Preparatevi all’assedio

Chambéry, 1757

Il marchese Koering ancora non lo sapeva, ma affiancare i conti di Saint-Germain nella caccia al barone von Tintenfisch sarebbe stato l’ultimo atto di una poco nobile esistenza che, contro ogni previsione, nobilmente si andava spegnendo.

Appena Marius riuscì a persuadere Albert e Rocco di quanto il suo piano per intrappolare il barone fosse tea-tralmente accattivante, Koering venne costretto a stilare un messaggio nel quale si dichiarava pronto a versare, in nome e per conto di Luigi re di Francia, un’ingente somma destinata a sostenere l’esercito privato del barone von Tintenfisch. Datosi che, per ragioni di convenienza e mutua sicurezza, la delicata consegna sarebbe dovuta avvenire in territorio neutrale, il marchese suggeriva una fortezza situata nei pressi della città di Chambéry, roccaforte ufficialmente proprietà di un vassallo della famiglia Savoia, ma nella realtà segretamente controllata da uomini e donne fedeli al conte di Saint-Germain nella declinazione corrispondente al nome di Marius.

La replica affermativa del barone non si fece attendere, e soli dieci giorni dopo l’invio del dispaccio il povero Koering, opportunamente intabarrato e sedato, fu fatto salire su di una carrozza in compagnia del trio entusiasta e risoluto. Dopo un lungo viaggio contraddistinto da continue libagioni e deliziosi madrigali a cappella ai quali il marchese fu costretto a prendere parte e che presto si ritrovò ad apprezzare, il gruppo raggiunse la meta. Il piano congeniato da Marius prevedeva che l’accoglienza di von Tintenfisch avvenisse in una speciale stanza poco illuminata, dove un singolare specchio celava la presenza di un’altra camera segreta all’interno della quale era possibile seguire di nascosto l’incontro; a ricevere il tedesco sarebbe stato Rocco travestito da marchese Koering, mentre nella camera occultata Marius, Albert e il vero marchese avrebbero assistito, senza essere visti.

Il barone von Tintenfisch dai bianchi capelli di nero vestito entrò nella stanza, accompagnato da un manipolo di soldati riccamente abbigliati e micidialmente armati. Rocco, dopo un inchino studiatamente incerto, prese la parola:

«Caro barone, vogliate perdonarmi se vi ricevo in quest’oscurità appena temperata dalla luce del fuoco, pudori di vecchio; sapete, le mie artrosi deformanti sono orrende a vedersi e questo focherello è l’unica consolazione possibile per un corpo perennemente in lotta con il gelo di una morte ormai troppo vicina, trapasso che come voi potrete immaginare tormenta tanto la mia persona quanto il beneamato re Luigi, il quale paventa la perdita del solo uomo fedele, leale, devot…»

Von Tintenfisch interruppe con un gesto perentorio della mano lo sproloquiare del marchese.

«Koering! Bando ai convenevoli, mi compiaccio che il vostro re si sia deciso a foraggiare il mio esercito, era ora che dalle parole si arrivasse ai fatti concreti, tutte le corti d’Europa hanno bisogno di me se vogliamo che la profezia della monaca di Dresda non si avveri. A questo proposito, dove sono i forzieri che mi avete promesso nel vostro messaggio?»

«Eccoli!» gridò lo pseudo Koering indicando con mano tremante un paio di cassoni sul fondo della stanza.

«Mi sembrano piuttosto piccoli, marchese».

«Piccoli, ma pesanti, barone, ben farciti di monete d’oro del più puro conio, valutate voi stesso, prego».

Von Tintenfisch si avvicinò ai bauli e ne scoperchiò uno liberando d’un colpo il brillio sfacciato dell’oro nella debole e ondeggiante luce delle fiamme.

«Bene, bene» decretò il tedesco affondando il braccio nelle monete, «molto bene davvero» aggiunse, aprendo il secondo baule.

«Allora siete soddisfatto, barone».

«Chi l’avrebbe detto, il povero Koering, il servo perdente e deforme di Luigi, ha finalmente mantenuto la parola».

«Perché m’insultate, barone?»

«Perché posso, marchese».

