
“Non c'è male, ma potresti fare di meglio.”
“Meglio di così? Raccolgo i capelli e sono pronta.”
“No, aspetta,” la fermò Katlin. ”Questa sera lasciali sciolti sulle spalle.”
“E perché mai?”
“Hai dei capelli splendidi, è giusto che tutti li vedano.”
“Ma è disdicevole!” Protestò Hevonie.
“Disdicevole? Che parola ridicola! Da quando in qua ti preoccupi delle convenzioni?”
“Hai ragione,” ammise Hevonie. ”Mi sembra di sentire parlare lord Kerris, per lui tutto era disdicevole.”
Hevonie assunse lo sguardo sdegnato tipico del gran consigliere, facendo ridere Katlin e perfino la cameriera soffocò un risolino.
“Allora al lavoro, ti aiuto io.”
Katlin fece sedere Hevonie e si mise in piedi alle sue spalle. Poi cominciò ad armeggiare con elastici e forcine. Dopo un buon quarto d'ora, sorrise soddisfatta.
“Ecco, ho finito. Che cosa ne pensi?”
Hevonie si guardò allo specchio e non riusciva a credere ai propri occhi.
Una splendida chioma bionda, formata da morbidi boccoli, le incorniciava il viso, dandole un'aria molto romantica.
“Sei stata bravissima,” esclamò. ”Ma come hai fatto?”
“Sai una delle mie passioni è pettinare le parrucche, così a furia di provare sono diventata una vera esperta. I tuoi capelli sono molto belli, per cui non è stato difficile.”
“Speriamo che il nostro esperimento non faccia arricciare il naso agli invitati.”
“Lo scopriremo presto. Forza andiamo,” la incalzò Katlin eccitata.
Le due ragazze uscirono dalla stanza di corsa e Hevonie cercò di mantenere l'equilibrio sulle scarpette col tacco alto.
Scesero lungo la scalinata che portava alla sala da ballo, c'era tantissima gente e un forte mormorio che risuonava dappertutto. Hevonie cercò immediatamente tra gli invitati Towalce.
Quando all'improvviso lo trovò il suo cuore perse un colpo.
Towalce era fermo in un angolo e la fissava intensamente, per un attimo a Hevonie sembrò che nella sala ci fossero solo loro due e che tutto il resto non esistesse più.
“Allora, ti muovi o no?” Katlin le diede una spinta e la costrinse a camminare, facendoglielo perdere di vista.
“Siamo tra gli ospiti d'onore,” sussurrò Katlin con sussiego. “Tutti ci stanno guardando, non vorrai comportarti come una sciocca.”
“Posso avere il piacere?”
Hevonie si trovò davanti a un giovane ufficiale di cui non si ricordava il nome ma con il quale aveva ballato la sera precedente, che le porse il braccio. Hevonie accettò l'invito e lo seguì al centro della sala, dove le coppie si stavano disponendo per iniziare le danze.
Ad un segnale convenuto, l’orchestra cominciò a suonare, era composta da almeno una ventina di elementi. Hevonie era frastornata e si sentiva a disagio, il suo cavaliere le cinse la vita con un braccio e insieme cominciarono a muoversi, quando Towalce apparve al loro fianco e li fermò.
“Scusate, ma il vostro capitano chiede di voi,” disse con aria grave, rivolgendosi al giovane.
“Davvero? Per che cosa?” Chiese il ragazzo.
“Non lo so, ha detto solo di recarvi da lui e con urgenza.”
“Ma sto ballando con la principessa!”
“Non vi preoccupate, prenderò io il vostro posto, la principessa sarà al sicuro con me,” poi rivolgendosi a Hevonie disse. “Se a te non dispiace, ovviamente.”
“Certo che no,” rispose con un filo di voce Hevonie.
“D'accordo, vogliate scusarmi, a dopo,” il cavaliere si congedò con un inchino e Towalce prese subito il suo posto, cingendo la vita di Hevonie.
Lei non osava proferire parola, era solo consapevole della sua vicinanza e del contatto delle loro mani. Cominciarono a ballare e Hevonie si sentì in preda a mille emozioni.
“Per una ragazza alla quale non piacciono i balli, danzi molto bene.”
“Ho dovuto imparare per forza,” rispose Hevonie. Poi aggiunse. “Non pensavo che ti piacesse ballare.”
“Di solito no, ma avevo voglia di incontrarti.”
Hevonie non riusciva a trovare qualcosa di sensato da dire. Sollevò lo sguardo e i loro occhi s'incontrarono. Si creò un contatto visivo, dal quale lei non riusciva a sottrarsi.
Il ballo finì e Towalce avvicinò la mano di Hevonie alla sua bocca, lei avvertì il suo fiato caldo sul dorso della mano.
“Devo confessarti una cosa,” le sussurrò.
Hevonie deglutì, non trovando la forza di parlare.
“Non è vero che il tuo cavaliere era richiesto dal suo superiore. Era una scusa per poter danzare con te. Avrei potuto aspettare il prossimo ballo, ma quando ti ho vista entrare, eri così bella che non ho potuto resistere.”
Mentre parlava, Towalce avvicinò la sua mano al viso di Hevonie e con un dito sfiorò delicatamente la piccola cicatrice sulla sua guancia.
Hevonie abbassò gli occhi, le sembrava che ci fosse un fuoco ardente tra di loro e lei non riusciva a muoversi.
“Eccomi di ritorno,” l'ufficiale trafelato li interruppe. “Non ci crederete, ma il mio capitano ha detto di non avermi chiamato.”
“Oh, mi dispiace, devo essermi sbagliato,” disse Towalce con espressione afflitta. ”Comunque la principessa è tutta vostra, per ora.”
Così dicendo lasciò andare la mano di Hevonie e con un inchino si allontanò.
Per il resto della serata Hevonie fu costretta a ballare con diversi giovani, ma ormai per lei tutto aveva perso significato. Non vedeva l'ora che quel baccano finisse, per tornarsene in camera sua.
Approfittò di una pausa dell'orchestra per uscire dalla sala e rinfrescarsi un po'. Prese un bicchiere d'acqua e si appoggiò dietro ad una colonna.
Sentì avvicinarsi qualcuno, che si fermò proprio al lato opposto del pilastro. Udì le voci di due donne che parlavano tra di loro.
“Hai visto la marchesa? Questa volta ha trovato la giusta intesa con il duca.”
“Come al solito, la marchesa ottiene sempre quello che vuole.”
“Pensi che si metteranno d'accordo?”
“Chi può dirlo? E' una donna così ambiziosa.”
“E hai visto la principessa? Si è presentata con i capelli sciolti, che sfacciata.”
“Se pensi che è destinata a salire sul trono, mi chiedo come finiremo!”
“Già, poveri noi.”
Le due donne scoppiarono a ridere e si allontanarono dalla colonna.
Hevonie restò seduta con il bicchiere mezzo pieno in mano, lo finì tutto di un fiato e pensò che non doveva prendere troppo sul serio quei giudizi. In fondo sapeva che l'invidia rendeva le persone peggiori di quello che erano veramente. Però quella conversazione le aveva lasciato addosso una sensazione sgradevole. Sapeva di dover dimostrare di essere in grado di portare avanti il regno.
Finora non ci era ancora riuscita, ma presto le cose sarebbero cambiate. Sentiva ancora il calore sul punto della mano, dove Towalce aveva appoggiato le sue labbra. In fondo non era successo niente e per ora lei non aveva fatto nulla di sbagliato. Si stava facendo fuorviare dall'atmosfera ovattata di quel luogo, ma doveva rimanere lucida perché aveva dei compiti importanti da eseguire.
L'euforia della serata era in parte scomparsa e Hevonie decise di tornare nella sua stanza. Diede un'ultima occhiata alla sala festosa e vide Katlin attorniata da alcuni ragazzi, in mezzo ai quali sventolava amabilmente il fine ventaglio, dispensando sorrisi in egual misura a ognuno di loro. Non volendo disturbare l'amica, Hevonie si allontanò in un'altra stanza che aveva le porte aperte sulla terrazza. Ne approfittò per uscire all'aria fresca della sera. Fuori regnava il silenzio, le nuvole coprivano parzialmente il cielo stellato, Hevonie discese i gradini che portavano ai giardini. Alcune coppie passeggiavano fianco a fianco, le fontane erano illuminate e così anche i sentieri. L'atmosfera era intrisa di romanticismo.
In lontananza vide un patio e si accinse a raggiungerlo, aveva voglia di stare un po' da sola in quella tranquillità. Quando fu abbastanza vicina, notò che dietro le colonne nell'ombra, c'era qualcuno. Delusa si voltò e tornò sui suoi passi, ma malauguratamente inciampò nel vestito e cadde a terra. La figura nell'ombra si mosse rapida verso di lei.
“Ti sei fatta male?” La voce di Towalce tradiva la preoccupazione.
“No, non è niente,” rispose Hevonie, mentre cercava di rialzarsi.
“Fammi vedere,” Towalce le osservò i palmi delle mani graffiati e sporchi di terra.
“Non è niente. davvero,” cercò di minimizzare Hevonie maledicendo la sua goffaggine.
“Vieni, laggiù c'è una fontana,” Senza lasciarle la mano, Towalce la trascinò verso l'acqua e le sciacquò via la terra dai palmi.
“In effetti, si tratta solo di qualche graffio,” la rassicurò con un sorriso, che lei trovò irresistibile.
“Stavo solo facendo due passi. Quando ho sentito che c'era qualcuno, mi sono voltata e ho inciampato nella gonna.” Hevonie osservò il bordo strappato.
Era consapevole che Towalce le teneva ancora la mano e sentiva di dovere dire o fare qualcosa, ma non aveva idea di che cosa.
“Stai bene?” Le chiese guardandola negli occhi.
“Non potrei stare meglio,” rispose Hevonie.
Towalce si limitò a guardarla senza dire niente.
“La smetti di fissarmi?”
“Non ti sto fissando,” si difese Towalce.
“A me sembra di sì,” replicò Hevonie. “Scusa, ma mi innervosisci.”
“Non era certo mia intenzione. Me ne vado, se è questo che vuoi,” le disse risentito.
“No,” mormorò Hevonie scuotendo la testa. “Non andartene.”
“Capisco che questo non è un buon momento, per tutti noi. So quello che hai passato e mi dispiace molto per tuo padre, davvero,” le disse stringendole entrambe le mani.
“Ti ringrazio, ma anche tu hai perso tuo cugino ed è merito tuo se sono ancora viva,” mormorò Hevonie.
“Per qualsiasi cosa, sai che puoi contare su di me.”
Hevonie stava per dire qualcosa, ma in quel momento giunse un domestico di corsa, teneva in mano un biglietto.
Towalce lo aprì e il suo sguardo si corrugò. ”Purtroppo devo andare via subito, si tratta di una questione molto importante.”
“Cattive notizie?” Gli chiese.
“Non lo so ancora,” rispose serio. “Ti prego di scusarmi.”
“Non ti preoccupare,” disse Hevonie.
“Mi stavo dimenticando di darti questo,” Towalce le porse un anello con un rubino dalla forma rotonda. Hevonie fece per prenderlo, ma lui glielo infilò nell'anulare destro.
“Ti sta alla perfezione,” le disse, mentre Hevonie lo ammirava sulla sua mano.
“Non so che dire,” mormorò Hevonie confusa.
“Non ti preoccupare, non è un anello di fidanzamento, la spiegazione è meno romantica di quello che pensi. La verità è che me lo ha dato Delmus, ha detto che devi tenerlo tu, contiene una potente protezione. E in questo momento sappiamo tutti quanto ne hai bisogno.” Towalce le strinse la mano e si congedò con un inchino.
“Grazie,” mormorò Hevonie, ma Towalce si era già allontanato.
Hevonie tornò in camera sua, chiedendosi cosa rappresentava Towalce per lei.
Si sdraiò sul letto e si addormentò con la mano inanellata, premuta contro la guancia.
Il mattino dopo, Hevonie fu svegliata da un forte bussare alla porta.
“Chi è?” Chiese con voce assonnata.
“Sono io, apri!” Gridò Katlin.
Hevonie si stropicciò gli occhi e si alzò barcollando, quando aprì la porta, Katlin si precipitò dentro.
“Chiudi, presto! Vieni qua.” Katlin si mise seduta sul letto sfatto e fece cenno all'amica di raggiungerla.
“Ma che ore sono?” Chiese Hevonie sbadigliando.
“Sono le sette e mezza, ma non resistevo, dovevo dirti la novità.”
Hevonie si rimise a letto e attese che Katlin parlasse, ma invece vide che stava ferma con un sorriso enigmatico stampato in faccia.
“E allora?” Le domandò impaziente.
“Mi sono fidanzata,” disse trionfalmente Katlin.
Hevonie spalancò gli occhi, svegliandosi completamente.
“Non è ancora ufficiale, ma poco ci manca, ieri il visconte di Miltrend si è dichiarato.”
“E chi sarebbe?” Chiese Hevonie stupita.
“È un amico di famiglia, l'ho rivisto ieri dopo tanto tempo, ma lo conosco da diversi anni. Ieri sera abbiamo passato insieme tutta la serata e l'ho visto sotto una luce diversa. E' un ragazzo adorabile, simpatico e molto bello, quasi come Towalce.”
L'ultima frase irritò Hevonie.
“La vuoi smettere con le tue ridicole insinuazioni?” Ribatté contrariata.
“Come vuoi, ma so quello che dico,” disse Katlin. “Non capisco perché non ammetti che ti piace.”
“Forse per il semplice motivo che non è vero!”
Hevonie si contorse le mani e senti la pressione dell'anello contro le sue dita.
“Stai attenta, è un ragazzo seducente, molte ragazze lo desiderano. Se te lo lasci scappare, poi te ne pentirai,” disse Katlin con enfasi. Poi il suo tono si addolcì e proseguì. “Però ti capisco, stai passando un periodo difficile, forse questo non è il momento adatto per pensare all'amore.”
Hevonie restò zitta, cosa poteva dire? Conosceva Towalce ma l'aveva sempre considerato un amico. Ma adesso, non poteva negare che il suo cuore accelerava i battiti, quando si trovava insieme a lui.
“Comunque volevo anche dirti che i tuoi capelli hanno avuto un gran successo,” riprese Katlin. “Stamattina ho già incrociato due dame che ne parlavano con entusiasmo.”
“Oh, come sono contenta,” rispose Hevonie con una smorfia. In quel momento, non le importava proprio niente dei suoi capelli. Congedò Katlin frettolosamente e quando fu di nuovo sola, si gettò sul letto pensierosa.
Ma era troppo agitata per stare ferma, quindi si alzò e si vestì, si rigirò l'anello tra le dita combattuta se toglierlo o meno. Katlin non lo aveva ancora notato, ma se l'avesse visto avrebbe cominciato a fare una raffica di domande, alle quali Hevonie non aveva voglia di rispondere. Stava per toglierselo, ma poi decise di tenerlo, anche se nello stesso tempo voleva nasconderlo. Quindi s'infilò un paio di guanti leggeri di pizzo, che lasciavano scoperta solo la punta delle dita, trovando così, il giusto compromesso. Soddisfatta, si recò nella sala da pranzo, dove si stava servendo la colazione.
L'aroma del caffè appena fatto, aleggiava nell'aria, stuzzicando l'appetito. Una cameriera la accolse e la fece accomodare ad uno dei tavoli apparecchiati, dove c'erano già sedute due anziane signore ed una giovane coppia.
Si salutarono con un lieve inchino e Hevonie prese posto al tavolo. Scambiò due parole sul tempo che sembrava promettere pioggia e bevve una tazza di tè, mangiucchiando una fetta di crostata alle fragole.
“Avete dei bellissimi capelli, principessa,” disse con un sorriso una delle due donne.
“Vi ringrazio,” Hevonie non immaginava che la sua acconciatura fosse un argomento così interessante.
Finito di mangiare, approfittò del cielo ancora chiaro, per fare una passeggiata, indossava un abito di fustagno verde scuro e stivaletti da cavallerizza. I capelli erano raccolti in uno chignon, nascosto da un cappello di tela.
Hevonie notò con disappunto, che altre persone avevano avuto la sua stessa idea. Con il cielo che minacciava pioggia, si cercava di restare il più possibile all'aria aperta. Ognuno sembrava essere assorto in qualche faccenda, notò un paio di dame che osservavano i pesci nelle fontane.
C'era un serraglio con diversi animali esotici, mentre eleganti cigni fluttuavano in un piccolo laghetto artificiale. A completare il tutto c'erano molti fenicotteri e pavoni che circolavano liberamente nel parco, offrendo uno stupendo spettacolo. Hevonie cercò con lo sguardo Katlin, ma non la trovò. Si avviò verso il giardino delle rose, era curiosa di vederlo, quando lo raggiunse, vi trovò la marchesa, stranamente sola.
“Buongiorno, principessa, avete dormito bene?”
“Si grazie. E voi?”
“Alla mia età meno si dorme e meglio è, il tempo scorre veloce e non mi piace sprecarlo in un'attività poco proficua come il dormire,” la sua voce sembrava un cinguettio.
Hevonie sorrise educatamente alla battuta. Poi la marchesa si fece di colpo seria.
“Non è sfuggito a nessuno il tuo aspetto ieri sera, mi compiaccio per la tua audacia, nemmeno io avrei osato tanto ai miei tempi,” la sua voce era divertita. “Ti dirò che non tutti hanno la mia visione aperta delle cose, per cui non ti nascondo che non sono mancate le critiche. Ma a noi di quella gente non importa nulla, vero?”
“Non saprei,” rispose Hevonie sconcertata.
“Suvvia, mia cara, mi sembri un pesce fuor d'acqua. Se hai fatto colpo sul duca di Colwan, avrai delle qualità decisamente fuori dal comune.”
“Come?” Balbettò imbarazzata.
“Non fare quella faccia smarrita, Towalce mi ha raccontato alcune cose su di te e tutte molto lusinghiere,” il sorriso della marchesa divenne ambiguo. “Ti assicuro che è la prima volta che lo sento esprimersi in termini così entusiastici nei confronti di una ragazza. Devi averlo molto colpito.”
“Pensavo di conoscerlo, invece è così misterioso,” disse Hevonie.
“E' un ragazzo affascinante e seducente, non dovresti lasciartelo scappare.”
Hevonie sentì le guance avvampare.
“Non devi vergognarti dei tuoi sentimenti,” sorrise la marchesa. “Towalce è un ragazzo eccezionale. Gli darei in sposa mia figlia, se solo ne avessi una. Ma come sai, ho solo tre figli maschi.”
“Allora perché non mi ha detto chi era?” Non riuscì a fare a meno di chiedere Hevonie.
“Il perché non posso dirlo. Io e lui abbiamo un patto, però devi sapere che il duca, nonostante la giovane età, ha dovuto affrontare alcune prove molto difficili. Io conosco molto bene suo padre e purtroppo tra loro due non corre buon sangue. Io so la verità su questa faccenda, ma non la racconterò a nessuno. Sarà lui a decidere se metterti al corrente o meno.”
Hevonie non riuscì a nascondere la delusione.
“Comunque, non ti angustiare mia cara, vedrai che tutto si sistemerà. Tornando a noi, che ne dici di una bella cavalcata, prima che questo tempaccio peggiori?”
“Volentieri, non chiederei di meglio,” rispose Hevonie.
“Oh, guarda chi c'è qui, il barone De Galden,” disse la marchesa rivolgendosi al nuovo arrivato.
“I miei rispetti marchesa,” il barone fece un profondo inchino e baciò la mano della marchesa. Poi si rivolse a Hevonie e le prese la mano, ma nel farlo fece scivolare indietro il guanto sulle dita mettendo in mostra l'anello.
“Interessante questo anello,” osservò il barone.
“Fai vedere, cara,” la marchesa si avvicinò e le afferrò la mano per guardarlo meglio.
Appena la marchesa gliela lasciò, Hevonie ritrasse la mano.
Entrambi la fissarono, in attesa che lei dicesse qualcosa, ma Hevonie non voleva dire la verità, quindi disse la prima cosa che le venne in mente.
“Apparteneva a mia madre,” spiegò, sperando di apparire convincente.
“Capisco,” disse la marchesa con un lieve sorriso. “Se è un caro ricordo, attenta a non perderlo allora. Ti lascio in compagnia del barone. Ci vediamo più tardi alle scuderie.”
La marchesa li lasciò soli e Hevonie cercò di assumere un'aria disinvolta.
Vedendo che il barone sembrava pensieroso, chiese.
“Tutto bene?”
“Sì, ma quell'anello, l'ho già visto prima,” disse il barone. “Sono sicuro di averlo già visto. Sembra un gioiello molto antico e prezioso, unico nel suo genere.”
“Davvero?” disse Hevonie deglutendo. “Può darsi che mia madre lo abbia ereditato da una sua antenata.
“Si, però ho l'impressione di...”
“Comincia a fare freddo e vorrei cavalcare, prima che venga a piovere,” lo interruppe brusca, cercando di cambiare argomento.
“Se volete, vi accompagno,” si offrì il barone.
“Vi ringrazio.”
Il cielo si stava oscurando rapidamente e un vento freddo aveva cominciato a soffiare. Attraversarono il parco che si stava svuotando, la gente cominciava a rientrare nel palazzo.
Raggiunsero le scuderie, dove alcuni cavalli erano già stati sellati ed erano pronti per essere cavalcati. Trovarono la marchesa e altri nobili in attesa.
“Eccoti cara, ti stavamo aspettando, dobbiamo sbrigarci, prima che la pioggia ci rovini la giornata.”
