Lettera ai Direttori della clinica Bellevue,
12 aprile 19241

Stimatissimi Signori,

La presenza del dottor Saxl mi dà l’opportunità, da lungo tempo attesa, di presentare per iscritto a Voi (e al comitato) qualcosa che le Vostre brevi visite negli ultimi tempi non mi hanno consentito di fare. Mi rallegro di poter apparire stavolta non solo come seccatore, perché devo rivolgere solamente una domanda seria e dar voce ad alcune pressanti preghiere.

A questo deve però precedere la constatazione che oggi, dopo che presto (il 15 aprile) sarò stato in questo Istituto tre anni, riconosco con gratitudine che sto iniziando di nuovo a pensare in maniera scientifica, e non nego che questo risultato oggettivo si deve attribuire in larga parte al trattamento impartitomi dall’Istituto. Dichiaro con gratitudine che – dopo che tre anni fa ero tenuto a bada con narcotici – ora da circa tre mesi e mezzo sono in grado di sopportare il vivere senza sonniferi, come meglio mi riesce.

Solo in un punto posso dire di esser venuto, da parte mia, incontro all’Istituto: nell’accettazione del desiderio espresso dal dottor Binswanger che io debba di nuovo lavorare scientificamente. Alla progressiva riduzione nell’uso di narcotici ha corrisposto il ritorno alla ricerca su problemi di storia dello spirito, a dispetto dei gravi ostacoli tecnici. Grazie all’aiuto del mio dottor Saxl mi è riuscito perciò di tenere l’anno scorso la conferenza sul mio viaggio indiano, e da quel momento ho visto di nuovo terra, vale a dire il ritorno nella mia patria, la mia famiglia e la mia biblioteca. Ho parlato a braccio2 un’ora e mezzo, non ho perso il filo e ho fatto osservazioni di psicologia della cultura in strettissimo contatto con il mio lavoro precedente.

Sottolineo tutto ciò, perché mi sembra che questa conferenza venga bensì vista dai miei medici curanti come un sintomo del tutto positivo di una capacità di comunicazione intatta, ma non come quel che io sento con gratitudine e sorpresa: come diretta continuazione ed espansione della mia attività di ricerca intrapresa in giorni sani. Che io lo sottolinei così per esteso non si deve a vanità, ma a una ragione precisa, molto semplice e stringente: il professor Kraepelin, che è venuto qui pochi giorni fa come consiliarius3 – e che peraltro proprio nel gennaio del 1923 espresse la prognosi di una riabilitazione, per me allora del tutto incredibile, e perciò mi ordinò la cura di oppio – non aveva inteso, da parte dell’Istituto, neanche una parola su questa conferenza.

Poiché questa conferenza dev’essere invece vista come punto di svolta, vorrei perciò pregare che mi venga chiarito, in questa occasione, qual è l’atteggiamento dei miei medici di fronte al sintomo del ritorno al lavoro scientifico come fattore terapeutico soggettivo. Il dottor Ludwig Binswanger ha già lasciato cadere, in una recente conversazione, la seguente osservazione: «Che Lei lavori scientificamente va benissimo, ma prima pensi a star meglio [erst werden Sie mal gesund]!» Questo tipo di atteggiamento mi è incomprensibile e sottolineo, al contrario, che, da quando il professor Cassirer è stato qui, ho anche ragioni personali di essere di diverso parere. Si è difatti appurato in questa occasione che i tentativi compiuti da parte mia, energicamente e tra grandi difficoltà, nonostante i miserevoli mezzi a disposizione, conducono tuttavia a risultati che consentono di ricollegare le mie osservazioni individuali sulla psicologia dell’arte scritte da anni (e conservate ad Amburgo) con il materiale di storia della cultura esplorato nel corso della mia esistenza, e non è forse troppo sperare – forse Cassirer Ve ne ha parlato – che io possa ancora schizzare un nuovo metodo, davvero capace di fondare la comprensione della storia dal punto di vista della psicologia della cultura.

Ciò richiede peraltro che non mi si interrompa nel mio lavoro, così che la crescita di questo delicato impulso non venga sensibilmente minacciata. Desidero in ogni caso che i miei signori medici siano consapevoli di questo pericolo, se mi espongono a un trasloco che come tappa non mi porta nessuna reale liberazione dall’Istituto, al contrario, nei pochi mesi che restano mi pone senz’altro fuori corso dal punto di vista scientifico. I miei medici devono assumersi la responsabilità di questa interruzione.

Mi posso affidare loro con fiducia soltanto una volta ch’io sappia che la loro posizione nei confronti della mia attività scientifica coincide in fondo con la mia, e una volta che mi si dia una reale spiegazione del perché non si è resa nota al Geheimrat Kraepelin la conferenza del 15 aprile 1923 – a partire dalla quale dato l’inizio del mio rinascimento4 (che peraltro può essere una completa autoillusione).

Le mie pressanti richieste, delle quali parlerò a voce, sono che si provveda a riscaldare meglio e che si prenda più cura della mia biancheria, al cui trattamento negligente si deve il fatale foruncolo.

Sono in ogni momento pronto a discutere di persona la questione della valutazione psichiatrica della mia attività scientifica in una riunione con i miei medici e sono lieto di poter aggiungere che – se non vi sarò costretto – sono lungi dal trattare in maniera emotiva questo problema.