5. Voltaire

di Lorenzo Bianchi

5.1 Tradizione inglese e critica filosofica

L’esperienza dell’esilio in Inghilterra per più di due anni è centrale nell’evoluzione del pensiero filosofico e politico di Voltaire: le Lettere filosofiche, o Lettere inglesi, raccolgono la sintesi di questa elaborazione e rappresentano nella cultura francese un importante momento di rottura con la tradizione. Nelle 25 lettere che compongono questo scritto Voltaire affronta i nuclei teorici della religione (lettere 1-7), del pensiero politico e civile (lettere 8-10), dell’analisi filosofica e scientifica (lettere 11-17), per considerare poi problemi legati alla letteratura e alle istituzioni culturali (lettere 18-24) e confrontarsi infine nella lettera 25 con il pensiero di Pascal. Il quadro che ne scaturisce è assolutamente originale.

Voltaire non solo recupera il pensiero di Locke e critica l’innatismo cartesiano e la negazione del vuoto sostenuta dall’autore del Discorso sul metodo, ma, in opposizione a Descartes e a ogni istanza metafisica, prende le difese della teoria newtoniana e del nuovo metodo sperimentale (sostenendo anche la necessità del ricorso alla vaccinazione contro il vaiolo, a cui dedica un’intera lettera, la numero 11). Voltaire esalta il clima di libertà civile, di ricerca scientifica e di tolleranza religiosa che ritrova in Inghilterra e contrappone il quadro dinamico della società inglese a quello statico della Francia di ancien régime, bloccata da istanze feudali (spesso rappresentate dai parlamenti) e da un oscurantismo religioso e confessionale. Così, pur senza proporre un preciso programma politico, le Lettere filosofiche avanzano istanze innovative e denunciano la superstizione, il fanatismo e il dogmatismo metafisico come elementi capaci di bloccare ogni progresso culturale e civile.

LETTURE

John Locke

Tra Parigi, Londra, Berlino e Ginevra: vita e opere di un intellettuale cosmopolita

Filosofo, poeta, drammaturgo, romanziere, storiografo, Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet, nasce a Parigi nel 1694 da una famiglia borghese. Frequenta il collegio gesuitico Louis-le-Grand e si iscrive poi alla facoltà di giurisprudenza mostrando immediatamente spiccate doti letterarie. Nel 1718 va in scena a Parigi alla Comédie Française, con un successo immediato e straordinario, la tragedia Edipo, critica nei confronti dell’assolutismo politico e religioso. Nel 1723 pubblica clandestinamente La Henriade, dove prende posizione contro ogni fanatismo religioso e a favore della tolleranza.

Dopo un breve periodo di carcere alla Bastiglia (nel 1726) per una lite con il cavaliere di Rohan, Voltaire sceglie l’esilio volontario in Inghilterra; qui è presentato a corte e frequenta le maggiori personalità della vita politica e culturale. Il soggiorno inglese, durato più di due anni, permette a Voltaire di conoscere a fondo la tradizione empirista e il deismo inglesi nonché le filosofie di Locke e di Newton, che rimarranno alla base del suo pensiero e di cui si farà interprete nella cultura filosofica francese. Le sue Lettere filosofiche, o Lettere inglesi, in cui difende la filosofia di Newton contro quella di Descartes e introduce il tema della tolleranza religiosa, vengono pubblicate per la prima volta in inglese a Londra nel 1733 e hanno poi un’edizione francese l’anno seguente. L’opera viene condannata nel 1734 dal parlamento di Parigi e Voltaire si rifugia a Cirey nel castello di Madame du Châtelet. La sua attività intellettuale si esplica ormai in ambiti differenti: pubblica in Olanda nel 1738 gli Elementi della filosofia di Newton, una difesa della nuova scienza esposta in un linguaggio chiaro e comprensibile; nel 1742 va in scena con successo la tragedia Maometto o il fanatismo; nel 1747 compone nel castello di Sceaux, presso la duchessa del Maine, i primi racconti filosofici, tra cui Zadig e Il mondo come va.

