4. Peirce e il pragmatismo

di Giampaolo Proni

4.1 Peirce e la cultura del New England

Charles Santiago Sanders Peirce nasce nel 1839 a Cambridge, Massachusetts, e cresce nell’ambiente sociale della Harvard University. Il padre, Benjamin Peirce – docente di matematica – gli infonde la passione per la conoscenza, stimolando in lui le facoltà logiche e la mentalità sperimentale. L’arco della sua vita coincide con il declino del primato culturale ed economico del New England e la prepotente espansione degli Stati Uniti verso ovest, successiva alla guerra di secessione (1861-1865): Peirce è un prodotto originale di quel Massachusetts profondamente europeo – raffinato e aristocratico – rappresentato nei romanzi di Henry James.

Un anticonformista

La principale attività professionale di Peirce è il servizio per la Coast and Geodetic Survey, organismo federale preposto ai rilievi cartografici e al sistema di pesi e misure. La carriera accademica si rivela infatti impraticabile, e – salvo una breve parentesi all’Università Johns Hopkins di Baltimora – Peirce non riesce ad avere una docenza universitaria. Le cause più verosimili di questo fallimento sono il suo orientamento evoluzionista e il comportamento anticonformista, espresso anche nelle scelte personali (per esempio la convivenza con la donna che poi sposò in seconde nozze) spesso inaccettabili per la morale dell’epoca.

In vita Peirce riesce a pubblicare solo articoli e brevi saggi, ma produce un enorme numero di scritti inediti che delineano un ambizioso sistema filosofico, solo in parte realizzato. Ancora oggi l’incompletezza dei testi, la grande erudizione, lo stile spesso arduo e digressivo ne fanno un autore di difficile accesso. Muore nel 1914.

4.2 L’anti-intuizionismo e i segni

L’autore che più attrae il giovane Peirce è Kant, e proprio le problematiche kantiane fanno da sfondo al suo primo importante scritto filosofico, Una nuova lista di categorie, del 1867. In questo saggio breve e serrato il filosofo americano fonda le categorie sulle relazioni interne alla proposizione, che è da intendere come la forma logica che assume il giudizio percettivo. Le categorie di Peirce hanno perciò un’universalità diversa rispetto a quelle kantiane, fondata sul fatto che esse compaiono in ogni giudizio.

LETTURE

Il pensiero di Kant (Vol. 2)

Esse sono la Qualità (definita in seguito Primità), la Relazione (Secondità) e la Rappresentazione (Terzità). Quest’ultima può essere identificata col Segno. Il Segno assume così un ruolo fondamentale nella conoscenza, in quanto appare quale categoria presente in ogni atto cognitivo: la conoscenza avviene tutta mediante segni. In Peirce la posizione del segno è dunque di mediazione tra la realtà e il soggetto, e determina una concezione della conoscenza come rappresentazione.

ESERCIZIO

E8: Peirce e il pragmatismo

I saggi “anti-intuizionisti”

Nel 1868 Peirce pubblica tre saggi noti come “anti-intuizionisti” o “anti cartesiani”. In essi propone la prima sintesi di una teoria della conoscenza fondata sull’inferenza, che è un tipo di segno. La conoscenza inferenziale si contrappone alla teoria intuizionista, che ha la sua formulazione più matura in Cartesio. Con la confutazione dell’intuizionismo Peirce critica la possibilità di conoscenza diretta dell’oggetto esterno (oggetto dinamico), non basata su cognizioni precedenti. Al contrario, secondo Peirce ogni conoscenza – così come la conclusione di un argomento deriva dalle premesse – deriva per un atto sintetico (inferenza) da una conoscenza precedente, a sua volta ottenuta allo stesso modo. Ogni conoscenza è quindi la conclusione di un’inferenza, tratta da un insieme di fatti e circostanze. Si avvia così un infinito regresso verso l’oggetto esterno che non può essere colto immediatamente nella sua totalità e verità.

