Nota del Curatore

Nelle sue memorie, compilate ormai più di cinquant’anni fa, Carl Georg Heise fu il primo a porre, come esigenza imprescindibile di una «biografia definitiva» di Aby Warburg, lo studio esauriente degli anni della malattia, anche perché la «lotta con i demoni» ingaggiata da Warburg si era conclusa «con una vittoria così completa, e per di più contando solo sulle proprie forze, quale certamente pochi altri possono vantarsi di aver conseguito»1. Gertrud Bing, alla quale era passato il compito di redigere tale «biografia definitiva» dopo la morte di Fritz Saxl – senza essere però stata, come questi, testimone diretto dell’agone di Warburg – ottenne dalla famiglia e da Binswanger il permesso di consultare il materiale custodito a Kreuzlingen, permesso del quale beneficiò due volte2; ma possiamo solo speculare sull’uso che ne avrebbe fatto. Ernst H. Gombrich, nella sua «biografia intellettuale», decise programmaticamente di glissare su quegli anni3, sia pure con un’ambivalenza che venne giustamente denunziata da Edgar Wind4. Dieci anni fa, infine, lo psichiatra Karl Königseder ha fornito una ricostruzione per sommi capi degli eventi sulla base degli atti conservati a Tübingen, che non può però sopperire alla loro conoscenza diretta5. Grazie alla generosità e alla lungimiranza della famiglia Warburg e degli eredi Binswanger, siamo ora finalmente in grado di leggere senza mediazioni questi materiali e di sottoporli all’esame critico che meritano. L’obiettivo principale di questa edizione è, appunto, recare un contributo alla conoscenza e allo studio di questo periodo in larga parte inesplorato della vita di Aby Warburg, ma che sarebbe colpevole lasciare ancora all’oscuro, a distanza di tanti anni dagli avvenimenti, come se vi fosse celato qualcosa di inconfessabile.

Do ora brevemente notizia dei testi originali sui quali è stata condotta la traduzione, tutti inediti, ad eccezione di due frammenti autobiografici da me già tradotti e pubblicati6.

Gli atti relativi alla degenza di Aby Warburg a Kreuzlingen sono conservati con la segnatura UAT 441/3782 nell’Archivio dell’Università di Tübingen, dove sono stati depositati con l’intero Archivio Binswanger dagli eredi, dopo la chiusura della clinica Bellevue nel 1980.

La storia clinica è dattiloscritta (con l’eccezione di poche annotazioni scritte a mano e segnalate in nota) su otto fogli protocollo, con undici fogli sciolti inseriti all’interno del primo, che è del tipo usato per i pazienti appena ammessi. Sulla prima facciata sono riportati data d’arrivo e di partenza, diagnosi (dapprima a penna schizofrenia, posta poi tra parentesi e corretta a matita in stato misto maniaco-depressivo), dati anagrafici e anamnesi dei familiari più stretti; sulla seconda e terza facciata i dati ricavati dall’esame fisico del 26 aprile 1921. All’interno di questo primo foglio protocollo sono inseriti: cinque tabelle, la prima, intestata Cura d’oppio dal 6 febbraio 1923 al 18 marzo 1923, registra la quantità di gocce di oppio (misto a rabarbaro) somministrate quotidianamente al paziente in quel periodo, le quattro successive i risultati di esami del glucosio condotti tra il 25 febbraio 1921 e il 29 luglio 1924; due fogli di istruzioni per la divisione della giornata, corrispondenti a quella introdotta da Kurt Binswanger il 13 maggio 1923; una lista di Cibi che il professor Warburg non può mangiare; tre fogli di istruzioni più dettagliate per la divisione della giornata, datati gennaio 1924. Sulla quarta facciata del primo foglio protocollo comincia la storia clinica vera e propria, a partire dall’arrivo di Warburg a Kreuzlingen il 16 aprile 1921, all’interno della quale sono inseriti, sotto la rubrica Anamnesi, estratti da lettere di Hans Berger e Heinrich Embden, che abbiamo tradotto nell’ordine in cui compaiono, così come la vera e propria anamnesi di Embden, da lui scritta a penna su due fogli protocollo. Non abbiamo invece incluso gli estratti dalla storia clinica di Arnold Lienau, spesso frammentari al punto della telegrafia.