La morte nel 1749 di Madame du Châtelet getta Voltaire nella disperazione ma non ne blocca l’attività. Si reca infatti nel 1750 in Germania alla corte di Federico II; nel 1752 pubblica la prima edizione del Secolo di Luigi XIV e il racconto filosofico Micromega. Rientra in Francia l’anno successivo e raggiunge poi Ginevra. Alla notizia del tremendo terremoto di Lisbona del primo settembre 1755, Voltaire reagisce con il Poema sul disastro di Lisbona, nel quale accentua alcuni degli elementi pessimistici che già si erano affacciati nelle sue opere precedenti.

Nel 1758 acquista il feudo di Ferney in Francia, al confine con la Svizzera: vi si trasferisce nel 1760 e vi fa costruire un castello che sarà la sua residenza fino agli ultimi mesi prima della morte. Ferney diventa così meta di un pellegrinaggio intellettuale e filosofico europeo da dove il “patriarca” Voltaire mantiene scambi intellettuali e conduce una serrata propaganda filosofica contro la superstizione e l’intolleranza.

Nel frattempo pubblica nel 1756 il Saggio sui costumi e nel 1759 il Candido, mentre è coinvolto a Ginevra nelle polemiche successive alla pubblicazione dell’articolo “Ginevra”, apparso nel settimo tomo dell’Enciclopedia a firma di d’Alembert e ispirato dai colloqui avuti da questi con Voltaire: nell’articolo viene difesa la tolleranza di Ginevra ed è apprezzato lo spirito dei pastori calvinisti della città, i quali non proporrebbero nessun dogma contrario alla ragione.

Con gli anni Sessanta l’offensiva di Voltaire nei confronti delle religioni rivelate e a favore del deismo e della tolleranza religiosa si fa sempre più capillare e incisiva. Ne è esempio il Trattato sulla tolleranza, pubblicato anonimo a Ginevra nell’autunno del 1763; in questo scritto Voltaire prende spunto dall’ingiusta condanna a morte di Jean Calas (1698-1762), commerciante ugonotto di Tolosa accusato di avere ucciso il figlio per impedirne la conversione al cattolicesimo, per riabilitare la memoria di questo sventurato e comporre un manifesto in difesa del valore universale della tolleranza religiosa. Il Dizionario filosofico pubblicato nel 1764 prosegue la battaglia contro i pregiudizi e l’intolleranza. Negli stessi anni Voltaire pubblica anche la Filosofia della storia (1765), Il filosofo ignorante (1766), il Commento sul libro “Dei delitti e delle pene” (1766), e interviene con le Idee repubblicane (1766) nei conflitti politici interni alla repubblica di Ginevra. Continua inoltre a comporre racconti filosofici quali L’Ingenuo (1767) o La principessa di Babilonia (1768), a cui si affiancano altri scritti di polemica filosofica o religiosa.

Tornato a Parigi nel febbraio del 1778 per rappresentarvi la commedia Irène, accolta trionfalmente, è ricevuto all’Accademia di Francia e acclamato dalla folla. Muore a Parigi il 30 maggio, all’età di quasi 84 anni: al fine di evitare polemiche viene sepolto in maniera semiclandestina nel cimitero dell’abbazia di Scellières.

Laicità e tolleranza religiosa

Voltaire associa il nuovo modello di sviluppo borghese e mercantile dell’Inghilterra a un ideale laico in cui la tolleranza religiosa e la critica filosofica svolgono un ruolo essenziale. L’esempio della borsa di Londra è a questo proposito illuminante: la borsa è descritta come un luogo rispettabile dove cittadini di diverse confessioni coabitano pacificamente, spinti dalla ricerca di una comune utilità e dove è considerato “infedele” solamente colui che fa bancarotta. Per questa ragione, conclude Voltaire, “se in Inghilterra ci fosse una sola religione, si dovrebbe temere il dispotismo; se ce ne fossero due, si taglierebbero la gola; ma ce n’è una trentina, e vivono in pace e felici” (lettera 6). A questa libertà religiosa corrisponde poi un’ampia libertà politica, in quanto il potere del re è regolato e il popolo partecipa al governo pacificamente. Inoltre la mancanza di pregiudizi teologici e la ricerca antidogmatica basata sulle teorie di Bacone, di Locke e di Newton ha permesso il raggiungimento di nuove conquiste scientifiche e culturali, rinforzate da nuovi strumenti organizzativi quali le accademie.

