Nato a Figline Valdarno, Marsilio Ficino (1433-1499) studia a Firenze dove apprende le prime nozioni di greco; studia in particolare filosofia, fisica, logica, teologia, si occupa di Epicuro e Lucrezio, ma più approfonditamente di Platone, allo studio del cui pensiero dedica l’Accademia platonica che fonda nella villa di Careggi, donatagli nel 1462 da Cosimo de’ Medici. Nel 1463 inizia la traduzione latina dei dialoghi platonici, e nel 1484 inizia la traduzione delle Enneadi di Plotino, a cui faranno seguito traduzioni di Giamblico, Proclo, Porfirio, Michele Psello e altri autori greci, nonché della Teologia mistica e dei Nomi divini dello Pseudo-Dionigi Aeropagita. Alla sua attività di traduttore (che peraltro assume valenza teoretica per l’influenza decisiva che avrà sul pensiero filosofico rinascimentale) si affiancano opere di carattere speculativo, tra cui la Theologia platonica de immortalitate animarum, il De christiana religione, la Disputatio contra iudicium astrologorum, i tre libri del De vita.
Nel rinnovamento culturale promosso dalla diffusione degli studi umanistici, il Quattrocento assiste al moltiplicarsi di scuole, collegi e accademie di nuova concezione rispetto ai centri tradizionali di formazione, le università. Tra queste nuove istituzioni vanno segnalate: la scuola di Vittorino da Feltre, nella villa (la “Giocosa”) messa a disposizione nel 1423 dal marchese di Mantova Gianfrancesco Gonzaga, primo esempio di istituto di formazione improntato all’ideale umanistico della formazione integrale della persona; lo Studio generale di Ferrara, riformato nel 1442 da Guarino da Verona sotto il patrocinio di Lionello d’Este e celebre in tutta Europa per i metodi innovativi d’insegnamento, che legavano strettamente la formazione letteraria e quella scientifica; infine la più celebre tra le accademie umanistiche, quella sorta nell’ambiente del neoplatonismo fiorentino e legata alla figura di Marsilio Ficino.
L’Accademia fiorentina nasce nel 1462, quando Cosimo de’ Medici dona la villa di Careggi, sulle colline presso Firenze, a Ficino, perché possa dedicarsi ai suoi studi e alla traduzione del corpus delle opere di Platone e degli autori neoplatonici. Animata dalla vivacità intellettuale del giovane filosofo, la villa diventerà un ritrovo di filosofi, poeti e uomini di lettere e avrà un’influenza decisiva sulla cultura del Rinascimento italiano: ne saranno abituali frequentatori Lorenzo il Magnifico, Cristoforo Landino, Pico della Mirandola e Angelo Poliziano.
Il nome di “Accademia” o “piccola Accademia” (academiola) con cui Ficino definisce il circolo intellettuale di Careggi era un omaggio alla scuola di Platone.
Ma le ricerche storiografiche più recenti escludono che vi si svolgesse una regolare attività scolastica, che non era d’altra parte nel progetto di Ficino, volto piuttosto a fare dell’academiola un centro di diffusione del sapere platonico e neoplatonico: luogo ameno immerso nella pace della campagna fiorentina, essa era sede di convegni eruditi e di dotte conversazioni, di dispute e conferenze, banchetti e celebrazioni come quella per l’anniversario della nascita e della morte di Platone (ricostruita da Ficino nel suo Convito). In un ambiente non settario e aperto a esperienze culturali di diversa provenienza (Pico della Mirandola e Poliziano, che furono frequentatori dell’Accademia, avevano interessi e orientamenti filosofici che non sempre coincidevano con quelli di Ficino e della dottrina platonica), la villa di Careggi era plasmata sul modello delle scuole filosofiche antiche, come comunità di vita e di pensiero tra uomini uniti da un profondo legame di amicizia spirituale.
L’Accademia non aveva statuto né ordinamenti e si reggeva sulla personalità e sul prestigio di Marsilio Ficino. La sua fortuna coincise quindi con quella del proprio fondatore: alla sua morte (1499) gli subentrò l’allievo Cattani da Diacceto e la sede degli incontri fu spostata agli Orti Oricellari, a Firenze, dove l’attività dell’Accademia proseguì senza particolare rilievo fino al 1522, quando fu sciolta a causa del coinvolgimento di molti suoi membri nella congiura contro Giulio de’ Medici.
