6. La reazione al positivismo: lo spiritualismo

di Caterina Zanfi

6.1 La filosofia come alternativa alla scienza

Rispetto al paradigma positivista di Comte che riduce la realtà ai fatti naturali e ritiene che la scienza sia l’unica loro forma di conoscenza possibile, nel dibattito filosofico francese di fine Ottocento emergono posizioni contrastanti, di tipo spiritualista: alcuni filosofi sentono la necessità di definire il compito della filosofia e la sua posizione nei confronti delle scienze naturali, rivendicando l’originalità del mondo spirituale dell’uomo, in particolare dei valori estetici, etici e religiosi irriducibili ai rapporti necessari e costanti delle leggi che governano i fenomeni naturali e meccanici. La filosofia viene dunque difesa come forma di conoscenza alternativa alla scienza, applicabile a quei fenomeni che non possono essere ridotti al mero piano fattuale. Per gli spiritualisti la realtà assoluta è infatti di ordine spirituale e la via per accedervi è la coscienza, mentre la scienza è ritenuta una forma di conoscenza non autentica del reale. L’eredità dello spiritualismo sarà raccolta da Henri Bergson (1859-1941), che la trasmetterà al Novecento trasformandola in una filosofia della durata e della vita.

La tradizione francese

Nel porre l’esperienza interiore come punto di partenza di ogni analisi, lo spiritualismo di fine Ottocento ripropone un atteggiamento filosofico radicato nella tradizione francese sin da Montaigne, Cartesio, Malebranche e Pascal, che già all’inizio dell’Ottocento viene rilanciato da François-Pierre Maine de Biran (1766-1824).

In opposizione al tentativo degli idéologues di partire dalle sensazioni per giustificare le facoltà teoretiche dell’uomo, Maine de Biran si propone di ricavarle dalla coscienza o “senso intimo”. Anziché individuare il principio soggettivo nella res cogitans, Maine de Biran lo vede nella volontà e nello sforzo: questi sono la causa e la forza produttiva di effetti, atto primitivo con cui l’io si rivela a se stesso in contrasto al corpo che gli oppone resistenza.

Come avrebbero detto anche gli spiritualisti successivi, il soggetto consiste dunque in un’attività pratica e non più, cartesianamente, nella conoscenza teoretica. Il sentimento dell’attività viene così posto a fondamento dell’idea di libertà, che coincide con lo sforzo creativo del soggetto. Reciprocamente, il sentimento della passività coincide con la necessità, che non è dunque un sentimento primario ma subordinato al riconoscimento dell’attività. L’estensione e la materia sono secondarie rispetto al principio dello sforzo, al quale si oppongono come resistenza (Influenza dell’abitudine sulla facoltà di pensare, 1803). La coscienza è presentata come realtà primaria, oltre che come luogo del manifestarsi della rivelazione.

6.2 I maggiori esponenti dello spiritualismo ottocentesco

Il primo a riferirsi a Maine de Biran è Victor Cousin (1792-1867), esponente di uno “spiritualismo eclettico”, che di Maine de Biran pubblica gli inediti e che, come lui, riconosce nello spiritualismo e nel “metodo della coscienza” l’unica via d’accesso alle verità immutabili del Vero, del Bello e del Bene.