«Non capisco, dovreste essere grato, se non fosse per me, per la mia mediazione paziente, questo tesoro non sarebbe mai arrivato nelle vostre mani».

«Permettetemi di dubitarne, il denaro non solo sarebbe arrivato, ma sarebbe arrivato prima perché, mi duole ammetterlo, puntare su di voi è stato un errore. Voi e la vostra esasperante lentezza di vecchio malato e imbelle… ma ora è finita, l’oro è nelle mie mani e potete morire» Tintenfisch sguainò la spada, «e non saranno le artrosi a trapassarvi le ossa, ma il lucente metallo della mia lama, stupido ritardato presuntuoso, inginocchiatevi che vi voglio staccare la testa dal collo personalmente e sigillarvi in una tomba insieme al segreto della Profezia!» concluse, avanzando deciso verso il marchese.

«Barone, l’unico segreto celato nella Profezia è che non esiste alcuna profezia».

La spada di Tintenfisch lentamente si abbassò.

«Parlate, parlate, Koering, vi lascio ancora qualche minuto, mi state incuriosendo».

«Voi avete manipolato le corti europee attraverso la paura, avete usato la minaccia della Profezia per mettere in ginocchio le dinastie reali e controllarne il potere, ma voi e io sappiamo che il Puledro dorato non esiste».

Una smorfia sprezzante deformò il viso del barone:

«Quando l’uomo afferma con forza una cosa, essa si compie perché l’attenzione di tutti lì si concentra e fa sì che avvenga. Vi faccio un esempio, Koering: se io dicessi a un vostro servo che domani al tramonto questa stanza sarà attraversata da un topo bianco, lui domani sarà portato a passare le ore precedenti al tramonto in questa stessa stanza interpretando ogni rumore in relazione alla venuta del topo e probabilmente un topo potrebbe passare, magari non bianco, ma al vostro servo potrebbe bastare, oppure il topo potrebbe passare un giorno successivo, e anche questo potrebbe bastare».

«Questa è semplice manipolazione» osservò il falso Koering.

«Questa è l’arte del governare i popoli e la si mette in atto con la paura» rispose von Tintenfisch alzando la spada. «Nella paura l’uomo è uguale all’uomo, non esistono re o servi. Se io annuncio la fine del mondo nell’anno mille e a un contadino nasce un vitello con due teste questo verrà interpretato come segno innegabile del compimento della mia profezia; se a un re dovesse morire il primogenito a causa di una febbre misteriosa, questo sarà un segno innegabile del compimento della mia profezia. Così sarà per i terremoti, le alluvioni, le guerre, le epidemie; tutti episodi che, voi mi insegnate, contraddistinguono la vita degli esseri umani in Terra, indipendentemente da qualsivoglia profezia».

«Intendete dire che la guerra dei mondi e i terremoti della profezia attribuita alla vostra monachella altro non sono che mille candele accese sopra il Puledro dorato per scatenare la paura e permettervi di controllare le corti europee?» disse Rocco, e si mosse verso il barone con passo claudicante.

«Fermatevi!» ingiunse Tintenfisch, avanzando a sua volta verso il marchese.

«No, ascoltate, ascoltate tutti» disse questi, indifferente alla minaccia, «ascoltate il rombo proveniente dalla Terra» continuò con voce profonda e suadente indicando lo specchio, «sentite il boato del galoppo, udite il tuono in avvicinamento. È la moltitudine di mandrie di unicorni che arrivano, è lo stormo di ippogrifi che lacerano le nuvole, è lo sciame di chimere che strazia l’aria, e qui giunge!»

Tintenfisch scoppiò a ridere, scoprendo le gengive nude.

«Taci, vecchio: è ora di morire».

«Ascoltate, ascoltate tutti, ecco il rombo delle mandrie, guardate il fulgore delle chimere, annusate l’acre odore della terra pronta a ricevere il sangue, il sangue… barone, guardate gli occhi dei vostri uomini» consigliò Rocco indicando i soldati dalle bocche spalancate, le mani al viso e gli sguardi rivolti allo specchio, «sono in mio potere. Come voi avete ipnotizzato20 le corti europee, io qui più modestamente mi sono impadronito di queste deboli menti».