ESERCIZIO
E9: Marsilio Ficino e le arti nel Rinascimento
L’opera maggiore di Ficino non a caso è intitolata Theologia platonica (1482): si tratta di rifondare un nuovo spirito religioso che concili la verità delle Scritture con i temi della filosofia greca. Egli pone al centro del suo platonismo la saldatura tra religione e filosofia. Non era certo un tema nuovo, ma nuova è la via attraverso cui egli cerca di realizzarla: il ritrovamento di una sapienza antica in cui questa unità non si era ancora spezzata. Questo atteggiamento induce Marsilio a una rilettura di tutte le rivelazioni, di tutti i tempi e di tutti i paesi, per rifondare in esse il nucleo centrale di una religione naturale, di origine antichissima, e di qui l’entusiasmo per la riscoperta di testi precristiani. Il pensiero platonico appare come il luogo teorico in cui questa saldatura si è verificata con maggiore evidenza, ma del platonismo viene messa in luce, in questo fervore di riscoperta, la dottrina dell’amore e i suggerimenti che essa poteva dare per una ridefinizione del ruolo dell’uomo nel mondo.
Lo scopo di una religione filosofica è per Ficino il rinnovamento dell’uomo. La redenzione è un rinnovamento per cui attraverso l’uomo la natura creata viene restituita a Dio. L’anima umana è la vera copula del mondo perché ha la capacità di stabilire un “legame”: da un lato si volge al divino, dall’altro si inserisce nel corpo e signoreggia la natura. L’uomo partecipa della provvidenza (che è l’ordine che governa gli spiriti), del fato (l’ordine che governa gli esseri inanimati) e della natura (che governa i corpi), ma pur partecipando di questi tre ordini l’uomo non è determinato da uno solo di essi: vi partecipa attivamente.
L’anima adempie alla sua funzione mediatrice attraverso l’amore: Dio ama il mondo e lo crea, l’uomo ama Dio. L’uomo è l’unità vivente dell’essere attraverso il vincolo d’amore che, nelle due direzioni, lo lega a Dio. L’uomo si divinizza nello sviluppo della propria razionalità, in un processo di purificazione e perfezionamento infinito.
ESERCIZIO
E8: Marsilio Ficino
In sintesi, possiamo dire che il platonismo ficiniano si appoggia su un’idea dell’amore come coscienza di una mancanza e ricerca di un tesoro nascosto, di una rivelazione intellettuale che concerne una verità misteriosa, avvolta da un carattere sacrale. Una visione in cui il filosofo assume una funzione sacerdotale. Ma Ficino perviene alla sua sintesi filosofica anche grazie alla riscoperta di quel sapere magico-ermetico che stava penetrando nel mondo dell’umanesimo italiano.
TESTO
T5: Marsilio Ficino, L'anima copula del mondo
TESTO
T6: Marsilio Ficino, Il cammino verso la bellezza divina
In opposizione alla limitatezza del corpus di autori classici che costituiva il “canone” del pensiero scolastico, la nuova cultura umanistica si rivolge alla sapienza antica e aggiunge all’esclusiva interpretazione delle Sacre Scritture il commento dei grandi pensatori religiosi del mondo greco e orientale, sia che fossero personaggi storici, sia autori leggendari a cui venivano attribuiti testi scritti posteriormente.
ESERCIZIO
E6: Marsilio Ficino
LETTURE
Il Corpus Hermeticum
Vol.1
In particolare, pervengono all’ambiente umanistico testi arcaici, come gli Inni Orfici e gli Oracoli Caldaici. Gli Inni Orfici noti al Rinascimento, che sono probabilmente scritti tra II e III secolo della nostra era, celebrano il culto del Sole, con sfumature magico-incantatorie, e vengono attribuiti a Orfeo. Gli Oracoli sono ugualmente un prodotto del II secolo, ma vengono ritenuti documento di una lontanissima antichità e attribuiti a Zoroastro. Infine giunge in Occidente il Corpus Hermeticum.