Salirono rapidamente in sella ed uscirono all'aperto, il barone affiancò Hevonie.
“Riguardo al vostro anello, sapete dove l'ho già visto prima?” Le chiese.
“Non saprei,” rispose titubante Hevonie.
Il barone sembrò esitare poi disse.
“Da nessuna parte, mi sono sbagliato, non è lo stesso anello che credevo, scusatemi,” quindi incitò il suo cavallo al galoppo e si allontanò.
Hevonie non capì lo strano comportamento del barone. Il cavallo si mosse e cominciò a trottare di buon ritmo. Hevonie era così pensierosa che non si accorse che stava andando addosso a due cavalieri.
Il freddo cominciò a farsi pungente e la pioggia a cadere, quindi la comitiva tornò indietro verso le scuderie. Hevonie attese sotto la pioggia che il gruppo si allontanasse, poi lasciò anche lei il suo cavallo.
Rientrò nel palazzo e si diresse di corsa verso la sua camera, appena aprì la porta vide che sul tavolo c'erano due oggetti.
Il primo era una lettera d'invito per una caccia al tesoro da parte della marchesa. Di fianco, posata sul tavolo, c'era una rosa bianca, adagiata su un delicato tessuto di raso color avorio.
Il suo pensiero corse a Towalce, e Hevonie si domandò che cosa nascondesse.
Passò una settimana e di Towalce si era persa ogni traccia.
Hevonie si chiedeva ogni giorno se l'avrebbe rivisto, ma le sue speranze andavano puntualmente deluse.
Le timide domande che rivolgeva alla marchesa Debasse, ottenevano risposte vaghe e lei stessa non osava insistere.
Nel frattempo la marchesa aveva organizzato diversi passatempi e in breve Hevonie si ritrovò oberata da molti inviti, ai quali avrebbe rinunciato volentieri, al contrario di Katlin che invece coglieva ogni occasione per svagarsi.
Katlin accettava di partecipare a tutte le attività e amava farsi corteggiare, malgrado si dicesse fidanzata con il visconte di Miltrend. Si giustificava dicendo che finché il visconte non si fosse impegnato pubblicamente, lei sarebbe stata una stupida a lasciare andare potenziali pretendenti. Hevonie, pur di non sentire Katlin che la incitava continuamente ad accettare le attenzioni di questo o di quello, accettò la corte discreta del barone Jared Templestone, il cugino di Katlin. Il barone la accompagnava ogni mattina a cavalcare e Hevonie lo trovava una compagnia divertente e non particolarmente invadente. Sapeva restare al suo posto e spesso le faceva dei complimenti così sfacciati, che invece di offenderla la facevano sorridere.
Un altro suo devoto corteggiatore era il marchese Fechardin, un ragazzo piuttosto sportivo, che la invitava spesso a fare dei picnic e dei giochi all'aperto. Anche se a volte era costretta ad assistere a delle noiose sfide di abilità con la spada, nelle quali il marchese perdeva immancabilmente. Nel giro di pochi giorni, Hevonie aveva sperimentato tutte le attività che erano solite svolgersi nel palazzo della marchesa. Pensava spesso a Towalce, le mancava e aveva voglia di rivederlo.
Attendeva con trepidazione il suo ritorno, anche perché sicuramente avrebbero dovuto riprendere il viaggio per andare a recuperare la pietra di Koltrane. Adesso che si sentiva meglio, Hevonie non vedeva l'ora di entrare in azione. Il suo fisico si era ripreso egregiamente dalle percosse subite e il buon cibo insieme al riposo l'avevano rimessa in sesto. Solo la sottile cicatrice sullo zigomo sinistro era rimasta a testimoniare quello che aveva passato. Nonostante la sua rinnovata energia, per ora doveva limitarsi ad aspettare il ritorno di Towalce, per poi decidere come agire. Una mattina, mentre passeggiavano fianco a fianco, Jared cercò di attirarla a sé e baciarla, ma Hevonie gli piantò una mano in mezzo al torace e lo respinse.
“Ma sei impazzito?” Hevonie gli tirò uno schiaffo in pieno viso.
“Scusami,” bofonchiò il barone mentre si massaggiava la guancia arrossata.
“Che cosa ti salta in mente?”
“Pensavo di piacerti, almeno un po',” si giustificò Jared.
“Sì, mi piaci, come amico però,” rispose Hevonie. “Se ti ho dato l'impressione di provare qualcosa di più nei tuoi confronti, mi dispiace, ma non è così.”
“Immagino di no,” ammise Jared. “Allora ti prometto che non mi azzarderò mai più a baciarti, sempre che tu non mi accorderai il permesso di farlo.”
“Affare fatto,” disse Hevonie, pensando dentro di sé che quel giorno non sarebbe mai arrivato.
Allentata la tensione, per suggellare la rinnovata intesa, decisero di andare insieme alla festa che ci sarebbe stata quella sera stessa. La festa si sarebbe svolta nella tenuta del conte Laratoff, un caro amico della marchesa che abitava a pochi chilometri di distanza. Jared accompagnò Hevonie e Katlin nella sua carrozza trainata da quattro cavalli. La tenuta si estendeva su un'area notevolmente più piccola di quella della marchesa, sembrava una graziosa residenza estiva.
Nulla di pretenzioso ma una dimora di tutto rispetto, pensata per trascorrervi delle ore piacevoli e le oziose giornate di vacanza. La cosa che incuriosì Hevonie furono le sbarre che si trovavano in quasi tutte le finestre e le molte guardie che sostavano nel parco.
“Come mai ci sono tutte queste guardie?” Chiese Katlin, evidentemente anche a lei non era sfuggita la cosa.
“Ormai chiunque è a conoscenza che i demoni sono fuggiti da Overlack,” spiegò Jared. “Per questo motivo il conte ha preso le sue precauzioni, cosa che stanno facendo tutti quanti.”
“Allora il pericolo è reale!” Esclamò Katlin agitata.
“Qui molti si comportano come se le cose non fossero cambiate, ma in realtà stanno prendendo coscienza dell'aria che tira,” spiegò il barone.
“Infatti, vedo che nonostante tutto, le feste continuano,” constatò Hevonie.
“Cosa dovrebbero fare? Per loro le cose non sono molto cambiate,” affermò Jared.
“Almeno per stasera non voglio pensarci,” disse Katlin.
“Comunque ci sono molti soldati che pattugliano le strade del regno,” annunciò il barone. “E non vi aspettate di trovare un ambiente tetro all'interno, anzi! Solo una raccomandazione, guardatevi dalle due figlie del conte.”
“Perché?” Chiese Hevonie.
“Sono due ragazze subdole e delle due la più perfida è Lisian.”
Arrivarono all'ingresso della casa, dove stazionavano altre carrozze. Si misero in fila e attesero il loro turno per scendere. Furono accolti dai domestici che li introdussero nel grande atrio illuminato, dove i padroni di casa ricevevano gli ospiti.
“Principessa Hevonie, benvenuta. Ho sentito molto parlare di voi,” la contessa le prese le mani sorridendo. “Sono felice di conoscervi.”
“Il piacere è mio,” rispose Hevonie.
“Permettetemi di presentarvi le mie due figlie Minette e Lisian.”
Minette era alta, con folti capelli neri e occhi ravvicinati. Aveva un grosso neo sporgente sul mento, che le faceva tenere la testa bassa nel tentativo di nasconderlo. Indossava un abito scuro adornato da un'infinità di fiocchi e gemme preziose.
Era il tipo di ragazza che un cacciatore di dote avrebbe definito interessante. Mentre un qualsiasi gentiluomo l'avrebbe considerata semplicemente brutta.
“Benvenuta,” disse Minette, squadrando velocemente Hevonie, da capo a piedi.
“Grazie,” rispose Hevonie.
Lisian, che stava vicino al padre, era più minuta e dava l'impressione di estrema fragilità. Era castana e i suoi occhi erano di un azzurro slavato, contornati da ciglia così chiare che aumentavano il suo aspetto diafano. La sua espressione sembrava malinconica ma gentile, non capiva perché Jared l'avesse messa in guardia da una ragazza che sembrava poco più grande di una bambina.
Fece un lieve inchino senza dire una parola. Finiti i convenevoli, Hevonie e Katlin seguirono il barone nella stanza successiva. Gli ospiti erano già numerosi e si sentiva l'orchestra suonare una musica vivace. Jared incontrò un amico e cominciò a parlare con lui di cavalli, mentre Katlin si guardava intorno affascinata.
“C'è il marchese Thornell,” disse Katlin con un lampo nello sguardo. ”Ti dispiace se vado a salutarlo?”
“No, vai pure,” rispose Hevonie, che si ritrovò sola e spaesata. I padroni di casa, nonostante le loro buone maniere, non avevano creato per gli invitati un ambiente omogeneo.
Questo aveva contribuito alla formazione di piccoli gruppi separati, che si erano divisi tra il buffet e il grande camino acceso. Hevonie osservò attentamente gli ospiti, cercando di individuare qualcuno di sua conoscenza.
Riconobbe alcune persone che aveva incontrato dalla marchesa, ma c'erano anche diverse facce sconosciute.
“Mia cara principessa,” la voce della padrona di casa richiamò la sua attenzione.
“Contessa,” rispose Hevonie con un inchino.
“Non bevete niente? Aspettate.” La donna fece un cenno a un servitore, che trasportava delle coppe di spumante sopra un vassoio d'argento.
La contessa ne prese due e ne offrì una a Hevonie che ringraziò.
“Lo spumante ha il pregio di rendere brillante la conversazione e imporporare le guance delle signore, senza l'ausilio del belletto,” rise la contessa mimando un brindisi.
Entrambe bevvero il liquido frizzante e Hevonie pensò che la contessa ne avesse già ampiamente abusato. Mentre la contessa parlava, lo sguardo di Hevonie s'illuminò. Vicino al tavolo del buffet c'era Towalce. Lui le sorrise e la salutò con un cenno della mano. Hevonie gli indicò il giardino e con l'indice puntato gli fece segno di uscire, lui recepì il messaggio ed annuì. Hevonie si rese conto troppo tardi che la contessa stava continuando a parlare e lei non le aveva prestato la minima attenzione.
“... così siete stata nel Reame Perduto, deve essere stato emozionante.”
“Sì, molto,” rispose Hevonie frettolosamente.
“Siete stata tutto il tempo da sola con quel bel giovane, Towalce, mi pare?”
Hevonie stava per aprire la bocca per dire qualcosa ma si accorse che così facendo, avrebbe dovuto dare delle spiegazioni e non ne aveva nessuna voglia. Quindi si limitò ad annuire e bevve un sorso di spumante. Finalmente Hevonie si liberò della contessa e si avvicinò alla porta finestra, purtroppo vide che scendeva una pioggerellina. Nonostante ciò si guardò intorno e uscì di soppiatto.
L'aria era fredda e frizzante, ripulita dalla pioggia. Il cielo sembrava fatto di velluto blu. I sentieri erano illuminati dai lampioni, Hevonie cercò Towalce con lo sguardo e non vedendolo, s'inoltrò nel parco. Costeggiò maestosi alberi secolari oltre a delle raffinate statue di marmo.
Vide due guardie venire verso di lei, istintivamente si nascose dietro ad un albero e attese che la superassero. Si era dimenticata che il palazzo era ben sorvegliato. Quando la strada fu libera, riprese il cammino e si chiese dove fosse finito Towalce, quando una voce dietro di lei la fece trasalire.
“Le brave ragazze non vanno in giro da sole a quest'ora della notte,” disse Towalce ridendo.
“Mi hai spaventato,” esclamò Hevonie, comunque contenta di vederlo.
Towalce si avvicinò e prese la mano che Hevonie teneva tesa davanti a sé.
“Che saluto formale,” disse stringendole la mano. “Mi sarei aspettato un'accoglienza più calorosa.”
“Sono così felice di rivederti,” disse Hevonie ignorando la sua battuta.
Lo trovò come sempre molto bello, aveva l'aria un po' stanca ma questo non intaccava minimamente il suo fascino.
“Come stai?” Gli chiese timidamente.
“Io bene, piuttosto tu. Ormai mi sembri perfettamente guarita.”
“Sì, fortunatamente ora sto bene,” rispose Hevonie. “Raccontami cosa ti è successo.”
“Purtroppo ho delle cattive notizie,” annunciò Towalce.
Hevonie lo guardò ansiosa.
“I demoni guidati da Malwen si stanno spingendo sempre più all'interno del regno. L'esercito reale si sta organizzando per contrattaccare. Purtroppo la morte del re ha dato il via a pericolosi giochi di potere. Per ora il comando è passato al generale dell'esercito. Ma ci sono degli ostruzionismi, c'è chi pensa che se ne debba occupare il Concilio dei maghi. Quindi la situazione sta volgendo verso il caos più totale.”
“Allora cosa mi consigli di fare?” Chiese Hevonie preoccupata.
“Devi andare ad occupare il trono, devi prendere in mano le sorti del regno. Solo una figura forte potrà avere la giusta credibilità e autorevolezza per ottenere il rispetto sia dell'esercito che del Concilio dei maghi,” disse Towalce risoluto.
“Ma senza la pietra di Koltrane, io non ho nessun potere contro Malwen,” replicò Hevonie mestamente.
“Ho pensato anche a questo, quindi ti aiuterò a ritrovarla e poi andremo insieme a Kosworth.”
“Ehi, chi c'è qui?”
Katlin irruppe dal nulla e Hevonie si sentì irritata per l’interruzione.
“Oh, capisco!” Katlin lanciò uno sguardo malizioso a entrambi, esasperando ancora di più Hevonie.
Sembrava un po' brilla e barcollava leggermente.
“Cosa state facendo?” Chiese Katlin sbiascicando le parole.
“Stavamo parlando di cose importanti,” rispose Hevonie seccata. “Se vuoi scusarci, poi ti spiegherò tutto domani. Anche perché adesso non mi sembri nelle tue piene facoltà mentali.”
“Che cosa intendi dire?” Katlin assunse un'aria offesa.
“Lascia perdere. Buonanotte.” Hevonie non voleva perdere tempo in futili discussioni, prese Towalce per un braccio e lo trascinò via.
Si diressero verso il palazzo, sentendo dietro di loro le deboli proteste di Katlin.
“Sono contento di trovarti così in forma,” disse Towalce. “L'unico indizio di quello che hai passato è quel segno sulla guancia.”
“Già, penso che me lo terrò ancora a lungo,” convenne Hevonie. “Questo soggiorno è stato rigenerante per me, adesso mi sento pronta ad agire. Dovrò avvisare la marchesa della mia partenza e farle capire la gravità della situazione.”
“Sono sicuro che non ci saranno problemi, la marchesa è una donna molto intelligente,” disse Towalce.
Si salutarono e si diedero la buonanotte con la promessa di rivedersi l'indomani. Il giorno seguente Hevonie affrontò la marchesa e le raccontò come stavano le cose. La donna fu profondamente colpita da quelle notizie, tanto che decise di annullare la festa che era stata programmata per quella sera. Al suo posto, decise di organizzare una riunione dove si sarebbero discussi i problemi del regno. Hevonie avrebbe voluto evitare quella che le sembrava una perdita di tempo, ma non poteva sottrarsi al volere della marchesa, dopo che era stata così gentile con lei.
Quella sera Hevonie scelse un vestito sobrio e avvisò Katlin che presto sarebbe partita. Quando Towalce entrò nella sala poco prima della riunione, Katlin lo accolse con un sorriso radioso. Hevonie sospirò nell'osservare che il suo carattere civettuolo era incorreggibile.
Towalce venne circondato da un paio di ragazze che lo riempirono di attenzioni e Hevonie sentendosi di troppo, si recò da sola nella grande sala dove una musica soffusa avvolgeva l'ambiente. Appena la vide, la marchesa le porse personalmente un bicchiere di spumante, che a quanto pareva, in ogni circostanza non mancava mai.
L'atmosfera della serata era simile a quella di sempre, forse leggermente sottotono. Hevonie notò amaramente che gli invitati non avevano ben compreso il pericolo che il regno correva.
“Volevo farti sapere che tutti sono molto dispiaciuti per quello che sta accadendo,” disse la marchesa, mentre sorseggiava il suo calice di spumante.
“Lo apprezzo molto. Anzi ne approfitto per ringraziarvi per la vostra ospitalità e generosità,” disse Hevonie.
“Oh mia cara, era il minimo, sarai sempre la benvenuta a casa mia,” disse con enfasi. ”Adesso se permetti, ho l'obbligo di dedicarmi anche agli altri ospiti.”
“Certamente,” rispose Hevonie.
La marchesa si allontanò e Hevonie si sentì molti sguardi addosso, quindi per farsi coraggio bevve il suo spumante, che dopo pochi minuti ebbe l'effetto di rilassarla.
Un cameriere passava tra gli invitati e riempiva continuamente i bicchieri vuoti. In un attimo Hevonie si ritrovò il bicchiere colmo fino all'orlo di bollicine.
Non sapendo cosa fare ne bevve la metà e dopo un po', una lieve sensazione di euforia la pervase.
“Ti diverti?” chiese Lisian, che era apparsa al suo fianco all'improvviso. “Vieni, sediamoci vicino al fuoco.”
Hevonie rimase sorpresa dall'invito della figlia della contessa, poiché fino a quel momento non avevano quasi scambiato una parola.
Si accomodarono su morbide poltroncine, accanto ad alcune persone che sedevano intorno al camino.
All'inizio ci fu la solita serie di convenevoli e chiacchiere vuote. I camerieri continuavano a versare lo spumante nei bicchieri che si svuotavano a ritmo sostenuto.
L'atmosfera si stava riscaldando, le signore cominciarono a sventolare i loro ventagli con maggiore frequenza, per raffreddare i fumi dell'alcol.
Improvvisamente la marchesa disse.
“Siccome questa sera si parlerà di cose serie ed importanti, vorrei dare la parola alla principessa Hevonie, per sapere da lei i suoi futuri progetti.”
Gli altri ospiti si fecero silenziosi e la fissarono in attesa.
Ma improvvisamente Hevonie fece fatica a mettere a fuoco le immagini, aveva perso il conto dei bicchieri che aveva trangugiato, oltretutto non era abituata a bere. Tutto le apparve strano e distorto, assolutamente buffo, si sentì pervadere dall'euforia. E sebbene sapesse che quello che stava per fare era in assoluto la cosa meno adatta alle circostanze, non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere.
Rise sguaiatamente, senza riuscire a fermarsi, in maniera incontrollabile.
All'inizio tutti si scambiarono sguardi stupiti, finché anche la marchesa cominciò a ridere e uno dopo l'altro, tutti gli ospiti la imitarono. La scena si presentava grottesca, tutti ridevano a crepapelle senza ritegno e soprattutto senza un apparente motivo.
“Vedo che vi divertite,” disse uno degli ospiti che era sopraggiunto per cercare di capire il motivo di tanta ilarità. “Cosa succede qui?”
Hevonie riuscì lentamente a calmarsi e così anche gli altri invitati. Tutti si lanciavano sguardi sconcertati e cercavano di riprendere il controllo.
“Ho capito,” esclamò Hevonie improvvisamente. ”Qualcuno ha drogato lo spumante con la Lunia. L'ho già sperimentata a casa di Joleen e ne conosco l'effetto.
“Chi può avere fatto una cosa simile?” Chiese la marchesa stupita.
“Qualcuno in vena di scherzi,” rispose Hevonie massaggiandosi la mandibola che le doleva per lo sforzo. Vide la poltroncina vuota accanto a sé e con lo sguardo cercò Lisian, che era scomparsa. Se era stata lei a combinare quello scherzo, gliela avrebbe fatta pagare cara.
“Mi gira la testa,” disse una delle ospiti, che sedeva a fianco della marchesa. “Voglio andare a casa, mi sento male.”
Prontamente un maturo cavaliere le porse il braccio e l'aiutò ad alzarsi, ma appena fu in piedi, la donna vomitò sul pregiato tappetto della marchesa, che rimase ammutolita ad osservare la scena.
Hevonie si svegliò dopo avere passato una notte insonne, mille pensieri le attanagliavano la mente e ogni volta che cercava di addormentarsi, riaffioravano prepotenti.
Si fece servire la colazione in camera, non aveva voglia di vestirsi e non voleva incontrare nessuno.
Preferiva stare un po' da sola a riordinare le idee.
Si alzò dal letto, indossò una leggera vestaglia di seta e respirò il profumo di torta appena sfornata che insieme con una bella teiera fumante, la attendevano sul tavolo.
C'era anche della marmellata e della frutta fresca.
Quando sollevò la teiera, Hevonie vide che sotto era stata infilata una busta di carta. C'era il suo nome scritto a mano sul dorso in un'elegante calligrafia, la prese in mano e la aprì.
“Hevonie, ho bisogno di parlarti. Troviamoci alle dieci davanti al giardino delle rose. A più tardi, Towalce.”
Hevonie notò anche un involucro appoggiato sul letto, sembrava contenere un vestito.
Katlin bussò alla porta proprio in quel momento e quando Hevonie andò ad aprirle, entrò nella stanza come un fulmine.
“Sapessi quante cose ho da raccontarti!” Esclamò Katlin, togliendosi il cappello.
“Prego, accomodati,” disse Hevonie sarcastica.
“Posso?” Chiese Katlin adocchiando la colazione sul tavolo. ”Appena sveglia mi sono precipitata qui e non ho mangiato nulla.”
Senza attendere risposta, Katlin si versò una tazza di tè e tagliò una fetta di torta, alla quale diede un bel morso.
“Buona,” bofonchiò con la bocca piena.
Hevonie sorrise nel vedere la voracità dell'amica, prese posto di fronte a lei e si versò una tazza di tè.