A quel punto Tintenfisch senza emettere un suono affondò la spada, ma il vecchio artritico con un guizzo riuscì prima a svincolarsi e poi ad afferrare l’attizzatoio accanto al camino, a sollevarlo come leggera pagliuzza e a parare abilmente il secondo affondo.

Il volto del barone si deformò per la sorpresa.

«Chi siete? Tradimento! Prendetelo, lo voglio vivo!» urlò, ma i suoi uomini restavano immoti, lo sguardo terrorizzato, nell’attesa dell’imminente invasione di unicorni, grifoni e chimere che vedevano nitidamente sopraggiungere dallo specchio.

«Si rassegni, barone: in questa stanza, vivi resteremo solo io e il fuoco nel camino» disse il finto Koering indicando lo specchio che ora, improvvisamente illuminato, mostrava un uomo dai bianchi capelli di nero vestito. «Lo vedete, il vostro presagio di morte? Il doppio viandante che vi viene a prelevare per portarvi all’inferno!»

Nella stanza si udivano solo il lamento dei soldati paralizzati e il crepitio del fuoco, poi all’improvviso il clangore della spada di Tintenfisch che cadeva a terra e in dissolvenza il boato di uno sparo che, partendo da sotto il suo mantello, mandava in frantumi lo specchio, svelando la camera segreta e l’accasciarsi silenzioso del manichino che duplicava il barone von Tintenfisch.

«No, no, io sono la paura» gridò Tintenfisch puntando la pistola verso Koering e sparando l’unico colpo rimasto a disposizione.

Rocco scartò repentino e il proiettile andò a conficcarsi nel muro.

Tintenfisch raccolse da terra la spada e avanzò risoluto verso di lui, che nel frattempo si era girato di schiena, coprendosi le spalle e il capo con il mantello.

«Finiamola con questa buffonata» stabilì il barone gettandosi furioso in avanti mentre, contro ogni logica umana, il marchese cominciava a levitare verso l’alto, staccandosi da terra.

Tintenfisch allungò il braccio disarmato verso l’alto, afferrando l’estremo lembo del mantello e tirandolo verso il basso. Il drappo gli ricadde addosso senza opporre resistenza e per un momento gli oscurò la vista.

Del vecchio, artritico Koering non c’era più traccia.

Il silenzio sbigottito del barone e dei suoi soldati pervase lo spazio. Ma presto il rumore degli spari cominciò a straziare il mutismo stupefatto della stanza e con quello le carni dei tedeschi. Le urla di dolore si alzarono potenti, e con loro una spessa cortina fumosa, mentre Marius sparava dalla stanza segreta attraverso il varco apertosi nello specchio.

Quando finalmente le grida tacquero e il fumo cominciò a dissolversi, un lamento di cardini corrosi proveniente dal centro esatto del soffitto preannunciò l’uscita di Rocco dalla botola utilizzata per scomparire durante l’illusione della levitazione.

«L’hai preso?» domandò tossendo.

«No» fu costretto ad ammettere Marius.

«Ma è possibile che in mezzo a tutta questa carneficina non ci sia neppure un pezzo del barone von Tinten-fisch?» si lamentò il falso Koering, scavalcando il torso decapitato di un soldato. «È possibile che tutti i mesi spesi a sparare nella tenuta di Braunau sotto la guida di mastro Himmlertod non ti siano serviti a niente?»

«Che impunito! Rocco, sei il solito italiano che non si prende le proprie responsabilità, rispondi a me, piuttosto: chi ha miscelato la polvere da sparo?»

«Io» ammise malvolentieri Rocco.

«Ecco, è come per il caffè, continui a caricarlo troppo».

«Cosa c’entra il caffè adesso?»

«C’entra, c’entra, deve essere la tua scuola napoletana a influenzare anche la miscela delle polveri piriche, col bel risultato che dopo il primo colpo sparato non vedevo più a un palmo di distanza».

«Sempre a lamentarti, Marius».

«Sì, sì, intanto la mattina chi si ritrova con il cuore matto e le vertigini sono io».

«Perché sei svizzero».

