La vita e l’opera di Paracelso (1493-1541) si collocano all’interno delle turbolente vicende della Riforma e della guerra dei contadini in Germania. Nato a Einsiedeln, nel cuore della Svizzera centrale, all’età di 11-13 anni studia presso l’abbazia benedettina di St. Paul im Lavanttal. Studia in varie università (inclusa Ferrara), ma non sembra che abbia mai conseguito alcun titolo. Intraprende viaggi in molti Paesi, durante i quali acquisisce conoscenze pratiche in fatto di medicina, chimica e farmacologia. Svolge la funzione di chirurgo militare e nel 1524 è a Salisburgo, dove pratica medicina per un anno. Simpatizza con i contadini tedeschi in rivolta contro i principi e aderisce alle idee più radicali della Riforma, in particolare alle concezioni degli anabattisti. Da Salisburgo passa a Strasburgo. Qui cura con successo l’editore Johann Froben e ha tra i suoi pazienti Erasmo da Rotterdam. Grazie alla fama conseguita, riceve il duplice incarico di medico municipale e docente all’università.
Paracelso manifesta pubblicamente la propria avversione per la medicina tradizionale: fa lezione in tedesco anziché in latino (la lingua usata nelle università), dichiara di insegnare le proprie dottrine e non quelle di Ippocrate e Galeno (su cui si basava il curriculum medico dell’epoca) e dà alle fiamme uno dei libri di testo più diffusi, il Canone di Avicenna. L’opposizione dei medici e dell’università lo costringono ad abbandonare la città. Ha quindi inizio un nuovo periodo di peregrinazioni. Nel 1529 si stabilisce a Norimberga, città in cui confluiscono mercanti e artigiani, con una fiorente industria tipografica, nonché uno dei maggiori centri culturali e scientifici dell’Europa del Rinascimento. Qui, Paracelso pubblica opere di medicina, religione e scritti di carattere profetico. Tra i suoi principali interessi in questi anni vi è la cura della sifilide, che comincia a essere trattata con la corteccia di guaiaco: l’uso del “legno santo”, come veniva chiamato il guaiaco, è respinto da Paracelso. Costretto ad abbandonare anche Norimberga, inizia una nuova serie di viaggi, svolge attività medica tra i contadini svizzeri, studia le malattie dei minatori e le acque minerali. Nel 1538 torna in Carinzia, per poi trasferirsi di nuovo a Salisburgo, dove muore nel 1541.
Immediatamente dopo la sua morte, la sua figura e le sue teorie (espresse con una terminologia estranea alla medicina ufficiale e spesso oscura) divengono oggetto di controversie: da alcuni accusato di pratiche magiche illecite, da altri considerato un ignorante iconoclasta, da altri ancora seguito come maestro e iniziatore di una nuova medicina.
Al sapere medico di carattere libresco, basato sulla lettura e sul commento dei classici della medicina greca e latina, Paracelso oppone una nuova concezione della medicina, fondata sull’osservazione della natura e del corpo umano, su competenze pratiche tramandate oralmente, sulla chimica. Il vero medico è colui che, abbandonando le dottrine degli antichi, percorre il mondo, perché – secondo Paracelso – ogni Paese e ogni popolo possiedono le proprie malattie specifiche e i propri rimedi specifici. Feroce critico dei privilegi dei medici, propugna una pratica medica ispirata ai principi del Vangelo e al servizio dei deboli e bisognosi.
A fondamento del pensiero medico di Paracelso vi è l’idea che l’uomo sia un microcosmo, ovvero che vi sia una corrispondenza tra i fenomeni del mondo naturale e quelli che si verificano nel corpo umano. L’analogia tra il cosmo e il corpo umano ha una duplice valenza: se la fisiologia e gli stati patologici dell’uomo sono assimilati ai fenomeni naturali, allo stesso modo l’intero universo è descritto come un essere vivente, nel quale si verificano digestioni, secrezioni, crescite, e le cui parti sono dotate di sensibilità, poteri attrattivi e repulsivi. L’universo paracelsiano è un tutto vivente nel quale sono presenti rapporti di corrispondenza tra le parti.