“Ieri sono stata tutta la sera con il marchese Thornell, è un ragazzo stupendo,” disse Katlin tutta eccitata. “Penso che sia proprio il ragazzo giusto per me.”
“Sbaglio o non è la prima volta che dici una frase simile?” Domandò Hevonie divertita. “E il visconte? Te lo sei già dimenticato?”
“Chi? Quello sciocco?” Katlin fece una smorfia. “Ho deciso di non vederlo mai più. Era un indeciso e poi sono venuta a sapere che ha fatto il cascamorto con Minette. Per cui, con me ha chiuso.”
“Se le cose stanno così, hai fatto bene a scaricarlo,” convenne Hevonie, mentre riempiva nuovamente la tazza di Katlin.
“Puoi dirlo forte.” Katlin si ripulì la bocca con un tovagliolo e bevve il tè fumante.
“Pensi che il marchese abbia lo stesso interesse per te?” Chiese Hevonie.
“Sembrerebbe di si. Ha detto che quando i tempi saranno migliori, mi porterà nella sua tenuta di campagna,” rispose Katlin. “Questo mi sembra un buon segno, che ne dici?”
“Direi proprio di sì,” convenne Hevonie.
“Oh, sono così felice, il marchese è un ragazzo fantastico,” poi aggiunse in fretta. “Però per il momento preferirei che rimanesse un segreto.”
“Non ti preoccupare, non lo dirò a nessuno,” la rassicurò Hevonie.
“Perfetto,” esclamò Katlin sollevata.
“Piuttosto, hai saputo quello che è successo ieri sera?” Domandò Hevonie cambiando argomento.
“Avrei dato qualsiasi cosa per assistere alla scena,” sogghignò Katlin.
“Ti assicuro che non è stato uno spettacolo edificante.”
“Ma è vero che la baronessa ha vomitato su uno dei tappeti pregiati della marchesa?”
“Non solo su quello, anche sul suo vestito.”
“Accidenti, se ci fossi stata, sarei morta dal ridere.”
“Oh per quello, ci siamo andati tutti vicino,” disse Hevonie.
“In che senso?”
“Qualcuno ha avuto la simpatica idea di drogare lo spumante con la Lunia e tutti quanti siamo scoppiati a ridere, senza più fermarci.”
“Chi può essere stato?” Domandò Katlin sbalordita.
“Ho il sospetto che sia stata Lisian, ma per ora non posso provarlo.”
“Ci avrei scommesso. Quella ragazza è invidiosa, di sicuro non ha gradito la tua presenza alla sua festa, l'altra sera,” disse Katlin.
“Perché?” Hevonie la guardò sbalordita.
“Diciamoci la verità, malgrado il loro patrimonio, ne lei ne la sorella, attirano certo i migliori giovani. La maggior parte dei loro pretendenti, sono squattrinati in cerca di una moglie ricca.”
“E io cosa c'entro?”
“Non fare l'ingenua, tu hai attirato l'attenzione di molti buoni partiti della società, relegandole in secondo piano.”
“Ma è assurdo, non sono per niente interessata a trovare un marito. Sono troppo giovane e ho cose più importanti da fare, per adesso.”
“Più importanti dell'amore? Non dire sciocchezze.” Katlin la guardò con disapprovazione e finì di bere il suo tè.
“Lisian si è fatta un'idea sbagliata su di me,” proseguì Hevonie. “Quella ragazza è strana, sembra nascondere qualcosa.”
Come disse quelle parole, Hevonie sentì dentro di sé una strana sensazione, come se dei pensieri si stessero rivelando nella sua mente. Attese qualche istante, ma la sensazione svanì.
“Jared ti aveva avvertito di tenerti alla larga da lei,” la ammonì Katlin.
Hevonie annuì senza convinzione, anche se dovette ammettere che Lisian si era rivelata davvero perfida. Dentro di sé si augurò di non doverla incontrare mai più.
“E quello cos'è? Un regalo?” Katlin aveva adocchiato il pacchetto che Hevonie non aveva fatto in tempo ad aprire.
“Non lo so, l'ho trovato sul letto,” rispose Hevonie.
“Posso aprirlo?”
“Se ci tieni, fai pure.”
Katlin aprì il pacco e ne tirò fuori un vestito, quando lo dispiegò, rimase sorpresa. Si trattava di un magnifico abito color panna dalla linea semplice e raffinata.
“Bellissimo!” Esclamò Katlin meravigliata. ”Coraggio, provalo.”
Hevonie provò il vestito e notò che metteva in risalto la figura in maniera seducente ma non volgare. Purtroppo essendo dimagrita, era decisamente largo, sembrava di una taglia troppo grande.
“Che peccato, ti sarebbe stato benissimo se solo fosse stato un po' più stretto,” disse Katlin dispiaciuta. “Ma chi te l'ha mandato?”
“Non ne ho idea, forse la marchesa in vista dell'ennesimo ballo. Comunque per me è grande, metterò qualcos'altro,” disse Hevonie. Poi vedendo che Katlin indugiava aggiunse.
“Vuoi provarlo tu? Magari a te sta meglio.”
“Davvero posso? Grazie mi piacerebbe tanto,” esclamò eccitata.
Dopo qualche minuto Katlin si specchiò e vide che il vestito le calzava a pennello.
“Katlin stai benissimo. Devi assolutamente indossarlo tu.”
“Davvero?” Il sorriso di Katlin era radioso.
“Certamente, sarebbe un peccato non sfruttarlo, è così un bell'abito.”
“D'accordo, accetto. Ero già in ansia all'idea di trovare un vestito adatto.”
“Bene, allora abbiamo risolto il problema,” sorrise Hevonie.
“Adesso devo andare,” disse Katlin. ”Ci vediamo più tardi.”
Hevonie si rivestì alla svelta e nascose l'anello che le aveva dato Towalce nel cassetto della scrivania, poi lo chiuse a chiave, non voleva che qualche domestica curiosasse.
Quando raggiunse la sala, la trovò quasi deserta. Scoprì che la maggior parte degli ospiti erano andati a cavalcare. Era in anticipo, ma prese ugualmente il suo mantello e si diresse in giardino per recarsi all'appuntamento con Towalce. Non voleva ammetterlo, ma il pensiero di vederlo, la metteva in agitazione.
Mentre camminava, incontrò Jared che le andò incontro sorridendo.
“Dove sei diretta principessa?” Le chiese amabilmente.
“Da nessuna parte in particolare, avevo voglia di fare due passi, da sola,” mentì Hevonie.
“Posso accompagnarti?”
“Se proprio vuoi,” non voleva offenderlo e visto che era ancora presto, accettò la sua compagnia.
Insieme camminarono lungo un sentiero alberato e il barone per tutto il tempo non fece altro che esaltare lo splendore dei suoi occhi e la setosità dei suoi capelli. Le disse che la sua pelle gli rammentava la morbidezza e la freschezza di un petalo di rosa.
Hevonie cercò di riderci sopra, ma tutte queste smancerie cominciavano a infastidirla.
“Ti prego Jared,” lo interruppe decisa. ”Capisco che vuoi essere gentile e galante, ma non ho bisogno di tutti questi complimenti, davvero. Ti sarei grata se d'ora in avanti la smettessi.”
Si creò un momento d’imbarazzo, poi il barone fece un lungo sospiro e alla fine sorrise.
“Hai ragione, forse ho esagerato, ma non è colpa mia se mi ispiri questi sentimenti.”
“Va bene, ma non c'è bisogno di esternarli continuamente,” replicò Hevonie. “Quindi se d'ora in avanti li tenessi per te, la nostra amicizia ne gioverebbe.”
“Capisco,” disse il barone scuotendo la testa.
“Poi non potrei stare con un ragazzo che si trucca più di me. Non ti offendere, ma mi sembra che a volte esageri.”
“Oh, te ne sei accorta?” Avvampò Jared. “Lo faccio perché la mia faccia è piena di brufoli, solo per quello. La cipria mi aiuta a coprirli.”
“E il profumo? Sembra che ti ci fai il bagno dentro,” aggiunse Hevonie.
“Davvero? Quello lo metto per coprire l'odore della lozione contro i brufoli, che è davvero disgustoso.”
“Ti ringrazio per avermi spiegato come stanno le cose. Però adesso non parliamone più, d'accordo?” Hevonie cercò di chiudere quella penosa conversazione.
“Devo confessarti che è mio padre che vuole che mi sposi,” disse Jared sconsolato. “Ha minacciato di diseredarmi se non lo faccio a breve.”
“Ma tu cosa vuoi realmente?” Gli chiese sorpresa di quella rivelazione.
“Io? Non lo so. Nessuno me lo ha mai chiesto. Ho sempre fatto quello mi veniva detto di fare. Non so cosa voglio.”
“In un certo senso è quello che ho vissuto io. Questo mi ha infuso un senso di ribellione, che però mi ha procurato un mare di guai,” constatò Hevonie.
“Però tu sei sempre la principessa di Kosworth,” disse il barone. ”E presto dovrai prendere il posto che ha lasciato tuo padre.”
“E' vero, ma proprio per questo mi sono piombate addosso molte responsabilità alle quali non posso sottrarmi, anche se a volte, ne sarei davvero tentata.”
“Perché non lo fai?”
“Perché non posso scappare dai miei doveri, l'ho fatto per troppo tempo. Ma soprattutto ho fatto una promessa a mio padre e la voglio mantenere.”
“E vorrai sposarti un giorno?”
“Non lo so, non ci ho ancora pensato.”
“Hai un cavaliere per il ballo in maschera di domani sera?”
“No, speravo che me lo chiedessi tu,” sorrise Hevonie.
“Ne sarei onorato,” Jared ricambiò il sorriso e le baciò la mano, poi con un elegante inchino si congedò.
Hevonie si affrettò a raggiungere il giardino delle rose.
Quando arrivò, non trovò nessuno, ne approfittò per ammirare i magnifici fiori che emanavano un profumo squisito.
Attese per circa un'ora ma Towalce non arrivò.
Mentre stava tornando indietro, incontrò un valletto che le porse una lettera.
Preoccupata prese la lettera in mano e riconobbe la scrittura elegante di Towalce.
La aprì e solo una semplice frase faceva mostra di sé.
“Hevonie, scusami, ma sono dovuto andare via, ci vediamo domattina al patio appena ti svegli, questa volta ci sarò. Towalce.”
Nonostante la delusione, il pensiero che non gli fosse successo nulla di grave, la sollevò.
Tornò in camera sua e vide l'involucro che conteneva il vestito, ancora sul letto.
Questo le ricordò che il giorno dopo ci sarebbe stato il ballo.
Oltretutto si sarebbe trattato di un ballo in maschera, quindi ci sarebbe stata un'atmosfera allegra e caotica.
Adesso però, doveva trovare un abito adeguato e decise di chiedere aiuto all'unica persona che avrebbe potuto consigliarla.
Tanto sapeva che comunque si fosse comportata qualcosa sarebbe andato storto, quindi smise di preoccuparsi e andò a chiamare Katlin.
La mattina seguente Hevonie si affrettò a vestirsi e corse fuori dalla sua camera per recarsi all'appuntamento con Towalce, sperando questa volta d'incontrarlo.
Mentre stava per uscire, cominciò a piovere, per cui si tirò su il cappuccio del mantello, poi si diresse verso uno stretto sentiero che attraversava il parco. Quando raggiunse il patio, trovò Towalce in piedi appoggiato ad una colonna, che guardava l'orizzonte.
Lui la sentì arrivare e si voltò a guardarla.
“Sei mattiniera,” esordì andandole incontro.
“Già, ogni tanto capita.”
“Bene,” le disse. “Allora andiamo laggiù, c'è la vecchia casa del guardiano che adesso è disabitata. Così ci ripariamo dalla pioggia e soprattutto dal vento.”
“E tu come lo sai?” Chiese Hevonie sospettosa.
“Perché ci venivo a giocare da piccolo con i tre figli della marchesa,” rispose Towalce.
“Non me ne hai mai parlato.”
“E perché avrei dovuto?”
Hevonie non rispose e lo seguì sotto la pioggia e dopo pochi minuti raggiunsero la casa. Towalce aprì la porta e le fece cenno di seguirlo. Si scrollarono l'acqua di dosso ed Hevonie si guardò intorno. Rimase stupita nel vedere quanto era graziosa la casa, se l'era immaginata vecchia e fatiscente.
Invece era composta da diverse stanze, con le pareti di pietra grezza sulle quali si affacciavano delle piccole finestre.
Un aroma di torba bruciata impregnava l'aria. Towalce era in piedi vicino a una finestra aperta e si apprestò a chiuderla.
“Sono contenta di poter stare un po' sola con te,” esordì Hevonie. ”Come ai vecchi tempi.”
“Hai nostalgia della nostra avventura nel Reame Perduto?” Sorrise Towalce. ”Pensavo che ne avessi avuto abbastanza.”
“Sì, ma ormai è passato parecchio tempo.”
Hevonie andò a sedersi su una poltroncina situata vicino al camino spento. La stanza era gelida e lei cercò di rintanarsi nel mantello.
Senza dire niente, Towalce prese dei ceppi di legno, tirò fuori un fiammifero e lo mostrò a Hevonie.
“Ti ricordi di questo?” Le chiese alzando un sopracciglio.
“Come no! Ci ha salvato dal morire assiderati, più di una volta.”
“Ne conservo ancora qualcuno, per le occasioni speciali,” Towalce lo accese e nel giro di pochi minuti nel camino ardeva un bel fuoco vivace.
“Grazie, ce n'era davvero bisogno,” disse Hevonie infreddolita.
Towalce si sedette sulla poltrona di fronte a lei e tese le mani verso il camino per riscaldarle. Hevonie osservò che la stanza era arredata semplicemente, con pochi mobili, ma il pavimento era rivestito di pregiati listelli di legno. Tutte le finiture della casa lasciavano intendere che si trattava di una residenza semplice ma solida, costruita per durare nel tempo.
“Penso che dovremmo parlare del tuo futuro,” disse Towalce distogliendo Hevonie dalla sua contemplazione.
“In effetti, vorrei discutere con te il mio ritorno a Kosworth.”
“Va bene, ma prima ti devo dire una cosa.”
“Che cosa?”
“Volevo spiegarti dove vado così spesso ultimamente,” disse Towalce. “Devi sapere che tra me e mio padre non corre buon sangue. Non mi fraintendere, il fatto è che lui non ha mai accettato la mia scelta di non seguire le sue orme di ricco feudatario.”
Hevonie rimase in silenzio ad ascoltare.
“Inoltre mio padre sta invecchiando e la sua salute è peggiorata,” proseguì Towalce. “Ha bisogno di una persona di fiducia per seguire i suoi molteplici affari. Io lo sto aiutando a sistemare molte faccende di lavoro e questo ha portato ad un riavvicinamento tra noi due.”
“Mi spiace che tuo padre non stia bene, però per il resto mi sembra una bella notizia,” commentò Hevonie.
Towalce corrugò la fronte e disse. “Già, anche se sto scoprendo alcuni aspetti di mio padre che non mi piacciono affatto.”
Hevonie lo guardò perplessa.
“Comunque non voglio parlare di queste cose adesso, volevo solo chiarire perché ogni tanto scompaio misteriosamente,” sorrise infine.
“Ti ringrazio di avermi informato,” disse Hevonie. “Spero tanto che nonostante i tuoi impegni, tu possa accompagnarmi nel mio viaggio per riprendere la pietra.”
“E' un compito al quale non potrei sottrarmi, perché me lo chiedi?”
“Perché hai già rischiato la vita una volta e non voglio che tu ti senta costretto a rifarlo.”
“Non ti preoccupare,” disse Towalce. “Delmus mi ha chiesto esplicitamente di mettermi a tua disposizione, quindi puoi contare su di me. Gli affari di mio padre possono aspettare.”
Per un lungo momento, nessuno dei due parlò, Hevonie era indecisa su cosa dire. Non poteva negare quello che provava per Towalce. Ma adesso doveva pensare solo a riprendere il suo posto a Kosworth. Il ticchettio della pioggia contro i vetri della finestra si intensificò, interrompendo il silenzio che era calato nella stanza.
Hevonie stava per dire qualcosa, ma Towalce la precedette.
“Hai già un piano?”
“Devo andare a cercare Oktar, il mago che custodisce la pietra di Koltrane,” rispose Hevonie. “Una volta fatto questo potrò tornare a Kosworth, riprendere il trono, radunare l'esercito e sconfiggere Malwen.”
“Tutto qui?” Chiese Towalce ironico. “Sembra un gioco da ragazzi.”
“Dai, non scherzare,” sorrise Hevonie.
”Pensi che ce la faremo?”
“Dobbiamo farcela, tutto dipende da questo. Se non riuscirò a portare a termine il mio progetto, sarà la fine per il regno.”
“Quasi non ti riconosco più, principessa. Sei molto diversa dalla ragazza sciocchina che conoscevo una volta.”
“Sì, forse sono cambiata.”
“Hai bisogno di qualcos'altro?” Domandò infine Towalce.
Hevonie scosse la testa e si avvicinò alla finestra, la pioggia era quasi cessata.
“Penso sia meglio andare, prima che l'acquazzone ricominci di nuovo.”
Uscirono dalla casa lasciando nel camino, il fuoco morente. Si avviarono verso il palazzo della marchesa in silenzio e prima di lasciarsi si salutarono con una stretta di mano.
“Quando vuoi partire?” Chiese Towalce prima di andarsene.
“Pensavo domani mattina.”
“Perfetto, allora a domani.”
“Come a domani? Non verrai al ballo questa sera?” S'informò Hevonie.
“Non lo so ancora. Vedremo.”
Hevonie restò ferma a guardare Towalce che si allontanava.
Arrivò la sera e tutto era pronto per il ballo in maschera, che era ispirato alle quattro stagioni, ognuno poteva sbizzarrirsi indossando abiti più o meno strani.
Hevonie era ancora in camera sua e stava aspettando Katlin che le aveva promesso di aiutarla a prepararsi per la serata.
Puntuale Katlin bussò alla porta.
“Hai già scelto il vestito?” Chiese precipitandosi nella stanza. “Dov'è?”
“Pensavo di indossare questo,” rispose Hevonie. “Ti piace?”
Hevonie aprì l'armadio e tirò fuori un abito dalla fattura molto raffinata, con pizzi e fiocchetti sparsi con eleganza. La foggia era molto antiquata, ma l'insieme era grazioso.
“È perfetto!” esclamò Katlin. “Mi piace molto. Sembri una bomboniera.”
“Infatti, non l'avrei mai messo se non in occasione di un ballo in maschera,” sorrise Hevonie.
“E di questo cosa ne dici?” Chiese Katlin.
Fece un giro su se stessa e mostrò l'abito color panna.
“Direi che è favoloso!” Esclamò Hevonie.
“Ma non è finita qui,” proseguì Katlin raggiante. “Mi sono procurata queste,” così dicendo tirò fuori da una borsa, due parrucche. Una era bionda e l'altra era bruna. Katlin indossò quella bionda.
“Che ne dici?” Chiese lisciandosi i lunghi capelli biondi.
“Stai benissimo. Ma perché la parrucca?”
“Perché il mio abito è ispirato alla primavera e secondo me, per essere perfetta i capelli devono essere biondi. Ah dimenticavo, quella bruna è per te.”
“Per me? Ma io non voglio indossarla.” Protestò Hevonie.
“Dai, ti prego. Saremo fantastiche. I tuoi capelli sono molto belli, ma poiché il tuo vestito è ispirato all'autunno, devi essere bruna. Per una volta ci invertiamo i ruoli, vedrai sarà divertente.”
Hevonie, per fare contenta Katlin, si mise la parrucca mora e se la sistemò per bene.
Si guardò allo specchio e fece una smorfia.
“Devo ammettere che con i capelli scuri, acquisto una certa personalità,” poi scoppiò a ridere. “Va bene, accetto di indossarla, ma ricordati che mi devi un favore.”
“Contaci,” disse Katlin.
In fretta apportarono gli ultimi ritocchi e infine si guardarono soddisfatte del risultato.
Si misero entrambe una mascherina sugli occhi, che lasciava scoperta solo la parte inferiore del viso, quasi stentarono a riconoscersi.
“Presto, andiamo,” disse Katlin eccitata. Si recarono verso la sala da ballo, che era già gremita da decine di ospiti mascherati.
La musica era vivace e l'atmosfera era particolarmente allegra. Ognuno cercava di scoprire chi si nascondesse dietro i vari travestimenti.
C'erano vestiti e maschere altamente elaborate, frutto di lunghe ore di lavoro.
La stanza era decorata con festoni e pannelli che richiamavano le diverse stagioni.
Tutto era un tripudio di colori, luci e lustrini.
Hevonie in cuor suo sperava di incontrare Towalce pur sapendo che sarebbe stato difficile.
Le danze iniziarono e Hevonie che aveva come cavaliere Jared, si lasciò trasportare dall'atmosfera giocosa della serata. Il fatto di non riconoscere l'identità dei partner con cui si ballava faceva nascere tra gli invitati degli equivoci esilaranti.
All'improvviso un urlo squarciò l'aria e Hevonie vide che la gente si guardava intorno smarrita. L'urlo sembrava provenire dal lato della sala che dava sui giardini.
Le persone cominciarono ad accalcarsi in quella direzione, lo stesso fece Hevonie. La musica cessò di colpo e si sentirono le varie voci sovrapposte e concitate degli ospiti.
Hevonie spingendo si creò un varco tra la folla. Quando finalmente raggiunse la finestra, rimase impietrita davanti a quello che vide. Katlin era sdraiata a terra, a pancia in giù.