LETTURE

Scienza, Stato e rivoluzione

Confronto con Pascal

Nell’ultima lettera, dedicata a Pascal, Voltaire intende “prendere le difese dell’umanità contro questo sublime misantropo”; in effetti Voltaire si confronterà varie volte nel corso della propria vita con l’autore dei Pensieri, di cui non potrà mai accettare il pessimismo metafisico e la sofferta religiosità legati a un’idea giansenista di peccato e di colpa. Voltaire oppone a Pascal un ideale di concretezza e di equilibrio che rimanda a un uso accorto e critico della ragione e a una religione razionale – il deismo – priva di culti e riconducibile ai soli principi della morale.

Le Lettere filosofiche, definite “la prima bomba lanciata contro l’antico regime”, vengono immediatamente condannate dal parlamento di Parigi nel giugno del 1734 come pericolose per la religione e per l’ordine civile. Ma l’ideale filosofico e scientifico esposto nelle Lettere filosofiche non sarà mai abbandonato da Voltaire che nei testi successivi sosterrà con le dovute varianti gli stessi principi, riproponendo i temi della critica a ogni metafisica e a ogni apologetica cristiana in nome della tradizione filosofica inglese, del deismo e della tolleranza religiosa.

5.2 Una nuova concezione della storia e dell’uomo

Accanto al Voltaire deista e critico dei grandi sistemi metafisici secenteschi vi è anche un Voltaire che mostra una precisa vocazione di storico in opere quali il Secolo di Luigi XIV, la Storia della Russia sotto Pietro il Grande (1759) o il Saggio sui costumi.

Tutti questi scritti hanno come obiettivo critico una visione della storia finalizzata a concezioni teleologiche o a istanze provvidenzialistiche, per Voltaire emblematicamente incarnate dal Discorso sulla storia universale di Bossuet (1627-1704). La scrittura di Voltaire si differenzia dal modo tradizionale di comporre opere storiche; egli infatti ricostruisce i cambiamenti considerando le variazioni nei costumi, nelle arti e nello spirito umano e ponendo in secondo piano le successioni dinastiche o le vicende belliche. Inoltre, in opposizione a un’idea provvidenzialistica della storia, egli elabora una nuova concezione che dilata il quadro prospettico al di fuori dell’Europa cristiana. La vicenda del popolo ebraico e la Bibbia non godono più di uno spazio privilegiato e la cronologia biblica è storicizzata e ridiscussa entro un orizzonte cronologico più ampio che si apre a civiltà nuove quali la persiana, la caldea o quella cinese. Quest’ultima anzi è idealizzata come esempio di civiltà nella quale una morale naturalistica verrebbe a unirsi a una religione priva di dogmi e di inutili principi teologici, in questo simile al deismo. Tale ampliamento spaziale e temporale dell’orizzonte storico permette a Voltaire di togliere ogni carattere finalistico e provvidenziale alla storia, che viene letta come un’attività umana regolata da leggi generali; in tal modo l’atteggiamento razionale messo in atto dallo storico nella ricostruzione dei fenomeni sociali è simile a quello del naturalista che analizza i fenomeni fisici.

Voltaire compie così facendo una vera e propria desacralizzazione del mondo storico che rientra a pieno titolo in quell’opera di “conquista del mondo storico” che – secondo il filosofo Ernst Cassirer – è uno dei lasciti più rilevanti che il XVIII secolo abbia consegnato alle epoche successive.

