9. L’Encyclopédie: storia di un progetto filosofico

di Walter Tega

9.1 La genesi del progetto

La grande Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences des arts et des métiers di Diderot e d’Alembert, monumento universalmente riconosciuto dell’età dei Lumi, avrebbe dovuto essere, nelle prime intenzioni degli editori, la traduzione di un’enciclopedia che godeva di un certo successo in Inghilterra e che presentava indubbie novità. Si trattava dei due volumi della Cyclopaedia or Universal Dictionnary of Arts and Sciences dovuti a Ephraim Chambers, un poligrafo-giornalista di scarsa notorietà, stampati a Londra nel 1728.

Il libraio-editore Le Breton, che aveva infatti acquistato i diritti della Cyclopaedia, affida il compito di dirigere l’edizione francese dell’opera a Gua de Malves, matematico astronomo ed economista. Ma l’impresa, nonostante gli entusiasmi iniziali, si arena per le disavventure economiche e l’inconcludenza di Gua e l’editore affida allora la direzione dell’opera a due giovani, già chiamati in causa in qualità di revisori per le traduzioni degli articoli della Cyclopaedia: il poligrafo e saggista Denis Diderot e Jean d’Alembert, precoce ingegno matematico.

La proposta di dare corpo a qualcosa di più nuovo e di più importante comincia a farsi strada. D’altra parte era un dato acquisito che in Francia circolassero già da tempo opere di grande respiro le quali aspiravano a proporsi come dizionari universali o critici e che comunque manifestavano chiare intenzioni enciclopediche. Tra questi il più noto è il Dizionario storico-critico di Pierre Bayle pubblicato per la prima volta nel 1697 (edizione definitiva 1820) e ristampato almeno sette volte prima dell’uscita dell’Encyclopédie. Inoltre, la massoneria – qualche anno prima – aveva sollecitato i Grandi Maestri delle logge della Germania, dell’Italia e dell’Inghilterra a esortare tutti gli scienziati e gli artisti della “confraternita” affinché si unissero per raccogliere i materiali necessari alla costituzione di un Dizionario universale delle arti liberali e di tutte le scienze utili, con esclusione della teologia e della politica.

LETTURE

La massoneria tra illuministi e illuminati

Il nuovo progetto al quale Diderot e d’Alembert cominciano a lavorare non trascura nessuno degli insegnamenti che avrebbero potuto essere assunti dal Dizionario storico-critico di Bayle e soprattutto dall’opera di Chambers.

Diderot e d’Alembert non nascondono il loro apprezzamento per l’originalità del lavoro del poligrafo inglese, ma non esitano a enunciare gli argomenti che avrebbero differenziato il loro lavoro. Intanto la Cyclopaedia non risolveva in maniera soddisfacente il più importante dei problemi che si ponevano a chi si accingeva a una impresa di questo genere: quello del rapporto tra l’ordine alfabetico del dizionario e l’ordine sistemico dell’enciclopedia. Del pari non sembravano adeguatamente risoltee né la funzione dei rinvii né la questione dei legami tra le discipline, che avrebbe dovuto rendere possibile una effettiva concatenazione delle conoscenze e quindi avrebbe consentito di discendere dai primi principi di una scienza o di un’arte alle sue conseguenze più remote.

L’Encyclopédie: dalla vicenda editoriale a quella politica

Una nascita travagliata

La storia avventurosa dell’Encyclopédie comincia nel 1751 con la pubblicazione del primo volume, che comprendeva il Discorso preliminare di d’Alembert e il testo del Prospectus di Diderot, oltre a una serie di articoli (“Aius Locutius”, “Anima”, “Arte”, “Autorità politica”). Proprio il contenuto di questi primi articoli è destinato ad allargare il ventaglio delle critiche che il periodico dei gesuiti ha inaugurato l’anno precedente e, dunque, quando nel 1752 esce il secondo volume, molto meno ricco di spunti polemici rispetto al primo, la guerra ai philosophes è già dichiarata.

