Aby Warburg a Ludwig Binswanger,
6 ottobre 19261

Al dottor Ludwig Binswanger2

Dopo il mio ritorno da Noordwyk io e Saxl abbiamo dovuto allestire una piccola mostra, da esibire in occasione del convegno degli Orientalisti tedeschi, che si è svolto ad Amburgo dal 28 settembre al 2 ottobre, in concomitanza con la terza edizione di Sternglaube und Sterndeutung di Boll. Curata con esemplare coscienziosità dal professor Gundel (Giessen), essa presenta l’opera del mio defunto amico senza trasformarne il carattere nella parte testuale, ma in una veste molto migliore sia internamente che esternamente rispetto alle due edizioni precedenti. Subito dopo la morte del mio indimenticabile amico ho considerato come mio compito far comparire questa terza edizione – che egli aveva previsto, ma che gli aveva dato molta pena per la scarsa generosità e lentezza di Teubner – in una forma dignitosa, così come egli si era segretamente augurato. Le trattative con il dottor Giesecke3, che avevo già condotto nell’estate del 1924, sono risultate più facili del previsto perché egli non è tanto l’editore delle nostre opere, quanto piuttosto il nostro commissionario, e se anche questo libro non appartiene alle nostre serie, né agli «Studi [Studien]» né alle «Conferenze [Vorträge]», doveva comunque trattare con noi avvolto nella toga dell’editore interessato alla scienza. Poiché abbiamo per giunta messo a disposizione gratis il nostro materiale illustrativo e non abbiamo preteso neppure un centesimo di onorario per Gundel – che ho a mie spese sottratto al servizio scolastico – non c’era bisogno di fare sacrifici per dar prova di «liberalità». Gli introiti del libro, che sicuramente andrà molto bene, spettano per intero, secondo gli accordi, a Georg Boll, il figlio di Franz Boll. Così abbiamo di fronte a noi un volume che, nella sua semplice eleganza, non lascia più intravedere la tenuta da schiavo che ha dovuto indossare per anni nella collana «Natura e mondo spirituale»4. L’opera, che io Le manderò di qui a poco, significa per gli Orientalisti un ponte, che io e Saxl costruiamo da anni in compagnia di altri colleghi; abbiamo con mano ferma e indefessamente gettato i ponti, su cui vediamo ora chiaramente migrare i simboli astrali per un periodo di migliaia di anni. Come l’antichità orientale migra da est a ovest, e l’antichità italiana da nord a sud, così la raccolta di riproduzioni – che nella sala avevamo disposto su sei grosse tavole di legno, allestite di fronte agli scaffali sulle pareti ellittiche – mostra la migrazione dei simboli astrali. Un grosso aiuto ci è venuto in questo esperimento dalla nostra macchina fotografica – una Photoclark del dottor Jantsch in Überlingen – che ci permette in brevissimo tempo di riprodurre una quantità enorme di immagini senza bisogno di negativo di vetro. Così abbiamo mostrato all’incirca centotrenta immagini, che indicavano le tappe della migrazione, coprendo uno spazio di tempo di circa quattromila anni. Di queste immagini venticinque appartenevano alla pittura monumentale, una riproduceva un dipinto su tavola, dieci appartenevano alla scultura e settantacinque all’illustrazione, mentre cinque all’incirca al dominio della incisione, e altre cinque rappresentavano illustrazioni schematiche di concezioni cosmologiche. A partire dal 1909, Saxl e io abbiamo esternamente raccolto, e internamente interpretato, materiali che ci consentono ora di trarre conclusioni decisive: si tratta in primo luogo di miniature e manoscritti, che abbiamo scovato nelle biblioteche, di fronte a difficoltà quasi insuperabili, e che abbiamo potuto fotografare grazie ai generosi mezzi a nostra disposizione. Si vede ora che queste spese sono valse ampiamente la pena. Un manoscritto spagnolo, per esempio, che ho potuto scoprire grazie all’aiuto dell’attuale cardinale Ehrle, allora (1909) prefetto della sala di lettura della Vaticana5, si rivela il vero e proprio missing link tra l’Oriente, la Grecia e l’Europa. Ho finora fatto uso di questa inesauribile scoperta soltanto nel mio lavoro su Lutero6. Ma questo solo di passaggio. Spero di poterLe far da guida di fronte a queste immagini non appena avrò finalmente la gioia di poterLa salutare nella sala ellittica.

Il pomeriggio del 30 settembre ho tenuto una conferenza di mezz’ora su queste immagini. Ho dovuto parlare – il che non era originariamente mia intenzione – di fronte a un pubblico seduto di un’ottantina di colleghi, poiché la forma più sciolta del dialogo sarebbe stata impossibile di fronte a tanta affluenza. Mi è riuscito di attirare l’attenzione di questi «colleghi dalle altre facoltà» sul problema dello scambio di cultura tra Oriente e Occidente con una riflessione sulla psicologia dell’immagine; alcuni sono tornati anche nei giorni seguenti a esaminare con più attenzione le immagini. Anche l’istituzione nel suo complesso ha avuto un’accoglienza favorevole; il giorno della conferenza ho avuto il piacere di poter mostrare la Biblioteca al mio collega di un tempo e ora ministro dell’Istruzione Becker7, che era pienamente d’accordo con i miei sforzi. La tensione fisica è stata molto grande, ma ne sono venuto alla fine a capo – nonostante si sia aggiunto anche un raffreddore – e ho parlato la sera ancora con una certa freschezza. Navigare necesse est, vivere non necesse est8. – Ieri è stato qui anche il proprietario di una grande compagnia giapponese, il signor Okura9 di Tokyo; è un filantropo molto sensibile, che vorrebbe di nuovo impregnare dell’antico elemento spirituale il sistema educativo e bibliotecario del Giappone. Aveva portato con sé i suoi architetti, per imparare il possibile dalla costruzione della mia Biblioteca, peccato che non vedrò mai quel che ne verrà fuori: Les idées d’un Hamburgeois vues par le tempérament d’un Japonais10.