La Profezia

Un monastero nei pressi di Dresda, 1706

Tremo,2 la coperta di pelli di coniglio non ferma il gelo, la mia testa è stretta in un cerchio di ghiaccio, le orecchie dolgono, il fischio non dà pace, cerco di cantare, piano, per non svegliare le mie sorelle, quando canto la mia voce copre il fischio. Cerco aria, respiro profondo, il fischio scompare. Sono seduta sul letto. Muovo la testa su e giù. Respiro. Esce una bava dalla mia bocca. Sputo. Soffoco. Sento un rumore fuori dalla porta. Se viene l’uomo, allora, preferisco morire. Sono sola, sono sola, sono sola. Sfinita sogno. L’acqua del mio corpo bagna la coperta, il pagliericcio. Le sorelle mi puniranno, o forse no. L’acqua gela contro il mio corpo. Scricchiolo dentro e fuori. Il freddo è insostenibile. Signore dammi la forza. Aspetto la luce. Quando arriva la luce, le sorelle sono contente, si siedono intorno al mio letto, pregano, la madre badessa mi aiuta a muovere la mano e io scrivo, ma non la guardo, perché il suo volto mi fa paura, così tengo bassi gli occhi e le lacrime bagnano le mie parole. Dopo, anche l’uomo è gentile con me. Quando arriva la luce tutti mi apprezzano e finalmente posso mangiare il pane, perché gli infusi di erbe sono amari e mi fanno male allo stomaco, ma la madre dice che devo berli poiché devo obbedire, sempre.

La soave voce mi dice ogni cosa.

Sento un rumore, io scricchiolo dentro e fuori, la porta si apre. Il barone von Tintenfisch3 è qui, mi guarda, solleva le coperte, mi sposta la gonna, scopre le mie nudità.

Dice «L’hai fatto ancora, sai cosa ti aspetta». Cosa mi aspetta? Non scoprire le nudità della donna che non ti appartiene, dice la Bibbia, non scoprire le nudità della donna che non ti appartiene, Levitico. Io appartengo a Dio. Urlo. L’uomo mi mette una mano sulla bocca, soffoco. Mi apre le gambe e tocca dove nessuno dovrebbe toccare, si lecca le dita, «l’hai fatto ancora» dice.

Incomincio a parlare, la soavissima voce è con me, l’uomo ha capito, mi copre, suona la campanella.

«Parla, piccola sorella» dice la madre badessa, bagnando la penna nell’inchiostro, «parla!» comanda.

Poi si avvicina al mio orecchio.

Sento le voci.

Parlo:

«Potenti della Terra tremate come tremerà la Terra sotto i vostri calzari, è venuto il tempo del grande ravvedimento, potenti della Terra, schiavi del vostro nido mortale, proverete l’angoscia del soldato che affronta la guerra che verrà, grande unica mai vista, un Puledro dorato galopperà pel mondo e il suono dei suoi zoccoli tonanti farà sorgere re e regine in moltitudine, tanti quanti sono i suoi figli: allora le vostre corone saranno recise dal capo, finché gli uomini avranno memoria del loro soffrire».

Immagine cui segue didascalia.

«Parla, piccola sorella» dice la madre badessa, bagnando la penna nell’inchiostro, «parla!» comanda.

Fedora

L’odore del disinfettante strideva con quello della cucina.

Le dita della mano sinistra della donna scartarono la dose di morfina con la lentezza misurata di chi deve risparmiare le forze; poi prepararono la siringa.

Un lungo respiro, fino a che l’ago non entrò nella spalla destra liberando il liquido.

Un respiro grande, poi altri rapidi per vincere il bruciore; poco dopo il corpo si abbandonò sul pavimento sporco di sangue, del suo sangue.

Restò il respiro profondo accordato al suono della radio a onde corte, un fruscio perpetuo contrappuntato dal fischio dell’onda.

Era notte fonda.

Improvviso, il risveglio.

«Atención, atención!»

Era la radio.4

La voce giungeva dal nulla, il timbro si piegava alle sonorità antiche delle onde corte.