Il manico di un coltello sporgeva dalla sua schiena.
Il sangue sgorgava copioso dalla ferita, formando un macabro arabesco sul vestito.
“Qualcuno ha accoltellato la principessa!” Gridò uno degli ospiti.
“No. Lei non è la principessa,” disse Hevonie togliendosi la maschera. “E' la mia amica Katlin.”
Tutti la guardarono stupiti, mentre liberava Katlin dalla maschera e dalla parrucca.
“Presto, chiamate un dottore!” Urlò Hevonie disperata.
“Katlin, mi senti?” Le chiese sfiorandole delicatamente la guancia.
Ma Katlin giaceva inerme, senza muoversi.
Hevonie le tastò il polso e sentì che il battito non c'era più. Avvicinò il viso al suo e non avvertì nessun respiro. Katlin era morta.
Sentimenti contrastanti di rabbia e di dolore nacquero dentro di lei. Perché qualcuno aveva ucciso la sua amica? Si guardò intorno e vide quanto era grottesca la situazione.
Decine di persone mascherate stavano immobili come statue, incredule di quanto era accaduto.
Poi si avvicinò alla porta finestra aperta e guardò fuori. Non c'era nessuno, ma notò delle orme sul terreno, dalle dimensioni sembravano appartenere ad un uomo.
Diverse guardie armate erano giunte e presidiavano tutte le uscite sia del palazzo sia del parco.
Hevonie pensò che chi aveva accoltellato Katlin forse era già fuggito, ma vedendo la parrucca bionda a terra, improvvisamente capì che in realtà il bersaglio era lei, l'aggressore aveva sbagliato persona.
Quel pensiero le diede i brividi, alzò gli occhi e si sentì gli sguardi dei presenti addosso, chiunque di loro poteva esserle nemico.
Incapace di sopportare oltre quella dolorosa situazione, Hevonie raggiunse l'uscita della sala e corse via.
I giorni che seguirono la morte di Katlin, furono frenetici, le autorità si attivarono per scoprire il colpevole, mentre Hevonie fu oppressa da un terribile senso di colpa. Si continuava a ripetere che se non si fossero scambiate i vestiti, Katlin non sarebbe morta.
Lei non si sarebbe fatta sorprendere facilmente e comunque non era giusto che Katlin fosse rimasta coinvolta al posto suo.
S’immaginava di avere davanti quell'assassino e di trafiggerlo da parte a parte con la spada. L'avrebbe trovato e si sarebbe vendicata prima o poi. Hevonie non piangeva facilmente, suo padre la sgridava sempre quando la sorprendeva piagnucolare.
“Una principessa non piange mai!” La rimproverava così bruscamente che Hevonie piangeva ancora di più.
Col tempo, per cercare di non deluderlo, aveva preso l'abitudine di soffocare le lacrime appena le sentiva arrivare. Ma ripensando al sorriso allegro di Katlin e a come le cose si erano messe male, non riuscì a trattenersi dal piangere.
Sicuramente a confondere l'assassino era stata la parrucca bionda e il vestito, che alla luce dei fatti, doveva sapere essere destinato a Hevonie. Inoltre con i visi mascherati erano irriconoscibili, Hevonie non avrebbe dovuto lasciare che Katlin effettuasse quello scambio.
Towalce le era stato vicino e ovviamente avevano rimandato la partenza del viaggio. A peggiorare la situazione si verificarono una serie di inondazioni dovute ad un'incessante pioggia. Queste resero difficili gli spostamenti e costrinsero le persone a restare chiuse in casa per la maggior parte del tempo.
Hevonie approfittò del soggiorno forzato, per affinare la sua abilità con la spada.
Fortunatamente il palazzo della marchesa era dotato di una ampia sala d'armi nella quale venivano conservate armature, spade ed archi. Tutte queste armi erano sistemate in apposite rastrelliere lungo le pareti. Invece il centro della sala era completamente vuoto, il pavimento era rivestito da spesse doghe di legno, che in diversi punti mostravano tracce di usura.
Era proprio quello di cui Hevonie aveva bisogno, un posto dove sfogare la rabbia repressa, altrimenti sarebbe esplosa.
Prese una spada da allenamento dalla rastrelliera, la soppesò e la giudicò leggera e maneggevole, la fece volteggiare nell'aria e trovò quel gesto liberatorio.
“Avanti principessa,” disse Towalce che apparve all'improvviso dietro di lei,” vediamo se sei ancora capace di duellare.”
Hevonie, all'inizio rimase sorpresa, poi rispose.
“Sai che la spada non è il mio forte.”
“Bugiarda, so che hai affrontato gli Hinumati,” disse Towalce. “Calcolando che fino a poco tempo fa eri solo una mocciosa viziata, hai dimostrato del coraggio.”
“Ho capito, non c'è bisogno che me lo ricordi,“ Hevonie impugnò la spada con forza. “Accetto la sfida.”
Si mise sopra uno dei due cerchi rossi, disegnati a terra, che indicavano le posizioni di partenza degli sfidanti e attese. Le sembrò che Towalce esitasse.
“Paura?” Chiese ironica.
“Certo,” rispose Towalce. “Non vorrei fare la fine di quei cadaveri viventi.”
Quindi prese posto sull'altro cerchio rosso e la fronteggiò.
Fecero un lieve inchino prima di dare il via alla sfida e si misero in guardia. Le spade cominciarono a scintillare tra loro, creando una sequenza di suoni stridenti.
Purtroppo Hevonie riconobbe che Towalce era un ottimo spadaccino e lei faceva una notevole fatica solo per schivare i suoi fendenti.
Cercò di immaginare che al suo posto ci fosse l'assassino di Katlin, allora i suoi colpi presero forza. Alla fine si rese conto che in un duello reale, lei sarebbe stata sconfitta.
“Va bene,” disse Hevonie alzando una mano in segno di resa. “Hai vinto, non ce la faccio più.”
Era accaldata e senza fiato, rimise la spada al suo posto, poi si lasciò cadere su una sedia.
“Sei brava,” affermò Towalce mentre rinfoderava la sua spada.
“Non abbastanza, per quello che vorrei fare,” disse Hevonie.
“So che sei sconvolta per quello che è successo a Katlin,” disse Towalce accigliato. “Tutti noi lo siamo. Ma devi sapere che cercare una vendetta sommaria, non servirà a nessuno.”
Towalce aveva riassunto in una semplice frase, le sue intenzioni e quello che provava. Hevonie stava rivivendo le stesse emozioni di quando era morta sua madre, avvertiva un profondo senso d’ingiustizia e odiava il mondo intero. Questo l'aveva portata a ribellarsi e a cercare qualunque modo, anche il più sbagliato per fare uscire da lei quel dolore straziante che raramente la abbandonava. Hevonie rimase in silenzio per un po', fissò la punta dei suoi stivali e poi guardò Towalce.
“Ti ringrazio del supporto. Mi auguro solo che chi ha ucciso Katlin sia preso e subisca una punizione esemplare. E farò tutto il possibile per far si che ciò avvenga.”
“Per questo, conta pure su di me,” esclamò Towalce. “Adesso devo andare, ricordati che dobbiamo sbrigarci a partire. Mentre noi siamo qui a parlare, la situazione là fuori peggiora sempre più.”
“Se non sorgono ulteriori problemi, partiremo domani mattina presto,” annunciò Hevonie.
Si salutarono e Hevonie rimase a osservarlo mentre usciva dalla sala che era diventata fredda e buia. La pioggia tamburellava contro i vetri delle finestre e si rese conto di quanto fosse fortunata ad averlo come amico.
Dopo avere lasciato la sala d'armi, Hevonie affrettò il passo e si diresse verso la sua stanza. Ma lungo la strada incontrò la marchesa Debasse.
“Eccoti cara, sono contenta d'incontrarti, posso scambiare due parole con te?”
“Certamente,” rispose Hevonie.
“Devi sapere che il Concilio dei maghi è stato per secoli una sorta di scudo contro la Magia Proibita di Darkebetz,” esordì la marchesa con aria grave. Era la prima volta che Hevonie la sentiva esprimersi con quel tono. “Ora che il pericolo è reale, devi stare molto attenta.”
“Lo so, vi ringrazio per il consiglio,” disse Hevonie.
”E' vero che nel tuo sangue scorre la Pura Magia,” continuò la marchesa. “Ma sono convinta che per sconfiggere Malwen, tu abbia bisogno dell’aiuto che ti può offrire il Concilio. Non otterrai nessun risultato altrimenti.”
“Accetterò volentieri il loro aiuto se saranno disposti a lasciarmi libertà d'azione,” disse cauta Hevonie. “Anche se penso che vivano arroccati nelle loro convinzioni, dando così più importanza alla teoria che alla pratica. Diciamo che trovo i loro ragionamenti poco efficaci.”
“Non otterrai mai il loro benestare, se pensi che i loro metodi siano obsoleti, così li farai sentire una massa di vecchi rimbambiti,” sorrise la marchesa.
Hevonie scrollò le spalle e disse.
“In tutti questi anni non hanno mai trovato un sistema veramente efficiente per combattere Darkebetz, il pericolo che lei possa tornare è sempre stato presente. Infatti mio padre stesso diffidava di loro.”
“Può darsi, ma si dà il caso che uno dei miei ospiti, ha saputo della tua presenza e si è offerto di aiutarti nel caso tu ne avessi bisogno. Volevo presentartelo, se permetti.”
Un altro dei fatui ospiti della marchesa, era l'ultima cosa al mondo che Hevonie avrebbe voluto affrontare, nonostante ciò assentì. “Va bene.”
“Oh eccolo che arriva,” disse la marchesa indicando dietro di sé.
Hevonie non aveva mai amato il Concilio dei maghi, aveva sempre pensato che fossero un gruppo d’inutili e strampalati personaggi. Sebbene da quando aveva conosciuto Delmus, la sua opinione era cambiata.
“Spero di non disturbare!” Una voce ferma venne dal corridoio, dove Hevonie e la marchesa attendevano, quando si voltarono, videro un uomo avanzare verso di loro.
“Lord Kerris!” Hevonie non credeva ai propri occhi. Il gran consigliere di suo padre era lì di fronte a lei.
“Ecco il nostro ospite,“ esclamò la marchesa. “Venga presto. Stavamo proprio parlando di lei.”
La marchesa gli porse la mano e l'uomo la baciò, quindi si rivolse a Hevonie e s'inchinò.
“Principessa, è un piacere rivederla,” poi aggiunse contrito. “Mi dispiace molto per vostro padre, era un grand'uomo. Il regno ha perso il migliore dei re. Sotto la sua guida il popolo viveva una vita felice e prospera. Sarà difficile sostituire un uomo di così grande valore.”
Hevonie sospirò, anche in quelle circostanze lord Kerris amava indugiare in superflui formalismi. Malgrado ciò fu lieta di rivederlo dopo tanto tempo.
“Sono contenta di sapere che state bene,” rispose Hevonie.
“Ho saputo che avete intenzione di tornare a Kosworth a riprendere il trono, sappiate che si tratta di una grande responsabilità per una ragazza giovane, quale voi siete,” fece una pausa poi proseguì con aria solenne. “Spero davvero che vogliate accettare i suggerimenti di chi ha più esperienza di voi in questo settore e che per anni è stato fedele servitore di vostro padre. E' sicuramente necessario che voi riceviate tutta l'assistenza necessaria per il compito che vi attende.”
“Vi ringrazio, per me è importante sapere di potere contare su di voi,” disse Hevonie.
“Voi possedete la Pura Magia, ma visto i vostri trascorsi, diciamo non proprio limpidi,” lord Kerris lanciò uno sguardo fugace al polso di Hevonie dove il bracciale senza la pietra faceva mostra di sé. “Dicevo, che forse avreste bisogno di una guida che possa tenere a bada le vostre manchevolezze.”
Hevonie alzò gli occhi e lo fulminò con lo sguardo. La marchesa se ne accorse e cercò di mediare.
“La principessa ha dimostrato grandi capacità, forse ha commesso qualche errore dovuto alla sua giovane età, ma sono sicura che arriverà a capire l’importanza dei vostri consigli.”
“Non ho detto che la principessa non abbia le adeguate capacità, ma se non s’impegnerà nello studio degli antichi testi, otterrà scarsi risultati,” il tono di lord Kerris si era fatto imperioso. ”Se penso ai grandi dispiaceri che avete procurato a vostro padre, mi si stringe il cuore.”
“Ehi aspettate un momento!” Protestò Hevonie.
Lord Kerris chiuse gli occhi e si portò entrambe le mani alle tempie come se avesse un improvviso mal di testa. “Per favore, principessa, risparmiateci le vostre spiegazioni, non ci saranno di alcun aiuto.”
Hevonie si sentì frustrata, quell’uomo la conosceva da quando era nata e purtroppo era al corrente delle sue malefatte. Ma adesso lei era cambiata, non era più la stessa principessa frivola di una volta. Ma non poteva certo convincerlo di ciò in pochi minuti. Vedendo che Hevonie non parlava, lord Kerris proseguì dicendo.
“La magia richiede anni di studio, non ci si può improvvisare e voi che non l'avete praticamente studiata, non potete pretendere di affrontare un compito così importante da sola.”
A Hevonie ribolliva il sangue nelle vene, ma restò zitta per non creare imbarazzo alla marchesa.
“Bisogna imparare un incantesimo alla volta. Bisogna esercitarsi tutti i giorni, controllare ogni gesto, ogni parola,” lord Kerris parlava a raffica. “Ogni incantesimo è diverso, la magia è una disciplina difficile da apprendere.”
“Allora com’è che i maghi del Concilio non sono riusciti a sconfiggere Malwen e i suoi demoni, mentre mio padre, prima di morire, ha affidato questo incarico a me?” Chiese Hevonie furente.
“Questo lo dite voi, non c'è nessuno che possa testimoniare che le cose siano andate davvero così,” rispose tranquillo lord Kerris. “So che avete dentro di voi una forza straordinaria che vi deriva dalla vostra origine, ma quello che non so è se sarete in grado di controllarla e questo fattore potrebbe rivelarsi determinante.”
“C'era un testimone, la mia governante Zoelle,” disse Hevonie. ”Ve la ricordate? Lei era presente ed ha assistito mio padre fino al suo ultimo respiro. Non l'ha mai abbandonato, al contrario di voi.”
Appena ebbe pronunciato quelle parole, Hevonie si morse le labbra.
Lord Kerris le voltò le spalle e si rivolse alla marchesa.
“Lo scopo della mia visita era propositivo, volevo donare i miei consigli, ma a quanto pare il mio aiuto disinteressato, non è gradito, per cui tolgo il disturbo.”
“Vi ringrazio lord Kerris,” disse la marchesa, senza ben capire cosa fosse successo.
“Spero di rivedervi presto,” il gran consigliere fece un inchino e si diresse verso la porta, ignorando Hevonie completamente.
Una volta rimaste sole, la marchesa disse. “E’ stato molto maleducato da parte tua, comportarti così.”
“Lo so, ne sono consapevole. Ma ho capito dove vuole andare a parare, mio padre si era fidato di Malwen Rakomar e sappiamo cosa è successo. E lui proveniva dall'ambiente del Concilio dei maghi, se mio padre si circondava di quei personaggi, io non lo accetterò. Le cose dovranno cambiare.”
La marchesa scosse la testa.
“Non so cosa hai in mente di fare, ma la tua determinazione mi piace e ad essere sincera, anche a me Lord Kerris sembra troppo imbalsamato. Però penso che i suoi intenti siano sinceri, ti vuole davvero aiutare. Quindi devi imparare ad essere più diplomatica, l'ultima cosa di cui hai bisogno sono ulteriori nemici,” l'ammonì la marchesa.
“Mi ha provocato,” cercò di difendersi Hevonie.
“Si forse, ma devi lo stesso imparare a controllarti.”
“Ci proverò.”
“Lo spero davvero per il tuo bene. Adesso vai, fai una bella dormita che domani è giorno di partenza.”
Hevonie ringraziò la marchesa e la salutò calorosamente poi si avviò verso la sua camera, per trascorrere quella che sarebbe stata l'ultima notte in quella dimora incantevole.
Il mattino seguente Hevonie stabilì di riappacificarsi con Lord Kerris. Parlarono a lungo e decise di accettare il suo consiglio, ossia quello di andare a chiedere aiuto a Delmus.
Forse lei era solo prevenuta nei confronti dei maghi del Concilio, mentre in realtà avrebbe dovuto dare loro una possibilità. Inoltre non sapeva dove trovare Oktar, quindi riconobbe che aveva bisogno del loro sostegno.
Quando fu pronta, Towalce la raggiunse e insieme montarono a cavallo e partirono. Nel tardo pomeriggio arrivarono al Concilio dei maghi e furono accolti da Korban, che aveva accettato di fermarsi lì per dare il suo aiuto.
Si salutarono calorosamente, contenti di rivedersi dopo tanto tempo. Quando si furono sistemati Korban li portò in giro per tutto il palazzo.
Alla fine di quel giorno estenuante, Hevonie si sentiva spossata. Mentre Towalce come al solito sembrava non risentire minimamente della stanchezza.
Anzi li lasciò soli per andare a esercitarsi insieme agli altri cavalieri. Korban, dopo aver spiegato a Hevonie innumerevoli cose, stordendola di parole, l’accompagnò nella sua stanza.
Quando entrò, Hevonie vi trovò Lisian, la figlia dei conti Laratoff, che sembrò scontenta del suo arrivo.
“Penso vi conosciate,” disse Korban, intuendo che tra le due ragazze non corresse buon sangue.
“Ci siamo già incontrate,” disse Hevonie, chiedendosi cosa ci facesse lì quella ragazza odiosa.
“Lisian è ospite del Concilio. Ha accompagnato il padre che doveva parlare di affari importanti con Delmus, poi il conte ripartirà e Lisian si fermerà qualche giorno da noi. Forse non lo sai ma anche Lisian è in grado di adoperare la magia. Ho pensato che potevate farvi un po’ di compagnia. Adesso vi lascio sole, così avrete modo di parlare liberamente.”
Korban se ne andò e Hevonie sperò di andarsene a dormire senza dover fare conversazione. Lisian la fissava in attesa, probabilmente si aspettava una qualche parola o reazione ma Hevonie le voltava volutamente le spalle, non avendo voglia di chiacchierare. Era ancora arrabbiata per la faccenda della Lunia e non aveva certo voglia di discuterne in quel momento.
Di certo non avrebbe mai immaginato che quella ragazzina fosse una maga. Ma ripensandoci aveva percepito qualcosa, quando l'aveva incontrata per la prima volta. Notò che la stanza era così piena di oggetti che le diede un senso di soffocamento. Senza incrociare lo sguardo di Lisian, vide molti libri, carte e diverse pergamene che lasciavano intravedere raffinate calligrafie.
Alle pareti erano appesi due specchi, mentre su alcuni scaffali c'erano appoggiati libri, candele e vasi di vetro che contenevano liquidi e polveri colorate. C’era un grande armadio per i vestiti, un comodino e la scrivania, non mancava proprio niente. Sotto tutta quella quantità di mobili e oggetti, la stanza era spaziosa. Hevonie si avvicinò alla grande finestra, guardò fuori e vide un bel parco, in fondo al quale c'era un piccolo lago. Mentre camminava, udì che il pavimento fatto di listelli di legno, scricchiolava ad ogni passo. Nonostante la stanza fosse confortevole, Hevonie non si sentiva a suo agio.
“Principessa Hevonie, permetti una parola?” Il tono lezioso con cui Lisian aveva parlato la irritò, quindi si voltò pronta ad affrontarla.
“Se non si tratta di una parola intelligente, preferirei di no.”
“Vedo che siamo nervose,” commentò Lisian acida.
“Non sono affari tuoi. Ti chiedo solo di lasciarmi in pace, per favore.” Hevonie era stanca e l'ultima cosa di cui aveva bisogno era litigare.
“Se fossi in te, starei attenta a come parli,” la minacciò Lisian.
“Io non voglio rogne, quindi fammi il favore di andartene.”
“Volevo solo darti questo,” le disse tendendole un vaso di vetro.
Hevonie diede un'occhiata al suo interno e fece una smorfia di disgusto.
“Che cosa te ne fai di un vaso pieno di gusci di lumache?”
“Mi servono per preparare un balsamo per i miei capelli,” rispose Lisian. ”Volevo offrirtene un po’. Ma vedo che è fatica sprecata.”
“Tu sacrifichi delle povere creature per la tua sciocca vanità, dovresti vergognarti di te stessa!” Esclamò Hevonie respingendo il vaso con la mano.
“Ma cosa pensi, che sia completamente impazzita!” Strillò Lisian offesa. “Io raccolgo i gusci vuoti, che trovo per terra lungo i sentieri.”
“Scusami,” mormorò Hevonie. “Il fatto è che sono molto stanca.”
Sbadigliò platealmente e cominciò a prepararsi per andare a dormire.
“Che cosa pensi di fare?” Chiese Lisian.
“Secondo te? Me ne vado a letto. Vorrei che tu facessi altrettanto, in camera tua.”
Lisian rimase in piedi, indecisa sul da farsi, poi sbuffando uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Hevonie rimase sola e si pentì di essere stata così sgarbata.
Anche Lisian però, ce l'aveva messa tutta per provocarla. Una cosa era certa doveva andarsene al più presto e trovare Oktar. Le sembrava di aver perso già troppo tempo. Ma sapeva che per il momento non era possibile, quindi si rassegnò e si mise a letto a dormire.