Tuttavia Peirce non condivide la posizione di Kant, secondo la quale l’oggetto in sé, il noumeno, non può mai essere conosciuto, e assume un punto di vista che egli stesso definisce “realista scolastico” o “idealista oggettivo”: i concetti o idee sono reali, e poiché i concetti sono segni e i segni costituiscono l’unico mezzo di conoscenza, la conoscenza, pur essendo sempre incompleta, può darci conto della realtà. Secondo Peirce l’oggetto verso il quale i segni continuamente convergono è effettivamente conosciuto attraverso di essi, sia pure in modo dinamico e non esauriente. Ma la realtà stessa è dinamica ed evolutiva, e quindi si dà conoscenza della realtà.

4.3 Il pragmatismo

Dal 1872 un gruppo di giovani intellettuali, tra i quali Peirce, si riunisce per discutere di filosofia in quello che viene chiamato ironicamente Metaphysical Club. È all’interno di questo gruppo che nasce il pragmatismo, la più nota delle filosofie americane. Tutti i membri contribuiscono in diversa misura a dare vita al pragmatismo, ma la teoria è concepita da Peirce e viene da lui esposta per la prima volta in una serie di sei articoli, pubblicati sul “Popular Science Monthly” nel 1877-1878, intitolata Illustrations of the logic of the science (Illustrazioni di logica della scienza), senza tuttavia che il termine venga usato. Il pragmatismo viene invece enunciato ufficialmente con questo nome per la prima volta da William James nel 1898 in una storica conferenza all’università di Berkeley in California.

Il nucleo teorico del pragmatismo è l’idea che il significato di un concetto sia dato dalla concezione degli effetti pratici del concetto stesso. Tuttavia il pragmatismo di James e di coloro che a lui si sono ispirati ignora l’aspetto concettuale del significato, identificando tout court il significato con gli effetti pratici del concetto. Il comportamentismo, che costituisce un approccio fondamentale nelle teorie della conoscenza sociologiche e psicologiche del Novecento, deriva dunque in un certo senso da una incomprensione della teoria di Peirce da parte di James. Per questo il pragmatismo americano è stato dipinto come filosofia del successo, della contingente riuscita pratica di un’idea senza alcuna analisi dei suoi contenuti. Anche se verrà divulgato in questa versione più semplice, diversa è la filosofia di Peirce, tanto che questi cambierà nome alla sua teoria, definendola “pragmaticismo”. Se per James una conoscenza è vera in quanto produce certi effetti, per Peirce, una conoscenza produce certi effetti in quanto vera.

Il Metaphysical Club

A partire dal 1872, Peirce partecipa alle attività del Metaphysical Club, un gruppo di giovani intellettuali di Boston che si riunisce per discutere di filosofia. Del Metaphysical Club fanno parte studiosi di diversa formazione – scienziati, teologi e giuristi – tra cui Chauncey Wright e William James, uomini di scienza; Francis Ellingwood Abbot e Francis Greenwood Peabody, teologi; Oliver Wendell Holmes Jr., Nicholas St. John Green, John Fiske, Henry Ware Putnam, William Pepperel Montague e Joseph Bangs Warner, avvocati e giuristi. Vi sarà infatti una scuola pragmatica anche nel campo del diritto.

Uno degli argomenti di dibattito più frequenti del club riguarda le conseguenze filosofiche della teoria di Darwin. La pubblicazione dell’Origine delle specie nel 1859 desta enorme scalpore negli Stati Uniti, dove quasi tutte le università sono legate a confessioni religiose, e il dibattito sull’evoluzionismo è spesso lacerante. Il pragmatismo nasce proprio dalla riflessione filosofica sulla teoria dell’evoluzione. Alcuni membri del club vedono nella teoria di Darwin il prevalere del nominalismo. Essi argomentano infatti che, se le specie si evolvono e mutano, ciò significa che i concetti (poiché la specie è certo un concetto) derivano dall’esperienza e non hanno realtà al di fuori di essa. Peirce ribatte che l’evoluzionismo dimostra proprio il contrario, poiché il mutare della specie implica la realtà del concetto di specie. A patto – e qui ritroviamo l’idea di Peirce delle forme dinamiche – che il concetto sia visto esso stesso come un ente che si sviluppa. Sarà proprio all’interno di questo gruppo che prenderà forma il “pragmatismo”.