Fin dal primo apparire, l’Encyclopédie non nasconde la propria intenzione polemica e critica nei confronti della tradizione, delle religioni rivelate e dell’alleanza politica fra trono e altare; gli ambienti ecclesiastici e quelli conservatori più vicini alla corte vedono nel gruppo dei collaboratori all’impresa un partito organizzato contro la monarchia e contro la chiesa. A ben poco valgono, a tale proposito, le precisazioni e le smentite di Diderot. Del gruppo entrano via via a far parte, oltre ai due direttori, personaggi come Montesquieu, Condillac, Buffon, Haller, Daubenton, Deslandes, Bonnet, Lacondamine, Voltaire, Rousseau, Helvétius, Lalande, d’Holbach, Quesnay, Turgot, Necker, Condorcet, Morellet, de Jeaucourt, Yvon, Bernoulli, Formey, Vaucanson.

Gli attacchi dei Gesuiti

ESERCIZIO

E16: Encyclopédie

Le critiche erano cominciate con i gesuiti. Il padre Berthier, dalle colonne del “Journal de Trévoux”, accusa Diderot di “plagio”; dopo l’uscita del primo tomo i gesuiti trovano alleati agguerriti nei dottori della Sorbona, quando chiedono e ottengono il ritiro dei primi due volumi e la sospensione dell’opera; sospensione che non ha alcun effetto per la protezione che l’Encyclopédie trova presso il responsabile della censura reale Malesherbes e, soprattutto, presso influenti ambienti di corte. Ma le polemiche non cessano anche perché i volumi III, IV e lo straordinario volume V (che si apriva con l’Elogio di Montesquieu dovuto alla penna di d’Alembert) giunsero regolarmente ai sottoscrittori fra il 1753 e il 1756. Fecero seguito, negli anni immediatamente successivi, il VI e il VII, che non abbandonarono i toni polemici contro la rivelazione, la chiesa, la vecchia filosofia.

Intanto, le critiche nei confronti del gruppo dei philosophes e del presunto partito degli enciclopedisti crescevano di intensità. Diderot reagiva negando che gli enciclopedisti potessero essere considerati alla stregua di un partito. Ma per l’Encyclopédie si annunciavano tempi difficili: nel 1757 d’Alembert, pure riconfermando la sua collaborazione scientifica, abbandonava la direzione dell’impresa. E a peggiorare le cose, dopo l’attentato alla vita a Luigi XV, vennero gli inasprimenti della censura che ebbero tra gli effetti anche quello della soppressione, nel 1759, del privilegio di stampa.

In clandestinità

Nel 1765 Diderot licenziò per la pubblicazione i volumi che andavano dall’VIII al XVII ai quali faranno seguito, nel 1776 e nel 1777, i tomi I, II, III, IV dei Supplementi. I tempi sembravano cambiare. Nel 1762 era stato soppresso l’ordine dei gesuiti e la censura aveva autorizzato il completamento dell’opera, e tuttavia i volumi che ora vedevano la luce con il tacito assenso dell’autorità, erano stati redatti clandestinamente, risultavano stampati a Neuchâtel, non recavano nel frontespizio l’indicazione degli autori e contenevano articoli particolarmente significativi come “Hobbismo”, “Libertà Naturale”, “Machiavellismo”, “Preti”, “Potere”, “Rappresentanti”, “Tolleranza”. Nell’Avvertenza al tomo VIII Diderot ritiene necessario rivolgersi ancora una volta al lettore per informarlo che le difficoltà e le peripezie che l’opera ha incontrato non erano imputabili né alla vastità del suo progetto e neppure alle remore dei suoi esecutori, ma a una serie di “ostacoli morali” e di persecuzioni intessute di menzogne, di ignoranza e di fanatismo alle quali non erano preparati. “In fondo, ridotto alle sue pretese essenziali, il nostro lavoro”, aggiungeva Diderot, “è stato all’altezza del secolo in quanto l’uomo più illuminato vi troverà idee che non conosce e fatti che ignora […] Possa la cultura generale progredire in modo così rapido che fra vent’anni, su mille nostre pagine, resti impopolare appena un rigo! […] I padroni del mondo devono affrettare questa felice rivoluzione. Felice il tempo in cui essi avranno compreso che la loro sicurezza consiste nel comandare uomini istruiti”.

9.2 L’ordine dell’enciclopedia

L’ordine enciclopedico, per d’Alembert, avrebbe dovuto ricomporre “l’aurea catena delle scienze” e illustrare la coerenza razionale dell’intero sistema delle conoscenze umane.