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Il primo raggio di luce filtrò dalla finestra e colpì Hevonie in pieno il viso. Per un attimo pensò di trovarsi nel suo letto, a Kosworth, con Zoelle affaccendata in cucina, a prepararle la colazione. Invece quando aprì gli occhi, l’immagine di una cameriera vestita di bianco, che la fissava arcigna, la riportò bruscamente alla realtà.
“La principessa è attesa nella sala del Concilio alle nove,” disse la donna.
“E che ore sono?” Hevonie si tirò le coperte sul naso e lanciò uno sguardo verso la finestra. Il sole era già stato oscurato dalle nubi. L'inverno era ormai iniziato.
“Sono le otto. Vostra Altezza.”
A Hevonie sembrò che la cameriera pronunciasse le parole “Vostra Altezza” come se fossero un insulto. Con un lieve inchino la donna si voltò e uscì dalla stanza.
Hevonie si alzò e si diresse alla finestra, aveva bisogno di respirare dell’aria fresca. Aprì le imposte e inalò una boccata di aria gelida, che la risvegliò completamente. Guardò il lago in lontananza e i riflessi degli alberi sulla sua superficie. Tra di essi c'erano dei salici piangenti che riversavano le loro fronde direttamente nell’acqua. Erano contornati da alcuni cespugli di forsizia, che rendevano il paesaggio incantevole.
L’immagine del lago era troppo invitante e Hevonie decise di andare a vederlo da vicino. Ma doveva sbrigarsi altrimenti sarebbe arrivata in ritardo all'appuntamento. Quindi si vestì velocemente e decise di saltare la colazione per guadagnare qualche minuto prezioso. Prese il suo mantello e uscì dalla stanza, il corridoio era deserto, sperava ardentemente di non incontrare nessuno. Attraversò il prato e dopo un po’ raggiunse la riva del lago, sentì subito l'odore dell'acqua stagnante salirle su per le narici. Il canto degli uccellini riempiva l'aria di suoni vivaci. Si guardò intorno e non vide nessuno, quando minacciava di piovere, era difficile che qualcuno si avventurasse all'aperto.
Per Hevonie invece il cielo grigio e il clima rigido non costituivano un problema. La temperatura era meno pungente di come si aspettava, quindi si tolse le scarpe e le calze e sentì l’erba fresca sotto i piedi. Fece qualche passo ed entrò nell’acqua che si rivelò ghiacciata. Un brivido di freddo la pervase completamente, ma rimase con i piedi nell’acqua e avanzò fino ad averla oltre le caviglie. Avvertiva la fanghiglia del fondo muoversi sotto i piedi ed infilarsi tra le dita.
Inspirò profondamente, si sentì libera dagli sguardi altrui, dai doveri e dalle tediose faccende della vita. Chi se ne importava di tutto il resto, quando il contatto con la natura la faceva sentire così bene? Con sua sorpresa vide dei pesci guizzare vicino ai suoi piedi, non la temevano, era in perfetta armonia anche con loro. A pochi metri da lei, notò una grossa roccia che sporgeva sulla riva del lago.
La raggiunse e vi si arrampicò sopra, si mise seduta a cavalcioni e da quel punto osservò che il lago era più grande di quello che a prima vista le era sembrato. All'estremità più lontana si trovava un’enorme foresta di alberi alti e fitti, che formavano una parete impenetrabile e scura. Immaginò che potesse nascondere spaventosi segreti ed essere abitata da mostruose creature, un posto senza ritorno, dove chi vi entrava, non ne usciva più.
In tutte le storie che aveva sentito i boschi nascondevano degli esseri terrificanti pronti ad avventarsi sugli ignari viaggiatori. Una volta avrebbe riso di fronte a questi racconti, ma dopo avere attraversato il Reame Perduto, sapeva che queste storie probabilmente erano vere. Chiuse gli occhi e si rilassò godendosi la solitudine. C’era una pace assoluta, nessun rumore molesto raggiungeva quel luogo. Udiva solo il debole infrangersi dell’acqua contro la roccia e il richiamo dei cervi in lontananza. Poi Hevonie decise che per evitare conseguenze spiacevoli era meglio tornare, non era una buona idea fare attendere i maghi del Concilio.
Scendendo dalla roccia mise un piede su un punto melmoso e viscido. Scivolò e si ritrovò immersa nell’acqua gelida, bagnata fino al collo.
Lanciò un'imprecazione e si maledisse per essere stata così maldestra, si rialzò a fatica cercando di non cadere un'altra volta e raggiunse a tentoni la riva. Uscì dall'acqua scossa da brividi di freddo e si mise seduta sul prato, per fortuna non si era fatta male a parte qualche graffio superficiale.
Se prima rischiava di arrivare tardi, adesso sarebbe stato ancora peggio, non poteva certo presentarsi in quelle condizioni all'appuntamento.
Avrebbe dovuto asciugarsi, cambiarsi i vestiti e soprattutto trovare una scusa plausibile per spiegare il suo ritardo.
A un tratto ebbe la sensazione di essere osservata.
Si voltò lentamente e sulla riva opposta del lago vide una bambina.
Dimostrava circa dodici anni. Ma c’era qualcosa di strano in lei, guardandola meglio Hevonie si accorse che dalla schiena le spuntavano un paio di piccole ali fatte di piume.
Così com’era apparsa, la ragazzina scomparve, tanto che Hevonie pensò di averla immaginata.
Avrebbe voluto attendere qualche minuto per vedere se riappariva, ma era così tardi che non poteva permettersi di aspettare oltre.
Si rialzò e a malincuore riprese la strada del ritorno, sarebbe ripassata in un altro momento. Ma quando arrivò davanti all’entrata del palazzo e vide Korban con le mani sui fianchi, capì che i suoi guai non erano ancora finiti.
Korban non le lasciò nemmeno il tempo di scusarsi per essere arrivata in ritardo.
“Spero per te che tu abbia una buona ragione, altrimenti con che faccia ti presenterai davanti a Delmus e agli altri maghi?”
Era davvero arrabbiato e sembrava che stesse per esplodere.
Hevonie grugnì, era bagnata fradicia e tremava dal freddo, in più doveva subire quella sgridata da Korban.
Non l'aveva fatto apposta a scivolare nel lago, ma sapeva che in quel frangente ogni spiegazione sarebbe stata inutile.
“Non è colpa mia,” disse solamente.
Korban la interruppe con un gesto.
“Non dire una parola di più, ti conosco e so che non posso fidarmi di te. Ma ormai Delmus ti aspetta. Promettimi almeno di non crearmi troppi fastidi con i maghi del Concilio.”
Hevonie pensò che fosse meglio tacere, non voleva irritarlo ulteriormente. Si avviarono all'interno dell’edificio e per tutto il tragitto fu tartassata e rimproverata da Korban.
La accusò di essere irresponsabile e immatura e che non avrebbe mai potuto prendere il posto di suo padre se non avesse cambiato atteggiamento.
“Adesso vai a cambiarti, avviserò Delmus che stai arrivando,” le disse brusco.
Hevonie tornò di corsa in camera sua, si tolse i vestiti bagnati e li mise vicino al camino acceso.
Dopo essersi asciugata, indossò degli abiti puliti e si precipitò verso la sala del Concilio. Quando entrò, la trovò vuota, ma guardando meglio scorse Delmus, seduto davanti ad un grande tavolo. Quando la vide, il mago si alzò in piedi e le andò incontro sorridendo, poi disse.
“Quando ho visto che non arrivavi, mi ero quasi preoccupato.”
“Io volevo scusarmi per il ritardo,” rispose Hevonie mortificata.
“Korban mi ha spiegato la tua disavventura, spero che adesso sia tutto a posto.”
“Sì, sto bene, grazie,” l'atteggiamento comprensivo di Delmus la fece sentire in colpa.
"Purtroppo ho saputo della morte di tuo padre e ti assicuro che questa notizia mi ha provocato un immenso dolore,” asserì Delmus rattristato.
Hevonie teneva lo sguardo incollato a terra.
“Ma come sai, bisogna andare avanti e tu non devi rendere vana la sua morte e quella di tutte le altre persone che hanno perso la vita a causa di Malwen e i suoi demoni.”
“È quello che ho intenzione di fare,” rispose Hevonie.
“Bene, so anche che la pietra la custodisce Oktar, il vecchio mago di corte di tuo nonno,” disse Delmus. “Tuo padre deve avergliela affidata perché la conservasse in un posto sicuro. Ma Oktar vive lontano da qui e dovrai andare a cercarlo per fartela riconsegnare.”
Hevonie lo ascoltava in silenzio.
"Purtroppo ho saputo che non ti sei impegnata quando dovevi e non hai studiato abbastanza,” la redarguì Delmus.
Hevonie a sentire quelle parole, si morse le labbra.
"Tu sei dotata di un potere speciale ma se non sarai in grado di usarlo al meglio, otterrai ben pochi risultati. Però non puoi certo perdere tempo ad imparare le basi della magia da capo.” Delmus si fermò a riflettere e poi proseguì. “E' come se tu fossi una casa con delle fondamenta fragili, invece di buttare giù i muri e ricostruirla, cercheremo di rinforzarne la base. In questo modo la struttura starà in piedi lo stesso. Lo so, è un esempio un po’ stupido, ma io non ho molta immaginazione. Vedrai che ce la faremo.”
Hevonie lo guardò perplessa.
“Sei molto buono con me, ma la colpa è solo mia. Se non mi fossi comportata in modo tanto immaturo, non mi sarebbe stata tolta la pietra di Koltrane.”
“Ormai la situazione è questa,” convenne Delmus. “Quindi smettila di compiangerti e cerca piuttosto di rimediare e preparati a quello che ti aspetta. Molti di noi fanno delle scelte che non portano dove avremmo voluto. Per facilitarti le cose ti assegnerò alle cure di Korban, che ti seguirà in questa fase di preparazione, al quale potrai chiedere spiegazioni e aiuto in ogni momento.” Delmus fece una pausa poi aggiunse. “In più ti affiancherò Lisian per un ulteriore supporto.”
“No.” Hevonie gridò.
“Perché no?”
“Noi due non andiamo d'accordo.”
“Che sciocchezze! Lisian ha un carattere non proprio facile, ma conosce molte formule magiche a memoria e ha una buona infarinatura in tutte le materie. Purtroppo il suo potere magico è carente, qualità che tu invece possiedi in abbondanza, quindi potrai aiutarla ad aumentare il suo. Sarete un' accoppiata vincente, ne sono sicuro.”
“Ma io devo trovare Oktar, al più presto,” protestò Hevonie.
“Se anche ritornassi in possesso della pietra, non saresti in grado di affrontare Malwen e i suoi demoni, devi prima prepararti.”
Ci fu un lieve bussare alla porta e Lisian entrò nella stanza. Il suo sguardo si posò su Hevonie e s’irrigidì.
“Scusatemi,” disse rivolgendosi a Delmus. “Tornerò più tardi, quando non sarai così occupato.”
“No, ti prego resta,” la trattenne Delmus. “Ho bisogno di te proprio adesso.”
“Preferirei aspettare fuori, finché non avrete finito,” insistette Lisian.
Delmus sorrise e con un gesto la invitò ad avvicinarsi.
“Il punto è che è proprio di Hevonie che ti volevo parlare, quindi la presenza di entrambe mi sembra la cosa più opportuna.”
Delmus si sedette e invitò le due ragazze a fare altrettanto, Hevonie fu la prima a sedersi seguita con riluttanza da Lisian, che non nascondeva il suo disappunto.
“Volevo informarti che d’ora in avanti Hevonie sarà la tua compagna di studi. Dovrai insegnarle le basi della magia e istruirla sui diversi argomenti, insomma sarà una specie di allieva. Cosa ne pensi?”
Un lungo silenzio calò nella stanza.
“Ebbene?” Chiese Delmus.
“E io cosa ci guadagno in tutto questo?” Chiese Lisian sospettosa.
“Sai bene che Hevonie dovrà affrontare Malwen e la cosa richiederà un enorme sforzo da parte di tutti noi. Mi sembra giusto che tu dia il tuo contributo, senza ricevere nulla in cambio, se non la soddisfazione di avere svolto la tua parte al meglio.” Delmus mantenne un’espressione calma e sorridente e percepì la lotta interiore che si svolgeva dentro la ragazza.
“Va bene, accetto,” rispose Lisian a denti stretti. Poi lanciò a Hevonie uno sguardo di fuoco e disse. “Posso andare adesso?”
“Certo, recati nell'aula magna, Hevonie ti raggiungerà tra poco. Comincerete subito. E mi raccomando, conto su di te.”
Lisian si alzò dalla sedia e uscì. Rimasti soli, Delmus si rivolse a Hevonie con un sorriso e disse. “Visto? Tutto è andato per il meglio.”
“Certo, come no!” Hevonie scosse la testa. “Se avesse potuto incenerirmi con lo sguardo, lo avrebbe fatto sicuramente.”
“Si, può darsi. Ma adesso vai, mostra queste carte a Lisian, ci sono le materie che ti deve insegnare con i relativi appunti.“
Hevonie prese in mano un grosso fascio di fogli e li guardò sospirando.
Poi si congedò da Delmus e uscì dalla stanza demoralizzata, non aveva nessuna voglia di fare quello che le era stato chiesto, ma rassegnata si avviò verso l'aula.
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Durante la lezione Lisian parlava a ruota libera, elencando un sacco di nomi, pronunciando delle formule e dei teoremi dagli oscuri significati.
Hevonie si ritrovò seduta ad un banco con la testa appoggiata sulle braccia in preda ad uno sbadiglio trattenuto fin troppo a lungo.
Lisian continuava a parlare imperterrita come se volesse spiegare tutto quello che sapeva in un paio d'ore.
Con il risultato che Hevonie non riusciva più a prestarle attenzione e si distraeva guardando fuori dalla finestra, da dove intravedeva il lago, il luogo in cui voleva ritornare al più presto.
Ripensava alle sensazioni bellissime che aveva vissuto quella mattina e immaginò di stare all’aria aperta e rivedere quella specie di fatina con le sue belle ali.
Si riscosse e riportò la sua attenzione su Lisian che la fissava adirata.
“Hai finalmente deciso di degnarmi della tua attenzione, principessa? Che onore!”
Hevonie si vergognò di se stessa, non ne combinava una giusta. Sapeva che Lisian la chiamava “principessa” solo per schernirla.
Lisian stava in piedi con le braccia lungo i fianchi e stringeva i pugni stizzita.
“Poiché non hai bisogno dei miei insegnamenti, dimostrami quello che sai fare,” esclamò con un tono glaciale.
”Non capisco che cosa intendi dire,” Hevonie rimase seduta a guardarla.
“Allora aspetta qui e non ti muovere.” Lisian uscì svelta dalla stanza e tornò pochi minuti dopo insieme a Delmus, la sua espressione era seria, il suo sorriso bonario era sparito.
Si mise di fronte a Hevonie e chiese. “E’ vero quello che Lisian mi ha riferito?”
“Se ti ha riferito che non ho prestato attenzione a una sola parola di quello che ha detto, è vero.”
Lisian fece un sorriso di soddisfazione.
“Lasciaci soli un attimo, ti prego,” ordinò Delmus a Lisian che uscì di malavoglia, perché avrebbe voluto assistere alla scena. Ma appena uscita accostò l’orecchio alla porta per ascoltare.
Delmus sapeva che Lisian era fuori in ascolto, quindi prese una sedia, la avvicinò a quella di Hevonie e si sedette, poi abbassando la voce disse.
“Stai sbagliando Hevonie a comportarti in questo modo, così non vai da nessuna parte. Qui hai la possibilità di imparare le arti magiche, hai i migliori insegnanti a disposizione, ma se tu non ci metti un po’ di volontà, non sarai mai una maga forte abbastanza da sconfiggere Malwen. Figuriamoci uno spirito potente come quello di Darkebetz.”
Poi alzò la voce in modo che Lisian potesse sentire e gridò.
“Lisian è un’ottima insegnante e devi prestarle ascolto, è chiaro? Se sento un’altra lamentela da parte sua, dovrai lasciare questa sede per sempre.”
Poi le sussurrò all’orecchio. “È questo che vuoi?“
“Non lo so che cosa voglio.” Hevonie scosse la testa avvilita.
“Mi è venuta un’idea.” Delmus si alzò dalla sedia e uscì dalla stanza, rientrando subito dopo insieme a Lisian che aveva un’espressione trionfante sul viso.
“Adesso Lisian voglio che tu mostri a Hevonie una prova pratica di magia.”
“Di che genere?” Chiese Lisian perplessa.
“Quello che vuoi, cosa preferisci fare?”
Lisian si guardò intorno in cerca di qualcosa da fare.
“Potrei riparare quel vaso rotto,” disse indicando un antico vaso in pezzi posto in un angolo della stanza.
”D'accordo, facci vedere cosa sai fare,” la incoraggiò Delmus.
Lisian dopo un momento di esitazione, ridiventò sicura di sé, fece dei gesti con le mani e puntò gli indici dritti contro il vaso. Una luce bianca uscì dalla punta delle due dita e colpì i cocci del vaso che cominciarono ad oscillare e si mossero, andando a ricomporre il vaso.
“Brava, ottimo lavoro.” Delmus prese il vaso ricomposto e lo osservò compiaciuto, poi lo gettò a terra rispaccandolo in una miriade di pezzi.
“Ora tocca a te Hevonie, mi raccomando.”
Hevonie fissò i frammenti e si domandò se stessero scherzando.
Aggiustare un vaso rotto era la dimostrazione di chissà quale sorta di meravigliosa magia? Era il frutto di anni di studio e d’intricate formule ed equazioni?
Si avvicinò ai cocci del vaso e si chinò. Mise le sue mani aperte con i palmi in giù e chiuse gli occhi. Si concentrò e visualizzò il vaso come se fosse un essere sofferente al quale dare una cura.
Mosse le mani in piccoli cerchi e le sollevò, avvertì il flusso di energia uscire da lei e trasferirsi sui pezzi del vaso, che tremolarono lentamente per poi attaccarsi tra loro e riformare il vaso.
Quando sentì un mormorio di sorpresa, aprì gli occhi, a quanto pare una piccola quantità del suo potere riusciva a fluire, nonostante l'assenza della pietra. Il vaso perfettamente intero era lì per terra davanti a lei.
Si rialzò e vide Lisian con la bocca aperta per lo stupore, mentre Delmus sorrideva soddisfatto. Sapeva che d’ora in avanti le cose si sarebbero aggiustate esattamente come quel vaso.
Mentre stavano tornando nelle loro stanze, Hevonie si accorse che Lisian era stranamente silenziosa e si guardò bene dall'interrompere quell'apparente tregua.
Lisian prese fiato, stava per dire qualcosa, ma si fermò e si limitò a lanciare uno sguardo a Hevonie che la ignorò volutamente.
Ma dopo un momento tornò all’attacco.
“Ti volevo chiedere scusa. Questa situazione è colpa mia, ti sono stata subito contro, giudicandoti prima ancora di conoscerti. Mi dispiace.”
Quelle parole sorpresero Hevonie e all'improvviso Lisian le apparve per quello che era, una giovane ragazza fragile e insicura.
“Non ti preoccupare,” confessò Hevonie. “Ammetto di avere contribuito anch’io a peggiorare le cose, con il mio comportamento ostile.”
“Il fatto è che ti ho vista come un’intrusa, tutti parlavano di te. Mi sono sentita messa in disparte. Ero arrabbiata con il mondo intero. Per questo ho versato la Lunia nello spumante, volevo fare un dispetto a tutti quanti. Confesso di essere invidiosa di te.”
“Se sapessi come stanno veramente le cose, non mi invidieresti affatto,” mormorò Hevonie.
Lisian sembrò meditare su quelle parole, poi disse.
“Sai, mi piacerebbe raggiungere un livello di eccellenza nella magia per dare il mio contributo nella lotta contro Malwen come ha detto Delmus.”
“Questo è ammirevole da parte tua,” convenne Hevonie.
“Allora pensi che potremmo diventare amiche?” Chiese Lisian timidamente.
“Possiamo provarci,” sorrise Hevonie tendendole la mano.
Lisian la prese e la strinse con vigore. Raggiunsero la stanza di Hevonie, vi entrarono e si misero sedute sul letto a gambe incrociate.
“Qual è la vera ragione per cui sei qui al Concilio?” Chiese Lisian più tranquilla.
“Perché mi stanno aiutando a pianificare il mio ritorno a Kosworth, ma prima devo riottenere la pietra,” rispose Hevonie. ”Senza di quella non potrò fermare Malwen.”
“Sarà un compito arduo,” Lisian disse comprensiva.
Hevonie si limitava a guardarsi le punte delle scarpe.
Lisian saltò giù dal letto. “Malwen è l'essere più malvagio che esista, sarà difficile e pericoloso combatterlo.”
“Lo so, per questo bisogna fermarlo prima che sia troppo tardi.”
Lisian fissò Hevonie come se cercasse di penetrarne i pensieri. Poi si alzò, prese alcuni libri e li appoggiò sulla scrivania.
“Comunque, se davvero questa è la tua missione, è meglio che ci sbrighiamo con la tua istruzione,” disse sfogliando il primo libro che aveva davanti. “Se non ti dispiace, comincerei subito, sempre che tu voglia il mio aiuto.”
“Certo che lo voglio,” esclamò Hevonie, che si alzò dal letto e la raggiunse alla scrivania.
Lisian sembrava a suo agio nel ruolo d’insegnante, vestita con un raffinato abito verde stretto in vita, si muoveva svelta tra libri, quaderni e alambicchi vari. Hevonie la ascoltava attentamente seduta su una poltroncina.