Il riferimento di Maine de Biran e Cousin al “senso intimo” e alla coscienza assume per le generazioni successive una funzione di difesa della libertà umana dalla minaccia del determinismo positivista. Alla filosofia del “senso intimo” si riallaccia in particolare Félix Ravaisson (1813-1900), che contrappone l’analisi scientifica del reale operata dalla scienza alla sintesi che può essere svolta dalla “filosofia della coscienza”: la sola via capace di restituire l’essenza dinamica del movimento e la sua causa ultima, identificata con Dio. Ravaisson contrappone la filosofia “plebea” positivista o materialista, che spiega il superiore con l’inferiore, allo spiritualismo “aristocratico”, che riconduce tutto alla coscienza, intesa in senso non idealista né dualista, ma come spirito che anima la natura stessa: per lo spiritualismo il principio generatore è “la coscienza che lo spirito prende in sé stesso di una esistenza di cui riconosce che deriva e dipende ogni altra esistenza, e che non è altro che la sua azione” (Rapporto sulla filosofia in Francia nel XIX secolo, 1868). Natura e materia sono intese come manifestazioni apparenti dello spirito divino che si dispiegano nell’abitudine, ovvero in una sorta di dispersione o decadimento della libertà e della consapevolezza spirituale nella ripetizione e nella cieca riproduttività, che si fa man mano istintiva e meccanica. L’abitudine fa così da tratto d’unione tra i due estremi dello spirito e della materia, della libertà e della necessità: sorgendo inizialmente come atto libero e consapevole, nella sua ripetizione forma i concetti analitici della scienza meccanicistica, avvicinando lo spirito ai movimenti meccanici della materia. L’inerzia è così sottomessa all’attività, il mondo materiale al mondo morale. L’unità della natura e dello spirito è data infine dall’amore e dal desiderio di Dio, riconosciuto come causa finale della coscienza e della libertà umana (L’abitudine, 1838).

Origine e sviluppi della scolastica nell’Ottocento

L’avvio di un movimento di pensiero ispirato alla tradizione della filosofia e della teologia dei maestri della scolastica medievale, movimento che, molti decenni dopo, sarà denominato “neoscolastica”, risale alla prima metà del XIX secolo, epoca in cui la cultura seguita alla Rivoluzione francese, e al dominio napoleonico in particolare, emargina il pensiero tradizionale delle scuole ecclesiastiche, sottomettendole agli interessi di Stato, nell’alveo dell’Illuminismo razionalistico e scientista.

Incentivata dal tramonto degli ideali rivoluzionari e dell’impero napoleonico, la reazione da parte di pensatori legati all’ispirazione religiosa trova espressione nel recupero della speculazione dei maestri della scolastica medievale, e prende così avvio la neoscolastica ottocentesca, con centri propulsori importanti dapprima in Italia e in Francia, e successivamente su scala internazionale.

Sono spesso gli ordini religiosi ad avviare una forte ripresa degli studi della scolastica cristiana: in particolare i gesuiti (con i fratelli Serafino e Domenico Sordi, Luigi Taparelli d’Azeglio, Matteo Liberatore), che nel 1850 fondano la rivista “La civiltà cattolica”, l’organo più diffuso per la trasmissione del pensiero filosofico neoscolastico, i domenicani (con Tommaso Maria Zigliara), e i tomisti del Collegio Alberoni di Piacenza, che fondano “Divus Thomas” (1879), la prima rivista dedicata interamente a san Tommaso.

Importante è altresì l’attivazione di tre accademie favorevoli alla ripresa degli studi dei maestri medievali: l’Accademia tomista di Bologna, fondata nel 1853 dal medico Marcello Venturoli; l’Accademia di San Tommaso, fondata a Perugia nel 1859 da Giuseppe Pecci (fratello di Gioacchino, il futuro Leone XIII); l’Accademia filosofico-medica di san Tommaso d’Aquino, fondata a Bologna nel 1874 ad opera di Alfonso Travaglini e Giovanni Maria Cornoldi. I vivaci dibattiti nelle scuole degli ordini religiosi e nelle pubblicazioni promosse dalle accademie, spesso connotati da polemiche a causa delle divergenze circa il modo di riproporre i maestri della scolastica, spianarono la strada all’enciclica Aeterni Patris (1879), il documento di Leone XIII che rende ufficiale il movimento neoscolastico e ne segna in modo decisivo i futuri sviluppi. Con l’enciclica il pensiero di Tommaso d’Aquino ottiene il riconoscimento di filosofia preferenziale nel mondo cattolico; contestualmente, il papa promuove l’edizione critica delle opere di san Tommaso (sarà denominata Edizione Leonina, tuttora in corso) e la fondazione nel 1880 dell’Accademia Romana di san Tommaso d’Aquino, riconosciuta come istituzione pontificia dedicata alla diffusione della “filosofia cristiana secondo la mente di san Tommaso d’Aquino”, preconizzata nell’enciclica. Prende così avvio l’orientamento tomistico del movimento, che porterà alla creazione del termine “neotomismo” con il quale anche è denominata la neoscolastica. Se i due termini nella storiografia spesso sono interscambiabili, rimane comunque una differenza che si espliciterà meglio lungo il XX secolo: neotomismo di fatto significa un orientamento incentrato sulla riproposizione del pensiero tomistico, mentre con neoscolastica ci si riferisce al recupero e alla valorizzazione di tutti i grandi maestri della scolastica medievale, da Anselmo d’Aosta ad Abelardo, da Alberto Magno a Bonaventura da Bagnoregio, da Giovanni Duns Scoto a Guglielmo di Ockham.