Si tratta di un manoscritto greco che nel 1460 viene portato dalla Macedonia alla corte di Cosimo de’ Medici: i testi che esso contiene sono attribuiti dalla tradizione a Ermete Trismegisto, presunto sapiente egizio vissuto prima dei filosofi greci e forse prima di Mosè, talora identificato con Mosè. Pertanto questi scritti erano giudicati fonte di una sapienza antichissima, diffusasi prima della rivelazione cristiana. In realtà, si trattava di una silloge di autori diversi, che avevano scritto non prima del I secolo, viventi in un ambiente di cultura greca vagamente nutrita di spiritualità egizia, ricchi di riferimenti platonici (e di anticipazioni di spunti neoplatonici). Che gli autori fossero diversi è ampiamente dimostrato dalle numerose contraddizioni che si trovano nei vari libelli del Corpus; che fossero filosofi ellenizzanti (e non sapienti o sacerdoti egizi) è suggerito dal fatto che nel Corpus non appaiono riferimenti consistenti né alla teurgia né ad alcuna forma di culto o di liturgia, se non di scorcio. Questi testi erano sopravvissuti in ambiente non cristiano e massimamente in ambiente arabo, ed erano stati citati in modo impreciso e di seconda mano da alcuni Padri della Chiesa come Cirillo di Alessandria, Clemente Alessandrino, Lattanzio o Tertulliano. Molti di essi conoscevano solo l’Asclepius, l’unico testo del Corpus che abbia circolato nel medioevo, e che era noto anche ad Agostino. Ma in definitiva l’ipotesi più accreditata è che il Corpus nella sua integrità sia stato assemblato tra VI e XI secolo.
Se si considera che la riscoperta del Corpus avviene nello stesso secolo della riscoperta di Platone e dei testi maggiori del neoplatonismo, siccome nei suoi testi si possono ravvisare riferimenti platonici e analogie con il neoplatonismo, è comprensibile come la nuova atmosfera neoplatonica fosse favorevole ad accogliere i fermenti ermetici.
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Come gli antichi
Cosimo de’ Medici, che come tutti gli uomini illuminati del suo tempo partecipa del fervore umanistico per la riscoperta degli antichi testi greci, si entusiasma e induce Ficino a tradurre subito il Corpus, interrompendo la traduzione degli scritti platonici che egli aveva appena iniziato nel 1463: questo ci dice come la fama del Corpus lasciasse intravedere agli uomini dotti del XV secolo una fonte di prodigiose e affascinanti rivelazioni.
Ficino termina la sua traduzione in latino nel 1464 prima della morte di Cosimo. Il codice a sua disposizione contiene solo 14 trattati, e Ficino intitola l’opera intera col nome del primo trattato, Pimander. L’opera viene pubblicata nel 1471 insieme all’Asclepius, già esistente in latino. Ne usciranno poi numerosissime altre edizioni, che si arricchiscono via via di altri testi.
La tradizione ermetica propone una visione magico-astrologica del cosmo. I vari astri vengono ipostatizzati come potenze intermedie – demoni o esseri angelici capaci di svolgere una azione di mediazione tra il divino e il genere umano. Si ritiene infatti che i corpi celesti esercitino delle forze e degli influssi sulle cose terrene. Conoscendo le leggi planetarie, questi influssi possono essere previsti, non solo per quanto riguarda il mondo nel suo complesso, ma anche per quanto riguarda il destino individuale di ciascuno. Pertanto non solo gli astri possono essere visti come “segni” di cose a venire (e questa capacità di far pronostici si chiamava nel mondo greco apotelesmatica), ma attraverso pratiche di “magia astrale” – diversa dalla “magia naturale” che intendeva operare direttamente sulla natura – si può modificare il corso della natura attraverso la mediazione di un’influenza sugli astri. Questo implica l’idea di una corrispondenza tra ilmacrocosmo(l’universo) e il microcosmo (l’uomo), nonché la credenza che queste corrispondenze si basino su reciproci rapporti di simpatia cosmica, cioè sul fatto che tra tutte le cose presenti in natura ci sarebbero rapporti di attrazione e repulsione.
Per capire le posizioni di Ficino occorre individuare alcune delle sue fonti dirette o indirette, come per esempio il De somniis del filosofo neoplatonico Sinesio di Cirene, che egli traduce nel 1498 insieme al De mysteriis Aegyptiorum, Chaldaeorum, Assyriorum di Giamblico e testi di Proclo, Psello, e Porfirio. La base della simpatia cosmica è data dal fatto che l’anima contiene l’impronta ideale degli oggetti sensibili (dottrina platonica) e la conoscenza avviene perché abbiamo un principio sintetizzatore che, come uno specchio a due facce, riflette al tempo stesso gli oggetti sensibili e gli archetipi eterni e ne permette la comparazione. L’azione sintetizzatrice è compiuta dallo spirito fantastico, il phantastikón néuma.