C’era una lavagna sospesa, dove Lisian aveva scritto delle formule e fatto alcuni disegni che man mano spiegava.
“…e a questo punto devi soltanto girare intorno al cerchio e recitare le parole di seguito senza fermarti. Altrimenti la forza svanisce. Se vuoi un effetto maggiore lo devi ripetere dieci volte, disegnando ovviamente dieci cerchi.”
Hevonie annuì con lo sguardo concentrato, come se stesse ascoltando la cosa più interessante del mondo. Ma dentro di sé pensava che era fiato sprecato, avrebbe preferito mille volte essere al lago a cercare la bambina alata invece di perdere tempo con tutti quegli inutili insegnamenti.
Però non voleva apparire scortese per cui continuò a seguire le spiegazioni di Lisian, sperando che qualcosa ponesse fine a quel tormento.
Quando infine la sentì dire che avevano finito, trattenne un impeto di gioia. Pensava che quel momento non sarebbe mai arrivato.
“Allora cosa ne pensi? E stato interessante?” Lisian chiese con trepidazione.
“Sei stata bravissima, sono io che faccio fatica a capire. Non so, in realtà mi sembra tutto così complicato e un po’ vecchio.” Hevonie si pentì di avere detto quella frase.
Infatti, Lisian le lanciò uno sguardo infuocato.
“E quale sarebbe la maniera di fare magia in modo nuovo?”
“Io quando voglio fare una cosa mi concentro e la faccio, senza bisogno di strane formule o incantesimi,” spiegò senza mezzi termini Hevonie.
“La tua magia funziona grazie alla pietra, che a quanto pare hai avuto la capacità, più unica che rara, di farti revocare,” ribatté Lisian stizzita.
“Ma come ti permetti!” Hevonie si alzò dal letto e le si avvicinò parandosi davanti, con le mani sui fianchi. “Non mi sembra il caso che tu possa sputare sentenze, quando la tua magia si basa su vecchie formule, la maggior parte delle quali obsolete ed inutili.”
“Questo lo dici tu!” La voce di Lisian si era fatta stridula.
“Se devo affrontare un pericolo mortale, non avrò mai il tempo di disegnare dieci cerchi e girarci intorno dieci volte, prima di effettuare un incantesimo,” disse Hevonie sprezzante.
“Queste sono formule arcaiche, non vecchie. Hanno una loro bellezza e sacralità,” replicò Lisian furiosa. “Ma tu come puoi capire? Tu sei solo una principessa cresciuta tra le mura dorate di un castello. Ignori tutto quello che succede nel resto del mondo, per questo il regno è in pericolo. Tu non hai mai alzato un dito per aiutare tuo padre!”
Hevonie si sentì come se l'avessero pugnalata alla schiena. Quelle parole la ferirono profondamente.
Tremava per la tensione e si trattenne dal dare una spinta a Lisian, ma la sua voce faceva trapelare la rabbia che provava.
“Io sarò anche come dici tu, ma potrei ottenere i tuoi stessi risultati con uno schiocco delle dita, proprio grazie alla pietra di Koltrane. Mentre tu moriresti prima di riuscire a concludere una delle tue stupide e fiacche formule.”
“Ti faccio vedere io chi è una stupida qui dentro!”
Lisian cominciò ad agitare le braccia disegnando come una forsennata simboli nell’aria e sussurrando strane parole.
Hevonie intuendo quello che Lisian si apprestava a fare, chiuse gli occhi e si concentrò.
Davanti a lei si creò una barriera di luce che si frappose tra loro due.
Quando Lisian vide lo scudo di luce, si bloccò e smise immediatamente di muoversi.
Sapeva che non avrebbe mai potuto scalfire una tale massa di energia. Sconfitta lasciò cadere le braccia sui fianchi e si buttò sul letto esausta.
Hevonie aprì gli occhi e si rese conto che stavano per commettere una grave sciocchezza, stavano usando la magia per combattersi tra loro, soprattutto per un futile motivo.
Hevonie lasciò defluire l'energia dello scudo, che svanì nell'aria.
Nello stesso tempo avvertì una presenza estranea nella stanza, si guardò intorno e una sensazione di pericolo la mise in guardia.
Ma oltre a loro due, non c’era nessun altro e la sensazione svanì.
Hevonie vedendo Lisian così mortificata avrebbe voluto dirle qualcosa, ma in quel momento pensò che forse era meglio non discutere.
Lisian si alzò dal letto e si trascinò fuori dalla stanza senza dire una parola, tenendo lo sguardo basso. Probabilmente anche lei aveva capito, quanto fosse stata sbagliata la loro reazione.
Rimasta sola, Hevonie si stese sul suo letto e cercò di rilassarsi, in cerca di un sonno che però, tardava ad arrivare.
Delmus prese una sedia e vi si lasciò cadere sopra. Spostò dal tavolo una pila di manoscritti, una sfera di cristallo e il vaso che era stato riparato. Si soffermò a guardarlo un attimo, poi lo mise di lato insieme al resto.
Dalla stanza accanto Joleen gridò. ”Una tazza di tè?”
“Si grazie,” rispose Delmus. Finalmente potevano rilassarsi dopo una giornata ricca di eventi. Si mise comodo sulla sedia, appoggiò le braccia sul tavolo e vi posò sopra la testa.
Joleen entrò nella stanza con un vassoio sul quale c’erano due tazze fumanti e un piatto ricolmo di biscotti profumati alla vaniglia. Lo appoggiò nello spazio che Delmus aveva creato sul tavolo e si mise seduta di fronte a lui, prese un biscotto e lo addentò. Delmus non aveva fame ma per spirito di cortesia, ne prese uno anche lui.
“Com’è andata con la nostra principessa?” Chiese Joleen.
Delmus sospirò e rispose. “Bene, l’ho affidata a Lisian, sono sicuro che insieme faranno grandi progressi.”
”Che cosa ha detto il Concilio?” Chiese Joleen mentre masticava il suo biscotto.
“Sono d'accordo nel dare a Hevonie tutto il loro sostegno.”
“Non pensano che sia un compito troppo gravoso per lei?”
“Immagino di sì,” rispose Delmus bevendo un sorso di tè.
“Questo non è giusto!” Esclamò Joleen. ”Pretendere che una ragazza così giovane possa affrontare un simile pericolo. A volte penso che il Concilio sia ormai solo un gruppo di vecchi maghi, incapaci di svolgere il proprio lavoro.”
“Ricordati che il Concilio è un'istituzione leggendaria e ha come principio assoluto la salvaguardia di tutti noi.” Delmus guardò contrariato Joleen. “E io sono onorato di esserne a capo da così tanti anni.”
“Non metto in dubbio le loro buone intenzioni, quello che dico è che il Concilio è il tempio della magia. Dovrebbero essere loro ad interessarsi della faccenda, lasciando fuori Hevonie.”
“Lo farebbero se potessero, ma la chiave di tutto è quella ragazza,” puntualizzò Delmus.
“Spiegati meglio,” lo sollecitò Joleen.
“Nel sangue di Hevonie scorre la Pura Magia ed è quella che le permetterà di sconfiggere Darkebetz. Solo lei può usare gli incantesimi contenuti nella pietra di Koltrane. Quando la indossa entra in simbiosi con il potere racchiuso in essa.”
“E tutti quei maghi a cosa servono?”
“I maghi del Concilio possono solo tenere a bada la situazione, ma non risolverla,” disse Delmus. “Questo compito spetta a Hevonie.”
“Questo è assurdo,” sbottò Joleen.
“Ti assicuro che il Concilio sa il fatto suo, tu lo detesti per via di tuo padre, ammettilo.”
Joleen si sentì ribollire il sangue. “Se ti riferisci al fatto che mio padre non sia stato eletto nel Concilio, nonostante i suoi indubbi meriti, non c’entra con quello che io penso di loro.”
“Davvero?“ Delmus aggrottò le sopracciglia. “Non mi sembrava che lo disprezzassi così tanto, quando tuo padre era in lizza per le elezioni. Anzi, i complimenti per l’ottimo lavoro che secondo te svolgevano i maghi del Concilio, uscivano da quella stessa bocca con la quale adesso tu li denigri.”
“Basta così. Non voglio farmi coinvolgere ulteriormente da questa discussione.”
Joleen si alzò di colpo e lasciò la stanza sbattendo la porta dietro di sé.
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Nel mezzo della notte, Hevonie spalancò gli occhi. Si sentì sopraffatta dalla paura, dal dolore e da una sensazione di morte.
Era immersa nel buio, niente luce, niente aria, aveva brividi di freddo in tutto il corpo. Le mancava il respiro, si sentiva soffocare.
”Vieni qua!” Una voce la chiamava da lontano.
Un dolore lancinante la pervase, sentiva la pelle staccarsi dalla carne. Aveva la sensazione che un liquido bollente le venisse versato giù per la gola.
“No!” Urlò senza fiato.
“Vieni qua!” La voce ora era furiosa, violenta.
Le braccia e le gambe di Hevonie si muovevano in preda a convulsioni.
“Vattene, lasciami stare!” Hevonie gridò in un bagno di sudore.
“No, io voglio te!” La voce era una lama tagliente che le trafiggeva la mente.
Un lampo di luce illuminò quelle tenebre, Hevonie doveva aggrapparsi a quella luce di speranza, doveva creare una barriera difensiva. Cercò di concentrarsi per richiamare tutta la sua energia.
“Non puoi combattermi,” la voce era un eco nella sua testa, le sembrava che lambisse ogni cellula del suo cervello. Cercò di liberare un angolo della sua mente, per convogliare li, la sua unica possibilità di salvezza.
Finalmente sentì dentro di sé, rinascere la sua forza, infilò la mano in tasca e tirò fuori la pietra del fuoco. La infilò nel bracciale ed evocò un incantesimo che emanò una lieve barriera di luce che si fece sempre più solida e spessa.
La stava avvolgendo come un bozzolo, contrastata da una forza eccezionale, ma solo dopo momenti interminabili, ebbe la meglio.
Alla fine riuscì a respirare e tutta l’energia negativa che la minacciava fino a pochi istanti prima, si dissolse rapidamente. Non sentiva più dolore, tutto era svanito.
Andò di corsa nella camera di Lisian, aveva la netta sensazione che fosse in pericolo. Quando entrò nella sua stanza la trovò stesa a terra, immobile. L’entità doveva avere attaccato anche lei, ma Lisian non era stata abbastanza forte da combatterla. Ancora avvolta nel suo scudo di energia, si avvicinò a Lisian e l’abbracciò, includendola nella sua protezione. Lisian si divincolò e urlò, sgranando gli occhi. Pochi istanti dopo Hevonie avvertì che l’entità se ne era definitivamente andata.
Lisian guardava Hevonie con gli occhi spalancati e pieni di terrore.
“Stai tranquilla, adesso è tutto finito, se mi starai vicino, andrà tutto bene,” cercò di calmarla.
Attesero qualche minuto in silenzio e Hevonie sentì che adesso erano finalmente sole.
“Che cosa è successo?” Lisian tremava e continuava a roteare gli occhi per tutta la stanza.
“Qualcosa di veramente malvagio ci ha fatto visita,” rispose Hevonie.
“Ho provato a fermarlo.” Lisian balbettò. “Ma non ce l’ho fatta.”
“Non penso che sia facile fermare quella cosa. E’ già tanto se siamo ancora vive.”
“E’ uno spirito vigliacco, ci ha attaccate nel momento del sonno, quando eravamo più vulnerabili,” osservò Lisian frustrata. ”Se fossi stata sveglia, le cose sarebbero andate diversamente.”
Hevonie provò tenerezza per lei, forse Lisian non aveva ben capito la gravità del pericolo.
“Dobbiamo avvertire immediatamente Delmus,” affermò Lisian mentre si alzava dal letto.
Hevonie la fermò con un braccio e disse.
“No, aspetta, non penso sia una buona idea.”
”Perché no? Deve sapere cosa è successo.”
“Sì, ma non adesso, aspettiamo domattina,” disse Hevonie. “Qualunque cosa fosse, ce ne siamo liberate. Stiamo tutte e due bene. A che scopo fare preoccupare Delmus nel cuore della notte?”
Lisian socchiuse gli occhi. ”Tu sai che cosa era e non vuoi dirmelo.”
Hevonie abbassò la testa. “E’ meglio che tu non sappia come stanno le cose. Anzi è meglio che tu mi stia lontano, perché la mia presenza sta mettendo in pericolo anche te.”
“Non ci pensare nemmeno, io sono tua amica e ti devo aiutare, anzi ti voglio aiutare,” disse Lisian impettita. “Ormai sono coinvolta. Quindi combatteremo insieme.”
”Perché mi vuoi aiutare?” Hevonie chiese stupita dal suo fervore.
“Perché anch'io voglio dare il mio contributo, Malwen deve essere fermato.” Lisian sembrava in preda ad una sorta di frenesia.
“Adesso andiamo a dormire, domani studieremo un piano d’attacco. Ma prima devo fare una cosa.” Lisian si mise in mezzo alla stanza e agitò le mani solennemente, pronunciando parole sibilline, poi continuò a girare su stessa per alcuni minuti.
“Ecco fatto.” Lisian si sdraiò sul suo letto. “Ho fatto dei potenti incantesimi di protezione, nel caso quella cosa volesse tornare indietro.”
Hevonie rimase sorpresa dalla sicurezza di Lisian e soprattutto dalla sua offerta di aiuto, probabilmente non aveva ancora compreso il suo carattere. Dopo averla lasciata, tornò nella sua stanza e si sdraiò sul letto, era così stanca che si addormentò subito.
La mattina seguente Hevonie si svegliò molto presto, si vestì e decise di andare al lago con la speranza di rivedere la ragazzina con le ali.
Sapeva che la sua presenza doveva significare qualcosa d'importante, doveva scoprire cosa fosse.
Prima di uscire si concentrò e caricò con la sua energia le protezioni che Lisian aveva attivato durante la notte. Voleva essere sicura di lasciare la sua amica al sicuro.
Sul sentiero che portava al lago, respirò a pieni polmoni l’aria fresca, avvertì una sensazione stupenda e si sentì rinascere, soprattutto dopo quello che aveva passato solo poche ore prima.
Tornò alla roccia, dove era salita la volta precedente e la trovò ancora viscida e scivolosa per via della foschia mattutina. Di sicuro con ci sarebbe risalita, non voleva rischiare di fare il bagno una seconda volta.
Faceva freddo e si strinse nel mantello, una fitta nebbiolina le impediva di vedere a lunga distanza. Si fermò, chiuse gli occhi e s’immerse in quell’atmosfera irreale. Ascoltò il canto degli uccellini e il fruscio delle foglie, provocato da una leggera brezza. Hevonie riaprì gli occhi e vide che lentamente la nebbia si stava alzando, consentendole una più ampia visuale. Cercò allora di rilassarsi e di attendere ancora un po’. All'improvviso una mano la afferrò per la spalla, mentre una voce stridula le perforò l’orecchio.
“Cosa diamine stai facendo a quest’ora del mattino qui fuori?”
Hevonie sobbalzò dallo spavento e si voltò.
“Lisian!” Gridò.” Mi hai fatto prendere un colpo. Cosa ci fai qui?”
“Ti ho sentito passare davanti alla mia stanza e ho pensato che volessi scappare, così ti ho seguìto.”
“Non voglio scappare, se ne avessi avuto l’intenzione, ti assicuro che non te e saresti mai accorta.”
Lisian sollevò gli occhi al cielo. ”Si, certo, come no. Comunque volevo sapere dove stavi andando, non voglio che ti cacci nei guai.”
Hevonie la guardò corrucciata e disse.
“Non mi piace essere spiata, la ragione per cui sono qui non ti riguarda.”
“Io penso di sì, invece” insinuò Lisian.
”Questo non ha niente a che fare con quello che è successo stanotte. Avevo solo bisogno di stare da sola a pensare un po’.”
Nonostante la loro amicizia, Hevonie non voleva parlarle della bambina alata. Era il suo segreto e in fondo non si fidava ancora di Lisian, anzi in realtà non si fidava di nessuno.
“Vai via per favore, lasciami sola,” disse spazientita.
Lisian non si mosse, rimase immobile a fissarla. I suoi lunghi capelli castani le ricoprivano le spalle ed erano mossi delicatamente da un lieve vento.
Sembrava un’apparizione eterea, fragile, poteva essere la protagonista di una delle tante storie che le raccontava suo padre. Si trattava di giovani fanciulle dall’aspetto immateriale, proprio come appariva Lisian in quel momento.
“Non voglio andare via. Voglio sapere cosa stai facendo qui.” Lisian incrociò le braccia sul petto, in una posa che lasciava intendere che non se ne sarebbe andata.
Quindi Hevonie decise di raccontare una versione modificata dei fatti, l'importante era liberarsi di Lisian velocemente, che era la cosa che desiderava di più.
“Se ci tieni tanto a saperlo. Sto cercando di avvistare qualche animale selvatico,” le disse cercando di apparire naturale.
“Non ci sono animali selvatici qui,” ribatté Lisian irremovibile.
“E tu che ne sai?”
Lisian stava per rispondere, quando la bambina alata apparve tra gli alberi davanti a loro, mostrandosi in tutta la sua magnificenza.
Hevonie era così eccitata che non le importò più del fatto che il suo segreto fosse stato svelato.
Alla vista della creatura, Lisian reagì violentemente, i suoi occhi si spalancarono, non per la sorpresa ma per il terrore, lasciando Hevonie confusa.
“Non avvicinarti, è pericolosa!” Urlò Lisian.
“Perché dici questo? E' una fata?”
“Quella non è una fata ma una Muriena. La leggenda racconta che le Muriene sono le guardiane del sepolcro dove è stato occultato lo spirito di Darkebetz. Se sono qui, vuol dire che è stato aperto.”
Hevonie guardò negli occhi la Muriena, poi rivolse a Lisian uno sguardo interrogativo.
“Questa è una creatura mitica,” esordì Lisian prevenendo le sue domande. ”Le Muriene sono state create da Darkebetz per essere impiegate come sue schiave. Sono spiriti catturati e assoggettati al suo volere, sono una specie inesistente in natura.”
“Se Darkebetz è capace di questo, il suo potere deve essere immenso.”
“Adesso comprendi, perché è sempre stata temuta da tutti,” disse Lisian. “Darkebetz è scomparsa da più di due secoli e con lei anche quelle creature. Pensavo fossero una leggenda, ma adesso che la vedo con i miei occhi, sono davvero spaventata.”
Hevonie studiò la Muriena e disse.
“A vederla sembra innocua.”
“Ma non capisci?” Esclamò Lisian esasperata. “Se loro sono in giro vuol dire che lo spirito di Darkebetz è libero. Le Muriene stanno aspettando il suo ritorno. Non devi lasciarti ingannare dal loro aspetto, quella che vedi non è una bambina, ne ha solo le sembianze.”
La fanciulla muoveva debolmente le ali, sembrava in attesa di qualcosa.
“Allora era Darkebetz che ci ha fatto visita stanotte,” disse Hevonie.
“Penso proprio di sì, ma il fatto che non ci abbia ucciso vuole dire che non è ancora abbastanza forte per farlo. Il suo spirito appena risvegliato è troppo debole e noi dobbiamo trarre vantaggio da questo.”
“Sicuramente è stato Malwen a riportarla in vita, maledetto!” Inveì Hevonie.
“Penso che questa volta, dobbiamo avvisare Delmus,” affermò Lisian.
“Sì, hai ragione.”
La Muriena muoveva le braccia e la testa in direzione della foresta.
“Sembra che stia cercando di dirci qualcosa,” disse Hevonie. “Forse dovremmo seguirla.”
“Io non ho nessuna intenzione di seguire quella creatura in mezzo alla foresta.” Lisian scosse la testa risoluta. “Scordatelo!”
"D’accordo, però non possiamo permettere che se ne vada, potrebbe svelarci il nascondiglio di Darkebetz,” disse Hevonie. ”Facciamo così, io aspetto qui e la tengo d'occhio mentre tu vai al Concilio ad avvertire Delmus di quello che è successo.”
Lisian si dondolava da un piede all’altro e con lo sguardo misurava la distanza per tornare al palazzo in mezzo alla nebbia che si era infittita nuovamente. Il pensiero che Darkebetz fosse tornata, l'aveva messa in un forte stato di agitazione.
“Non voglio tornare al Concilio,” disse infine. ”Se rimani da sola potresti correre un grave pericolo. Chi ti dice che non ci siano altre Muriene nascoste pronte ad assalirti?”
“Non ti preoccupare, starò attenta. Ma Delmus deve essere avvisato di quello che è successo al più presto. Non perdiamo altro tempo, forza corri!”
Lisian sospirò e si rassegnò a tornare indietro. Hevonie la guardò allontanarsi e tornò a osservare la Muriena che restava immobile ad aspettare. Passò mezz'ora e Lisian non era ancora tornata. Hevonie cominciò a essere inquieta.
Era tentata di andare a cercarla ma nello stesso tempo non voleva perdere di vista la Muriena. Infine decise di avviarsi verso il palazzo del Concilio, non era normale che Lisian tardasse tanto. Doveva esserle successo sicuramente qualcosa.
Mentre camminava, inciampò in un oggetto, si chinò a raccoglierlo e vide che si trattava di una scarpa. Guardò meglio e capì che era di Lisian, notò anche che il terreno intorno era smosso, sembrava esserci stata una lotta.
Hevonie sentì crescere il terrore dentro di sé. Il suo respiro si fece affannoso, dovette respirare a bocca aperta, ingoiando grosse boccate d'aria intrisa d'umidità. Cercò di dominare la paura, ma in quello stesso istante un urlo risuonò dietro di lei.
