Sano e salvo e opportunamente evirato

Napoli, Palazzo di San Severo, marzo 1757

Raimondo di Sangro settimo principe di San Severo16 quel giorno era di pessimo umore. Di ragioni per essere di pessimo umore ne aveva molte, moltissime; intanto c’erano i gesuiti che gli avevano dichiarato guerra, i gesuiti lui li conosceva bene, aveva passato dieci anni nella scuola gesuitica di Roma, i gesuiti quando ci si mettevano erano nemici spietati. Poi c’era l’odio del popolo, il popolo napoletano incostante come tutti i popoli, un po’ lo amava un po’ lo odiava e ultimamente sembrava soprattutto odiarlo, le dicerie su di lui erano diventate sempre più sfrenate: ’O principe è nu diavolo, si diceva per le strade e nelle chiese di Napoli, ma lui non era un diavolo, lui era un uomo curioso che non aveva limiti se non quelli della curiosità e del portafoglio, infatti il suo tormento più grande era la costante penuria di denaro. Da quando aveva deciso di restaurare la cappella della Pietatella le casse si erano prosciugate al punto da costringerlo ad affittare prima alcuni locali del palazzo e, addirittura, il suo palco al Teatro di San Carlo.

Quello che lo rattristava non era tanto il fatto che qualche stanza di Palazzo San Severo ospitasse una bisca clandestina, certo non c’era da esserne particolarmente orgogliosi, ma in fondo il denaro era energia, un alchimista come lui lo sapeva bene, e poi questi galantuomini della bisca pagavano, eccome se pagavano, quindi il suo cruccio non era di natura morale, quello che lo rattristava davvero era il fatto di non poter andare a teatro con l’agio e la frequenza che la sua sensibilità artistica avrebbe richiesto.

Raimondo di Sangro settimo principe di San Severo decise di reagire, cercò di concentrarsi su quanto di positivo abitava la sua vita, prima di tutto l’eccellente rapporto con il re; Carlo III di Borbone lo stimava, lo teneva in massima considerazione, come scienziato, come uomo di cultura e financo come massone, era pur vero che il re aveva cancellato le logge napoletane e bandito la massoneria dal regno, ma l’aveva fatto per evitare la rottura con il Santo Padre, Carlo III era uomo illuminato e quando Raimondo gli aveva consegnato l’elenco degli iscritti alla Fratellanza, il re aveva preso atto della lealtà dimostrata e si era limitato ad ammonire i massoni napoletani permettendogli di continuare indisturbati nelle loro segrete operosità.

Un vero colpo vincente, con Carlo III, Raimondo di Sangro l’aveva però messo a segno una settimana prima, quando aveva portato in dono al re il mantello, un mantello che, grazie ai suoi esperimenti chimici, era riuscito a rendere perfettamente impermeabile. Il re l’aveva indossato il giorno stesso in una battuta di caccia nel parco di Capodimonte, una battuta resa difficile da un nubifragio improvviso, che non aveva in nessun modo preoccupato il sovrano strategicamente intabarrato. Erano piccole soddisfazioni, piccole soddisfazioni sulle quali conveniva concentrarsi per non perdere il buon umore, piccole soddisfazioni come essere incappato nel fanciullo dalla voce di angelo che Raimondo di Sangro aveva ascoltato cantare la notte di Natale a Camerino e che, finalmente, avrebbe raggiunto il Conservatorio di Sant’Onofrio: sano, salvo e opportunamente evirato.