4.4 Logica e matematica

In logica Peirce si colloca nell’ambito della corrente di George Boole, fondatore dell’algebra logica. In particolare Peirce individua tre tipi primitivi di relazioni, necessari e sufficienti a descrivere qualsiasi relazione complessa. Si tratta delle relazioni a uno, due o tre termini, che sono alla base della sua teoria delle categorie, definite fenomenologiche o faneroscopiche. Secondo Peirce esistono relazioni triadiche irriducibili, vale a dire non scomponibili in relazioni più semplici, e la relazione triadica fondamentale è quella della rappresentazione o segno.

Indipendentemente da Frege, Peirce è il primo a introdurre in logica i quantificatori, o indici, cioè dei “puntatori” (ad esempio i pronomi) che servono a indicare appunto entità individuali, mentre la logica precedente si occupava solamente di simboli.

La parte più innovativa della logica di Peirce è tuttavia la sua teoria dell’inferenza “abduttiva”. L’inferenza, secondo Peirce, opera in ogni passo della conoscenza, dalla percezione alle teorie scientifiche. Oltre alla deduzione, la forma di inferenza classica, egli riconosce l’induzione, strumento logico per la formazione di leggi generali, e l’abduzione o ipotesi, con la quale tenta di formalizzare il ragionamento incerto. “Se si accetta la conclusione che una spiegazione è necessaria quando emergono fatti contrari a ciò che ci saremmo aspettati, ne segue che la spiegazione deve essere una proposizione in grado di prevedere i fatti osservati come conseguenze necessarie o almeno probabili in quelle circostanze. A questo punto si deve adottare un’ipotesi, che sia in sé verosimile e renda verosimili i fatti. Il passo di adozione di un’ipotesi in quanto suggerita dai fatti è ciò che definisco abduzione” (Collected papers).

L’analisi dell’abduzione rappresenta uno dei contributi più importanti di Peirce; oggi si riconosce infatti che la maggior parte dei ragionamenti euristici, per esempio quelli diagnostici, è proprio di questo tipo incerto: basandosi per forza di cose su dati insicuri o incompleti si cerca una spiegazione del sintomo elaborando un’ipotesi che poi si cerca di sottoporre a verifica. L’inferenza abduttiva è anche riconosciuta come operante nel pensiero progettuale, in quanto l’obiettivo del progetto si pone come una ipotesi dalla quale derivare le azioni per raggiungerlo.

LETTURE

La logica dell'Ottocento

Peirce conduce, inoltre, studi approfonditi sulla teoria degli insiemi infiniti e in topologia, legati alla sua dottrina filosofica del “sinechismo”, ovvero della natura continua della realtà. In particolare Peirce rivendica due primati. Il primo è il calcolo matriciale (operazioni sulle “matrici”), che Peirce applica alla logica dei relativi. Il secondo riguarda invece la definizione di collezione infinita, attribuita inizialmente a Dedekind che la espone nel 1888 nella sua opera Che cosa sono e cosa dovrebbero essere i numeri. Peirce sostiene invece di aver definito la nozione di collezione infinita prima del tedesco, nel saggio del 1881 dal titolo Sulla logica del numero.

4.5 La semiotica

Probabilmente Peirce incontra per la prima volta il termine “semiotica” nel quarto libro del Saggio sull’intelletto umano di John Locke. Tuttavia il suo approccio si distacca dal concettualismo di Locke ed estende l‘indagine sulla scienza dei segni in diverse direzioni. Peirce intende la semiotica come “la disciplina della natura essenziale e delle varietà fondamentali di ogni tipo di semiosi” (Semiotica).

La teoria del segno di Peirce si basa su uno schema a tre elementi spesso chiamato “triangolo del segno”, che peraltro non viene mai usato dall’autore come figura grafica. Tale schema raffigura la “rappresentazione”, e comprende tre elementi (segno, oggetto e interpretante) e tre relazioni, due di tipo diadico (segno-oggetto, segno-interpretante) e una di tipo triadico (segno-oggetto-interpretante). Il primo elemento è il segno o representamen, vale a dire: “qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche aspetto o capacità”. Ciò per cui il segno sta è il secondo elemento, l’oggetto, e il qualcuno per il quale sta è il terzo, l’interpretante.