Senza pensarci un momento, si diresse verso la Muriena, ma si bloccò. Non era sola, stava parlando con qualcuno nascosto tra la vegetazione. La creatura faceva ampi gesti con le mani e continuava a indicare verso di lei.
Hevonie si nascose e freneticamente pensò a cosa fare. Se l'avesse seguita forse, l'avrebbe portata da Lisian, o forse no. Ma non poteva rischiare di perdere tempo andando a cercare aiuto. Se la Muriena se ne fosse andata, avrebbe rischiato di non ritrovare più la sua amica.
Proprio in quel momento la Muriena cominciò a inoltrarsi nella foresta, Hevonie allungò il passo e la raggiunse. Si avviò dietro la bambina alata, che la precedeva di buon passo ed era incredibilmente agile e veloce. Faticava a starle dietro, per di più doveva muoversi senza fare rumore per non farsi scoprire.
Tastò con la mano la pietra del fuoco che aveva prontamente infilato nel bracciale poco prima.
La Muriena procedeva sicura per la sua strada, sembrava attirata da una forza invisibile. Una densa foschia avvolgeva tutta la zona. Quando furono dentro la foresta, Hevonie si fermò e avvertì una presenza.
Sentì un rumore viscoso, uno sgradevole strascicare. Nell'oscurità della vegetazione non riusciva a orientarsi.
Poi qualcosa si mosse, qualcosa di grande e oscuro, un lampo di luce illuminò la scena e Hevonie vide un paio d'occhi informi, come fuoco ardente, profondamente infossati in pieghe scure. La guardarono con un'aria di rabbioso divertimento. Poi la cosa si scagliò in avanti. Una nube di vapore turbinante la avvolse completamente, facendola fluttuare nell'aria.
Lottò per liberarsi da quella cosa, ma non ci riuscì. Cercò aiuto nella pietra e subito trovò quello che le serviva. Lanciò l'incantesimo che sprigionò una barriera di energia che lentamente respinse quell'entità. Nella densa foschia intravide Lisian, era ancora viva ma bloccata da due Muriene che la tenevano per le braccia. Lisian urlava disperata e Hevonie avrebbe fatto lo stesso se lo sforzo per mantenere la barriera non le avesse tolto il fiato.
Dei grossi artigli infuocati si protesero verso di lei.
Hevonie si aggrappò a un albero lì vicino e sentì che quell'essere soprannaturale la stava sovrastando. Si sentiva risucchiata inesorabilmente verso quella forza malvagia, cercò di resistere, ma non riusciva a sottrarsi completamente.
Però la barriera resisteva, se solo avesse potuto includere sotto la sua protezione Lisian, forse l'avrebbe salvata. Decise che doveva tentare quindi lasciò la presa dall'albero e si spinse veloce contro Lisian.
Ma prima di poterla raggiungere Hevonie avvertì una scossa alla testa che la stordì. L'ultima cosa che vide furono le Muriene che trascinavano via Lisian, poi la sua testa divenne sempre più pesante, finché cadde a terra svenuta.
Dopo un tempo che non riuscì a quantificare, Hevonie riprese conoscenza, si alzò in piedi e si guardò attorno per capire cosa fosse successo.
Non c'era più nessuno. Cercò Lisian, ma era scomparsa.
Delmus era in piedi di fronte ai maghi del Concilio al completo, durante la riunione che aveva convocato d'urgenza. Si schiarì la voce e cominciò a parlare.
“Penso che la maggior parte di voi sappiano cosa è successo questa mattina nel bosco. Soprattutto cosa hanno scoperto Hevonie e Lisian.”
Fece una pausa, al pensiero che Lisian non fosse ancora stata ritrovata.
“Sono sicuro che tutti voi abbiate sentito parlare delle Muriene e cosa significa la loro apparizione,” mormorii di preoccupazione si levarono dalla sala.
“Per evitare che si creino spiacevoli equivoci che vadano a peggiorare una realtà già non facile, sono qui per spiegarvi come stanno veramente le cose.”
Delmus si assicurò di avere l'attenzione di tutti, poi proseguì.
“Le Muriene sono apparse vicino al lago. Quindi se la leggenda fosse vera, significa che il luogo dov'era rinchiuso lo spirito di Darkebetz è stato aperto e potrebbe tornare in questo mondo.”
Fece una pausa, poi continuò.
”Non vi nascondo che questo rappresenta un grave pericolo. Non lo dico per spaventarvi, ma per rendervi consapevoli della minaccia che incombe su tutti noi.”
Il silenzio nella sala era assoluto.
“Come sapete le Muriene sono degli spiriti inquieti creati da Darkebetz. Quando fu catturata, furono posti dei sigilli molto potenti alla sua tomba e le Muriene furono rinchiuse insieme a lei. Cambiano aspetto a seconda delle loro esigenze, possono trasformarsi da innocue fanciulle a spaventose creature, in pochissimi istanti. A distanza di tempo ritengo che sia stato un errore lasciarle in vita, pensando che senza Darkebetz non avrebbero provocato danni. Perché adesso si riveleranno un aiuto prezioso per lei, soprattutto ora che a quanto pare non ha ancora ripreso i suoi pieni poteri.”
Hevonie ascoltava ancora incredula, Lisian era scomparsa e lei non aveva potuto fare nulla per salvarla. Aveva rievocato innumerevoli volte quei momenti e ogni volta si immaginava un finale diverso. Se solo avesse fatto questo o quell’altro ancora, le cose sarebbero andate diversamente e Lisian si sarebbe trovata ancora li, insieme a lei.
Le sembrava di rivivere la stessa situazione di quando era morta Katlin.
Lacrime di tristezza e di frustrazione le bagnarono le guance, era furiosa con se stessa, ma sapeva che piangere non sarebbe servito a niente, quindi si costrinse a smettere.
Dopo avere terminato il suo discorso, Delmus si congedò dai maghi e prima di lasciare la sala, fece cenno a Hevonie di raggiungerlo.
“Ho bisogno di parlare con te, seguimi.”
Si recarono insieme nell'ufficio di Delmus e si misero seduti attorno ad un tavolo.
“Volevo farti sapere che stiamo facendo il possibile per ritrovare Lisian. Non ti devi sentire in colpa per la sua scomparsa.”
Hevonie annuì mordendosi le labbra, poi domandò.
“Perché non ha preso anche me?”
“Probabilmente la barriera difensiva che hai creato ti ha protetto a sufficienza.”
“Io penso che stiamo perdendo troppo tempo. Devo andare a cercare Oktar, subito.”
“Ti capisco, ma non essere precipitosa. Devi prima concludere il tuo percorso formativo,” affermò Delmus. Domani ti farò seguire da un paio di maghi del Concilio che ti insegneranno a trarre dalla pietra gli incantesimi più importanti. Così una volta che ne sarai rientrata in possesso, partirai avvantaggiata.”
“E nel frattempo Lisian potrebbe morire. Non voglio più aspettare,” sbottò Hevonie.
“Tu non capisci, se riprendi la pietra senza averne la completa padronanza, non ti servirà a niente.”
“Oktar potrebbe spiegarmi velocemente quello che devo sapere,” insistette Hevonie.
“Mi dispiace che non riusciamo a capirci,” concluse Delmus. ”Adesso vai a riposare, domani sarà una giornata intensa.”
Hevonie si alzò senza dire niente, uscì dalla stanza e tornò nella sua camera.
Si sdraiò sul letto e fissò il soffitto, non osava chiudere gli occhi per non rivivere per l'ennesima volta quei terribili momenti.
Doveva fare qualcosa, era inutile aspettare, avrebbe agito quella notte stessa. Le venne un'idea e decise di seguire il suo istinto, questa volta non avrebbe sbagliato.
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L'oscurità dei sotterranei del palazzo del Concilio era più profonda di qualsiasi altra oscurità che Hevonie avesse sperimentato. Non riusciva a vedersi la mano davanti al naso.
Si assicurò di essere sola, quindi accese la torcia che aveva pensato bene di portare con sé e proseguì lungo il corridoio sul quale si affacciavano numerose porte.
Cercò di ignorare l'ansia che la attanagliava e la sensazione sgradevole di fare qualcosa che sapeva non avrebbe dovuto fare. In quel luogo remoto regnava un silenzio così assoluto che sentiva i suoi passi rimbombare in maniera sinistra. Strisciò le dita contro il muro mentre camminava, era snervante non sapere dove stava andando. Le porte che sfilavano ai lati erano di pesante legno massiccio e all’apparenza sembravano tutte uguali.
Notò che a intervalli regolari, lungo la parte bassa delle pareti, c’erano delle piccole griglie di ferro, probabilmente erano regolatori per l’aria e l’umidità.
Infine Hevonie si fermò davanti ad una porta e vi lesse la scritta - Biblioteca -.
La porta non era chiusa a chiave e quando entrò, si ritrovò in una sala che conteneva migliaia di libri, illuminata dalla luce fioca di alcune candele. Hevonie richiuse la porta dietro di sé, si avvicinò ad uno degli scaffali e cominciò a leggere qualche titolo, ma rimase sorpresa nel vedere che erano scritti con caratteri a lei sconosciuti.
Ne prese uno e lo aprì ma le pagine all'interno erano completamente bianche. Sfogliò un altro libro e anche questo era senza scritte.
“Chi ti ha dato il permesso di sfogliare i miei libri?”
La voce era apparsa dal nulla, Hevonie si spaventò e fece cadere il libro a terra, sgualcendo alcune pagine. Si abbassò per raccoglierlo mentre cercava di capire chi aveva parlato.
Le parve di scorgere un movimento provenire da uno scaffale non molto distante e si avvicinò con cautela. Poi udì uno squittio e vide un piccolo topo fermo su un ripiano di legno.
Hevonie trovò il musetto del topo molto grazioso. Anche se il modo in cui la guardava le sembrò inquietante.
“Ciao topolino, cosa ci fai qui?” le sussurrò sorridendo. “Ti piace rosicchiare i libri?”
“Perché dovrei rosicchiare i libri?”
Hevonie fece un balzo indietro per lo stupore e rimase a osservare il topo che a sua volta la guardava con aria inquisitoria.
“Scusa, è che non mi aspettavo che tu parlassi.”
“Certo che parlo!” Squittì il topo. “Anche tu parli.”
“Ma io sono un essere umano, per me è una cosa normale.”
“Io invece sono un topo, ma grazie ad un incantesimo posso parlare. E per tua informazione, so anche leggere. Per questo ho l’onore di occuparmi della biblioteca del Concilio.”
“Non deve essere un compito facile,” osservò Hevonie.
“Diciamo che il lavoro non manca. Questo è il nostro mondo, devi sapere che a noi topi piace vivere in posti bui e nascosti come questi. E' il nostro ambiente naturale e in questo modo i maghi possono dedicarsi ad altre faccende più importanti.”
“Siete fortunati, i topi non sono ben visti da tutti,” disse Hevonie.
“Già, è molto triste quello che i topi devono subire nel mondo, là fuori. Ma vorrei specificare che noi siamo Topodotti, i maghi ci chiamano così.”
Hevonie ormai si era abituata a vivere queste situazioni surreali, quindi non si stupì più di tanto. Però doveva anche sbrigarsi, lei non avrebbe dovuto trovarsi li e non voleva che qualcuno la scoprisse.
Era andata nella biblioteca per cercare qualche indizio su dove trovare Oktar. Non avrebbe lasciato Lisian al suo destino. Quindi si rivolse al Topodotto e chiese.
“Come mai le pagine di quei libri sono bianche?”
“Quelli sono libri stregati, bisogna avere un permesso speciale per leggerli, richiedono un incantesimo per fare apparire le scritte. Ma che cosa stai cercando?”
“Devo scoprire dove si trova il mago Oktar. Una mia amica è in grave pericolo. Puoi aiutarmi?”
“Tu sai che non dovresti essere qui, vero?” Chiese improvvisamente il Topodotto.
Hevonie lo guardò senza dire niente.
“Ma solo per il fatto che non sei scappata via quando mi hai visto e che i topi ti sono simpatici, ti aiuterò. Però dobbiamo fare in fretta.”
Hevonie seguì il Topodotto in mezzo a due file di scaffali zeppi di libri, si fermò quando vide che le indicava con la piccola zampetta un grosso volume. Lo prese e sentì che era abbastanza pesante, poi lo appoggiò sull'ampio tavolo che si stagliava vicino alla porta d'ingresso.
Quando lo aprì, notò che anche quel libro aveva le pagine completamente bianche.
“E adesso?” Chiese impaziente.
“Aspetta e vedrai,” rispose il Topodotto.
Cominciò a zampettare sulle pagine avanti e indietro e magicamente le parole affiorarono in caratteri neri e nitidi sulla carta bianca.
“Incredibile!” Esclamò Hevonie sbalordita.
Il Topodotto squittì compiaciuto, poi disse.
“Qui c'è la mappa del regno di Kosworth. Oktar vive a Torland, se seguì queste indicazioni lo troverai senza troppi problemi.”
Hevonie scrutò la mappa e cercò di memorizzare il percorso mentalmente.
“Che cosa significano questi disegni?” Chiese Hevonie indicando la mappa.
“Il villaggio di Torland ha al suo interno un alta torre bianca con in cima un fuoco perenne. E' praticamente impossibile non vederlo.”
“Ti ringrazio Topodotto. Sei stato un aiuto prezioso.”
“E' stato un piacere aiutarti, ti auguro buona fortuna e spero di rivederti presto.”
Hevonie lo salutò e uscì dalla biblioteca. Percorse a ritroso il corridoio e tornò in camera sua. Doveva prepararsi per il viaggio che la aspettava quella notte stessa.
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Il vento le sferzava le guance, mentre l’umidità della nebbia penetrava attraverso i vestiti. Il suo pesante mantello di lana serviva a ben poco. Hevonie lottava per mantenere il controllo del Cavaldedro, rimpiangendo di non avere prestato maggiore attenzione alle direttive di Towalce su come condurlo.
Sapeva che la città dove si stava recando era costruita dentro un cerchio di spesse mura.
Il Topodotto le aveva spiegato che c'era una torre alta con un fuoco sempre acceso, questo avrebbe dovuto renderla facilmente riconoscibile.
Prendere Monsieur Zacò era stato un gioco da ragazzi. I Cavaldedri erano tenuti in una stalla separata dagli altri cavalli. Non c’era sorveglianza e le stalle erano chiuse da una semplice sbarra per impedire ai cavalli di uscire, più che per non fare entrare le persone.
Monsieur Zacò era stato riluttante a lasciare il suo caldo e confortevole giaciglio per uscire nella nebbia e nel freddo della notte. Nonostante la sua iniziale contrarietà, alla fine Hevonie era riuscita a convincerlo e adesso si trovavano in volo.
Doveva assolutamente trovare Oktar e cercare di atterrare sana e salva. Teneva gli occhi socchiusi e faceva fatica a vedere attraverso la densa nebbia che la circondava.
Intravedeva le colline, ma era un paesaggio di ombre e non riusciva a capire cosa stava sorvolando, poi un punto luminoso apparve all’orizzonte e Hevonie si rincuorò Si lanciò spedita in quella direzione e mentre si avvicinava, riconobbe una fiamma, doveva essere la torre che cercava.
Congelata, ma contenta, incitò Monsieur Zacò a volare più velocemente, ma rimediò un' impennata che le fece quasi perdere l’equilibrio.
“Ho capito, fai il bravo. Facciamo come vuoi tu.”
Non si sentiva di discutere con un cavallo alato, a un'altezza di cento metri dal suolo, che in ogni momento avrebbe potuto liberarsi della sua cavallerizza.
Lo spavento ebbe il pregio di riscaldarla un po’, ma un soffio improvviso le sfiorò un orecchio.
“Che cosa?” Hevonie sentì un altro sibilo a pochi centimetri dalla sua spalla.
“Frecce!” Urlò atterrita.
Guardò in basso e vide che intorno alla torre c’era un muro massiccio sopra il quale erano schierati degli arcieri.
Con orrore vide che una freccia aveva forato un’ala di Monsieur Zacò, che nitrì e cominciò a perdere quota. Le ali sbattevano in modo asimmetrico e il Cavaldedro iniziò una discesa in larghe spirali.
Hevonie si teneva forte al collo del Cavaldedro, mentre lui cercava in tutti i modi di scrollarsela di dosso. Quando ormai mancavano un paio di metri dal suolo, Hevonie perse la presa delle redini e cadde sul terreno erboso. A causa della forte velocità, l'impatto fu piuttosto violento.
Per un lungo momento sentì dolore dappertutto, puntini di luce bianca lampeggiavano davanti ai suoi occhi. La testa le pulsava e sentiva lo stomaco in gola. Respirava a fatica e per un attimo pensò che non si sarebbe mai più risollevata.
Girò la testa di lato e vide Monsieur Zacò che agitava l'ala cercando di togliersi la freccia conficcata.
Hevonie fece un profondo respiro e si costrinse ad alzarsi.
Il peggiore atterraggio possibile, pensò sconfortata.
Si avvicinò zoppicando al Cavaldedro, si sentì in colpa per averlo coinvolto in quella situazione di pericolo. A quest’ora si sarebbe dovuto trovare al sicuro nella sua stalla calda.
Lo accarezzò sul fianco e le sembrò che, a parte la ferita nell’ala, il resto fosse a posto.
“Adesso te la tolgo, vedrai che non sentirai male.”
Hevonie posò le mani attorno alla freccia, chiuse gli occhi e si concentrò.
Sentì l’energia fluire da lei all'animale, quando ebbe finito, spezzò la freccia in due e lentamente sfilò i due pezzi dall’ala, infine li gettò a terra. Poi continuò a tenere le mani pressate sulla ferita. Dopo alcuni minuti, al suo posto apparve una sottile cicatrice rossastra.
Il Cavaldedro sbatté le ali un paio di volte e poi le richiuse lungo i fianchi. Sembrava essersi tranquillizzato.
“A quanto pare non siamo i benvenuti qui.” constatò Hevonie.
Si guardò intorno per capire dove fossero atterrati. Si trovavano in aperta campagna, su un prato, poi intravide un folto gruppo di alberi e vi si diresse circospetta.
“Adesso mi devi aspettare qui, non ci metterò molto, ma non voglio che tu corra dei rischi. Hai capito?” Guardò il Cavaldedro in cerca di una conferma che non arrivò.
Hevonie pensò di legarlo ad un albero, ma se qualcuno lo avesse trovato, lui non avrebbe avuto la possibilità di scappare. Però se non lo legava e se ne fosse andato, lei non avrebbe avuto il mezzo per tornare a casa. Ma non poteva mettere a repentaglio la sua vita una seconda volta.
Perciò decise di correre il rischio e lo lasciò libero sperando di ritrovarlo al suo ritorno. Si avvicinò alle mura e attraverso una breccia scorse un uomo incappucciato che si ergeva in piedi in mezzo ad uno spiazzo. Era circondato da un gruppo di persone che stavano sedute a terra a guardarlo.
Hevonie lo vide sollevare una lunga asta di metallo nero. Poi da una tasca della tunica che indossava, tirò fuori una manciata di polvere e la lanciò sui presenti. Mentre la polvere ricadeva sopra le loro teste, fece roteare velocemente il bastone e la polvere si trasformò in una miriade di piccole farfalle colorate che presero a volare impazzite, tra lo stupore di tutti.
Le farfalle si diradarono fino a scomparire e la gente riportò l’attenzione sull’uomo.
Hevonie rimase ammirata da quell'esibizione, ma con un movimento incauto fece cadere una pietra dal muro sbreccato, che rotolò proprio ai piedi dell’uomo.
Con un gesto velocissimo l’uomo puntò il bastone contro il varco nel muro dietro il quale Hevonie era nascosta. La parete le esplose addosso facendola cadere a terra sulla schiena ma questa volta, il dolore la immobilizzò completamente.
Si ritrovò stesa in mezzo alla polvere, indifesa, soffrendo in silenzio, incapace di muovere un solo muscolo.
Provava male perfino a respirare, chiuse gli occhi per qualche istante e quando li riaprì, vide che l’uomo incappucciato era in piedi sopra di lei.
Un paio di occhi grigi la fissavano con un misto di curiosità ed apprensione.
“Siete ferita?” Chiese l'uomo preoccupato.
"Ho rischiato di essere trafitta dalle frecce, sono caduta da un cavallo in volo, infine mi è crollato un muro addosso. Diciamo che stavo meglio prima,” rispose Hevonie sarcastica.
“Vedo che avete il senso dell'umorismo,” disse l'uomo con un sorriso. ”Potrei sapere chi siete e che cosa ci fate qui?”
Hevonie afferrò la mano che l'uomo le porse e si rialzò.
“Il mio nome è Hevonie Heronberg,” rispose cercando di valutare i danni della caduta. “Vengo dal Concilio dei maghi e stavo cercando il mago Oktar, quando voi mi avete attaccato.”
“Volete farmi credere che siete la principessa Hevonie Heronberg?” Chiese l'uomo sospettoso.
“Certo. Ma non ho bisogno di farvelo credere, perché io sono la principessa.”
“E che prove avete?”
Hevonie lo guardò allibita. Quell'uomo non voleva crederle e, in effetti, lei non aveva nessun modo di provare la sua identità.
“Sentite,” rispose infine. “Io devo assolutamente trovare Oktar, ne va della vita di una mia amica. Oltre a quella di molte altre persone. Vi prego di credermi.”
“Ammesso che voi siate la principessa, che cosa volete da Oktar?” Chiese l'uomo.
“Mi deve ridare una cosa che mi appartiene.”