L’unico procedimento metodologico capace di rendere qualche ragione dell’origine, della concatenazione e dell’unità delle scienze appariva a d’Alembert quello analitico, che avrebbe consentito di ripercorrere la genesi delle scienze e delle arti, come pure quella delle facoltà e delle operazioni dello spirito, e di disporre in serie ciò che alla comune osservazione appare come un tutto. Il processo di scomposizione e di ricomposizione delle scienze e delle arti muove sia in senso orizzontale, conducendo dalla simultaneità alla successione; sia in senso verticale, conducendo dall’insieme delle percezioni ai principi delle singole scienze. Le operazioni complesse che l’intelletto esegue nella effettiva costruzione del sapere sono state così ridotte ai loro elementi essenziali e generalissimi: quelli che costituiscono, nel loro insieme, la storia filosofica delle scienze, e questa storia offre un’immagine efficace della loro successione, della loro concatenazione e della loro unità.

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Linneo e Buffon

L’espediente della “storia filosofica”, che consente di semplificare operazioni oltremodo complesse, può indubbiamente contribuire alla costruzione di un ordine enciclopedico delle scienze, ma non ha la possibilità di prescindere dalle discontinuità, dalle incertezze, dalle incongruenze dell’effettivo cammino della ragione, dalla sua estoria concreta; né può dar luogo a campi di conoscenza che non risultino strettamente legati all’esperienza e alla ragione. Per concepire l’universo come un fatto unico, come una sola grande verità, scrive d’Alembert, sarebbe stato necessario abbracciarlo da un unico punto di vista; ma chiaramente questo unico punto di vista si dà solo in via di ipotesi. Analogamente a quanto avrebbe poi asserito Diderot nella voce “Enciclopedia”, d’Alembert affermava che la catena delle verità è spezzata in mille luoghi e soltanto a prezzo di enormi sforzi possiamo percorrerne le maglie. Qui lo strumento dell’enciclopedia sembra contraddire se stesso: le uniche conoscenze possibili, ci dicono i direttori, scaturiscono dalla conoscenza dell’insieme dei rapporti che intercorrono tra le proprietà dei corpi; la sola conoscenza certa nella natura è quella che scaturisce dallo studio ben meditato dei fatti, dalla messa al bando di ogni ipotesi arbitraria, dalla comparazione dei dati. È questo quel livello di conoscenza che d’Alembert chiama della “metafisica ragionevole” e che Diderot ritiene indispensabile per la costruzione di un dizionario filosofico. Dunque la metafisica si propone come “scienza universale che contiene i principi di tutte le altre; poiché se ogni scienza non ha né può avere che nell’osservazione i suoi veri principi, la metafisica d’ogni scienza non può consistere se non nelle conseguenze generali risultanti dall’osservazione, presentate sotto il punto di vista più ampio possibile” (Discorso preliminare). E tuttavia la possibilità di costruire una scienza dei principi non portava con sé alcuna pretesa di conoscenza totale.

Nel Discorso, il compito di inventariare e concatenare in un ordine le scienze è affidato alla logica. Le operazioni della logica sono essenziali non solo per lo sviluppo della conoscenza, ma anche per la costruzione stessa dell’enciclopedia poiché essa dispone, collega, scompone, considera sotto tutti i punti di vista possibili le nostre idee. La logica, tuttavia, non s’accontenta di questo ruolo pure fondamentale; a essa è legata altresì la comunicazione del sapere che fa leva sulla comune origine delle sensazioni e sulle comuni procedure dell’arte di combinare e di raggruppare le idee e che insegna a manifestare ogni idea nel modo più netto possibile e a perfezionare i segni che devono esprimerla.

L’ordine enciclopedico offre il vantaggio di stabilire il maggior numero possibile di rapporti interni tra le scienze, di disporle secondo un grado di generalità decrescente e di complessità crescente, di raccogliere il massimo di conoscenze realizzando il più alto grado di intelligibilità nello spazio mentale più ristretto. Quest’ordine colloca il filosofo al di sopra del vasto labirinto “in un punto di osservazione assai elevato donde si possa abbracciare tutte insieme le principali arti e scienze”. Tale ordine è semplice, chiaro, evidente. A questo punto chi intende cogliere l’unità e la concatenazione delle scienze deve trasformarsi in un paziente cartografo che, postosi in un punto d’osservazione privilegiato, può abbracciare tutte le scienze e le arti, osservare gli oggetti delle sue meditazioni e rendere presente alla mente l’intera gamma delle operazioni che su di essi può svolgere.