Agli umori e alle facoltà della medicina galenica Paracelso contrappone una nuova concezione del corpo umano, attribuendo ad agenti incorporei (gli spiriti) le principali funzioni vitali. Gli spiriti sono presenti in tutti i corpi naturali e sono assorbiti dal corpo umano attraverso un processo analogo alla distillazione. La chimica, che tradizionalmente era considerata una disciplina eminentemente pratica e quindi di rango inferiore, per Paracelso e per i suoi seguaci diviene il fondamento della medicina. I processi che il chimico o l’alchimista (per Paracelso i due termini si equivalgono) producono in laboratorio sono analoghi a quelli che avvengono in natura e nel corpo umano. Di conseguenza, la preparazione dei farmaci deve essere effettuata con procedimenti chimici, utilizzando minerali e metalli, sostanze che erano del tutto estranee alla farmacologia galenica.
TESTO
T1: Paracelso, Il medico e la natura
ESERCIZIO
E1: Paracelso
L’intero sistema della medicina rinascimentale si fonda sulle complessioni e sugli umori, concetti ereditati dalla medicina classica.
Le complessioni (o “temperamenti”) derivano dalle quattro qualità: caldo, freddo, secco, umido. Ogni uomo ha una determinata complessione che acquisisce al momento della nascita e che dura tutta la vita, anche se subisce alcune alterazioni con il tempo. Caldo e umido sono prevalenti quando si è giovani, con la vecchiaia il freddo e il secco tendono a essere più presenti. Le differenti complessioni possono dipendere dal sesso e da fattori ambientali: per esempio freddo e umido prevalgono nelle donne e tra i popoli del Settentrione.
Il secondo concetto-chiave che la medicina rinascimentale eredita dall’età classica è quello di umore. Gli umori sono quattro: sangue, bile gialla o colera, bile nera o melancholia, flemma. Ogni umore è caratterizzato da una coppia di qualità: il sangue è caldo e umido, la bile gialla è calda e secca, la bile nera è fredda e secca, il flemma è freddo e umido. I filosofi e medici medievali e rinascimentali associano i pianeti agli umori e alle complessioni: Saturno alla melancolia, Giove alla disposizione sanguigna, Marte a quella collerica, Luna o Venere a quella flemmatica.
Con ciascun umore i medici intendono una varietà di fluidi corporei differenti: il flemma è una mucosità umida e fredda, che comprende una vasta gamma di secrezioni incolori o biancastre (con l’eccezione dello sperma e del latte). La bile gialla è per lo più identificata con la bile che si ritiene essere prodotta dal fegato. La bile nera è invece collocata nella milza. Il sangue è identificato solo con una parte del sangue vero e proprio, che contiene anche una certa quantità di flemma e bile. Dagli umori, così come dalle quattro qualità, sono fatte dipendere le complessioni e anche le malattie, che sono considerate un’alterazione dell’equilibrio tra gli umori. Gli umori stabiliscono una relazione tra processi mentali e fisici, cosicché, a seconda del modo in cui si combinano, determinano la complessione, e quindi le caratteristiche psicologiche degli individui. Alla prevalenza di uno dei quattro umori sono associati i caratteri di individui o di popoli: il flemmatico è indolente, il collerico o bilioso (colui in cui prevale la bile gialla) è litigioso, il sanguigno è avido di piaceri, il melanconico è triste, avaro e fosco.
Tra tutte le complessioni, quella melanconica manifesta il carattere più spiccatamente patologico. La “melancolia” (melancholia) o “malinconia” era considerata tradizionalmente una malattia i cui sintomi sono abbattimento, tetraggine, mutismo e rifiuto del cibo; era ritenuta l’effetto di un eccesso o di una condizione anomala della bile nera, derivante a sua volta da una prevalenza costituzionale o prodotta da dieta e abitudini di vita. Non più concepita soltanto come un male, nel Rinascimento, la melanconia assume nuove caratteristiche, diviene una forza intellettuale positiva: con Marsilio Ficino nasce l’immagine dell’uomo di genio melanconico. La terapia è anch’essa basata sugli umori ed è finalizzata a ristabilire lo stato di equilibrio umorale attraverso la flebotomia (o salasso), i clisteri, la somministrazione di emetici e purganti. Anche le diete sono fondate sulla teoria degli umori, e le sostanze consigliate dal medico rispondono alla necessità di favorire la formazione degli umori di cui vi è carenza.