«Adesso basta!» s’inserì Albert sbucando dal varco nello specchio. «Il marchese Koering sta morendo, non ha retto all’emozione. Venite, presto!»

Rocco e Marius spinsero una finta parete, salirono cinque gradini di legno e si trovarono nella stanza dietro lo specchio.

Respirando con grande fatica, il vecchio marchese guardò i tre conti di Saint-Germain: «Preparatevi all’assedio. Tintenfisch vi intrappolerà come topi» biascicò, mentre il boato di una cannonata faceva tremare le mura della stanza.

«Il barone mi disprezzava» continuò il marchese, «ingenuo io che credevo di aver visto tutto… invece ecco come da dentro uno specchio segreto la vera natura dell’uomo che avevo eletto a rappresentante della lotta contro il caos mi svilisce, svilisce me che ho sempre faticosamente e lealmente servito il potere. Ora ditemi, signori, se prima di morire io, il vero Koering, non sia autorizzato a svelare i segreti della mia casta!» Si contorse portando le mani deformi al petto, come per liberarlo da un peso.

«Il Puledro dorato… che colossale beffa, scatenare la caccia a un simulacro e in nome di questo simulacro spiare, torturare, mutilare… Io stesso ho assistito all’amputazione della mano destra del piccolo virtuoso spagnolo in grado di ritenere a memoria una qualsivoglia composizione e replicarla all’organo, aveva sette anni, e non è stato ucciso solo perché figlio di un cardinale… ma quanti bambini eliminati senza distinguo perché era stata individuata in loro una qualche eccellenza nelle arti? E io ho visto e lasciato che questo avvenisse, in nome della conservazione dello status quo… status quo… status…» Il marchese cominciò a tossire, gli occhi fuori dalle orbite. Due mani gli sollevarono il capo mentre un’altra gli portava un bicchiere d’acqua alla bocca.

«Eppure coloro che il Cielo ha destinato al governo del mondo» riprese a parlare con fatica Koering, «il prodotto del sangue più nobile che per anni si è andato affinando, ha vigliaccamente tremato di fronte alla visione evocata dal demonio Tintenfisch». Su quel nome il suo corpo iniziò a tremare convulsamente. «Non respiro, aiutatemi».

Due mani solerti gli aprirono la camicia.

«Non vedo più, aiutatemi, non lasciate che l’ultima immagine che porto nella tomba sia quella dei bambini torturati dalla follia della paura, o gli occhi di Luigi, il beneamato, svuotati da ogni nobiltà ma colmi di terrore di fronte alla minaccia di poter perdere i propri privilegi. Da quando a un nobile, ditemi, signori, è consentito avere paura? Il sangue dei re si è talmente impoverito da tremare nelle vene. E quando un re si comporta come uno stalliere, la stalla diventa il suo regno. E io non voglio morire in una stalla, e io non voglio che si dica: il marchese Koering è stato complice di nobili ignobili e senza onore, pavidi, il cui sangue un tempo innalzato dalla spada è diventato merda per concimare i prati della paura. Per questo, io mi sento autorizzato a tradire il segreto dell’Ordo Mundi e vi dico: cercate il Puledro, trovatelo in nome mio, e fate che il suono dei suoi zoccoli tonanti faccia sorgere re regine in moltitudine tanti quanti sono i figli della Terra, perché se la Profezia è stata inventata da Tintenfisch per soggiogare i potenti, è pur vero che ogni appartenente all’Ordo Mundi ha investito risorse indicibili per trovare ed eliminare il Puledro, questo significa che il potere del Puledro è reale anche se la profezia che lo ha generato è fasulla. Andate in Francia, andate a Versailles, entrate nelle grazie della marchesa di Pompadour, lei vi condurrà dove si annida il potere più grande e dove si annida la paura…»

Il marchese emise un rantolo.

«Fatto, è andato» commentò Marius.

«I rinforzi di Tintenfisch stanno arrivando» annunciò, calmo, Rocco caricando il corpo di Koering sulle spalle possenti, «è venuta l’ora di raggiungere i cunicoli che ci condurranno fuori di qui, mi carico io il marchese, non possiamo abbandonare il suo corpo. Voi fate sparire i forzieri».