TESTO

T8: César Chesneau Dumarsais, La definizione di “filosofo” nell’Encyclopédie

L’enciclopedia e il labirinto

LETTURE

Il catalogo del mondo

L’enciclopedia illuminista si vuole critica e scientifica: non rinuncia a registrare tutte le credenze, anche quelle ritenute erronee, ma le denuncia come tali (si veda per esempio la voce “Licorne”, che sembra descrivere l’animale secondo la tradizione, ma sottolineandone la natura leggendaria), e sul modello di quelle antiche intende rendere ragione di tutti i saperi umani, anche quelli popolari connessi alle arti e ai mestieri. Si regge su una classificazione preliminare dei saperi ma essendo in ordine alfabetico non la rivela, se non in un piano iniziale. In effetti nelle pagine introduttive, dovute a D’Alembert, si dice che “il sistema generale delle scienze e delle arti è una specie di labirinto, di cammino tortuoso che lo spirito affronta senza troppo conoscere la strada da seguire […] Questo disordine, per quanto filosofico per la mente, sfigurerebbe, o almeno annienterebbe del tutto un albero enciclopedico nel quale lo si volesse rappresentare […] Il sistema delle nostre conoscenze è composto di diverse branche, di cui molte hanno uno stesso punto di riunione; e poiché partendo da questo punto non è possibile imboccare contemporaneamente tutte le vie, la determinazione della scelta risale alla natura dei diversi spiriti”. Peraltro l’enciclopedia tende a riunire queste conoscenze nel più breve spazio possibile, e nel porre, per così dire, il filosofo al di sopra di questo vasto labirinto, in un punto di vista molto elevato da dove gli sia possibile scorgere contemporaneamente le scienze e le arti principali; vedere con un sol colpo d’occhio gli oggetti delle sue speculazioni e le operazioni che può fare su questi oggetti; distinguere le branche generali delle conoscenze umane, i punti che le separano o le accomunano, e intravedere persino, a volte, le vie segrete che le riuniscono. Essa è come una specie di mappamondo dove gli oggetti sono più o meno ravvicinati e presentano diversi aspetti secondo la prospettiva scelta dal geografo. Si possono dunque immaginare tanti diversi sistemi della conoscenza umana quanti sono i mappamondi che si possono costruire secondo diverse proiezioni, e “spesso un oggetto, posto in una certa classe a causa di una o più delle sue proprietà, rientra in un’altra classe per certe altre proprietà”. L’immagine del mappamondo, su cui è possibile disegnare diversi percorsi e raccordi, ci farebbe pensare oggi a una rete ferroviaria, ed è in effetti è sul modello della rete che si sono sviluppate le teorie contemporanee del modello enciclopedico.

Umberto Eco

LETTURE

Enciclopedia: genesi e storia di un'idea

9.3 Il piano del dizionario

Gli strumenti di cui si serve il Dictionnaire sono molteplici; il primo e più importante sarà il Sistema figurato (Système figuré, ricalcato sul modello elaborato da Francis Bacon), che assume un ruolo di collegamento fra i due ordini. Letto secondo una direzione orizzontale il Sistema dice chiaramente che il criterio che guida la disposizione degli oggetti entro l’ambito della conoscenza non è riconducibile agli oggetti in quanto tali, ma alle operazioni mentali dell’intelletto. Ne deriva per un verso un ordinamento, una classificazione, non naturale ma artificiale e convenzionale degli oggetti, donde una loro conoscenza parziale e progressiva; per l’altro, una centralità dell’uomo che diventa allora il vero “ministro” e “interprete” della natura.

Letto in senso verticale, il sistema avrebbe dovuto dare il senso dei progressi registrati dalla scienza e del ruolo fondamentale esercitato dall’uomo che ne conosce e ne combina tutte le articolazioni. E così ogni lemma collocato entro il dizionario alfabetico registrerà, tra parentesi, i riferimenti relativi al dominio scientifico al quale deve essere ricondotto.