LETTURE
Ficino e l'ermetismo umanistico
Come già detto, la prima critica della fisiologia galenica è condotta da Paracelso. In particolare egli confuta i fondamenti della medicina umorale e oppone a essa l’indagine diretta della natura e delle malattie, così come l’interpretazione in termini chimici dei processi fisiologici. Paracelso e i suoi seguaci sferrano inoltre un violento attacco contro la pratica della flebotomia, ritenendola inutile e spesso dannosa. Alle terapie e ai farmaci dei galenisti oppongono cure basate sul principio secondo cui il simile cura il simile, nonché sull’impiego di farmaci prodotti per mezzo di procedure chimiche.
Osteggiate dai medici universitari, le idee e le pratiche dei paracelsiani si diffondono prima in Germania, poi anche in Francia e in Inghilterra, mentre il loro ingresso nella penisola italiana avviene solo tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del XVII secolo.
Paracelso elabora inoltre un nuovo concetto di malattia: confuta la concezione tradizionale della malattia come squilibrio nel rapporto tra gli umori e sostiene che ogni malattia è prodotta da un agente patogeno specifico, da semi che dall’esterno penetrano nell’organismo e alterano i principi vitali, da lui chiamati “archei”. La malattia ha dunque una sede specifica e un’origine specifica. Se la malattia è causata da un indebolimento o alterazione del principio vitale in una certa parte del corpo, allora la terapia dovrà mirare a ripristinarne il funzionamento.
Strettamente legata alle ricerche sulla medicina è la riflessione teologica e politica di Paracelso. Sostenitore di una radicale riforma religiosa e sociale, egli accusa le correnti della Riforma di corruzione e di intolleranza. La condanna degli abusi del clero, delle gerarchie ecclesiastiche, dei culti esteriori, la riaffermazione dell’originaria purezza del cristianesimo primitivo, l’identificazione della vera Chiesa con la comunità spirituale dei credenti, accomunano Paracelso agli esponenti della cosiddetta Riforma radicale, quali Andreas Bodenstein von Karlstadt (1486-1541), Conrad Grebel (1498-1526 ca.) e gli anabattisti della Svizzera e della Germania meridionale.
Al principio di autorità, alla tradizione e alle speculazioni astratte dei teologi e dei filosofi, Paracelso contrappone l’esperienza personale, l’indagine diretta della natura e della propria coscienza. L’importanza accordata agli agenti spirituali incorporei in natura è strettamente connessa all’affermazione di una religiosità spirituale, interiore, contrapposta al carattere materiale ed esteriore dei riti e delle cerimonie ecclesiastiche. La vera religione è quella dello spirito; la venuta di Cristo ha posto la salvezza non nell’obbedienza alla legge (anche i comandamenti sono lettera morta), ma nell’interiorità della persona.
Per Paracelso la profezia, che costituisce la forma più alta di magia, si fonda sull’osservazione degli astri, sulle immagini magiche, sulle Scritture. Il piano della storia è inscritto nei cieli a beneficio dell’uomo e se si vogliono conoscere le prospettive dell’Europa cristiana, sconvolta da guerre e scismi, occorre far ricorso alla profezia. Nell’atmosfera apocalittica della Riforma l’astrologia riveste per Paracelso e i suoi seguaci un mezzo per interpretare e condizionare eventi politici e religiosi.
In campo politico e sociale Paracelso si fa propugnatore di ideali evangelici di povertà, fratellanza e carità, che lo portano a esprimere una ferma condanna dell’usura, ma anche della rendita e, più in generale, dell’accumulazione di denaro. Paracelso, infatti, si rivolge anche contro i grandi proprietari di terre, asserendo che le terre non devono essere proprietà privata, ma appartenere all’imperatore.
Per Paracelso tutti i corpi naturali sono formati da tre principi chimici: sale, zolfo e mercurio, sostanze che si ottengono dall’analisi chimica di tutti i corpi. I tre principi hanno in Paracelso uno status alquanto ambiguo: con essi infatti non sono designati il sale, lo zolfo e il mercurio comuni, ma le loro essenze, ovvero sostanze purissime, da cui dipendono tutte le proprietà sensibili dei corpi. I quattro elementi aristotelici (terra, acqua, aria, fuoco) non scompaiono del tutto nella chimica paracelsiana, ma a essi è attribuito un ruolo secondario: sono definiti le “matrici” nelle quali operano i principi per formare i corpi composti. La chimica per Paracelso è strettamente legata alle sue applicazioni medico-farmacologiche, mentre nessun interesse è rivolto alla trasmutazione dei metalli, che costituiva uno dei temi centrali dell’alchimia medievale.