Altri testi fondatori della magia astrale, come quelli dell’arabo Al Kindi, avevano peraltro diffuso l’idea che non solo ogni stella ma ogni elemento emanasse dei raggi che si modificavano grazie ai diversi rapporti tra stelle o altri elementi e oggetti influenzati, così da stabilire un ininterrotto legame di influenze (qui viste come influenze luminose, di tipo fisico, ma che nel platonismo rinascimentale diventeranno influenze metafisiche, legami d’amore) che unificava l’universo, dall’alto al basso e viceversa.
I vari interpreti si dicono perplessi su quanto Ficino veramente facesse e invitasse a fare. In vari passi della sua opera egli sembra considerare criticabile la magia talismanica, mentre giudica utile e santa la magia che procede attraverso erbe e medicine. Ma in altri momenti egli pare credere alla potenza dei talismani. Così il De vita coelitus comparanda abbonda di istruzioni su come indossare talismani, sul nutrirsi con piante in simpatia con certi astri, su come celebrare cerimonie magiche usando profumi e canti adeguati, e abiti dai colori appropriati agli astri che si vogliono influenzare, o di cui si sollecita l’influenza benefica.
Così il Sole può essere sollecitato indossando abiti dorati, usando fiori connessi al Sole come l’eliotropio, miele giallo, zafferano, cinnamomo. Sono animali solari il gallo, il leone e il coccodrillo. L’influenza di Giove può essere attirata grazie al giacinto, l’argento, il topazio, il cristallo, i colori verdi e bronzei. Vari sono i criteri che permettono di riconoscere o istituire somiglianze. L’oro è simile al Sole per il colore, il pavone per la sua dignità e per i raggi della sua coda, il leone per la criniera, il gallo perché saluta l’astro nascente. Per attirare l’influenza dell’Orsa Maggiore occorre incidere un’orsa su una pietra magnetica e portare al collo questa medaglia. Anche i luoghi in cui compiere tali cerimonie vanno scelti in accordo con le simpatie planetarie.
Fanno parte pertanto della magia ficiniana una serie di consigli che riguardano una dieta sana, il compiere passeggiate in luoghi ameni dall’aria mite e pura, la pratica della pulizia personale, l’uso di sostanze come il vino e lo zucchero. Si tratta di purgare lo spirito dell’uomo dalle sue sozzure per renderlo più simile allo spirito del mondo e quindi più celeste.
ESERCIZIO
E7: Marsilio Ficino
Dobbiamo pensare a tali riti anche come a manifestazioni artistiche, compiute da spiriti raffinati che coltivano con amore il proprio corpo e la gradevolezza del proprio ambiente e degli oggetti che li circondano. C’è una componente estetica in questo disporsi alla meditazione di belle figure e al canto di gradevoli melodie.
Nel Quattrocento l’alchimia consolida la propria posizione nelle corti e si lega sempre più alla medicina. I testi alchemici, presenti nelle biblioteche di umanisti come Niccolò Cusano, Basilio Bessarione e Niccolò Leoniceno (1428-1524), hanno larga diffusione in vari ambienti della cultura europea, malgrado l’aura di segretezza che continua a caratterizzare quegli scritti. Il crescente interesse per l’alchimia, in particolare tra i medici, suscita gli interventi delle autorità politiche, che si aggiungono alle condanne delle autorità ecclesiastiche. Nel 1399 in Catalogna l’inquisitore della corona d’Aragona Nicolas Eymerich scrive un Trattato contro gli alchimisti nel quale contrappone le opere della natura a quelle dell’arte e afferma che solo Dio potrebbe fare l’oro dall’argento e l’argento dal piombo. Nel 1380 un editto di Carlo V di Francia vieta la pratica dell’alchimia; nel 1403 in Inghilterra Enrico IV
condanna la pratica della trasmutazione e nel 1488 il senato di Venezia emette un editto analogo. I divieti però non mettono affatto fine alle pratiche alchemiche, che continuano a essere diffuse in vari luoghi, seppure sottoposte a un più forte controllo.