Al regista dell’opera, invece, tocca un lavoro complesso e delicato, in tutto analogo a quello di chi è chiamato a costruire ex novo una città. È necessario stabilire una serie di raccordi (quelli denominati “piani di simmetria” e “rinvii”) tra i diversi settori della stessa “città” e costruire un sistema di relazioni tra queste e le altre “città” poste nello stesso territorio. Le funzioni che Diderot affida agli ordini di simmetria proposti, sono in fondo le stesse che l’urbanista assegna a quei piani di intersezione che trasformano un insieme di spazi e di costruzioni in una città il più possibile vicina al progetto complessivo. Questi ordini risultano disposti secondo il principio della generalità decrescente.

Il primo ordine è quello enciclopedico: questo piano complessivo del sapere che Diderot emblematizza nel mappamondo stesso delle conoscenze, si fonda sull’uomo, sulle facoltà e sulle operazioni della sua mente. Meno generale del primo, ma altrettanto importante, è il piano cui viene affidata la determinazione dell’ampiezza delle varie parti di cui l’opera si compone, ovvero quale spazio attribuire alle matematiche, alla morale, alle arti. Ma considerata la stessa dignità che hanno tutti gli oggetti e tutti i fenomeni, l’armonia tra le parti sarà il risultato di un lento processo e sarà affidata alla dinamica stessa delle discipline, le quali, accanto all’esposizione della propria storia critica, debbono riservare grande attenzione alle recenti scoperte. Un terzo piano di simmetria riguardava la distribuzione di ciascuna parte e i suoi collegamenti interni. Il quarto avrebbe dovuto presiedere alla dislocazione nel dizionario degli articoli composti che nascono dal contributo di diversi collaboratori e che fungono per così dire da cerniere, da ponti tra contrade diverse di una stessa regione o regioni diverse dell’intero mappamondo del sapere. Il quinto piano riguardava i rapporti di generalità minima e di particolarità massima; esso affrontava il problema della disposizione di ciascuna nozione all’interno dei singoli articoli che nel loro insieme costituiscono una scienza. Su questo piano la responsabilità spetta solo all’autore.

Maggiore importanza, per gli scopi che si proponeva l’Encyclopédie, era destinata ad avere la rete dei “rinvii” alla quale spettava il compito di indicare alcune delle molteplici rotte di viaggio che si potevano tracciare tra gli oggetti e che erano legate agli interessi, alle esigenze e alle capacità critiche del lettore. Quattro erano i tipi di rinvio chiamati in causa: quelli di parole, quelli di tipo satirico e, nettamente più rilevanti per Diderot, quelli detti di cose e quelli definiti come congetturali. I primi “illuminano l’oggetto”, nel senso che consentono di richiamare analogie, nozioni comuni, rapporti di vario genere che si pongono tra articoli vicini o lontani. Diversa appare invece la funzione affidata ai rinvii di tipo congetturale: un loro impiego oculato e misurato solleciterà i rapporti tra le scienze, sottolineerà qualità analoghe nella storia naturale e procedimenti tecnici simili nelle arti, farà scoprire nuove verità speculative e, infine, perfezionerà le arti conosciute oltre a richiamare alla memoria quelle antiche o dimenticate.

Scrivere tra le righe: le strategie di Diderot

Fin dall’inizio della sua storia, nel 1751, l’Encyclopédie ha avuto una vicenda editoriale tormentata. Critiche, ostilità, boicottaggi e censure hanno costretto Diderot, per garantire la libera circolazione dell’opera e delle idee illuministe che portava con sé, a mettere in atto strategie ingegnose. Tra queste una delle più praticate è quella della dissimulazione ovvero del “parlare tra le righe”, di cui si trovano molti esempi nell’Encyclopédie.

Una delle prime voci dell’enciclopedia è “Aius Locutius”, redatta dallo stesso Diderot. Aius Locutius era il dio romano della parola e del silenzio. La voce è breve, apparentemente marginale e innocua; ma spesso è in spazi come questi, meno sorvegliati, che Diderot avanza le sue tesi più ardite e radicali. Scrive infatti, riferendosi alla Roma antica: “Allora il popolo non leggeva affatto: ascoltava i discorsi dei suoi oratori, e tali discorsi erano sempre colmi di pietà verso gli dèi; ma ignorava ciò che l’oratore ne pensava [...]. Data l’impossibilità, non superabile, d’impedire agli uomini di pensare e di scrivere, non sarebbe forse augurabile che le cose stessero anche presso di noi com’erano presso gli antichi?”