L'uomo rimase impassibile, solo una lieve contrazione della mascella, tradì la sua tensione, poi disse.
“Mi spiace deludervi, ma Oktar non è qui.”
“E quando tornerà?”
“Fra tre mesi. Essendo molto anziano, questo clima freddo per lui è deleterio,” spiegò l'uomo. “Si è recato nelle campagne assolate di Descot, a passare l'inverno.”
“Che cosa?” Gridò Hevonie. “E adesso come faccio?”
Hevonie si sentì sopraffare dalla rabbia e dalla disperazione e cercò freneticamente di trovare una soluzione.
“Non vorrei essere scortese,” disse l'uomo. “Ma avete interrotto una lezione di Magia Notturna. Stavo dando una dimostrazione ai miei allievi su come sfruttare l'energia della luna e delle stelle, per creare degli incantesimi prodigiosi.”
“Mi dispiace, non l'ho fatto apposta,” si scusò Hevonie.
“Nessun problema. A proposito, io sono Ganos,” disse l'uomo chinando leggermente la testa.” E sono il primo assistente del venerabile Oktar e presumendo che voi siate la principessa Hevonie, mi metto a disposizione per qualsiasi vostra esigenza.”
“Vi ringrazio Ganos. Però adesso devo proprio andare.”
Hevonie fece un passo, ma un forte dolore alla caviglia la costrinse a fermarsi.
“Permettete?” Chiese Ganos.
La prese tra le braccia e la sollevò. Hevonie lo lasciò fare, anche se il fatto di sentirsi così vulnerabile la irritava.
Ganos la trasportò attraverso la piazzola, dove alcune guardie li stavano osservando ed entrò nel portone dell'edificio.
Attraversarono un'ampia sala, fino ad arrivare vicino a una sedia, dove vi adagiò sopra Hevonie che intanto studiava l'ambiente circostante.
Quando cercò di alzarsi dalla sedia, sentì la caviglia cedere sotto il suo peso.
“Non è il caso che vi alziate principessa. Prego, attendete qui,” Ganos uscì svelto dalla stanza e rientrò subito dopo tenendo in mano una borsa. Frugò al suo interno e tirò fuori delle boccette colme di liquidi colorati, oltre a vari vasetti.
“Che cosa sono?” Chiese Hevonie.
“Unguenti a base di erbe medicinali, vi aiuteranno ad alleviare il dolore.”
Hevonie guardò Ganos prendere con le dita un po’ di unguento e spalmarglielo sulla caviglia. Avvertì una sensazione di fresco, che le procurò un sollievo immediato.
“Va meglio?” Le chiese quando ebbe finito.
Hevonie appoggiò il piede a terra, il dolore si era attenuato notevolmente, tanto che riuscì a muovere qualche passo senza sentire male.
“Grazie, a quanto pare sono una guaritrice, che non riesce a guarire se stessa.”
“Per questo ci sono qui io,” sorrise Ganos.
Hevonie sorrise a sua volta, ma quando si mosse il dolore si fece sentire anche alle costole e in altri punti non meglio specificati del suo corpo. Ma non disse niente, onde evitare altre cure da parte di Ganos, che l'avrebbero messa in imbarazzo.
Si rassegnò al fatto che avrebbe dovuto conviverci per i prossimi giorni, ma almeno era tutta intera e poteva camminare di nuovo.
In quel momento entrò un uomo in uniforme, che bisbigliò qualcosa nell’orecchio di Ganos che annuì e lo congedò.
“Mi hanno appena riferito che è stato avvistato un cavallo con le ali ai margini del bosco, immagino sia vostro.”
“Sì, è Zacò, è stato ferito da una freccia, potreste dargli un riparo?” Chiese Hevonie.
“Certo, c'è una stalla calda e piena di fieno fresco pronta ad accoglierlo,” la rassicurò Ganos.
“Diciamo che la vostra accoglienza non è stata delle migliori. A causa di quella freccia che gli ha colpito l’ala, per poco non ci ammazzavamo entrambi,” disse Hevonie.
“Avete ragione, ma le guardie hanno fatto il loro dovere. Hanno l’ordine di attaccare chiunque non si sia identificato. I demoni liberati da Malwen stanno attaccando sempre più frequentemente, non possiamo correre rischi.”
Hevonie riconobbe che il suo ragionamento non era del tutto sbagliato.
“Sono sorpreso che siate in viaggio da sola. Non avete una scorta?”
“No. E' stata una mia iniziativa,” Hevonie, non voleva confessare che aveva preso il Cavaldedro, senza chiedere il permesso.
"Noto che l’intraprendenza non vi manca,” commentò Ganos. “Peccato che il vostro viaggio sia stato inutile.”
“Già, ma voi di cosa vi occupate esattamente?” Domandò Hevonie.
“Io insegno molte materie attinenti la magia e cerco di fare in modo che tutto vada per il verso giusto. Soprattutto quando Oktar non c'è, il che accade spesso. Questa è una specie di accademia per aspiranti maghi. Comunque se avete urgenza d'incontrare Oktar potete recarvi a Descot, sarà lieto di ricevervi.”
Hevonie rimase in silenzio ad ascoltare, poi chiese.
“Io sono venuta a riprendere la mia pietra, non è che per caso si trova qui?”
“Assolutamente no,” rispose Ganos. “Oktar porta con sé gli oggetti preziosi, non si fida di nessuno. Purtroppo o per fortuna è fatto così, mi dispiace.”
“Grazie per avermi dato queste informazioni utili e per avermi aiutato. Adesso però devo proprio andare.”
“Vi accompagno al vostro cavallo alato,” disse Ganos. “Siete pronta?”
Hevonie annuì, lo seguì fuori in giardino. Era ancora notte fonda e la luna era alta nel cielo. Raggiunsero la stalla, dove Monsieur Zacò, stava mangiando del fieno fresco.
Quando lo vide, Hevonie si precipitò verso il Cavaldedro con le braccia tese e si strinse forte contro il suo possente collo.
Monsieur Zacò emise dei lievi nitriti spingendole addosso il suo grosso muso. Sentire il calore del cavallo e vedere che stava bene, la riempì di gioia.
Quando si staccò da Zacò, vide che Ganos la guardava sorridendo.
“Dovete volere molto bene a quel cavallo.”
“Sì, moltissimo,” disse Hevonie. “E' una creatura davvero speciale.”
Ganos la aiutò a montare in sella, ma una fitta di dolore la fermò.
“Cosa vi succede?” Domandò l'uomo.
“Mi stavo dimenticando che ero caduta da cavallo,” rispose Hevonie massaggiandosi le costole. “Ma il mio fisico, me lo sta ricordando.”
“Non sarebbe meglio partire domani mattina con le prime luci dell'alba?”
“Sì, sarebbe meglio, ma non posso,” rispose Hevonie. “Devo assolutamente tornare prima che mi scoprano.”
“Chi vi deve scoprire?” Chiese Ganos sospettoso.
“Nessuno, volevo dire prima che scoprano che non ho trovato Oktar,” mentì Hevonie. Quindi salì a cavallo e si preparò a partire.
“Buona fortuna principessa,” la salutò Ganos agitando la mano.
Hevonie ricambiò il saluto e incitò Monsieur Zacò a ripartire, poco dopo si ritrovò in volo. Il Cavaldedro sembrava essersi ripreso del tutto dalla brutta avventura che gli era capitata. Questa volta Hevonie volò con più tranquillità, la paura era svanita. Il chiarore della luna si era accentuato e rendeva meno minaccioso il paesaggio.
Cercò di concentrarsi sul viaggio e finalmente raggiunse il palazzo del Concilio. Si preparò all’atterraggio e per fortuna lo effettuò senza inconvenienti. Raggiunse la stalla, vi sistemò Monsieur Zacò e lo accarezzò amorevolmente.
“Grazie,” disse schioccandogli un bacio sul muso.
Tutto era ancora immerso nel silenzio, sperò che nessuno avesse notato la sua assenza.
“Ferma dove sei!”
Hevonie s’immobilizzò e si voltò lentamente.
Korban con lo sguardo arrabbiato avanzò velocemente verso di lei.
Hevonie cercò il modo migliore di spiegare la sua presenza li, ma la sorpresa unita alla stanchezza, l'avevano ammutolita.
“Cosa diamine ti è saltato in mente di fuggire nel cuore della notte con uno dei Cavaldedri, senza nemmeno chiedere il permesso!” Sbraitò Korban.
“Sono andata a cercare Oktar, ho assoluto bisogno della pietra,” si giustificò Hevonie.
"Se anche questo fosse vero, ed è tutto da provare, tu non puoi risolvere i problemi creandone altri.” Korban era furibondo. “Ti sei comportata da sciocca, hai messo a repentaglio la tua vita. Il fatto che tu abbia preso questa decisione da sola, significa che non hai nessuna fiducia nel Concilio. Come vedi, anch'io mi sto prodigando per aiutarli, ti assicuro che non è da me lavorare fianco a fianco con le istituzioni. Io sono un uomo libero e detesto sottostare alla volontà altrui. Ma adesso non posso rifiutarmi di collaborare e ho accettato di restare qui, anche a causa tua.”
“A causa mia?”
“Esatto, in qualche modo mi sento responsabile per te,” spiegò Korban. “Forse è per via di tua madre che ha aiutato la mia famiglia tanti anni fa e mi sento in debito. Io voglio aiutarti, ma tu devi imparare a comportarti secondo le regole una volta per tutte, è chiaro?”
“Io volevo solo velocizzare i tempi,” si difese Hevonie.
“Se le cose sono andate come dici tu. Dov'è la pietra?”
“Non ce l'ho,” rispose Hevonie mestamente. ”Oktar non è a Torland come pensavo, si trova a Descot.”
“Perfetto! Se questi sono i risultati delle tue iniziative, mi chiedo proprio come farai a combattere Malwen,” disse Korban alzando gli occhi al cielo. ”Tu devi fidarti dei maghi del Concilio, sono la tua unica speranza.”
“Dovevo fare qualcosa, non possiamo contare solo su di loro. ”Hevonie strinse forte i pugni. “Non fanno niente, si limitano ad aspettare l'evolversi degli eventi. Non capisco come tu possa sopportare una simile situazione di stallo.”
Hevonie si aspettò una reazione brusca alle sue parole, invece Korban parve calmarsi.
“Per certi versi posso apprezzare le tue intenzioni, ma non il modo in cui le attui,” disse accendendosi un sigaro. “Questo tuo comportamento rischia di incrinare i rapporti con i maghi del Concilio e questo non puoi permettertelo.”
Hevonie capì che ancora una volta aveva agito d'impulso e aveva sbagliato.
“Ah, dimenticavo,” aggiunse Korban sbuffando una nuvola di fumo. ”Tu sei nei guai, Delmus ha scoperto la tua fuga e penso che voglia sottoporti a una punizione esemplare.”
Si voltò e ne andò, lasciando Hevonie in preda ad un profondo sconforto.
“Non ti sarà permesso di lasciare il Concilio un’altra volta.” Delmus era in piedi di fronte a Hevonie. Ed era decisamente di cattivo umore.
“Non voglio perdere altro tempo a parlare con te,” proseguì con tono severo. “Come hai osato rubare uno dei nostri preziosi cavalli alati, mettendo in pericolo la sua vita? Come puoi prendere decisioni su questioni delle quali non hai la minima conoscenza?”
Hevonie si morse un labbro e disse. “Io voglio solo liberare Lisian e far si che tutto questo finisca al più presto, ma per riuscirci devo rientrare in possesso della pietra.”
“Così hai pensato bene di fare di testa tua,” la interruppe Delmus. ”Se fossi stata intercettata dai demoni di Malwen? O peggio da Darkebetz stessa? Avrebbero potuto ucciderti facilmente. Adesso saremmo qui piangere la tua morte. Ti sei comportata da irresponsabile! Comincio seriamente a dubitare delle tue facoltà mentali.”
“Volevo solo aiutare,” Hevonie replicò debolmente.
Delmus le girò intorno lentamente.
“Alcuni dei più grossi disastri sono stati perpetrati da coloro che avevano le cosiddette buone intenzioni,” disse fermandosi a guardarla. “Ma sappi che non ci si può improvvisare salvatori del mondo da un giorno all'altro. Questa tua impulsività potrebbe rivelarsi controproducente al fine dei nostri piani, se non addirittura fallimentare.”
“Mi dispiace.” Hevonie disse con un filo di voce.
Delmus si calmò un poco. “Capisco che sono successi degli avvenimenti drammatici nella tua vita. Proprio per questo devi seguire i consigli e accettare le decisioni del Concilio. E’ la soluzione più saggia.”
”Ho fatto una scelta avventata. Ho agito d'impulso. Chiedo scusa,” disse Hevonie sentendosi improvvisamente svuotata.
“Vorrei sapere che cosa ti è saltato in mente! Ti rendi conto che hai messo a rischio tutti i nostri progetti?”
“Sono stufa di aspettare,” replicò Hevonie. ”Non sappiamo ancora che fine abbia fatto Lisian.”
“La stiamo cercando senza sosta, ma non è mettendo a repentaglio la tua vita che la salverai. Ringrazia la tua buona sorte se le cose non sono finite male,” concluse Delmus.
Hevonie comprese di avere fatto uno sbaglio, ma ormai era troppo tardi per rimediare.
“Ragazza, tu non riesci proprio a capire che la magia è una cosa troppo seria e importante per usarla basandosi solo sulle proprie emozioni.”
Delmus scrollò la testa. “Che cosa devo fare con te?”
Hevonie teneva il mento abbassato e non osava rispondere.
“Però su una cosa hai ragione,” disse Delmus sedendosi dietro la sua scrivania. “Devi trovare Oktar al più presto.”
Hevonie lo guardò stupita.
“Ma questa volta devi fare le cose per bene,” Delmus proseguì accarezzandosi il mento. ”Avvertirò Towalce di accompagnarti a Descot e mi aspetto che tu segua le sue direttive senza fiatare.”
“Grazie Delmus, non ti deluderò.” Hevonie si sentì grata per quell'ulteriore prova di fiducia.
“Partirete domani mattina, fino ad allora sarebbe meglio che restassi in camera tua. Ci penserò io ad avvisarlo.”
“D'accordo.”
“Adesso puoi andare,” la congedò Delmus.
Hevonie uscì dalla stanza ripromettendosi di non cacciarsi mai più nei guai.
La mattina seguente, Hevonie si alzò molto presto, perché prima di partire, voleva andare a salutare Monsieur Zacò.
Non aveva praticamente dormito, ma si era ritagliata un po' di tempo, per fare un'ultima cavalcata insieme al Cavaldedro, al quale si era molto affezionata. Quando fu in sella, cercò un posto tranquillo, dove poter stare in pace a pensare.
Attraversò un sentiero del bosco e si diresse sulla piccola collina che sorgeva nei dintorni del villaggio.
Forse aveva sbagliato a non ascoltare i consigli di Delmus fin da subito. Ma adesso aveva capito che non poteva cavarsela da sola, soprattutto senza la pietra di Koltrane.
Raggiunse la vetta e si sentì subito meglio. Si sentivano gli uccelli cantare e la vista era spettacolare. Si vedeva il fiume attraversare il bosco, le cui acque scorrevano limpide e tranquille. Smontò dal Cavaldedro e ammirò il magnifico panorama. In lontananza si vedeva il palazzo del Concilio con le alte torri che disegnavano uno splendido profilo contro il cielo. Uno stormo di anatre si alzò in volo e scomparve all'orizzonte. Hevonie cercò di apprezzare il più possibile quel momento di solitudine, prima di tornare ad affrontare la dura realtà. Improvvisamente avvertì che qualcosa non andava.
Si sentì trascinare verso lo strapiombo situato poco distante da lei. Hevonie cercò di mantenere la presa sul terreno affondando le mani nell'erba, malgrado questo non riusciva a fermarsi. Alcune pietre, davanti a lei, rotolarono nel vuoto e si accorse che stava per precipitare insieme con loro.
Solo per un soffio riuscì ad aggrapparsi a degli arbusti che spuntavano dall'orlo del burrone. Hevonie si ritrovò a penzolare lungo il pendio, con le braccia che le dolevano per lo sforzo. Ma riuscì a mantenere la presa saldamente.
Sentì il tonfo delle pietre echeggiare nel vuoto parecchi metri sotto di lei e freneticamente con i piedi, cercò un appiglio per risalire, ma non lo trovò.
Finché vide una specie di corda appesa davanti a sé. Monsieur Zacò si era avvicinato al burrone e aveva fatto cadere le redini verso di lei, che le afferrò al volo.
Il Cavaldedro indietreggiò trascinandola con sé. Hevonie faticosamente si arrampicò fino a raggiungere il terreno pianeggiante e con un ultimo sforzo si tirò su. Tremante e dolorante si sdraiò sulla schiena per riprendere fiato.
“Grazie Zacò,” disse ansimante tentando di calmarsi.
Attese fino a quando il suo respiro tornò regolare, poi si mise seduta e si guardò intorno. Era sola e non c'era nessuno.
Cercò di capire cosa le fosse successo. Era perfettamente ferma, eppure si era sentita afferrare le gambe e strattonare verso il dirupo. Come se una forza invisibile l'avesse sospinta verso il burrone. Doveva essere opera della Magia Proibita.
Quando si fu ripresa del tutto, montò sul Cavaldedro e ridiscese la collina, poi si avviò verso il palazzo. Avrebbe voluto tornare nella sua camera, sentiva il bisogno di riposarsi un po’, era ancora tesa come una corda di violino.
Ma sapeva che non ne avrebbe avuto il tempo. Non voleva arrivare in ritardo, quindi riaccompagnò Monsieur Zacò nelle scuderie, poi andò di corsa a pulirsi e a prepararsi per la partenza. Quando fu pronta raggiunse l'ingresso dove trovò Towalce già in sella al suo cavallo, fermo ad aspettare.
Hevonie dentro di sé fremeva per raccontargli la sua avventura, ma nello stesso tempo non voleva ritardare ulteriormente la partenza.
“Sembra che ti sia passato sopra un drago,” disse Towalce, notando la sua faccia pallida e stravolta.
“Sì, qualcosa di simile,” bofonchiò Hevonie.
“Si può sapere cosa ti è successo?” Le chiese sospettoso.
“Se proprio lo vuoi sapere, stavo per ammazzarmi,” rispose secca. “Qualcosa mi ha trascinato giù da una collina.”
Towalce scrollò le spalle, era chiaro che pensava fosse una bugia.
“Non mi credi?” Chiese Hevonie.
“Non lo so,” disse seccato. “So solo che stiamo perdendo tempo. Possiamo andare adesso?”
Hevonie avrebbe voluto convincerlo che quello che aveva detto era la pura verità, ma si limitò ad annuire.
Mentre cavalcavano, Hevonie ripensò a tutti gli ultimi avvenimenti e al difficile compito che la aspettava. Dopo alcune ore la stanchezza ebbe il sopravvento e si fermarono a riposare in una piccola radura. Accesero un fuoco, mangiarono e dormirono avvolti nei loro mantelli.
La mattina seguente, appena sveglia, Hevonie ebbe la netta sensazione che non fossero soli. Voleva dirlo a Towalce, ma prima di farlo preoccupare inutilmente, voleva accertarsene di persona. Decise di fare un sopralluogo.
Impugnò la spada e scrutò attentamente ogni cespuglio e ogni albero nel circondario, ma non trovò nulla di strano. Nessun rumore sospetto, niente di niente. Forse si era sbagliata, probabilmente era stata suggestionata dall'episodio accaduto il giorno prima sulla collina. Un po’ più tranquilla, rinfoderò la spada e tornò sui suoi passi.
Era giunta a pochi metri da Towalce, quando lo vide scuotere una mano, lei ricambiò il saluto, ma poi lo vide agitare entrambe le mani ed indicare il cielo.
“Attenta!” Towalce gridò. ”Spostati!”
Tutto sembrò accadere al rallentatore.
Hevonie s’immobilizzò e guardò in alto. Con gli occhi spalancati, vide un grosso masso cadere giù, esattamente sopra di lei.
Cercò di muoversi velocemente, ma in un istante si trovò scaraventata a terra da Towalce. Le si era gettato addosso, spostandola di lato. Caddero tutti e due sul terreno, sollevando una nuvola di polvere. A pochi centimetri da loro, giaceva il grosso masso che li aveva mancati per un soffio.
“Tutto a posto?” Le chiese Towalce che la schiacciava con il proprio corpo.
“Penso di sì,” rispose Hevonie tossendo.
Towalce rotolò via da lei e si rialzò.
“Grazie,” Hevonie gli disse riconoscente, mentre si toglieva la polvere di dosso.
Towalce le tese la mano e la aiutò a rialzarsi. Ma subito dopo emise un gemito di dolore.
“Che cos'hai?” Gli chiese Hevonie preoccupata.
“La mia spalla,” rispose Towalce. ”Mi fa male.”
Hevonie gli tastò la spalla con entrambe le mani.
“Sembra una lussazione, forse ti posso aiutare, togliti la maglia.”
Towalce ubbidì e Hevonie le posò le dita sottili sulla spalla muscolosa e ben modellata.
Si concentrò e chiuse gli occhi. Sentì l’energia scorrere dalle sue dita e fluire nella spalla di Towalce.
“Accidenti, fa un male tremendo!” Esclamò Towalce, stringendo i pugni.
“Mi dispiace,” disse Hevonie. ”Vedrai che fra poco sarà tutto finito.”
Dopo pochi minuti, staccò le mani esausta.
“Ecco fatto, adesso resterai indolenzito ancora per un po’, ma sopravvivrai.”