Per quanto riguarda la neoscolastica ottocentesca, va ricordato che la ricerca della filosofia cristiana del passato prende avvio dalla contrapposizione polemica alla filosofia moderna nel suo insieme, di cui si contrastava il rifiuto dell’autorità della Chiesa, e successivamente dal sostegno che viene richiesto al magistero pontificio, quando il papa si ritroverà impegnato in un duro confronto critico con gli stati moderni, in particolare con l’Italia (segnata dall’anticlericalismo dei movimenti favorevoli all’unità e all’abolizione del potere temporale dei papi). Fuori dall’Italia i centri di studio del pensiero scolastico medievale sorgono in contrapposizione a filosofie di orientamento laico, come accade in Belgio (Lovanio), in Olanda (Nimega), in Francia (Tolosa), e in Germania (con l’opera di alcuni studiosi di rilievo, come Franz Jakob Clemens e Joseph Kleutgen).

Alessandro Ghisalberti

Il ricorso alla causa finale riecheggia nell’opera del neocriticista Jules Lachelier (1832-1918), che offre una rilettura della Critica della ragion pura e della Critica del giudizio di Kant distinguendo nella natura una realtà astratta fondata sulle leggi necessarie di causalità, e una realtà concreta basata invece sulle cause finali (Il fondamento dell’induzione, 1871).

Allievo di Ravaisson e di Lachelier, Émile Boutroux (1845-1921) affronta direttamente il concetto di legge naturale, chiave di volta del positivismo. Egli constata l’inadeguatezza delle leggi meccaniche a spiegare la totalità dei fenomeni naturali, compresi quelli biologici e psicologici, non solo perché si tratta di fenomeni più complessi (come riconoscevano gli stessi positivisti), ma in quanto tali fenomeni sono eterogenei tra loro: le leggi che spiegano i fenomeni sociali, psicologici o biologici sono dunque irriducibili alle leggi meccaniche che rendono conto dei fenomeni fisici. Boutroux sostiene così la tesi del “contingentismo”, per cui le stesse leggi di natura non sono necessarie ma contingenti e non possono essere estese al mondo biologico né al mondo della coscienza umana.

Come già per Ravaisson, anche per Boutroux la natura è espressione di una creatività spirituale, ma ci appare meramente meccanica e materiale poiché le sue creazioni hanno la tendenza a cadere nella ripetitività e nell’abitudine. La vita animale e la spiritualità umana sono però segno della capacità della natura di rinnovarsi e ricrearsi continuamente. La vita morale dell’uomo, in particolare, è l’ambito in cui più si esprime la risposta a leggi non necessarie ma di conformità ad un fine, che anche Boutroux identifica con Dio, causa prima e libera di sé e di tutti i mondi. Senza negare la legittimità della scienza, il contingentismo di Boutroux ne relativizza così il valore rispetto ad una causa finale superiore (La contingenza delle leggi della natura, 1874).

ESERCIZIO

E13: Lo spiritualismo

ESERCIZIO

E14: Lo spiritualismo