Cautelandosi con il distacco di chi si limita a riferire un fatto storico, Diderot teorizza la legittimità di due piani di esposizione delle idee: uno privato, in latino e quindi rivolto ai dotti; e uno pubblico, destinato ai semplici, che sono quindi da tutelare perché incapaci di un’autonoma comprensione. Dietro il pretesto della tutela, Diderot si rivolge ai lettori accorti e culturalmente ricettivi dell’Encyclopédie, rivendicando (e di fatto realizzando, con questo parlare tra le righe) un piano autonomo e riconosciuto all’interno del quale sia consentita la libera circolazione delle idee e dove l’autore e i lettori possano dialogare. Scrive ancora Diderot: “Ma un modo di conciliare il rispetto dovuto alla fede di un popolo e al culto nazionale con la libertà di pensiero, assai augurabile per la ricerca della verità, e con la pubblica quiete […], sarebbe la proibizione d’ogni scritto in lingua volgare diretto contro il governo e la religione, lasciando che coloro i quali scrivono in una lingua dotta siano dimenticati […]. Mi pare che in tal modo le assurdità scritte dagli autori non farebbero male a nessuno”. Diderot riversa su censori e teorici della censura l’argomento della pace sociale: la “lingua dotta” (cioè la lettura in autonomia) garantirebbe la ricerca della verità nel recinto sicuro del dibattito intellettuale, risparmiando alla società civile i turbamenti e i contrasti che potrebbero derivare dall’esercizio della libertà di pensiero, la quale risulta paradossalmente, nelle parole del filosofo francese, come una garanzia della pubblica quiete.

La strategia di Diderot, pur cautelatosi con tutte le sottigliezze possibili, non sfuggirà in questo caso all’occhio vigile della censura, primo fra tutti quello dei gesuiti, grandi avversari del progetto dell’Encyclopédie. Il “Journal de Trévoux”, foglio reazionario della Compagnia di Gesù, commenterà duramente la posizione di Diderot, chiedendo apertamente l’intervento dell’autorità censoria per tutelare la serenità dello Stato e della religione. Ma la tattica dissimulatoria dell’Encyclopédie non sfuggirà neppure ai suoi lettori, capaci anch’essi di leggere quelle allusioni e pronti a cogliere anche l’ironia delle righe finali della voce “Aius Locutius”, dove si citavano ad esempio negativo i casi dell’Inghilterra e dell’Olanda, che l’opinione pubblica francese invece conosceva bene come i paesi europei con la più ampia libertà d’espressione.

Roberto Limonta

TESTO

T6: Denis Diderot, La definizione di “Aius Locutius” nell’Encyclopédie

9.4 Le arti meccaniche e le Planches

Il progetto iniziale dell’Encyclopédie prevedeva solo due volumi di Planches (“tavole illustrate”) le quali avrebbero dovuto essere strettamente legate agli articoli del Dictionnaire in virtù della rete dei rinvii, ma furono le circostanze a decidere che esse assumessero una dimensione di gran lunga superiore a quella che Diderot stesso avrebbe osato sperare. Alla fine i percorsi delle arti e dei mestieri, nonché quelli delle loro intersezioni assunsero la dimensione e i caratteri di un’opera parallela e, in certo senso, autonoma rispetto ai tomi dei Discours (“discorsi”) e fu proprio la loro estemporanea autonomia che fece lievitare la quantità delle tavole e con esse il numero dei volumi i quali, alla fine, nel 1772 diventeranno undici, a cui se ne aggiungeranno due di “Supplementi”. Il linguaggio non era quello dei Discours, ma quello dell’immagine che accentuava il carattere analitico degli articoli; l’ordine era sempre quello alfabetico; i temi quelli di una società avviata alla piena valorizzazione delle arti e delle scienze; l’intento quello di mettere in rilievo la stretta connessione che si poneva tra il conoscere e il fare, tra l’uomo e l’oggetto della sua conoscenza e della sua azione. Nonostante l’apparente disordine, la continuità con il progetto di Diderot era notevole; le tavole infatti davano ulteriore conferma di quel rilievo che la “filosofia dell’oggetto” aveva assunto entro il quadro dell’intera impresa. Al di là di quello che ne poteva pensare Rousseau, la tecnica appariva a Diderot un fatto progressivo, la macchina era alleata dell’uomo, essa avrebbe alleviato le sue fatiche e propiziato il suo benessere. È all’idea dell’homo faber che l’alter ego di Diderot, Louis-Jacques Goussier (1722-1799), curatore delle tavole, fa riferimento quando copia, trasforma, rielabora, ricerca nelle botteghe e nelle campagne e dà corpo e sostanza a un linguaggio che è più diretto, più preciso, più efficace perché più analitico, di quello dei Discours. E le tavole relative alle arti e ai mestieri prestano il loro linguaggio essenziale anche allo studio dell’uomo e a quello della natura. La macchina sembra porsi al centro di questo cantiere e, nella sua sintesi di materia, di movimento e di umanità, ne rappresenta il momento più originale e più complesso; essa, infatti, non nasconde, anzi, mostra ben evidenti per un verso tutti i suoi ingranaggi e i suoi meccanismi.