LETTURE
Alchimia e chimica
Uno dei temi centrali del pensiero di Paracelso, che sarà sviluppato dai suoi seguaci, è la dottrina delle segnature, per la quale ogni ente naturale è stato dotato dal creatore di una specifica forma visibile che non è mai casuale, ma è indizio degli usi cui è stato destinato. Secondo tale dottrina, che diviene parte integrante della farmacologia rinascimentale, la figura di una pianta rimanda al suo uso terapeutico, indicato dalla somiglianza che sussiste tra la pianta e le parti del corpo che essa ha il potere di curare.
In Paracelso si trovano numerose credenze proprie della cultura popolare, come per esempio quella relativa all’esistenza di esseri fantastici che abitano l’acqua (le ninfe), il fuoco (le salamandre), la terra (gli gnomi). Proprio gli gnomi, che vivono in cunicoli scavati nelle rocce, avrebbero il compito di custodire i metalli preziosi contenuti nelle viscere della terra, facendo sì che l’avidità degli uomini non comporti un loro rapido esaurimento. Pur rifiutando l’uso dell’astrologia giudiziaria, ovvero quella divinatoria, Paracelso non nega l’esistenza di influssi astrali, o la possibilità di operare divinazioni, ma sottolinea il rischio che queste ultime possano essere condizionate dall’intervento di spiriti maligni.
Paracelso crede nell’esistenza di streghe, di donne dotate di poteri straordinari, come quello di produrre tempeste e di provocare malattie. Tuttavia ritiene che le streghe debbano essere trattate con clemenza, come donne malate da curare, non da mandare al rogo.
AMBIENTE CULTURALE
All’interno del pensiero aristotelico la teoria della materia si era definita in aperta antitesi all’atomismo. Secondo Aristotele, la sostanza, ossia l’essere di ogni cosa che esista individualmente, è costituita di forma (il principio interno che ne definisce le proprietà e la struttura) e materia, o sostrato. Ma forma e materia sono distinte solo nel pensiero, nel mondo fisico non esistono forme senza materia, né una materia priva di forma; tutti i corpi sono composti da quattro elementi, a ciascuno dei quali è associata una coppia di qualità: il fuoco è caldo e secco, l’aria è calda e umida, l’acqua è fredda e umida, la terra è fredda e secca. A differenza dell’atomismo, i costituenti ultimi dei corpi non sono determinati da proprietà quantitative, ma da qualità. Contrariamente agli atomi, che sono immutabili, gli elementi aristotelici non sono considerati immutabili, ma ciascuno può essere trasformato in qualsiasi altro attraverso il mutamento di una o di tutte e due le qualità.
Tra gli aristotelici emersero, già nel medioevo, differenti punti di vista su uno dei più spinosi problemi della teoria della materia del maestro, ossia se in un corpo misto siano ancora presenti gli elementi a partire dai quali esso è stato formato e, in caso affermativo, in quale maniera. Per riassumere schematicamente un lungo e articolato dibattito, gli aristotelici padovani, seguendo il pensiero di Averroè, affermano che nel corpo misto gli elementi permangono con le loro forme, presenti in esso con intensità ridotta; per i tomisti, invece, sopravvivono solo le qualità degli elementi, non le loro forme. Secondo il medico e astronomo francese Jean Fernel (1487-1558), invece, le forme degli elementi sussistono, ma sono inattive, in quanto imprigionate dalla forma superiore del mixtum – il corpo misto, appunto.
Sebbene possano apparire dispute di carattere puramente verbale, le discussioni sul misto aprono la strada a una crisi della teoria aristotelica della materia; la filosofia aristotelica giunge infatti a un vicolo cieco, non emergendo alcuna soluzione del problema che sia compatibile con i principi aristotelici. Per superare questa contraddizione l’aristotelismo cinquecentesco introduce il concetto di “minimo naturale”. La dottrina dei minima naturalia viene presentata come una teoria ben definita della struttura della materia dal filosofo italiano Agostino Nifo (1469 ca.-1538). Prima di lui, i minimi sono per lo più soltanto dei limiti teorici della divisione, al di là dei quali una sostanza cessa di essere tale, non conserva cioè la propria forma. Nifo afferma invece che i minima hanno un’esistenza reale e che quando due sostanze agiscono chimicamente l’una sull’altra sono i loro rispettivi minimi a reagire, e in tal modo si formano i minimi del composto. Dopo Nifo, il medico e filosofo Giulio Cesare Scaligero (il cui vero nome fu Giulio Bordon, 1484-1588) compirà un ulteriore passo verso un’interpretazione corpuscolare dei minimi, affermando che i minima delle differenti sostanze hanno differenti dimensioni.