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Il deismo e i liberi pensatori

I racconti filosofici

Ma la filosofia di Voltaire si esprime anche in una forma tipicamente settecentesca: si tratta dei racconti filosofici in cui egli cela la propria critica corrosiva e i propri orientamenti filosofici sotto i tratti dell’ironia e della satira. Nei racconti filosofici l’invenzione letteraria e la polemica filosofica si uniscono in una originale forma narrativa che permette a Voltaire di proporre la propria visione dell’uomo e del mondo. La prosa irriverente e lieve dei racconti fa assumere alla filosofia la veste della divagazione e dell’invenzione fantastica e mostra come l’attitudine polemica di Voltaire sappia utilizzare differenti forme di comunicazione letteraria.

LETTURE

Gottried Leibniz

In Candido, il più famoso dei racconti filosofici, si seguono le disavventure del protagonista che svelano come assurde le pretese dell’ottimismo leibniziano. La vicenda di Candido non è solo un espediente per dibattere “sul male fisico e morale”, in relazione al quale Voltaire, a differenza di Leibniz, non ha ricette salvifiche da proporre, o per alludere a un destino incomprensibile che lascia l’uomo solo e senza risposte in un universo infinito, ma vuole essere anche una lezione di sopravvivenza contro le avversità storiche e naturali. In effetti, nel 1759, pochi anni dopo il terremoto di Lisbona, Voltaire non si crea più illusioni sulla felicità umana e considera la posizione dell’uomo, all’interno di un universo newtoniano di cause ben ordinate, come inessenziale o del tutto trascurabile. Ciononostante egli rifiuta la soluzione metafisica di chi – come Pascal – riconduce l’uomo alla sua corruzione originaria e alla sua invincibile inclinazione al male. L’uomo non è vittima del peccato originale e il suo destino non rientra in nessun piano provvidenziale. L’uomo è così come è – come si sostiene ne Il mondo come va (1746) e come si ribadisce nel Candido –, un insieme di bene e di male, di cose vili e di pietre preziose, che bisogna accettare in quanto tale, senza cercare di fornire una spiegazione filosofica. Voltaire approda così a uno scetticismo intriso di realismo, dove l’empirismo di Locke e l’idea newtoniana di un Dio “orologiaio” dell’universo non riescono a fornire alcuna risposta sul senso ultimo dell’esistenza. Un’attitudine scettica che verrà ribadita pochi anni dopo ne Il filosofo ignorante.

5.3 Deismo e tolleranza religiosa

Nel corso degli anni Sessanta Voltaire definisce meglio la propria concezione teologica fondata su un deismo che ha alla base l’idea di un essere supremo, organizzatore del mondo e autore delle leggi di natura, e di una religione priva di culti e di dogmi, riconducibile a una semplice morale naturale. Come si legge alla voce “Teista” del Dizionario filosofico, il “teista” – qui sinonimo di “deista” – “crede che la religione non consista né nelle opinioni di una metafisica incomprensibile, né in vani apparati, ma nell’adorazione e nella giustizia”.

La difesa e la propaganda del deismo e la condanna delle religioni storiche sono al centro del Dizionario filosofico. E il grido di guerra écrasez l’infâme (“distruggete l’infame”, rivolto alla Chiesa in quanto rappresentante dell’intolleranza e della superstizione), che ricompare spesso nella corrispondenza di quegli anni, mostra il coinvolgimento emotivo di Voltaire in questo suo impegno ideale. In articoli di critica religiosa e filosofica quali “Cristianesimo” o “Fanatismo”, “Superstizione” o “Religione”, “Filosofo” o “Ateo, ateismo”, Voltaire non solo combatte su due fronti, contro le religioni storiche da un lato e contro l’ateismo dall’altro, ma ricollega il proprio deismo all’idea di tolleranza. Ma la tolleranza religiosa, che già era stata al centro di opere quali La Henriade o le Lettere filosofiche, viene ora ricollocata all’interno di una più ampia critica delle religioni storiche e diventa l’oggetto di una vera e propria campagna propagandistica.