C’è un rapporto tra le tavole disposte in ordine alfabetico (un dizionario dell’immagine) e il livello dell’enciclopedia (una filosofia dell’immagine): il rapporto lo si può trovare ancora una volta nella successione genealogica dei saperi ovvero nella loro “storia filosofica”. Le tavole infatti possono abbandonare la loro disposizione alfabetica e lasciarsi ricomporre secondo uno schema che procede dall’agricoltura, passa per la caccia e per la pesca, transita attraverso lo status di stanzialità dell’uomo rappresentato dall’architettura e dall’arte, per giungere infine alla tecnologia e alla scienza. La scarsa consuetudine sia a scrivere che a leggere testi sulle arti, sosteneva Diderot, rende difficile spiegare le cose in maniera intelligibile, di qui l’esigenza di illustrazioni. Goussier, in sostanza, che portò a compimento almeno un terzo delle incisioni e si sobbarcò il compito di coordinare tutti i volumi delle planches sapeva come restituire, anche attraverso il disegno, una forte dignità alle arti meccaniche; come aderire al loro linguaggio tecnico; come scomporre nelle loro parti gli strumenti di lavoro e le macchine, il loro impiego e gli oggetti ai quali davano luogo, quasi a evidenziare la logica che è riposta nella mano e nel gesto dell’artista o nell’operazione della macchina. E anche in questo sembrava volersi mettere in sintonia con il coordinatore generale dell’opera, il quale, nell’articolo “Arte” scriveva: “in quale sistema di fisica o di metafisica si osserva maggiore diligenza, sagacia, logica che nelle macchine per filare l’oro o fare le calze, nei telai per tessere passamanerie, garze, stoffe o sete? Quale dimostrazione matematica è più complessa del meccanismo di certi orologi o delle varie operazioni cui vengono sottoposte le fibre della canapa o il bozzolo del baco da seta, prima di ottenere un filo adatto alla tessitura? Quale proiezione è più bella, delicata e singolare di quella di un disegno sulle maglie d’un liccio [ossia di quella parte del telaio che serve al movimento dei fili dell’ordito] o delle maglie del liccio sui fili dell’ordito?”.

L’Encyclopédie e il dibattito sul linguaggio

La tesi di Condillac

Il dibattito sul linguaggio assume rilievo verso la metà del Settecento, quando la tesi sostenuta da Etienne Bonnot de Condillac nel Saggio sull’origine delle conoscenze umane diventa punto di riferimento comune a filosofi e grammatici. Condillac distingue tre tipi di segni che intervengono nella conoscenza: i segni accidentali (che derivano da una relazione occasionale con le idee di una sola persona), i segni naturali (grida, gesti, emissioni sonore spontanee, movimenti muscolari) e i segni d’istituzione (verbali e convenzionali).

Da questa tipologia Condillac trae la distinzione fra due tipi fondamentali di linguaggio umano: il linguaggio d’azione, utilizzato dall’uomo allo stato primitivo naturale e composto da gesti, urla, grida spontanee, e il linguaggio d’istituzione, il vero e proprio linguaggio verbale, articolato, istituito per convenzione dalle società organizzate. Grazie ai segni linguistici, le facoltà dell’intelligenza umana si sviluppano progressivamente; in parallelo, evolvono la società e le lingue umane, le une in relazione alle altre.

