Settembre 1922

Ho dietro di me giorni di riflessione. Vale a dire, ho fatto il tentativo di introdurre questi dottori al problema Warburg. Ho preparato un exposé, in cui faccio il tentativo di comprendere l’uomo psicologicamente nel suo lavoro. Questi medici, che devono curarlo, non hanno mai letto una riga dei suoi scritti. Uno di loro è un amabile nessuno, l’altro ha scritto un libro di metodologia, I fondamenti della psicologia1, è terribilmente preso di se stesso, molto ebreo, molto astuto2, ma – non un mensh3. Mi ha detto alla fine: «Lei si meraviglia, che questo caso ci interessi così poco come psichiatri. Ma io scrivo su un caso solo se ho dal paziente stesso le informazioni. Certo, se Warburg fosse sano e potesse fare egli stesso dichiarazioni, allora si potrebbero scrivere volumi su di lui». Warburg mi ha già dettato più di trenta pagine4, ma ancora senza forma. Più che altro è ancora tutta psicologia dell’uomo primitivo, assolutamente generica, non ancora illustrata sulla base del materiale. Questa è la domanda cruciale: riuscirà Warburg a tornare al materiale, risveglierà il materiale la sua passione per la ricerca? Ha ragione quando dice: a che pro, qui dove non c’è nulla. Ma sarebbe forse meglio in Amburgo? Allora sarebbe di nuovo salvo. Credo di vedere molto bene come stanno le cose, ma non oso una prognosi. Sono anzi pessimista. Warburg è al momento ancora molto malato.