ESERCIZIO

E10: Peirce e il pragmatismo

Il segno

La caratteristica fondamentale del segno è che rinvia verso due direzioni, instaurando due relazioni diadiche (segno-oggetto e segno-interpretante). La relazione segno-oggetto può essere di tre tipi: 1) il segno rimanda al suo oggetto perché è simile a esso (e si parla di icona); 2) perché è connesso fattualmente ad esso (indice) o 3) perché è legato a esso da convenzione (simbolo). Non rimanda in modo totale, ma “sotto qualche aspetto o capacità”: infatti il segno non offre la conoscenza totale del suo oggetto, ma una conoscenza sempre parziale. Dall’altra parte il segno è in relazione con un interpretante, cioè un atto di comprensione che non è un “interprete”, vale a dire una persona fisica, ma una funzione cognitiva. Con questo rinvio il segno fa sì che l’interpretante si ponga in relazione con l’oggetto stesso: questa è la terza relazione (segno-oggetto-interpretante) e si tratta di una relazione triadica perché richiede le prime due; con essa si compie la rappresentazione.

ESERCIZIO

E9: Peirce e il pragmatismo

L’oggetto è costituito dal complesso di conoscenza che sta all’origine del processo di interpretazione. Di questo oggetto completo, che Peirce chiama oggetto dinamico, il segno coglie solo un aspetto, l’oggetto immediato, che è il contenuto o significato.

La semiotica di Peirce si basa sull’assunzione che non sia possibile porre in relazione un segno con un significato senza che un atto interpretativo stabilisca questa relazione: il segno fornisce al soggetto che opera l’interpretazione il dato per attivare una porzione di conoscenza già nota (l’oggetto immediato); questa attivazione costituisce l’effetto cognitivo del segno stesso come evento del tutto nuovo, e questo effetto è l’interpretante.

Peirce sottolinea inoltre come l’interpretazione sia un processo dinamico: l’interpretante di un segno diviene infatti a sua volta segno per un interpretante successivo, dando vita a un flusso definito “semiosi illimitata” o “fuga degli interpretanti”. Questo processo non ha un termine dal punto di vista logico, ma si arresta con la costruzione di un “abito” (habitus), cioè di una propensione ad agire secondo un certo modello (ma non un’azione pratica, senza che ovviamente essa sia esclusa). È questa la teoria pragmatista del significato in termini semiotici.

TESTO

T3: Charles Sanders Peirce, Le proprietà dei segni

La fortuna di Peirce

L’influenza dell’opera di Charles Peirce in vita si può limitare in generale al debito che William James gli riconosce per la scoperta del pragmatismo e al suo influsso sugli allievi durante gli anni di docenza alla Johns Hopkins. La conoscenza di Peirce inizia negli anni Venti con la prima antologia a cura di Morris R. Cohen, Caso, amore e logica (1923), ma la notorietà è dovuta alla corrispondenza con Lady Victoria Welby (1837-1912), filosofa del linguaggio inglese, che diffonde la teoria di Peirce in ambito britannico. Charles Kay Ogden eIvor Armstrong Richards, riportando un saggio di Welby che cita Peirce nel loro libro Il significato del significato, del 1923, che ha ampia diffusione, lo introducono in Europa.

La prima raccolta di scritti editi e inediti di Peirce che cerca di testimoniare la completezza del suo lavoro appare con i sei volumi (Collected papers) pubblicati dalla Harvard University Press dal 1931 al 1935. Da quel momento la fortuna di Peirce è soprattutto legata alla sua semiotica, ripresa negli Stati Uniti da Roman Jakobson e Thomas Sebeok e, in Italia, da Umberto Eco e Massimo Bonfantini. Ispirazione più ampiamente filosofica trae da Peirce l’italiano Carlo Sini, mentre sulla sua morale riflette Salvatore Veca. In Germania, Karl Otto Apel e Jürgen Habermas riconoscono esplicitamente il valore della teoria di Peirce. In Gran Bretagna, infine, l’opera di Karl Popper presenta tracce del pensiero peirceano in diversi punti, in particolare negli studi su mente e cervello; anche Bertrand Russell ne riconosce l’importanza sebbene a partire da un diverso approccio.