Il dibattito coinvolge poi i grammatici e filosofi che collaborano all’Encyclopédie e che vi sostengono i loro punti di vista nelle voci di carattere linguistico.

Nicolas Beauzée, autore nel 1767 di una Grammatica generale in cui espone sistematicamente le tesi già apparse nelle sue voci “Grammatica” e “Lingua” dell’Encyclopédie, sostiene che tutti gli uomini possiedono le stesse categorie intellettuali, che sono innate e seguono un’organizzazione logica necessaria; universalità, innatezza e razionalità del pensiero umano si riflettono nell’universalità, innatezza e razionalità delle categorie e dei principi di funzionamento del linguaggio umano. La grammatica generale è, secondo Beauzée, la scienza che individua e spiega i principi universali immutabili della parola, comuni a tutte le lingue.

Contrariamente a quanto sostenuto da Condillac, per il quale il pensiero si sviluppa grazie al linguaggio, per Beauzée la parola segue ed esprime il pensiero e non ha alcuna influenza sulla sua formazione né sul suo sviluppo.

Una posizione in parte diversa è quella di César Chesneau Dumarsais, che scrive per l’Encyclopédie la voce “Costruzione” dopo avere pubblicato numerosi piccoli trattati grammaticali nel 1729 e il più noto trattato Sui tropi nel 1730. Anche per Dumarsais esiste un’unica grammatica logica universale, ma essa è una struttura organizzativa propria della mente umana che regola le grammatiche delle lingue specifiche che manifestano in modi e stili anche molto diversi le istruzioni della grammatica logica mentale.

Radicalmente opposte sono le tesi di Pierre-Louis Moreau de Maupertuis, considerato il fondatore del determinismo linguistico e del relativismo culturale. Nelle Riflessioni filosofiche sull’origine delle lingue e il significato delle parole del 1748 e nella Dissertazione sui differenti modi di cui si sono serviti gli uomini per esprimere le loro idee del 1756, Maupertuis sostiene che è la lingua a dare forma e identità a ciò che l’occhio percepisce: ogni oggetto è percepito come distinto dagli altri anche grazie al fatto che la lingua gli attribuisce un nome che lo individua come un oggetto distinto dagli altri. Secondo Maupertuis il bambino, quando impara a parlare, impara automaticamente anche a percepire il mondo secondo il sistema di categorie proprio della sua lingua. Analogamente, i segni con cui i primi uomini hanno designato le loro prime idee hanno avuto tanta influenza su tutte le conoscenze successive, che la filosofia non può prescindere da uno studio approfondito sull’origine del linguaggio. Inoltre Maupertuis, confrontando i dati che ha a disposizione sulle lingue asiatiche, africane e americane, sostiene che le lingue non sono affatto equivalenti, ma ogni lingua umana veicola un “sistema di idee” suo proprio: di fatto coloro che parlano lingue molto diverse interpretano il mondo in modi completamente differenti.

Nelle Osservazioni critiche del 1750 e nelle Riflessioni sulle lingue del 1751 Turgot obietterà a Maupertuis che tutti gli uomini possiedono le stesse idee perché hanno gli stessi sensi, e le idee sono prodotte dai sensi. In più, Turgot obietta che la lingua serve essenzialmente a comunicare e intendersi, non a organizzare il pensiero, e ha una funzione sociale che Maupertuis non le riconosce. Il contributo linguistico più importante di Turgot è comunque nel 1756 la voce “Etimologia” dell’Encyclopédie, in cui l’etimologia viene descritta come una disciplina storica e sociale, perché permette di ricostruire e osservare la storia dei popoli. Ogni lingua si forma lentamente e riflette gli eventi del suo popolo, come il contatto con genti vicine o l’ingresso di parole della lingua di un popolo conquistatore. Per Turgot la lingua e la storia di chi la usa si intrecciano continuamente; ogni lingua, dunque, cambia e si evolve rispecchiando i mutamenti e le evoluzioni del popolo che la parla.

Roberto Pellerey e Umberto Eco

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Il ragazzo selvaggio

LETTURE

Linguaggi e lingue