ESERCIZIO

E13: Voltaire

“Che cos’è l’intolleranza? È l’appannaggio dell’umanità. Siamo tutti impastati di debolezze ed errori: perdoniamoci reciprocamente le nostre sciocchezze, è la prima legge di natura”: con queste parole si apre l’articolo “Tolleranza” del Dizionario filosofico, apparso nel giugno del 1764, un anno dopo la pubblicazione nell’estate del 1763 del Trattato sulla tolleranza. Diversi per intenzioni e per programmi – il Trattato sulla tolleranza intende riaprire il processo sul caso Calas e rilanciare l’idea di tolleranza presso i grandi e la corte, mentre il Dizionario filosofico è un testo militante e di propaganda filosofica – queste due opere hanno comunque al centro quell’idea di tolleranza che Voltaire considera irrinunciabile. Le pagine di questi scritti comunicano l’idea della necessità di una tolleranza universale basata sul rifiuto di credenze superstiziose o dogmatiche. Così, nei capitoli finali del Trattato sulla tolleranza, “Della tolleranza universale” (capitolo 22) e “Preghiera a Dio” (capitolo 23), si ripropone l’ipotesi di un Dio razionale e geometra, ma si rilancia anche l’idea di una disparità tra l’ordine e l’eternità dell’universo e la fragilità e l’imperfezione umane. Da qui l’invito a che gli uomini si sopportino reciprocamente e si considerino tra di loro fratelli. “Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli!”: è questo il messaggio ultimo che ci lascia il Trattato sulla tolleranza.

La tolleranza come strumento politico

TESTO

T5: Voltaire, La voce “Tolleranza” dal Dizionario filosofico

Ma se l’idea di tolleranza si collega teoricamente al deismo di Voltaire e alla sua concezione della fragilità e debolezza umana, essa viene anche a costituire un importante strumento politico. Pensatore non sistematico ed essenzialmente polemico, Voltaire in ambito politico si mostra ammiratore della libertà inglese, si schiera a favore di un dispotismo illuminato di cui vede possibili rappresentanti in Federico II di Prussia o in Caterina II di Russia e prende infine posizione nelle lotte interne alla repubblica di Ginevra.

Entro tale relativismo politico, secondo il quale ogni Stato deve avere quella forma di governo che meglio ne rispetti i costumi e le specificità, Voltaire si fa paladino della libertà dell’individuo e dei diritti del cittadino. Egli è infatti convinto – come mostra anche il suo impegno personale a favore della tolleranza – che i diritti civili possano essere garantiti da uno Stato in cui si trovino uniti libertà politica e tolleranza religiosa. La categoria di tolleranza diventa in tal modo non solo lo strumento per ridefinire i rapporti tra lo Stato e le religioni in esso professate, ma anche la condizione dell’esercizio di una libertà economica e politica nel quale la sfera soggettiva riesca ad esprimersi pienamente.

La musica delle rivoluzioni

Canti, strofette e inni accompagnano il cammino e celebrano gli eroi delle due grandi rivoluzioni del Settecento, quella che porta alla nascita degli Stati Uniti, la rivoluzione americana, e la Rivoluzione francese.

La rivoluzione americana

Negli anni della rivoluzione americana fra i coloni sono largamente diffuse canzoni popolari portate dall’Europa, oppure rimaneggiate o nuovamente composte a partire dai modelli europei. Ed è proprio sul terreno della canzone popolare che cresce, sotto lo stimolo emotivo della guerra e di interessi propagandistici, il repertorio rivoluzionario. Tra le canzoni popolari che hanno maggior diffusione durante la rivoluzione, Yankee Doodle è sicuramente quella a cui è affidata più che a ogni altra la memoria di quegli avvenimenti. La semplice melodia “a ballo” di Yankee Doodle è una di quelle “arie vaganti” la cui origine è impossibile da identificare; anche l’autore del testo è sconosciuto.