Attribuire il testo ad un unico autore, Ludwig Binswanger, è una semplificazione, e non solo per la presenza di queste ampie citazioni: in realtà la storia clinica è un lavoro collegiale, al quale, oltre a Ludwig, ha contribuito soprattutto il cugino Kurt Binswanger, la cui statura autoriale è esplicitamente riconosciuta. Ma altre due fonti, e forse le più cruciali, vengono solo saltuariamente menzionate e mai investite dell’autorità che loro spetta. Nella Marcia di Radetzky Joseph Roth evoca con nostalgia mista a malizia «quella casa di cura sul lago di Costanza dove malati mentali piuttosto viziati, di famiglia ricca, venivano provvidamente e costosamente trattati e gli infermieri avevano la delicatezza delle levatrici»7. Nel caso di Warburg, la celia di Roth acquista un’ulteriore dimensione ironica: le infermiere che si prendono cura di Warburg sono le vere levatrici della sua storia clinica, e la loro arte maieutica merita senz’altro la riconoscenza del lettore. La prima, Frieda Hecht, che aveva seguito Warburg a Kreuzlingen da Jena, accompagnata dalle lodi di Hans Berger, cadrà in disgrazia e verrà poi licenziata da Binswanger al termine di un curioso giuoco delle parti; la seconda, Lydia Kräuter, resterà fino all’ultimo la strega custode di Warburg, se si può così tradurre il nomignolo Schwexe, bonario ma inquietante, da lui affibbiatole. A loro si deve la documentazione coscienziosa e dettagliata delle giornate e dei detti di Warburg, che entrambe registrano quotidianamente, dalle sette del mattino fino alle dieci di sera, in tre quaderni riempiti da capo a fondo di fitta scrittura (UAT 441/3782, II.4). Solo la pubblicazione integrale di queste testimonianze permetterà di stabilire fino a che punto il lavoro di elaborazione e distillazione dei medici ne abbia rispettato il valore documentario. Ai fini della traduzione, si è tenuto debito conto anche di queste fonti, e si sono usate le loro annotazioni per riempire lacune o verificare informazioni. Ma un lavoro più sistematico di collazione sarà ovviamente da riservare per un’edizione, già in cantiere, dei testi in lingua originale.

La sezione successiva raccoglie lettere e frammenti autobiografici, redatti da Warburg tra il 16 luglio 1921 e il 16 aprile 1924, e conservati nell’Archivio dell’Università di Tübingen con la segnatura UAT 441/3782, II.5, ad eccezione di due importanti lettere, tratte invece dall’Archivio del Warburg Institute. Scrivendo a Mary Warburg il 3 maggio 1921, Binswanger la invita a porre in prospettiva le lamentele del marito nelle lettere a lei indirizzate, «poiché le lettere rispecchiano sempre solo una parte, e purtroppo proprio la più malata, del suo essere»8. È importante tenere a mente questa avvertenza di Binswanger, quando si leggano tanto le lettere quanto i frammenti qui raccolti, ma è parimenti importante aspirare a una visione almeno bifocale degli eventi, che non privilegi il punto di vista del medico a discapito di quello del paziente. Per complicare ulteriormente la nostra immagine di quegli anni di Kreuzlingen, si traducono poi, con il titolo Memoranda di Kreuzlingen, quelli che sono probabilmente estratti da lettere, o appunti presi da Saxl in occasione di sue visite alla clinica Bellevue. In seguito, probabilmente da lui stesso, o dalla Bing, questi brevi testi vennero raccolti e copiati su un unico foglio, dattiloscritto da ambo i lati, che si conserva ora nella corrispondenza di Saxl e Warburg nell’Archivio del Warburg Institute9.

Della corrispondenza intervenuta tra Binswanger e Warburg dopo il ritorno di quest’ultimo ad Amburgo, conservata anch’essa nell’Archivio dell’Università di Tübingen con la segnatura UAT 443/31, ha dato una descrizione dettagliata Ulrich Raulff10. Si traducono qui per intero solo le lettere di maggior respiro, mentre delle altre si riportano in nota i passi necessari alla comprensione del testo. Siamo fortunati che siano tutte dattiloscritte, paradossalmente, ancor più che nel caso di Warburg, in quello di Binswanger, di cui Freud lamenta a più riprese la scrittura illeggibile. La corrispondenza testimonia di un rapporto sempre più paritario e confidenziale tra i due, per il quale non è forse esagerato parlare di amicizia.

Si ripubblica infine in appendice la traduzione di Enrico Filippini della conferenza di Binswanger Sulla fenomenologia11, alla quale Warburg presenziò il 21 novembre 1921 e che lo stimolò al punto da stilare una risposta scritta, inclusa tra i documenti qui pubblicati. La lettura della conferenza varrà a gettare la luce necessaria sul testo di Warburg, e introdurrà il lettore, che ancora non lo conoscesse, all’aspetto più genuinamente teorico dell’opera di Binswanger.

Ringrazio John Prag e la famiglia Warburg per avermi prima consentito la consultazione di questo importante documento, ed ora la sua pubblicazione, così come gli eredi Binswanger, il direttore dell’Archivio dell’Università di Tübingen, Michael Wischnath, il direttore del Warburg Institute, Charles Hope, Chantal Marazia, e infine Giorgio Agamben, per aver anni fa suggerito ed ora accolto questo volume nella collana da lui diretta.