Teorie alternative La ripresa di tradizioni filosofiche diverse dall’aristotelismo, come per esempio lo stoicismo, conduce all’affermazione di dottrine ilozoistiche, le quali, cioè, attribuiscono alla materia un principio interno di azione e di vita. Uno dei principali sostenitori dell’ilozoismo è Bernardino Telesio. I tre principi – caldo, freddo e materia – non sussistono separatamente, ma sono presenti insieme nei corpi, e la materia non è pura passività, come volevano gli aristotelici, ma è attiva. La sua forma più sottile e attiva, secondo Telesio, è lo spiritus che plasma la materia più grossa ed è responsabile di tutte le generazioni che si determinano in natura.
L’idea telesiana di un’animazione generale dell’universo è poi ripresa da Campanella nel Del senso delle cose e della magia (scritto nel 1590), dove tuttavia non compaiono risvolti materialistici, evidenti invece in Telesio.
Concezioni vitalistiche sono anche presenti nella filosofia della natura di Paracelso e dei suoi seguaci, che alla dottrina dei quattro elementi di Aristotele oppongono i tre principi chimici di sale, zolfo e mercurio, sostanze di cui tutti i corpi sono composti e nelle quali possono essere scomposti per mezzo del fuoco. Per i paracelsiani l’intera natura è animata dallo spirito, una materia finissima e attiva; la vita è diffusa in tutta la natura e relazioni di attrazione e repulsione sussistono tra i vari enti naturali.
La rinascita dell’atomismo antico ha luogo attraverso un duplice percorso: da un lato sul terreno filologico, dall’altro su quello medico. La traduzione latina ad opera di Ambrogio Traversari (1424-1433) delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio (la principale fonte per la conoscenza della filosofia di Epicuro) e la riscoperta ad opera di Poggio Bracciolini del De rerum natura di Lucrezio (poema che esercita un’influenza considerevole nel Cinquecento) rendono disponibile ai filosofi rinascimentali una fisica basata sulla concezione atomistica della materia. In campo medico, teorie corpuscolari emergono nelle discussioni sulle cause del contagio; così, per Girolamo Fracastoro, i focolai di contagio si diffondono attraverso semi, da lui concepiti come corpuscoli, che tuttavia non sono identificabili interamente con gli atomi epicurei, essendo questi ultimi dotati di proprietà puramente geometrico-meccaniche.
La teoria atomistica è sostenuta in modo esplicito da Giordano Bruno, per il quale tutti i corpi sono composti da atomi, unità fisiche indivisibili e indistruttibili. Gli atomi, secondo Bruno, sono di numero infinito, sono tutti della stessa grandezza e della stessa forma (sferici), e sono composti da un’unica materia omogenea. Ma l’aver adottato gli atomi come costituenti ultimi dei corpi non implica un’adesione totale da parte di Giordano Bruno all’atomismo epicureo. A differenza dell’atomismo antico, quello di Bruno non assume l’esistenza del vuoto; nell’universo bruniano, l’etere, che è definito come una sostanza finissima, semplicissima e continua, riempie tutti gli spazi tra i corpi. Secondo il pensiero di Bruno, inoltre, l’etere svolge anche il ruolo di principio di coesione dei corpi che i soli atomi, a causa della loro forma sferica, non garantirebbero.