Con lo scoppio della rivoluzione, nell’ottobre 1774 il Congresso continentale, appena nominato, conscio che la guerra è imminente, vota una raccomandazione per bloccare ogni spesa superflua. Vengono così sospese quasi tutte le manifestazioni teatrali e musicali. Le poche iniziative musicali del periodo di guerra sono di carattere patriottico. Come contributo allo sforzo bellico e stimolo alla coscienza civica e militare, alcuni compositori offrono canzoni e cantate: perlopiù sono pagine musicalmente modeste, ma interessanti dal punto di vista documentario. Ancora legata alla memoria della rivoluzione è una composizione di George K. Jackson del 1799; si tratta di The Funeral Dirge for General Washington, scritta in occasione dei solenni funerali di George Washington, con cui si chiude anche simbolicamente la stagione della rivoluzione americana e della sua musica.

La Rivoluzione francese

Grandi sono la presenza e l’importanza della musica nella Rivoluzione francese. In questi anni, infatti, si assiste in Francia a un’enorme produzione musicale e a un massiccio uso “patriottico” della musica e in questo contesto si formano anche pubbliche istituzioni musicali destinate a divenire un modello per tutta l’Europa. In Francia la Rivoluzione esplode in un contesto di grande attività e cultura musicale. Il risultato è una vasta produzione non solo di canzoni popolari o di carattere popolare, ma anche di grandi composizioni capaci di sopravvivere – per la loro qualità – all’occasione “patriottica” e celebrativa per la quale funzionalmente sono nate e in grado, quindi, di portare alla musica un contributo decisivo, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo degli strumenti a fiato.

Le due canzoni popolari che connotano il primo momento rivoluzionario sono Ça ira e La carmagnole, ancor oggi fra i simboli non soltanto della Rivoluzione francese ma di tutti gli empiti rivoluzionari. Ça ira nasce in occasione della festa della Federazione del 14 luglio 1790, nel primo anniversario della presa della Bastiglia, la prima delle grandi feste celebrative della Rivoluzione. Grazie al lavoro in gran parte volontario dei cittadini, il Campo di Marte di fronte all’Ecole Militaire viene enormemente ingrandito. In questo impressionante scenario la musica ha una parte di grande rilievo: tutta la festa è accompagnata dall’esecuzione cantata di Ça ira da parte dell’enorme pubblico. La carmagnole nasce poco più tardi, nel 1792 – dopo la convocazione della Convenzione nazionale e l’arresto del re – e trova subito larghissima diffusione, fondendosi anche con Ça ira. L’opera racconta la trasformazione della tradizionale festa di Maggio da religiosa, qual era diventata, in festa della Virtù e della Ragione. Del 1792 è il Chant de guerre pour l’Armée du Rhin, noto in seguito come La Marseillaise. Questo canto è per la prima volta intonato a Strasburgo il 29 aprile 1792. La leggenda vuole che a cantarlo sia il suo stesso autore, il tenente Claude Rouget de Lisle, mentre in realtà a intonarlo sarebbe stato il sindaco di Strasburgo, e padrone di casa, il barone Dietrich. Scritto con intenzioni patriottiche nel corso della guerra contro la prima coalizione, La Marseillaise assume ben presto un valore simbolico rivoluzionario che va ben al di là delle intenzioni del suo moderato autore (De Lisle, di famiglia realista, è egli stesso costituzionalista). Il canto di Rouget de Lisle, diffuso dapprima fra i soldati dell’Armata del Reno, non ha un successo immediato. Ma nel maggio viene cantato a un banchetto a Marsiglia e questa volta ha un grandissimo impatto: viene subito intonato dai reggimenti marsigliesi in marcia verso Parigi che lo canteranno anche il 30 luglio durante l’assalto al palazzo reale delle Tuileries. Diviene così, nel dire comune, “il canto dei marsigliesi” e poi La Marsigliese.

Roberto Leydi

LETTURE

Introduzione alla musica del Settecento