Nicolaus Gallianus Neapolitanus Faciebat

Parigi, 12 gennaio 2019, prima dell’alba

Il feretro del violino era posato sul tavolo del salotto di Samuela.

Fu lei a rompere il silenzio:

«Va bene, Flavio, vediamo questo benedetto violino».

Flavio si chinò sulla custodia in Gore-Tex gialla e blu, simile a un fodero per le racchette da tennis, dove aveva trasferito i venerabili frammenti e, con il rispetto dovuto al corpo di un caro estinto, iniziò ad aprire il progressivo teorema di cerniere che ne proteggevano l’interno.

Samuela dispose i pezzi sul tavolino di cristallo, dai più grandi fino alle micro schegge. Il violino si presentava con la tavola armonica rotta a metà perpendicolarmente alle corde tra il ponticello e la fine della tastiera; il fondo si era aperto lasciando intravedere l’interno.

«Numeri?» disse sorpresa Samuela, cercando gli occhi di Flavio.

«Numeri» confermò lui.

«Cosa significa? Ma non l’avevi mai visto l’interno del tuo violino? Magari con una videocamera?»

«No, perché quando l’ho acquistato mi sono cautelato in tutti i modi; avevo le certificazioni necessarie dello Stato sovietico e le perizie, nel 1989, si basavano sulle documentazioni storiche, gli atti notarili e il parere di liutai di fama internazionale, e poi il violino suonava come suonava».

«1 3 3 - 2 3 - 5 1 2 1 1+…» elencò Samuela, «sembra che siano stati scritti con la grafite di una matita… sono tantissimi! Ma attenzione, con il polpastrello sento anche delle incisioni nel legno, dovremmo…»

«Guarda» Flavio la interruppe mostrandole un frammento importante dell’interno della cassa superiore, «qua c’è una scritta: Neapolitanus Faciebat anno».

«Allora non ci resta che comporre il puzzle» invitò lei.

Dopo lunghi minuti di sforzi e tentativi riuscirono a ricostruire un nome proprio.

«Nicolaus Gallianus Neapolitanus».

Il respiro di Flavio si bloccò e i suoi occhi cercarono quelli di Samuela. «Ti rendi conto di cosa significa questo?»

«Fatto da Nicolò Gagliano, napoletano» tradusse lei.

«Il mio Stradivari… è un Gagliano» sbottò lui, portandosi le mani al volto.

«Sei sicuro che questi pezzi siano del tuo violino? Non è che te l’hanno sostituito?»

«Questo è il legno del mio violino, Samuela» affermò Flavio avvicinando un pezzo dello strumento al naso, «questo è il suo odore, questo è il mio odore, ho passato venticinque anni sudando sopra queste nervature, le conosco come le linee della mia mano».

«Ma allora come è possibile che proprio tu abbia confuso un Gagliano con uno Stradivari?»

«Qui stiamo parlando di Nicolò, il figlio di Alessandro Gagliano».

«Cioè?» s’innervosì lei.

«Stradivari, cremonese, aveva avuto molti allievi. Tra questi brillava il napoletano Alessandro Gagliano che, dopo essere rientrato a Napoli, trasmise la sua arte al figlio Nicolò. Ma la cosa che interessa noi, ora, è che Nicolò ben presto superò il padre nell’arte della liuteria, tant’è che per secoli alcuni suoi strumenti sono stati attribuiti alla mano di Stradivari. Peccato che nel 1989 io abbia speso quattro miliardi di vecchio conio per uno Stradivari, non per un Gagliano».

«Tanto, per come è ridotto adesso…» disse Samuela, riprendendo a ispezionare i pezzi dello strumento. Il mae-stro Tondi non replicò, ma i suoi occhi si riempirono di lacrime.

«Qui c’è scritto: Johanni Mariae Claro XXII oct. MDCCLXVII, sarà il dedicatario dello strumento» disse ancora lei.

«22 ottobre 1767» calcolò Flavio.

In quel momento il suo cellulare squillò, sonoro e inaspettato.

«Una chiamata a quest’ora! Chi è, la tua super-guapa

Si sfidarono con gli occhi.

«Magari è la babysitter». Flavio sfilò il telefono dalla tasca interna della giacca e valutò il display:

«È Carlos Buyer» disse, «pronto?»

«Flavio, ho saputo! In questo momento c’è una mia auto in strada che vi aspetta, il mio aereo è pronto a Le Bourget, ho convocato per domattina, qui nel Suffolk, Sir Mark Curtis Prise, Dante Fulvio Lazzari e Sonoda Nobuhiro».22

«Carlos, non so… non dovevi, sei gentilissimo, ma da chi l’hai saputo?»

«Sai bene l’amicizia che mi lega al direttore artistico del Garnier, e poi ora, in Rete, non si parla che del tuo Stradivari».

«Si fa in fretta a dire Stradivari…» bofonchiò Flavio.

«Che cosa vuoi dire?»

«Te lo spiegherò poi, adesso fammi parlare con Samuela e ti richiamo».

«Dài, di’ a madame che domani la porto a caccia!»

Flavio chiuse la conversazione e guardò interdetto Samuela. «Era Carlos Buyer, ha saputo del violino e ci vorrebbe subito da lui nel Suffolk, dove ha convocato il gotha della liuteria mondiale… non so, cosa ne dici?»

«Alle cinque di mattina? E come l’ha saputo, che tu eri con me?»

«Sarà stata Cesara… C’è già una macchina, sotto, che ci sta aspettando».

Samuela raggiunse la finestra e, verificata con stupore la presenza di un SUV nero con le quattro frecce intermittenti accese, inquieta chiese:

«Ma che fretta c’è? Non capisco, è un violino di trecento anni, va bene il valore e la tua reazione emotiva, ma Carlos Buyer cosa c’entra?»

«È un amico, è ricco, è collezionista ed è annoiato».

«Capisco l’amicizia, capisco il collezionismo, e capisco financo la noia, ma questo dispiegamento di forze mi pare eccessivo e non mi convince. Partiamo pure, se vuoi, ma prima c’è una cosa che devi fare e un’altra che dobbiamo scoprire».

«E sarebbe?» chiese Flavio.

«Anzitutto avvisare la madre delle tue figlie, poi la babysitter, e chiarire chi sia questo Johannes Maria Clarus» disse Samuela afferrando il frammento di violino con la scritta.