Teorie corpuscolari e indagini metallurgiche Concezioni corpuscolari cominciano a emergere già nell’alchimia medievale, in particolare nella Summa perfectionis, dello Pseudo-Geber, che risale alla fine del secolo XIII. L’opera ha ampia circolazione nel Rinascimento, sia nella versione manoscritta che a stampa. L’ingegnere e metallurgista senese Vannoccio Biringuccio (1480-1537) tratta della struttura dei metalli nel De la pirotechnia (1540) e, ispirandosi allo Pseudo-Geber, interpreta le proprietà chimico-fisiche dei metalli in termini corpuscolari. Le teorie di Biringuccio costituiscono un compromesso tra la dottrina degli elementi e la concezione atomistica. I quattro elementi aristotelici (terra, acqua, aria, fuoco) sono concepiti come particelle di materia determinate qualitativamente; essi si compongono in diverse proporzioni dando luogo alle proprietà che caratterizzano i vari metalli. Le proprietà dei metalli non derivano dalle forme sostanziali aristoteliche, ma dal moto e dalle modalità di aggregazione dei corpuscoli costitutivi, nonché dalla proporzione tra questi ultimi e i pori. L’oro ha una struttura compatta, le particelle che lo compongono sono tra loro in equilibrio e per questa ragione non subisce processi ossidativi. Questi si riscontrano invece negli altri metalli, la cui struttura è meno omogenea e le cui particelle sono dotate di mobilità. L’aumento del peso dei metalli sottoposti a calcinazione è spiegato in termini di corpuscoli e pori: se si sottopone a riscaldamento un metallo, i pori presenti nella sua struttura sono dilatati, permettendo così l’uscita delle particelle d’aria che – secondo la concezione aristotelica – sono leggere e partecipano alla composizione delle sostanze diminuendone il peso.
L’atomismo del primo Seicento La rinascita dell’atomismo antico, grazie soprattutto alla riscoperta delle Vite dei Filosofi di Diogene Laerzio (Vita di Epicuro) e del De rerum natura di Lucrezio, contribuisce a mettere in crisi il predominio della concezione aristotelica della materia. Le implicazioni materialistiche e ateistiche dell’atomismo epicureo sono note e su di esso pesano le obiezioni di carattere religioso, che già i Padri della Chiesa avevano formulato. Di qui un’estrema cautela da parte dei filosofi nel sostenere la dottrina epicurea degli atomi. Tuttavia va rilevato come gli sviluppi dell’atomismo non siano solo una filiazione dell’atomismo antico. Argomenti sperimentali, di carattere fisico, chimico e medico, contribuiscono a determinare la nascita di una concezione della materia fondata su corpuscoli, dalle cui aggregazioni e moti sono fatti derivare i fenomeni macroscopici e le proprietà dei corpi.
Le tradizioni atomistiche al sorgere del XVII secolo All’inizio del XVII secolo, Francis Bacon (1561-1626) adotta la teoria corpuscolare, ma non una concezione meccanicistica. Le sue indagini sulla composizione dei corpi si basano sulla distinzione tra materia tangibile (passiva) e spiriti, sostanze attive, semimateriali, nozione che Bacon eredita da Telesio e dai seguaci di Paracelso. Dalla relazione che sussiste tra parti tangibili e parti pneumatiche derivano le differenti texturae, o microstrutture dei corpi. Queste determinano le proprietà fisiche dei corpi: malleabilità, durezza, fluidità, volatilità ecc., ed è quindi possibile, alterando le texturae dei corpi, modificarne le proprietà o inserirne di nuove.
Il medico tedesco Daniel Sennert (1572-1637) sostiene in termini teorici e per mezzo di prove sperimentali la concezione atomistica. Sennert non rifiuta la filosofia di Aristotele, ma propone una teoria atomistica che si può definire un compromesso tra atomismo e aristotelismo. Egli rielabora in senso atomistico la teoria dei minimi naturali, asserendo che gli elementi aristotelici non possono essere infinitamente divisi e sono quindi riducibili a parti minime indivisibili, che egli identifica con gli atomi. Nel De chymicorum cum aristotelicis et galenicis consensu ac dissensu liber (Del consenso e dissenso dei chimici con gli aristotelici e i galenici, 1619) Sennert persegue un fine concordistico: intende conciliare l’atomismo con la filosofia aristotelica, e infatti i suoi atomi non sono dotati di proprietà puramente geometrico-meccaniche, come gli atomi degli antichi atomisti; Sennert inoltre conserva la forma, che nella filosofia aristotelica è distinta dalla materia e costituisce l’origine delle qualità dei corpi. Anche i quattro elementi sono conservati da Sennert, il quale distingue atomi della terra, dell’acqua, dell’aria e del fuoco, cui attribuisce le coppie di qualità primarie che determinano ciascun elemento. Tuttavia, egli afferma che, poiché in numerose reazioni chimiche (Sennert fa riferimento a reazioni reversibili) le parti di determinate sostanze permangono immutate in quanto possono essere recuperate, esse sono formate di corpuscoli indivisibili o atomi. A differenza degli atomi di Democrito ed Epicuro, gli atomi di Sennert hanno una forma (immateriale) da cui derivano le loro proprietà e sono dotati anche di qualità sensibili.
