Nel penultimo decennio del XX secolo la famiglia Tondi possedeva un castello nel centro della Francia, una riserva di caccia in Spagna, un tre alberi d’epoca attraccato nel porto di Bodrum, qualche appartamento all’ultimo piano delle più importanti capitali europee, e un bambino. Il bambino si chiamava Flavio.6 Tondi padre, fedele alla consolidata tradizione di famiglia, voleva che il figlio diventasse avvocato, mentre la madre ipocondriaca e campionario ambulante di ogni patologia conosciuta, e sconosciuta, preferiva immaginare il suo piccolo Flavietto adulto, con un camice bianco e lo stetoscopio nel taschino. Nel frattempo, diceva la signora Tondi, poiché al bambino piaceva la musica, un po’ di pianoforte glielo si poteva pure fare studiare, perché no? Un po’ di pianoforte non aveva mai fatto male a nessuno, come il nuoto, un bambino doveva imparare a nuotare, questo non avrebbe fatto di lui Mark Spitz, ma poteva servire a rafforzare volontà e muscolatura. Così Flavio aveva cominciato a studiare pianoforte. Il violino era venuto dopo, studiato su dignitosi strumenti comprati da liutai italiani, nella speranza che finisse il Conservatorio per dedicarsi a giurisprudenza e gestione del patrimonio famigliare. Poi la signora Mara Felicita Tondi si ammalò sul serio e nessun luminare internazionale fu in grado di fermare il processo di consunzione e morte della donna. Flavio si straziò, il violino divenne la sua unica ragione di vita. E fu così che l’energia inarrestabile, il talento innegabile, l’orecchio assoluto, la disciplina pertinace incrinarono un poco la resistenza paterna; il primo violino serio del ragazzo fu uno strumento anonimo di scuola toscana. Ma lui voleva di più, lui voleva l’assoluto e con i soldi dell’eredità materna poteva ottenerlo.
Ufficialmente, fino al momento in cui raggiunse la maggiore età e si decise a supportare senza alcun limite economico le proprie inclinazioni, il prezzo più alto pagato per uno Stradivari era stato un milione e settecentonovantamila sterline, battuto alla casa d’aste Christie’s di Londra per il «The Hammer» del 1707, acquirente anonimo.
Lo Stradivari di Flavio era costato di più, la trattativa era stata condotta da un mediatore incaricato dal ragazzo Flavio, che, nonostante la giovane età e l’ostilità paterna, si era dimostrato ben determinato a ottenere a ogni costo quello che la sua arte meritava. Lo strumento proveniva dalla Russia, si diceva avesse fatto parte della collezione di un nobile francese fuggito a Pietroburgo in seguito alla rivoluzione del 1789 e, ironia della storia, come ogni altro Stradivari presente sul suolo russo, dopo la rivoluzione di ottobre, era stato confiscato dallo Stato sovietico con un editto espressamente voluto da Lenin.
Nel 1991 la dissoluzione dell’impero comunista favorì una serie di confusi passaggi che condussero lo Stradivari nelle mani di un certo Anatolij Andreevič Korkino, noto mafioso, che ne fece dono all’amante. L’amante di Korkino si chiamava Dimitri, danzatore del Bolshoi, bello come il sole e mutevole come la luna; pur apprezzandone il valore, non suonò mai lo strumento, ma lo conservava nella sua stanza da letto, in una teca fatta appositamente costruire. La notte in cui Dimitri scoprì come il lusso che circondava Anatolij arrivasse da traffici illeciti che vedevano vittime i bambini della periferia del mondo, ubriaco, prelevò Stradivari e certificazioni e se la diede a gambe.
Partì in gran segreto alla volta di Parigi, dove vantava conoscenze altolocate e protezioni strategiche, portando con sé, insieme allo strumento, una valigia leggera, la sicumera di un russo dal giovane corpo allenato, il robusto appetito e l’amore per l’Occidente.
Il violino tornò in terra francese e la trattativa segretissima tra l’agente di Dimitri e Flavio Tondi si concluse con reciproca soddisfazione delle parti. Pochi mesi dopo, la notte di Natale in cui Flavio e il suo nuovo strumento erano alle prese con i Quartetti di Boccherini, Dimitri veniva trovato nel suo appartamento di Place des Vosges, scompostamente disteso sul pavimento, nudo, il corpo torturato e la bella testa di riccioli biondi fracassata, e sulla fronte l’orrore: l’immagine marchiata a fuoco di un’aquila bicipite con le due teste voltate verso la destra. Chi fosse stato l’omicida fu l’enigma irrisolto di quell’inverno parigino, uno dei più gelidi degli ultimi cento anni.