Ancora il fruscio, ancora il fischio.

«Attenzione, atención!»

‘Secondo segnale’ pensò la donna. Si esaminò la spalla, sollevando la garza: la ferita aperta non perdeva sangue.

«Atención y atención!»

«E tre!» disse. «Il latte» mormorò, «dimmi del latte…»

Dalla radio solo il fischio dell’onda e il fruscio.

«… dài, dimmi quando scade il latte…» sollecitò la donna.

Puntuale la voce dalla radio:

«Il latte ha una scadenza. Il latte scaduto non venduto viene mandato di nuovo al produttore che PER LEGGE può effettuare di nuovo il processo di pastorizzazione a centonovanta gradi e rimetterlo sul mercato. Questo processo PER LEGGE può essere effettuato fino a 5 VOLTE…»

Una risata esplose nella cucina. La donna si abbandonò sulla sedia in una strana combinazione di eccitazione, dolore e sfinimento.

«… Il produttore è obbligato a indicare quante volte è stato effettuato il processo…»

«Dimmi dove trovo i numeri» soffiò.

Dalla radio ancora la voce:

«… il segreto è guardare sotto il tetrabrick e osservare i numeri…»

La donna aprì il quaderno nero vicino alla ricevente/trasmittente e, illuminata dal bagliore verde del display della radio, cominciò a scrivere su un diagramma di ascisse e ordinate già stampate.

«… ci sono i numeri 12345. Il numero che manca indica quante volte è scaduto e poi è stato ribollito il latte. Esempio: 12 45 manca il ‘tre’: scaduto e ribollito 3 VOLTE… grazie dell’attenzione».

La donna continuò a scrivere sul quaderno nero che conteneva i codici per decifrare le parole criptate trasmesse sulla frequenza 6840 kHz.

Restò in ascolto ma la radio taceva; così finì l’operazione. Per legge ripetuto 2 volte, 5 volte, 12345, 1245, 3 volte…

Prese il foglio e lesse il risultato della decriptazione:

«Inizio trasmissione 12 ore».

Sorrise, sorrisero i suoi occhi:

«Posso riposare ora, almeno un poco».

 

Mi chiamo Fedora Falconetti,5 vivo a Parigi e per il mondo sono una vecchia sarta, taglio e cucio abiti di scena al teatro dell’Opéra Garnier. Per il mondo sono solo una vecchia, nessuno. Vivo da quarant’anni in quello che a Parigi chiamano Palais de l’Humilité, la gente del quartiere pensa che di questo palazzo io sia la custode, invece ne sono proprietaria e unica abitante. Sono sola, sempre, ma in alcuni periodi dell’anno, legati ad antiche ricorrenze come pleniluni e solstizi, in segreto il mio palazzo si anima, voci da tutto il mondo risuonano nelle sue stanze: siamo i figli e i custodi di una sapienza antica, siamo i depositari di quello che non troverete nei libri.

La storia che qui vi racconto attraversa i secoli e fu originata da una Profezia che generò la paura nelle menti di coloro che detenevano il potere e avevano orrore di poterlo perdere. La paura di cui vi parlo nasce tra le mura di un monastero all’inizio del XVIII secolo, un monastero nei pressi di Dresda dove Trude, monachella veggente in preda all’isteria, predisse il destino di morte dei signori della Terra. Questa sua predizione venne usata da un uomo che, non contento del potere che gli era stato riconosciuto, ne fece uno strumento per ottenere un potere più grande, tanto grande da controllare i governi del mondo. Un uomo, nero dentro e bianco fuori, che si chiamava barone Carolus von Tintenfisch. Ricordatevi questo nome, e non fatevi turbare dalla diversità di personaggi, luoghi e tempi, lasciatevi piuttosto trasportare con fiducia nel passato e nel presente. Le belle storie hanno radici profonde, ramificate, capricciose. Dall’alto verso il basso, dal basso verso l’alto, i nodi del passato devono essere sciolti nel presente.