La Philosophia naturalis adversus Aristotelem libri XII (1621) del medico lorenese Sébastien Basson contiene invece una radicale confutazione della teoria aristotelica delle forme e dei quattro elementi e adotta una concezione atomistica. Il moto locale degli atomi, la loro posizione, la loro aggiunta o sottrazione rendono conto di tutti i fenomeni che gli aristotelici riconducono all’azione delle forme. Gli atomi di Basson sono dotati di nature specifiche che egli identifica con i cinque principi chimici (terra, acqua, sale, zolfo e mercurio). Lo spirito, principio attivo di origine celeste, è un continuum materiale che unifica l’universo; è la sostanza che eccita i moti dei corpi e dà origine alla vita. Questa dottrina non è diffusa presso i soli seguaci di Paracelso, ma viene anche adottata da chi, come Bacon e Van Helmont (1579-1644), critica aspetti fondamentali della filosofia paracelsiana.
L’atomismo di GalileoUno dei primi esempi di atomismo meccanicistico è quello di Galileo. A differenza di Sennert, Galileo confuta la concezione aristotelica delle qualità, riducendo queste ultime a un’interazione tra i corpuscoli e i nostri organi di senso. Lo scienziato pisano affronta il tema degli atomi in chiave sia matematica che fisica. Trattandone da un punto di vista matematico, sostiene che i corpi sono formati da un numero infinito di atomi “non quanti” (ovvero privi di dimensioni) tra i quali sono presenti infiniti spazi vuoti. Ritiene possibile ridurre un continuo limitato (per esempio un segmento) in infiniti elementi “primi” “non quanti”, indivisibili: poiché un segmento può essere diviso in quante parti si vuole, ancora divisibili, si deve necessariamente ammettere che esso sia composto da infinite parti; ma se queste parti sono infinite allora devono necessariamente essere “non quante”, cioè prive di estensione, perché infinite parti estese compongono un’estensione infinita, mentre il segmento ha un’estensione limitata.
Da un punto di vista fisico, la teoria della materia galileiana è atomistica e meccanicistica: la materia è omogenea, costituita di atomi i quali hanno solo proprietà di tipo geometrico-meccanico (forma, grandezza, moto). Nel Saggiatore (1623) lo scienziato pisano asserirà che qualità oggettive reali dei corpi sono solo quelle di carattere quantitativo, ovvero forma, grandezza e movimento delle parti di materia. Le qualità sensibili (caldo, freddo, dolce, amaro ecc.) hanno carattere soggettivo e non sono che nomi, che si danno alle modificazioni della sensibilità del soggetto percipiente. Alle qualità sensibili corrisponde qualcosa che genera in noi sensazioni, ma questo qualcosa somiglia alle sensazioni come un nome somiglia alla cosa da esso indicata.
Il recupero del materialismo epicureo: GassendiSempre nella prima metà del XVII secolo, va ricordata la rivalutazione di Epicuro operata da Pierre Gassendi (1592-1655) in opposizione alla posizione di Descartes, per il quale la materia è infinitamente divisibile e va quindi negata l’esistenza di atomi (corpuscoli indivisibili), in quanto non si può supporre che esista una particella di materia così piccola che Dio non possa ulteriormente dividere. Gassendi elimina gli aspetti dell’epicureismo tradizionalmente ritenuti incompatibili con i principi della religione cristiana. Egli pertanto nega che gli atomi siano eterni e di numero infinito e afferma che furono creati da Dio, cui si deve anche l’origine dell’universo. L’opera cui Gassendi affida l’esposizione più compiuta del suo atomismo è il Syntagma philosophicum, pubblicato postumo nel 1658. Per Gassendi gli atomi, dotati di varie grandezze e forme, ricevono all’origine un principio di movimento, una sorta di energia; tuttavia, per evitare esiti materialistici, Gassendi aggiunge che i moti degli atomi sono diretti dal Creatore. Gli atomi si compongono tra loro dando luogo ad aggregati di diversa forma e grandezza, cui Gassendi dà il nome di moleculae. Fondandosi sulle concezioni degli antichi atomisti, nonché sull’esperimento di Evangelista Torricelli (1608-1647), Gassendi sostiene l’esistenza del vuoto: sia di uno spazio vuoto in cui si muovono i corpi dell’universo, sia di piccoli interstizi vuoti all’interno dei corpi.
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Giordano Bruno
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Galileo Galilei
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Renè Descartes