All’inizio del XV secolo si possono individuare due distinte tradizioni nell’alchimia latina: quella metallurgica, finalizzata alla trasmutazione dei metalli, e quella medica, che ha come scopo la preparazione dell’elisir con il quale prolungare la vita, nonché la distillazione, a partire da composti organici e inorganici, della “quintessenza”, cioè l’elemento ultimo e costitutivo dei corpi, che, secondo le teorie alchemiche, una volta individuato renderebbe possibile la trasformazione di un materiale in un altro.
Anche se rimane estranea all’insegnamento universitario, l’alchimia è oggetto di dibattiti tra filosofi naturali, come ad esempio Pietro Pomponazzi (1462-1525). Per Pomponazzi la trasmutazione dei metalli non è impossibile, ma i suoi inevitabili disastrosi effetti sull’economia e la politica inducono a suo avviso a considerare con molta cautela la diffusione di simili ricerche.
Quel che caratterizza i trattati alchemici del XV secolo è il ruolo sempre più rilevante acquisito dalla distillazione. La distillazione con finalità puramente farmacologiche ha come obiettivo di separare le parti pure e volatili dalle parti più grosse e pesanti, quella più strettamente alchemica ha lo scopo di convertire l’intera sostanza di partenza in una nuova sostanza purissima.
Altra caratteristica delle trattazioni di questo periodo è lo stretto legame tra parole e immagini (evidente nelle opere più note, come l’Aurora consurgens o il Libro della Santa Trinità – composto tra il 1416 e il 1419) che diverrà sempre più stretto nell’alchimia del Rinascimento. Immagini ricorrenti nell’iconografia alchemica sono il Sole, la Luna, l’albero, il drago, l’urobóros (il serpente che si morde la coda), l’unicorno, il pavone, la fonte, l’ermafrodita, l’aquila, il connubio: tutte immagini che rappresentano metalli, ma anche il processo stesso di perfezione e purificazione della materia.
Anche se è critico nei confronti della segretezza che caratterizza i testi di alchimia, il medico padovano Michele Savonarola (1385-1468) assume un punto di vista favorevole sulla trasmutazione dei metalli ed è convinto che si possa ottenere l’elisir per prolungare la vita. Il suo interesse per l’alchimia (anche se accompagnato da non pochi dubbi) si manifesta soprattutto negli scritti farmacologici, dove ricorre l’uso di prodotti alchemici e, in particolare, rimedi di origine minerale.
Le virtù terapeutiche dell’oro derivano dalla sua perfezione e incorruttibilità, ma anche dal suo legame con il Sole, che dà vita, e con il cuore da cui hanno origine gli spiriti vitali. Nel De Vita (1489) Marsilio Ficino non si limita a considerare gli usi medici dell’alchimia: egli afferma anche che lo spirito estratto dall’oro può trasformare e vivificare i metalli. Nel Cinquecento, Ficino diverrà una delle autorità cui attribuire scritti alchemici posteriori, accreditandone l’immagine di alchimista. Seguace di Ficino è Ludovico Lazzarelli, il quale unisce alchimia ed ermetismo, attribuendo a Ermete Trismegisto il ruolo di fondatore della magia e dell’alchimia. L’alchimia, per Lazzarelli, ha il duplice scopo di perfezionare i metalli e preparare potenti farmaci; egli insiste inoltre sul caratterre etico-religioso dell’arte, e propone che i farmaci ottenuti dagli alchimisti, essendo dono divino, siano distribuiti gratuitamente ai poveri.
LETTURE
Alchimia e alchimisti
Queste erano pratiche comunemente intese (sin dall’antichità) come “teurgia”, ovvero capacità di evocare e influenzare potenze ultraterrene attraverso operazioni rituali di carattere cerimoniale. Ma la magia rinascimentale sembra permettere, più che un tenebroso dominio del sovrannaturale, un gradevole equilibrio naturale, a tal segno che la si può considerare (sia pure paradossalmente) in qualche modo connessa alla nascita di un nuovo spirito scientifico. Essa è interessata più ai misteri della natura che a quelli soprannaturali, e intende dominare queste forze misteriose per trasformare il mondo secondo gli umani bisogni. Il teurgo ficiniano è più innamorato delle armonie terrene che dei mondi inferi o superi.
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Firenze nell'età di Lorenzo il Magnifico